Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL POPOLO RUSSO, OLIGARCHI IN PRIMIS, NON PUÒ PERMETTERSI DI VIVERE “SANZIONATO” NÉ HA NESSUNISSIMA VOGLIA DI MANDARE I PROPRI FIGLI A MORIRE PER IL DONBASS
La verità sullo stupefacente blitz di sabato scorso, forse, non la sapremo mai. Quello che è sicuro è che l’assalto di migliaia di mercenari wagneriani alla città di Rostov e alla loro avanzata per ore, senza incontrare molta resistenza, verso Mosca, non è stata una sceneggiata napoletana in salsa russa, protagonisti: Isso (Putin), esse (l’autocrazia attorno alla corte dello zar Vladimir) e ‘o malamente (Prigozhin).
La fiction di un ammutinamento di Wagner già a conoscenza dell’intelligence di Mosca, Washington, Pechino, Londra, Parigi, isole comprese, è appunto una fiction buona per riempire le colonne dei giornali. La realtà che ha portato, per ora, a un “Mad Vlad” indebolito e malconcio seduto in carrozzella, è un’altra. E tutt’altro che sceneggiata.
Fosse stata una messinscena, come raccontano tanti analisti che mai hanno capito di un orso russo con i piedi di cartapesta, Putin non avrebbe allertato l’anti-terrorismo, sibilato un messaggio solenne alla nazione minacciando conseguenze terribili per i ‘’traditori’’, messo sottosopra le strade di accesso verso Mosca per fermare l’avanzata delle milizie Wagner
Fosse stata una fiction, l’intelligence americana avrebbe apparecchiato un barbecue in giardino anziché innestare l’allarme rosso: riunione del gabinetto di crisi con l’ordine di non muoversi da Washington durante il weekend (assente solo Biden, che era partito venerdì verso il suo buen retiro di ottuagenario). Idem per il premier Sunak e il presidente Macron e il cancelliere Scholz. Tutti agitatissimi alle prese con i loro Consigli di sicurezza, intrecciati di continue telefonate e consultazioni col ministro della Difesa americano Austin.
Fosse stata la simulazione di una pittoresca insalata russa, i potenti del mondo occidentale lo avrebbero saputo al volo grazie al mitico Echelon, il ‘’Grande Orecchio’’ gestito dai servizi segreti di Stati Uniti e Gran Bretagna che nell’alto dei cieli è in grado di intercettare e analizzare le comunicazioni via satellite, via radio, telefoniche, elettroniche ecc. in qualunque parte del mondo.
E tutti insieme, video-collegati, i padroni del mondo si sono cagati sotto pensando che la Russia di Putin, secondo le più recenti stime della Federation of American Scientists, ha negli arsenali 5.977 testate, qualche centinaio in più rispetto a quelle su cui può contare Washington (5.428). E all’unisono tutti hanno pregato per la sopravvivenza di Putin: anche debole, azzoppato, in carrozzella, è sempre meglio di un criminale in servizio permanente effettivo come Prigozhin.
Nessuna potenza internazionale accetterà mai la defenestrazione di Vladimir dal Cremlino senza saper chi verrà dopo nella “stanza dei bottoni”.
E un gran sospiro di sollievo globale è arrivato quando, davanti all’avanzata della Wagner, come del resto era già accaduto in Ucraina, Putin non ha fatto ricorso alle armi nucleari tattiche. Sarà pure un “dittatore” col volto botulinato, ma riesce ancora a ragionare. Vedi anche l’immediata dichiarazione di Pechino in appoggio al premier russo: meglio lui di un patibolare Prigozhin con l’elmetto.
Questa volta Putin è riuscito a sopravvivere, soprattutto perché nessun successore avrebbe lo stesso potere personale. Ma la prossima volta, chi lo sa? La sua credibilità è ai minimi termini.
Prigozhin ha detto ai russi che la guerra sta andando a puttane, che le perdite sono più alte di quanto annunciato e che il problema è la burocrazia e la corruzione. Queste dichiarazioni hanno avuto un’ampia eco sui social media. La gente ha la sensazione che l’ex macellaio sia disposto a prendersi cura dei russi con i suoi mercenari armati fino ai denti senza mandare in guerra i loro amati figli, in barba alle richieste di una nuova mobilitazione dei generali di Putin .
Sabato scorso il mondo ha visto in diretta uno Stato che sembrava molto potente all’esterno che si è rivelato vuoto, che si sta divorando dall’interno, tutti contro tutti, una babele totale. Il regime di Putin si regge su tre pilastri: la sua leadership di uomo forte che sa come difendere la Russia, enormi quantità di denaro per coprire eventuali problemi e il controllo dell’apparato di sicurezza.
I primi due pilastri erano già stati indeboliti dalla guerra in Ucraina. Per quanto riguarda il terzo, il sostegno dell’apparato di sicurezza, questa è la prima volta che abbiamo un’idea reale di quanto sostegno abbia Putin. Le Forze Armate e la Guardia Nazionale non si sono unite agli uomini di Wagner, ma non li hanno nemmeno fermati.
