Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
UNA POLEMICA SOVRANISTA FONDATA SUL NULLA: LA CROCE SULLE VETTE DELLA MONTAGNA… PS LA CROCE E’ IDENTITARIA? E ALLORA SPOSATEVI IN CHIESA INVECE CHE “VIVERE NEL PECCATO” E ROMPERE I COGLIONI AL PROSSIMO
Come si fa a scatenare una polemica contro una cosa mai detta? Non sto parlando di una frase decontestualizzata (sui social la decontestualizzazione è materia prima di molte polemiche), né della distorsione malevola di una cosa davvero detta. Sto parlando di una cosa mai detta, eppure spacciata per detta.
I fatti. In un convegno all’Università Cattolica un vescovo, monsignor Sanchez, citando il Papa, dice che usare la croce come simbolo identitario significa banalizzarla. Dunque è meglio non erigere nuove croci sulle vette alpine. È presente il direttore editoriale del Club Alpino, Marco Albino Ferrari, che si dice d’accordo. È proprio il Cai che ha cura delle croci di vetta e si occupa della loro manutenzione perché “rappresentano un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato”. Ma è giusto non aggiungerne altre, in sintonia con l’orientamento della Chiesa.
Come sia possibile che da questo scambio di opinioni sia sortito, su un quotidiano di destra, il titolo “Il Cai è contro le croci”, è un mistero. Ma il peggio è che questo titolo, e altri simili, abbiano indotto un vicepresidente del Consiglio e un ministro a rilasciare le seguenti dichiarazioni. Salvini: “Dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina”. Santanchè: “Resto basita dalla decisione del Cai di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al ministero”.
Da ridere, ma anche da piangere. Non hanno, Salvini e Santanchè, portavoce e addetti alla comunicazione che li assistano, e li proteggano da se stessi? E più in generale, come accidenti funziona il sistema politico-mediatico italiano?
(da La Repubblica)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO SOLI TRE MESI, IL CAPO UFFICIO STAMPA SE NE VA.. IN EFFETTI A CHE SERVE UN UFFICIO STAMPA QUANDO HAI UNA PREMIER CHE HA PAURA DI PARLARE CON LA STAMPA?
La svolta di Mario Sechi diventa una giravolta. Il capo ufficio stampa della presidente del Consiglio tornerà a fare il giornalista dopo aver detto addio all’Agi appena qualche mese fa. Da metà luglio sarà al comando del quotidiano Libero. E così l’esperienza del giornalista sardo a palazzo Chigi tramonta a meno di quattro mesi dal suo arrivo.
Una notizia che nessuno ha smentito e che di sicuro farà piacere allo storico inner circle di Giorgia Meloni. Un cerchio molto chiuso formato da pochi fedelissimi: In prima fila ci sono la portavoce di sempre e ora ufficialmente coordinatrice eventi di comunicazione, Giovanna Ianniello, e Patrizia Scurti, la capo segreteria tuttofare. A completare il tris Paolo Quadrozzi, cognato di Ianniello, assunto nello staff del sottosegretario Alfredo Mantovano.
Non è un segreto che l’incarico assegnato a Sechi per 180mila euro lordi all’anno, eguagliando il compenso di Scurti e superando di 20mila euro la remunerazione di Ianniello, non sia stato gradito. Anche perché, contestualmente, era circolata l’ipotesi di un trasferimento di Ianniello alla regione Lazio, al fianco del neoeletto presidente Francesco Rocca.
Cosa che alla fine non succederà. Ad andarsene sarà Sechi, seppure con una buona via di fuga che non cancella la questione di fondo. Anzi, probabilmente l’acuisce. Inutile sperare in rivoluzioni e aperture verso l’esterno. A prevalere a palazzo Chigi è una sorta di logica tribale condita con un bel po’ di sindrome d’accerchiamento: fuori dalla “famiglia” di Meloni non ci si può fidare quasi di nessuno.
SECHI AI MARGINI
Anche per questo, forse, il bilancio di questi mesi di Sechi al fianco di Meloni non è destinato a entrare nella storia della comunicazione. Il ricordo della conferenza stampa a Cutro, forse la cosa comunicativamente peggiore che la premier ha realizzato da quando è arrivata al governo, è ancora vivo.
Meloni, dopo le polemiche legate al suo silenzio sulla tragedia che è costata la vita ad almeno 95 migranti (di cui 35 minori), sperava di confezionarsi uno spot su misura. Per questo aveva deciso di organizzare un Consiglio dei ministri a Cutro. E Sechi, ereditata la decisione, aveva provato a fare del suo meglio.