Tra i generali russi, il più competente è Sergey Surovikin, che all’inizio di quest’anno è stato rimosso come unico capo delle Forze armate russe in Ucraina. In un certo senso, è stato rimosso proprio per la sua vicinanza a Prigozhin. Ma è stato tra i primi a chiedere alla Wagner di fermare il colpo di Stato.
Dopo 23 anni di potere assoluto, Putin si vede perculato davanti all’opinione pubblica dal suo compagno di merende e di segreti Prigozhin che in modalità Bacio Perugina cinguetta: “Mica volevo rovesciare il regime ma solo sottolineare che l’apparato militare e della sicurezza non funziona”. Ecco: una delle cose più sorprendenti, spia della grande debolezza di Putin, è stata la scarsa resistenza incontrata dalla Wagner. Era chiaro che l’esercito e le forze di sicurezza non erano disposte a unirsi a lui, ma nemmeno a fermarlo.
Con Putin più azzoppato che mai, riciccia l’influente ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, che ultimamente era scomparso dai media per sottolineare la diversità di veduta con il suo premier sull’invasione ucraina. E anche qui, da grande esperto di diplomazia, Lavrov rilascia una dichiarazione a favore di Putin.
Il futuro di Putin? Di sicuro non potrà mai a fare a meno dei 50 mila mercenari della Wagner tra Africa e Medio Oriente, troppo redditizie e utili allo Stato russo. E’ consapevole anche che in Ucraina, fuori gioco le truppe di Prigozhin, in caso di un prossimo attacco di Zelensky ci saranno meno forze per mantenere la posizione.
Il destino dello zar Vlad sarà forse più decifrabile nei prossimi giorni, quando si riunirà a Mosca il Consiglio di Sicurezza guidato dal principale consigliere di Vladimir Putin, l’ex capo dei servizi Nikolai Patrushev, “che durante il golpe di Prigozhin si trovava nel Kazakhstan”, scrive oggi Anna Zafesova su La Stampa.
E aggiunge: “Sono anni che a Mosca si dice che Patrushev stia addestrando suo figlio Dmitry, ministro dell’Agricoltura, a diventare il “delfino” di Putin, in una successione pilotata come lo stesso Putin fece con Boris Eltsin. Pare che il presidente sia furioso con Patrushev che non ha previsto (o non ha voluto prevedere) l’ammutinamento di Prigozhin”. Al Consiglio di Sicurezza, anche se ha il terrore di apparire debole, Putin non potrà far finta di niente, dire che nulla è successo sabato scorso.
Un punto di svolta che potrebbe segnare il nuovo corso della Russia, dopo l’accordo con Prigozhin via Lukashenko? Se partirà fra un mese una trattativa di pace con Zelensky (Crimea alla Russia, Donbass e dintorni restano all’Ucraina, magari con la formula delle Repubbliche autonome), allora si capirà che i miliardi spesi dagli oligarchi per il blitz della Wagner non sono stati buttati nelle tasche di Prigozhin invano: il popolo russo, oligarchi in primis, non può permettersi di vivere “sanzionato” né ha nessunissima voglia di mandare i propri figli a morire per il Donbass. Meglio sdraiati sul divano a godersi una puntata di “Don Matteo”, ricordando le piroette di Don Lurio.
(da Dagoreport)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
NON HA ALCUN INTERESSE NEL DISSOLVERE UNA FORZA DI COMBATTIMENTO E D’AFFARI CHE, NON RISPONDENDO SULLA CARTA AL MINISTERO DELLA DIFESA, PUÒ AGIRE IMPUNITO
Il gruppo Wagner: evoluzione di un esercito privato. È questo il titolo dell’ultimo dettagliatissimo rapporto pubblicato due giorni fa dal Soufan Center, centro studi basato a New York. Quaranta pagine che ripercorrono la storia del gruppo, tracciano i legami col Cremlino, le conseguenze delle operazioni armate in Africa e in Medio Oriente e gli effetti regionali e internazionali se il fondatore Prigozhin perdesse il controllo sul gruppo.
Il gruppo Wagner è stato uno strumento incredibilmente importante della politica estera russa, in Libia, Mali, Repubblica Centrafricana, Siria, gli Eminari Arabi Uniti. Dopo gli eventi di ieri, l’audio di Prigozhin a giustificazione parziale dell’ammutinamento, le frasi di Lavrov, rassicuranti sul fatto che il gruppo continuerà a lavorare «normalmente in Mali e Repubblica Centrafricana», è sempre più chiaro che il Cremlino non vuole perdere gli affari e l’influenza che il gruppo garantisce da anni in Africa. Come sottolinea il rapporto, il gruppo in Africa è apparso «estensione di una campagna di disinformazione che ha screditato i partner antiterrorismo occidentali, Wagner ha allineato le sue narrazioni a quelle russe, alimentando proteste anti occidentali e anti-Onu».
Come ha sottolineato ieri l’ex ufficiale della Defense Intelligence Agency americana Rebekah Koffler: «Il gruppo Wagner non è una compagnia militare privata tradizionale ma un’estensione dello stato russo, creata con l’obiettivo specifico di condurre “affari delicati” per conto del Cremlino quando era richiesta una copertura plausibile».