Ma tutto è rapidamente precipitato in un disastro. Luci soffuse, Meloni e i ministri che si vedevano nella penombra, trasmettendo un messaggio quasi inquietante. I contenuti? Anche peggio. La presidente del Consiglio aveva arrancato di fronte ai giornalisti che, senza seguire l’ordine prestabilito, avevano iniziato a incalzarla con le domande diretta senza parlare al microfono. Un caos totale che non era piaciuto né a Scurti né a Ianniello che ovviamente avevano imputato a Sechi la responsabilità di non aver “protetto” a dovere la premier.
Da allora l’ex direttore dell’Agi ha cercato di ricavarsi un suo spazio imponendo il proprio metodo di lavoro. Una libertà mai concessa. Con Meloni non è mai scoccata la scintilla: la premier ha sempre preferito ascoltare Scurti e Ianniello (più Quadrozzi). E Sechi è stato lentamente relegato ai margini.
Così ha tirato avanti facendo il minimo indispensabile. Meloni ha iniziato a disertare qualsiasi appuntamento ufficiale con i giornalisti e lui ha trascorso gran parte del tempo selezionando i ministri da inviare in conferenza stampa. La premier ha preferito affidarsi al rapporto diretto con il pubblico. Così sono arrivati i video fatti in casa (come quello per promuovere il decreto Lavoro), il soliloquio a Tunisi (la premier sul podio, ma senza avere di fronte dei cronisti), la pervicace convinzione di dover evitare gli appuntamenti di rito che normalmente accompagnano di Consigli dei ministri. Sechi è diventato un capo ufficio stampa, senza stampa. E di tanto in tanto ha preferito fare degli incontri di lavoro sulla terrazza dell’hotel Locarno, in centro a Roma, preferendola al suo ufficio.
SCORDIAMOCI IL PASSATO
Ora palazzo Chigi sta preparando l’exit strategy. La narrazione ufficiale è che quella di Sechi sia una scelta professionale, perciò “grazie e tanti auguri”. Dopotutto andrà a dirigere un giornale d’area. Meglio non avvelenare il clima. L’editore Antonio Angelucci è intenzionato a rafforzare il polo editoriale di destra dopo l’acquisto del Giornale. Libero è uno dei pezzi fondamentali della strategia. Ma è chiaro che il deputato-editore, eletto con la Lega, guarda con più simpatia a Matteo Salvini che a Meloni.
La vittoria di Scurti e Ianniello, comunque, non è un gran trionfo: a palazzo Chigi resta il problema della comunicazione. Già il casting per arrivare a Sechi era stato tortuoso. Le cronache e le indiscrezioni di palazzo raccontano di molti contatti (Andrea Bonini di SkyTg24, Gian Marco Chiocci poi approdato al Tg1, Franco Bechis, solo per citarne alcuni) e di altrettanti “no grazie”. Ora sarà ancora più complicato visto il trattamento ricevuto dall’ex direttore dell’Agi.
Al momento la candidatura più accreditata sambra essere quella dell’ex deputato Daniele Capezzone, oggi editorialista della Verità di Maurizio Belpietro, unico quotidiano di destra che non è nelle mani di Angelucci. Negli ambienti di governo comunque viene data alta probabilità di un rinvio della nomina a dopo l’estate
SENZA VOCE EUROPEA
Nel frattempo la premier è alla ricerca, senza fortuna anche in questo caso, di una figura che curi i rapporti con la stampa internazionale (il ruolo che Mario Draghi, all’epoca del suo governo, aveva affidato al giornalista Ferdinando Giugliano). Finora, oltre a un problema di casting, c’era anche una questione di budget, visto che gran parte della disponibilità economica era assorbita da Sechi, che aveva comunque le capacità per svolgere anche questo compito.
Il risultato di questo impasse, su cui pesa ovviamente anche il giudizio e il ruolo della “tribù” di Meloni (chi accetterebbe di parlare con le testate internazionali sapendo che ogni decisione in merito sarebbe comunque sottoposta al vaglio di Scurti e Ianniello?), è che da un lato la leader sogna e lavora per cambiare l’Europa, dall’altro risulta completamente afona. Da quando è a palazzo Chigi non ha praticamente rilasciato interviste alla stampa estera (Salvini nelle ultime settimane ha parlato sia con il Pais sia con il Figaro). I corrispondenti non hanno un vero referente e tutto è gestito dalla cerchia ristretta dei fedelissimi. O meglio, delle fedelissime.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
“NON ACCETTIAMO LEZIONI DA CHI STA SEDUTO SUL DIVANO”: LORO NOTORIAMENTE POSANO LE CHIAPPE SULLE POLTRONE DA 12.000 EURO AL MESE E MANDANO LE ONG A SBARCARE 13 DISPERATI A 4 GIORNI DI NAVIGAZIONE
“L’Italia deve smettere di mettere in pericolo la vita e la sicurezza di rifugiati, richiedenti asilo e migranti facilitando la loro intercettazione e il loro ritorno in Libia, dove subiscono diffuse e gravi violazioni dei diritti umani”.