Come a dire che il Cremlino ha schierato gli uomini di Prigozhin per condurre operazioni di influenza da un lato e destabilizzazione dall’altro, in tutto il mondo. Ecco perché Putin non ha alcun interesse nel dissolvere una forza di combattimento e d’affari che, non rispondendo sulla carta al ministero della Difesa, può agire impunito. Wagner è la squadra personale di cui Putin ha bisogno, tanto quanto Prigozhin ha avuto bisogno di Putin per arricchirsi.
Come il rapporto del Soufan Center ricostruisce, il gruppo Wagner è coinvolto in una serie di attività illecite che vanno ben oltre i servizi di sicurezza che offrono: dalle industrie commerciali ed estrattive. […] Un gruppo che opera come un conglomerato composto da diverse entità di sicurezza e commerciali, i cui flussi monetari, sempre più opachi, sono quasi impossibili da monitorare.
Ecco perché la rivolta del gruppo contro i vertici della Difesa russa russo potrebbe avere importanti ripercussioni non solo sulle operazioni in Africa e Medio Oriente, ma anche sulla capacità di Mosca di sostituire le reti finanziarie che Prigozhin garantisce da anni. «Per molti versi, Wagner funziona come un coltellino svizzero», dice Colin P. Clarke, coautore del rapporto del Soufan Group: «Il gruppo è versatile e abile, la brutalità del gruppo contro i civili e il suo sostegno ai governi predatori ha prolungato e persino espanso l’instabilità e l’insicurezza che hanno portato i governi a cercare la loro assistenza».
Per questo la domanda, a tre giorni dall’ammutinamento fallito, è cosa accadrà di fronte al destino incerto di Prigozhin, chi assumerà le redini delle migliaia di uomini che gestisce in Africa e quali saranno le conseguenze dell’eventuale vuoto di potere nelle regioni teatro delle azioni del gruppo, come la Libia e la Siria. Se cioè le varie filiali africane e mediorientali possano trasformarsi in strutture mercenarie completamente incontrollabili e favorire radicalismi.
Gli analisti concordano che l’approccio del gruppo rischia di destabilizzare ulteriormente i Paesi in cui opera e influenzare la minaccia terroristica nella regione. In Mali, le forze di Wagner sono state accusate di atrocità di massa, torture, esecuzioni sommarie e altri crimini brutali. Dal dicembre 2021, più di 2.000 civili sono stati uccisi in Mali, rispetto alle 500 persone dell’anno precedente. Nella Repubblica Centrafricana, Wagner è stato implicato in casi di sparizioni forzate, stupri e omicidi extragiudiziali.
Ma gli appaltatori privati, come si diceva, rischiano l’impunità, perché si muovono in un’area grigia del diritto internazionale non essendo né civili né legittimi combattenti in conflitto. «I diplomatici russi hanno interferito e si sono immischiati nella politica dei Paesi in cui è schierato Wagner. Nella Repubblica Centrafricana, i funzionari del governo russo hanno insistito affinché il presidente Faustin-Archange Touadéra abolisse le restrizioni costituzionali sui limiti del mandato presidenziale.
E le campagne di disinformazione e le operazioni di influenza nell’Africa sub-sahariana sostenute da Prigozhin hanno contribuito a suscitare sentimenti anti-occidentali tra le popolazioni locali, distorcendo ulteriormente dinamiche politiche già complesse. Gli agenti di Wagner hanno persino consigliato ai dittatori come condurre campagne sui social media per schiacciare i movimenti democratici» ha scritto ancora Clarke.
Da ultimo la presenza del Gruppo Wagner ha stimolato i gruppi jihadisti, che hanno sequestrato e cercato di controllare il territorio in tutta la regione. Date queste premesse, il rischio è che gli sviluppi interni alla Federazione Russa di questi giorni creino un vuoto di potere che possa consentire ad altri attori di entrare a colmare quel vuoto, cioè che la Russia si lasci alle spalle una regione ancora più instabile che potrebbe trasformarsi in un rifugio per gruppi radicali e jihadisti.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
NEL 2022 LA SPERANZA DI VITA IN ITALIA È DI 80,5 ANNI PER I MASCHI, 84,8 PER LE FEMMINE… I POCHI PISCHELLI ITALIANI NON SANNO CHE FARE DELLA LORO VITA: 1 SU 5 NON STUDIA E NON LAVORA E 1 SU 10 MOLLA LE SUPERIORI PRIMA DEL DIPLOMA
Siamo i più anziani d’Europa, secondi nel mondo solo al Giappone. Abbiamo 187 anziani ogni 100 giovani, quello che in statistica viene definito la piramide rovesciata. Ma abbiamo anche un altro record europeo: siamo il Paese con la più alta aspettativa di vita alla nascita. È la fotografia del rapporto «Noi Italia» dell’Istat.
Nel 2022, la speranza di vita alla nascita della popolazione residente italiana è di 80,5 anni per i maschi e di 84,8 per le femmine. […] Un altro dato salta agli occhi: in Italia più di uno studente su dieci tra i 15 e i 19 anni, oltre l’11%, abbandona gli studi superiori. L’altro numero, subito dopo, è che quasi un giovane su cinque tra i 18 e i 24 anni (il 19%) appartiene alla categoria dei cosiddetti neet, ovvero ragazzi che non studiano e non lavorano.
Aggiungiamo: nel 2022 la quota di adulti tra i 25 e 64 anni con al massimo la licenza media è di quasi il 40% (37,4%). E sono di più gli uomini (40,1%) che le donne (34,8%). L’investimento nell’istruzione rispetto al prodotto interno lordo è sotto la media europa: 4,1%, il nostro, contro una media del 4,9%.
Perdiamo il 42% dell’acqua. Lo 0,1% della popolazione residente (quasi 65 mila abitanti) abita in 15 Comuni in cui è, addirittura, completamente assente il servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile.
(da il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
“LIBERO” DIRETTO DA MARIO SECHI SARÀ PIÙ VICINO ALLA MELONI; “IL GIORNALE” A GUIDA SALLUSTI GUARDERÀ AI MODERATI DI FORZA ITALIA, AL TERZO POLO E ALLA LEGA TENDENZA PONTIDA… “IL TEMPO” SARA’ DEDICATO AL LAZIO DOVE ANTONIO ANGELUCCI HA IL SUO REGNO
La trama del nuovo Quarto potere della destra italiana è già scritta. Antonio Angelucci, detto Tonino. Compra e vende, crea un polo, locale e nazionale. Diversifica, per un po’ di tempo. I giornali servono a sussurrare ai poteri, se a loro volta questi servono al business.
Un perfetto esempio di editore impuro. Che oggi, con il figlio Giampaolo, ha in mano la principale concentrazione della stampa di destra: Il Tempo, storica testata romana con una sede a trenta secondi a piedi da Palazzo Chigi; Libero, foglio corsaro fondato da Vittorio Feltri; e adesso, da pochi giorni, anche Il Giornale, fondato da Indro Montanelli e di proprietà per oltre 30 anni dell’ex premier e fondatore di Forza Italia appena deceduto, Silvio Berlusconi.
Una holding mediatica che continua a credere nel potere della carta. Gli Angelucci hanno in mente di soddisfarli tutti gli elettori di centrodestra. Con una geografia precisa. Uno più trasversale e radicato nel Lazio, dove il re delle cliniche ha il suo regno, ed è Il Tempo. Un altro, Libero, con una spinta decisa verso le ragioni della premier Giorgia Meloni. Infine Il Giornale, che l’editore vorrebbe dedicato alla vasta zona di interesse che va da Forza Italia, al Terzo Polo, fino alla Lega versione nord. La borghesia lombarda è l’oggetto del desiderio. Il sogno è soffiare lettori al Corriere della Sera.
Il giro dei direttori è funzionale alla causa. Alessandro Sallusti dopo due anni lascia Libero e torna a Il Giornale, assieme a Feltri come editorialista. A Libero, salvo smentite, dovrebbe andare (anche qui un ritorno, dopo anni) Mario Sechi, già direttore del Tempo, poi dell’Agi e capo ufficio stampa di Meloni a Palazzo Chigi, finito in rotta con il clan delle fedelissime della leader. Un incesto politico-giornalistico che in altre democrazie liberali aprirebbe qualche interrogativo.
Basta mettere in fila i protagonisti: un editore, che è un deputato della Lega, chiama per dirigere uno dei suoi quotidiani il portavoce della presidente del Consiglio, che in passato è stato candidato per il partito dell’ex premier Mario Monti. E richiama per l’altro giornale un suo storico direttore, Feltri, che nel frattempo è diventato consigliere regionale per FdI.
Niente di strano in Italia, il Paese dei giornali diretti, oggi, da un senatore in carica, Matteo Renzi, leader di Italia Viva ed ex premier (il giornale è Il Riformista, e fino al 2019 anche questo era di proprietà di Angelucci).
Angelucci è parlamentare di lungo corso. Un tempo simpatizzante di An, si fa eleggere prima con Berlusconi, poi nel 2023 con Salvini. Come con i giornali, Angelucci fa con i partiti: diversifica. Sta nella Lega ma non vuole grane con la premier di FdI e mette alla guida di Libero un direttore che Salvini non gradisce. L’uomo non ama sentirsi dire no.
Dentro Forza Italia si racconta una storia. È il 2018: si stanno componendo le liste per le elezioni, Angelucci, che è deputato azzurro già da dieci anni, ha voglia di ricandidarsi, per la terza volta, ma Licia Ronzulli, al tempo ascoltatissima da Berlusconi, non ne vuole più sapere «dell’amico di Verdini». I voti sono in calo, gli spazi saranno ristretti, ci sono altre bocche da sfamare. Tonino Angelucci cerca Berlusconi, ma fatica a trovarlo, il telefono non era più nelle mani del padre-padrone del partito. Gli rispondono: «Le passiamo l’onorevole Ronzulli». E lui: «No, grazie. Non parlo con le infermiere».
Finisce che l’imprenditore riesce a parlare con Berlusconi, pare grazie a Gianni Letta, e viene eletto in Parlamento. Cinque anni dopo, cambia partito, passa alla Lega, ma resta in famiglia, nel centrodestra. Nell’improvvisa campagna elettorale dell’estate scorsa, spunta anche il figlio Giampaolo.