Insomma, l’Italia deve “cambiare radicalmente le sue politiche migratorie”. Lo ha detto oggi la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, dopo una visita di cinque giorni in Italia. Non è la prima volta che Mijatovic critica le posizioni del governo Meloni: lo aveva fatto anche a febbraio, chiedendo di ritirare il decreto Ong.
“È responsabilità dell’Italia e della nostra comune Europa fermare la tragedia umana in corso nel Mediterraneo giunto il momento di intraprendere azioni collettive per porre fine alla perdita di vite umane in mare”, ha aggiunto Mijatovic. Qualsiasi cooperazione con Paesi terzi, inclusa la Tunisia, “deve essere subordinata a salvaguardie complete ed efficaci dei diritti umani. In assenza di tali tutele, queste attività portano solo a maggiori sofferenze umane”.
Il Consiglio d’Europa non è un organismo dell’Unione europea, ma un’organizzazione internazionale più ampia che raccoglie 46 Paesi, tra cui l’Italia. Mijatovic ha fatto visita tra l’altro a Lampedusa, elogiando “l’umanità straordinaria” del sindaco e dei residenti, nonostante siano stati “abbandonati dal mondo, dall’Italia e dai diversi governi”.
Ha affermato che l’Italia “non si sta impegnando come dovrebbe nelle operazioni di salvataggio e sta rendendo più difficile questo compito per le Ong”, criticando anche gli accordi con Paesi come la Libia: “Ha avuto inizio molto tempo fa, ma abbiamo visto un miglioramento? No. Abbiamo visto la guardia costiera libica fare dei progressi su come tratta i migranti? No, le persone sono ancora detenute, torturate, e muoiono”. La commissaria ha anche sottolineato che “la solidarietà tra Stati su questo fronte manca”.
La risposta del governo è arrivata, dura, dal ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto: “Suscitano incredulità e rabbia le parole del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa sull’Italia”, ha scritto il ministro in una nota- “Non accettiamo lezioni da chi seduto comodamente sul divano si permette di guardare e giudicare il nostro Paese”.
Poi si è risieduto comodamente sulla poltrona.
(da agenzie)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
“LA RUSSIA IN UCRAINA HA GIA’ PERSO”
Alberto Negri risponde poco dopo aver concluso un pasto di tutto rispetto: souté di cozze. Cotto a puntino e gustoso. Esattamente come è stato “cucinato”, nella giornata di sabato 24 giugno, Evgeniy Prigozhin. La cui ribellione è rientrata in giornata “e non si può certamente definire una vittoria. Ma, caro Andrea”, ricorda con il suo proverbiale tatto lo storico inviato di esteri del Sole 24 Ore, oggi firma de Il Manifesto, “è bene non essere precipitosi. Qui tutti sono cremlinologi come erano tutti virologi durante la pandemia”, scherza, “e anche da sabato a oggi ne abbiamo avuto conferme”. E spiega perché la Russia in Ucraina ha già perso…
Tutti parlano del futuro della Russia senza conoscere la Russia. Ci sono interpretazioni di ogni tipo: chi dice che Putin è al capolinea politico, chi parla di una possibile rotta in guerra. “Ma il novanta per cento dei cremlinologi parla senza conoscere la Russia”, dice Alberto Negri, giornalista e storico inviato di esteri, “come fanno tutti i presunti esperti di Russia dagli Anni Cinquanta, quando la cremlinologia è diventata di moda con John Foster Kennan”, teorico del contenimento anti-sovietico. Ma c’è una certezza, nota: “Quello di Prigozhin non è stato un bluff”.
Negri, come risponde a coloro che invece sono certi della teoria del finto golpe?
Rispondo ricordando che l’analisi seria parte facendosi domande. E allora verrebbe da chiedersi perché mai si dovrebbe considerare un bluff la mossa. Provando a capire nel profondo la partita in atto, possiamo certamente avallare una pista: che non è stato un bluff, ma piuttosto un regolamento di conti interno.
Prigozhin iniziava a dare fastidio a Putin?
Decisamente. In un sistema autocratico e dittatoriale come la Russia, lo ricordiamo, nessuno può fare concorrenza a Putin. Non c’è spazio per due capi, o per un capo e una figura che si presenta come il suo naturale alter ego. Prigozhin ha fatto di tutto per presentarsi come tale, addirittura non nascondendo le voci su sue possibili ambizioni presidenziali.