Meloni, in crescita da mesi, è data per vincitrice. C’è spazio per diversificare le candidature. Gli Angelucci ci provano. L’idea è infilare il rampollo nelle liste di FdI. Ma è la futura premier, a quanto pare, a frenare: «Mo’ non possiamo avere il papà eletto in un partito e il figlio in un altro».
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
LOLLOBRIGIDA, URSO, CASELLATI: I PRECEDENTI. IL PROBLEMA SARANNO I MINISTRI OPPURE I “COMUNICATORI”?
“Io sto con la Santa, come principio: non deve andare in Aula per un’inchiesta di ‘Report’. Vale per lei come per chiunque di noi”. Nei giorni scorsi Matteo Renzi ha confidato ai suoi parlamentari questa convinzione. E pare che lo abbia scritto direttamente alla ministra del Turismo.
I due sono legati da un buon rapporto – che passa da Denis Verdini – e per il M5s ci sarebbe anche “il legame pubblicitario fra Visibilia e il Riformista”. Dettagli e speculazioni che non impediranno alla capogruppo di Iv in Senato Raffaella Paita di non opporsi alla richiesta di chiarimenti in Aula (oggi c’è la capigruppo in Senato) “per farci un’idea, con l’approccio garantista che ci contraddistingue”. Il problema semmai è nel governo. E ce l’ha Meloni: “Prepariamoci a una seconda ondata di rivelazioni”, confida la premier.
A cosa si riferisca non si sa. E’ voce diffusa però in Transatlantico che la procura di Milano potrebbe chiudere le indagini sulle società della ministra tra mercoledì e giovedì.
La premier ufficialmente “si è detta tranquilla” sul caso. Chi nel suo staff l’ha incontrata ieri […] ne dà un altro racconto: era concentrata, ma tesa.
Il problema più che altro è intorno alla “Santa”: in concomitanza con la bufera mediatica ha perso la portavoce Nicoletta Santucci. Anche lei, come Mario Sechi, se n’è andata. Ufficialmente per “motivi personali” seppur dopo soli tre mesi di lavoro.
La spia però di una gestione ancora più complicata intorno alla ministra del Turismo che ieri è tornata all’attacco […] La storia dei giornalisti che se ne vanno dai ministeri inizia a essere una costante su cui riflettere: è successo a Francesco Lollobrigida con il capo ufficio stampa, ma anche a Giuseppe Valditara con il portavoce e così come ad Adolfo Urso.
Su Elisabetta Casellati è impossibile dare un’indicazione esatta. Tutti con la valigia in mano prima di Sechi e di Santucci che a quanto pare ha deciso di lasciare il ministero per una scelta di vita. Ma il risultato non cambia: c’è una ministra molto strategica per Fratelli d’Italia, a Milano, in trincea.
“Guardate questa faccia: sono in politica da 23 anni e non ho nulla da nascondere”, insiste lei, forte di un appoggio della premier che al momento, almeno pubblicamente, è inscalfibile fino a prova contraria.
Fratelli d’Italia è passato dal dire “la ministra ha già spiegato tutto non c’è bisogno che venga in Aula” come ha spiegato il capogruppo Tommaso Foti a “Daniela Santanchè è stata la prima a dare la disponibilità, se chiamata formalmente, a venire a chiarire ogni dubbio in Parlamento”, dichiarazione di ieri di Giovanni Donzelli, numero due del partito di Via della Scrofa.
I membri in quota FdI in Vigilanza Rai continuano a dire che non attaccheranno Report perché “noi non abbiamo pregiudizi, al contrario della sinistra: e certe trasmissioni fanno il lavoro, se indagano su tutti”. E però questa vicenda rischia di durare per un bel po’. Se Lega e un pezzo di Forza Italia sono rientrati nei ranghi, l’idea che Santanchè debba rispondere tutta l’estate di questa faccenda preoccupa i vertici del governo.
Soprattutto se arriveranno novità dalla chiusura delle indagini. Soprattutto perché la ministra in questa fase è senza portavoce e non c’è la fila per andare, dall’esterno, a lavorare con lei.
(da il Foglio)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
TUTTO QUELLO CHE DEVE SPIEGARE
La ministra del Turismo e senatrice di Fratelli d’Italia, Daniela Santanchè, si dice sicura di sé: a chi le chiede se abbia intenzione di prendersi la responsabilità del dissesto delle sue aziende ha risposto: “Dimettermi? Su cosa? Sia serio. Andiamo dietro a Report?”. Le rinfreschiamo la memoria sui fatti che dovrebbe chiarire al Parlamento, dove parlerà in settimana.
1. Le accuse. Santanchè risulta indagata a Milano nell’inchiesta su Visibilia scatta da novembre 2022 per falso in bilancio e bancarotta per il periodo in cui lei è stata azionista di controllo e amministratrice. Lei ripete pubblicamente di non essere indagata, ma risulta che i suoi legali non hanno mai presentato in tempo utile ai pm l’istanza per conoscere la sua posizione nelle indagini. Perché non è stato fatto?
2. I bilanci. Il Fatto ha rivelato che secondo due relazioni tecniche di un consulente dei pm di Milano che indagano su Visibilia, durante gli anni nei quali Santanchè era azionista di maggioranza, presidente e Ad la società non ha svalutato avviamenti e crediti dubbi e non ha pagato Fisco e banche, di fatto celando la crisi. Ora chiede al Fisco uno sconto di un terzo del debito di 1,9 milioni e di rateizzarlo in 10 anni. Perché chiede di pagare solo dopo la minaccia di fallimento dei Pm? Lo sconto del 33% e le rate in 10 anni sono offerti dal Fisco a tutte le imprese indebitate?
3. I debiti/1. Santanchè entra nella gestione di Ki Group nel 2017 e si dimette da presidente il 15 giugno 2020. Nel bilancio 2020 di Ki ci sono debiti commerciali per 5,6 milioni, l’anno prima erano 8,9: i fornitori sono stati pagati o “strozzati”, come lamentano a Report?
4. I debiti/2. Sempre nel bilancio, i dipendenti vantavano un Tfr accumulato per 1,2 milioni. A Report hanno detto di attenderlo ancora nonostante i licenziamenti. Tfr, contributi e stipendi sono stati saldati?
5. I fondi. Bioera, Ki Group e Visibilia hanno ricevuto finanziamenti milionari dai fondi emiratini Bracknor e Negma (a danno degli azionisti, secondo i soci di minoranza). Chi sono gli azionisti di Bracknor e Negma? Le sue società hanno pagato a Bracknor e Negma altri fondi oltre alle commissioni contrattuali?
6. I sussidi. Il senatore pd Antonio Misiani ha presentato un’interrogazione a Meloni e ai ministri Calderone (Lavoro) e Urso (Imprese) su 2,7 milioni erogati a Ki Group dal Fondo patrimonio Pmi di Invitalia come aiuti per l’emergenza Covid. È vero che Invitalia ne ha chiesto il rimborso e che Ki è “debitrice dello Stato”?
7. La Cig. In una memoria depositata l’8 giugno al giudice del lavoro di Roma, gli avvocati di Visibilia scrivono che un dipendente, ufficialmente in cassa integrazione Covid a zero ore, da marzo 2020 a novembre 2021 continuava invece a lavorare per Visibilia quando a gestirla era Santanchè: “In sia pur informale accordo con la datrice di lavoro, ha svolto limitate attività”, si legge. Visibilia ha presentato false dichiarazioni all’Inps?
8. il dirigente. Secondo gli avvocati della società, il dipendente “svolgeva anche lavoro autonomo quale assistente dei senatori Santanchè dal 2018 al 2019 e La Russa dal 2019 al 2021, che lo impegnavano tutto l’anno ed emetteva fatture mensili”. Non vede il conflitto di interessi di un suo dipendente pagato dal Senato mentre lei era senatrice?
9. La Russa. Nel 2022 quando era senatore di FdI, l’attuale presidente del Senato La Russa ha svolto ruoli legali sia per Visibilia sia per Negma. Ritiene opportuno coinvolgere come legale il senatore presso il quale lavorava il suo dipendente? E non ravvede un conflitto d’interessi nel fatto che La Russa sia stato legale di entrambe le società?
10. Mps. Nel 2011 il suo ex compagno Canio Mazzaro sottoscrisse un aumento di capitale da 9 milioni per il rilancio di Bioera, marchio dei prodotti biologici coinvolto nel crac Burani. All’epoca Santanchè era senatrice e sottosegretaria alla presidenza del Consiglio del governo Berlusconi IV. Secondo Report, insieme a Mazzaro riuscì a ottenere la società con un minimo esborso grazie a condizioni di favore concesse da Mps: Mazzaro si fece carico del debito dei Burani verso il Monte, ma per saldarlo si fece prestare i soldi dalla stessa Mps, che gli consentì di pagare il debito in 10 anni, i primi due senza esborsi. Lei e Mazzaro avete saldato i debiti con il Monte, oggi banca controllata dal ministero dell’Economia?
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
GEOGRAFIA DI UN POTERE: CONSIDERA IL PARTITO UNA PERSONALE SECURITY AZIENDALE
Come lo zio Putin, anche Marina Berlusconi, 57 anni, erede primogenita dell’impero, vive schermata da numerosi sosia. Uno dei primi l’ho conosciuto. Viaggiava con noi sul Gulfstream della flotta del Biscione, primi anni Novanta, destinazione Cannes, lei salita all’ultimo momento (e controvoglia) col babbo che voleva a tutti i costi scongelare il suo carattere scontroso, portarla nel mondo, obbligarla a parlare con gli estranei. Il Dottore era infervorato. Avrebbe presentato al Carlton Hotel il suo progetto di Televisione Commerciale Europea, contro “i monopoli statalisti e dirigisti”. Dal palco parlò un’ora filata, raccontando un sacco di fanfaluche ai suoi epigoni francesi e tedeschi su libertà di espressione e diritti alla felicità dei popoli, anche se il tema vero era eludere le leggi in vigore, fare quattrini con la pubblicità dei materassi e del doppio brodo, spacciare quiz e ballerine dall’alba a notte fonda, fino al democratico traguardo dell’imbecillità collettiva. Che un bel giorno si sarebbe trasformato nel passaggio a Nord Ovest per l’avventura politica. La sua, prima di tutto. Imitata dal venditore di scarpe Bernard Tapie in Francia, dal molestatore di bionde Donald Trump, dalla cometa alcolica di Boris Johnson.