Il “Frankenstein” di Putin, questo Prighozin. Lui e la sua Wagner a lungo sono stati funzionali ai suoi disegni…
Certamente. La questione del regolamento di conti si percepisce in particolare pensando a quanto in passato la Wagner e i suoi mercenari siano stati strategici per Putin. A partire dalla sua comparsa nel 2014-2015 il gruppo Wagner ha gestito operazioni militari speciali in diversi Paesi senza che in contesti problematici, soprattutto africani, la Russia fosse costretta mandare truppe. Le lezioni afghane e cecene e lo shock costituito per Mosca dall’arrivo costante in patria delle bare dei caduti hanno chiamato l’impiego dei mercenari. Nel 2015 questo me lo aveva spiegato un funzionario del Cremlino: i mercenari, inviati in questi teatri e in scenari come la Siria, risparmiavano queste triste processioni.
Insomma, anche sulla tenuta di Bashar al-Assad la Wagner ha influito?
Ha influito come parte di un impegno russo che assieme a quello dell’Iran che vediamo oggi consolidato: Assad dal 2015 in avanti ha di fatto vinto la guerra civile e oggi è stato riammesso nella comunità internazionale dei Paesi arabi. Ha partecipato al summit della Lega Araba in Arabia Saudita, Stato che a sua volta si è riavvicinato all’Iran. È stato un asset decisivo in una corsa alla proiezione estera russa che ha conosciuto il suo insuccesso più clamoroso nel cortile di casa in Ucraina. Ed è proprio dallo scacco russo in Ucraina che nasce la resa dei conti con Prigozhin.
Come è maturato questo dualismo?
Partiamo dal definire una questione: la Russia in Ucraina ha già subito una sconfitta di fatto. I suoi soldati non sono arrivati a Kiev e questo è indubbiamente sinonimo di una sconfitta. Nelle autocrazie, dopo le sconfitte sono i generali, anche se ben performanti in guerra, a pagare il prezzo. Saddam, che fece uccidere i suoi cognati, e Gheddafi, che mandò in esilio Haftar, lo testimoniano. Prigozhin, per quanto abbia saputo conquistare Bakhmut, è partecipe di una campagna messa in scacco da una sconfitta. E quando un generale, anche se bravo, imputa ai vertici i problemi della guerra è naturale che venga fatto fuori. Specie se la sua parabola è compromessa dall’essere parte di un sistema non solo militare ma anche politico ed economico che lo porta a conoscere i segreti di molti potenti.
Dove ha sbagliato Prigozhin?
La Wagner era stata creata per risolvere il problema delle bare dei soldati dell’esercito regolare che tornando in patria scioccavano l’opinione pubblica. Prigozhin è stato funzionale a questo disegno e in questa fase, a mio avviso, durante la sua lunga polemica coi vertici militari si doveva limitare alle parole: quando lo ha fatto nessuno lo ha mai colpito. Quando ha tentato il pronunciamiento per difendere la sua autonomia, tutto è crollato. Qui c’è tutta la cifra dell’uomo: la visione di una figura che ritiene che l’atto di forza possa risolvere una questione politica. Ma non è sempre così.
Ci sono casi paragonabili nella storia recente?
Il caso più simile a Prigozhin è quello di Arkan, il capo delle milizie serbe che si distinsero per violenza nella guerra dei Balcani degli Anni Novanta e in Kosovo. Arkan, come Prigozhin per Putin, era a lungo stato il braccio armato di Milosevic in Kosovo. Nel gennaio 2000 fu ucciso da un ex poliziotto sul divano dell’Intercontinental di Belgrado, poco dopo la sconfitta militare della Serbia contro la Nato. Arkan conosceva gli arcani del potere jugoslavo, essendo inoltre figlio di un generale di Tito. Prigozhin è più o meno nella stessa posizione. Questo chiaramente non vuol dire che è scontato che sarà fatto eliminare. Ma sicuramente la sua rotta lo portava in conflitto, viste le sue esternazioni, col potere costituito.
Putin aveva offerto alla Wagner l’opportunità di entrare sotto il controllo politico…
Nel momento in cui il generale alza la testa, ecco che diventa un problema. E per Prigozhin “alzare la testa” ha significato rifiutare la subordinazione alla Difesa a partire dall’1 luglio prevista dalla legge. Quando altre milizie hanno firmato l’accordo, non si è sottomesso e ha avviato l’ammutinamento. In tutto questo c’è la scenografia russo-slava: è arrivato a Rostov, ha parlato con il viceministro della Difesa e il vicecapo di Stato Maggiore dando l’impressione di una trattativa. Alla fine però la sua ribellione non ha avuto successo. E ora l’interrogativo sul suo futuro è apertissimo.
Come risolverà Putin la grana Wagner?
Serve un nuovo capo della Wagner a nuove condizioni economiche e politiche. La risoluzione sarà il documento di subordinazione al Ministero della Difesa in cambio di tutti i benefit: assicurazione, pensioni, premi che saranno accordati ai mercenari, a cui aggiungere la libertà e l’amnistia per gli ex galeotti arruolati da Prigozhin nelle sue milizie.
Oggi c’è un interrogativo aperto da