La sosia di Marina, impersonava una ventenne, ancora adolescente e musona, che se ne restava in silenzio, nascosta dietro a un enorme frangia di capelli biondi. Più il padre la metteva in mezzo, più lei si ritraeva. Fino a quando se la scordò del tutto – nel viaggio di ritorno – e lei rimase laggiù, ultimo divano del jet, minuta e malinconica come Woodstock, l’uccellino amico di Snoopy, quello che scappa anche dai lombrichi. Faceva tenerezza.
Dieci anni più tardi, tutto un altro film. Dentro la cattedrale di Segrate, ultimo piano della Mondadori, una nuova sosia si incaricava di vestire i panni della nuovissima Marina, questa volta nel ruolo muscolare della Presidentessa, in total black, la scollatura audace, le mani in tasca, la spalla destra che spinge verso l’obiettivo, lo sguardo che dice: fatti sotto, se hai coraggio. Lo dice senza dirlo, però. Trattandosi di una sosia perfettamente muta come quella di prima, ma che vuol sembrare contundente. La accudiscono manutentori specializzati. Compreso il ghostwriter Franco Currò, che una volta l’anno scrive e riscrive una torrenziale intervista per il Corriere della Sera – di solito dedicata per un terzo alle formidabili quotazioni del titolo in Borsa, gli altri due terzi a difendere il padre da stallieri mafiosi, igieniste dentali, minorenni, magistrati invidiosi – con foto sempre selezionate da Alfonso Signorini, detto “Alfonsina la Pazza” che di solito cura il reparto psichiatrico del Grande Fratello, l’unico gnomo che ha libero accesso al suo cospetto. E al suo cattivo umore.
Labirintico fu l’apprendistato per fare di Marina quel che Marina sembra. Nasce nell’anno 1966 dal primo matrimonio del padre con Carla Dall’Oglio. Infanzia blindata nel villone di Arcore, niente scuole pubbliche per paura dei rapimenti, un fratello minore, Pier Silvio, ancora più insicuro di lei, schiacciati entrambi dall’onda gravitazionale del padre, che un giorno del 1984, annuncia di avere un’altra compagna, Veronica, una altra figlia, Barbara, appena scodellata in Svizzera, un’altra casa nella campagna di Macherio, bye bye.
Segue il divorzio, la buonuscita, il trasferimento della ex sotto le piogge di Londra e del Dorset, la nuova vita con le straordinarie avventure di una ragazza qualsiasi, commessa in un negozio, la scuola guida, i concerti di Rod Stewart, un fidanzato barman. Quando si stufa, papi le manda l’aereo. E a forza di tornare nella bambagia, Marina decide di rimanere. Con Pier Silvio parcheggiato in palestra, pretende e ottiene che mai Veronica metterà piede oltre il cancello di Arcore. Accontentata. Studia un po’ di Giurisprudenza. S’annoia. Smette. Accontentata. Entra nel vertice di Fininvest, la cassaforte, all’ombra di Fedele Confalonieri. Entra nel vertice di Mondadori, protetta dal filo spinato di Franco Tatò. Guarda, impara la mimica. I libri sono chic, le garbano. Purtroppo la timidezza le impedisce di parlare. In Mondadori la chiamano “la Muta”, pazienza.
In politica non va oltre le litanie anticomuniste del padre. Odia Carlo De Benedetti. Asseconda sempre Gianni Letta. Vigila i conti con Confalonieri. Considera il partito una personale security aziendale, tenuta al guinzaglio grazie ai 90 milioni di debiti che la famiglia garantisce. Una delle sue sosia è appena diventata amica di Giorgia Meloni.
La Marina vera bada alla sua vita privata. Quando si tratta di trovarsi l’anima gemella, sceglie un altro sosia, quello del suo primissimo amore adolescenziale, Miguel Bosè. Si chiama Maurizio Vanadia, fa il primo ballerino alla Scala. Lo incontra frequentando il suo personale chirurgo plastico che la ritocca di anno in anno. Fanno due figli, un matrimonio. Niente foto, niente gossip. Le lunghe vacanze le passa a Bermuda o nella sua enorme villa in Provenza, nel paesino di Chateauneuf-de-Grasse, dove il sindaco vorrebbe tagliarle l’acqua visto che ne consuma in una settimana quanto una famiglia in un anno.
Dopo la morte della nonna Rosa Bossi, anno 2008, e l’addio di Veronica, il babbo perde il senno, diventando pubblicamente “Papi” con coda di scandali rovinosi. Fino alla fuga dal governo, 12 novembre 2011, i conti dell’Italia in malora.
È al quel punto che Marina prende le redini di casa, mentre Berlusconi progressivamente le perde. Tutte le badanti e le fidanzate che entrano in scena, passano al vaglio della sua volontà. Passa Sabina Began, licenziata. Passa Mariarosaria Rossi, licenziata. Passa Francesca Pascale, approvata, ammirata, licenziata con buonuscita. Passa Licia Ronzulli, tollerata, ostacolata, licenziata. Passa e resta Marta Fascina, la Muta gemella. Marina la incoraggia fino alla lunare messinscena del finto matrimonio, presenti tutti al capezzale con torta nuziale alla panna, tranne Pier Silvio che si vergogna. Platealmente Marina la terrà per mano anche nel giorno del massimo dolore, sotto alle funebri navate del Duomo di Milano, come un congedo o un’investitura: vedremo.
A breve toccherà dissigillare la busta del testamento. Marina si siederà per prima e si alzerà per ultima. Nessun sosia si azzarderà a disturbarla. E forse parlerà.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
LUCA CIRIANI, MINISTRO PER I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO CERCA I MEMBRI DELLA SUA MAGGIORANZA: TUTTI ASSENTI DALL’AULA
C’è un uomo assai composto e perbene, al governo, che ha bisogno di tutta la nostra solidarietà. Egli si chiama Luca Ciriani, è ministro per i rapporti con il Parlamento, e deve evitare che la maggioranza vada sotto nei voti d’Aula.
In questi giorni, se lo vedete aggirarsi per il suo studio, curvo e assorto, non crediate che cerchi la biro: cerca i parlamentari della sua maggioranza. Perché quelli in Parlamento non ci vanno.
E infatti, per dire, quando ieri mattina alle 10, uno alla volta, i venti rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Banca d’Italia, Abi, Ispra e Iss convocati dal Parlamento si sono presentati in audizione nell’Aula della commissione Affari europei del Senato hanno spalancato gli occhi di fronte allo spettacolo che gli si parava davanti: l’Aula vuota.
Fisicamente presenti soltanto alcuni membri dell’opposizione, nel numero complessivo di tre, più un deputato di Fratelli d’Italia, tale Satta, collegato però da casa. E col tasto “muto” schiacciato sul computer. C’era? Non c’era? Dormiva? Era in bagno? Chissà. Nessuno lo ha mai sentito fiatare.
Quando nel pomeriggio, alle 15.30, in commissione entra addirittura il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin la situazione non cambia. C’è il Pd. C’è Azione. Ma al netto di una breve apparizione del senatore Marco Scurria, di Fratelli d’Italia, manca del tutto la maggioranza di governo. Assenti. Tutti.
Persino davanti al ministro, il loro ministro, che intanto roteava gli occhi come se inseguisse una mosca nella stanza mezza vuota. Sicché, quando ieri un rappresentate sindacale (uno peraltro convocato da Fratelli d’Italia) ha chiesto timidamente come mai non ci fosse nessuno, “nemmeno il senatore che mi ha chiamato qui”, ecco che altrettanto timidamente gli è stata data questa candida risposta: “E’ lunedì mattina”. In Senato d’altra parte, lo sanno tutti, il lunedì mattina è chiusa persino la buvette. Si lavora dal martedì al mercoledì. E in più è praticamente estate. Non si può mica pretendere. Anche se Giorgia Meloni, ecco, lei in teoria, per la verità, pretenderebbe che un po’ in Parlamento ci andassero i suoi. La settimana scorsa, per dire, questa svogliatezza blasé del centrodestra, questo languore estivo, quasi di lago o di lungomare, ha mandato sotto il governo in commissione Bilancio al Senato.
Claudio Lotito e un altro senatore di Forza Italia non s’erano alzati dal letto. “La sera prima erano andati a un cocktail”, ha spiegato La Russa. Destino cinico e bar. Il 27 aprile la maggioranza s’era addirittura fatta bocciare il Documento di economia e finanza perché mancavano in sette. Ora, trovate uno che vorrebbe stare nei panni di Ciriani.
(da ilfoglio.it)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
PER ESSERE BOCCIATI OCCORREVA UN 5, QUINDI VALDITARA HA FATTO UNO SPOTTONE MA NON E’ CAMBIATO NULLA
Il consiglio di classe dell’istituto “Viola Marchesini” di Rovigo, dopo una riunione straordinaria convocata dalla preside Isabella Sgarbi durata circa un’ora, ha stabilito di cambiare il voto in condotta per entrambi gli studenti coinvolti nell’episodio di ottobre 2022, quando uno dei due sparo con una pistola giocattolo pallini di gomma contro l’insegnante di scienze, mentre un compagno, pure lui quindicenne, riprendeva la scena con telefonino per poi diffonderla online.
Stando a quando apprende il Corriere da fonti qualificate, il ragazzo che aveva premuto il grilletto – descritto da tutti come uno studente modello – promosso inizialmente con il 9 in condotta, ora si ritroverà con un 7 in condotta, mentre il suo compagno, che aveva ottenuto l’8 in condotta, è stato promosso con il 6.
Evitata per entrambi la bocciatura prevista nel caso di una insufficienza nel voto in condotta. In pratica è stata fatta una media al ribasso tra il voto del primo quadrimestre (5 in condotta) e quello del secondo (8 e 9).
Eppure il regolamento parla chiaro:
5 in condotta: viene assegnato agli studenti che non hanno portato rispetto a insegnanti, compagni e personale della scuola e sono stati spesso assenti dalle lezioni senza una giustificazione plausibile; sono stati ripresi spesso per il proprio atteggiamento ed hanno ricevuto note disciplinari per violazioni gravi; hanno utilizzato in maniera irresponsabile il materiale scolastico e non hanno mai svolto i compiti assegnati.
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »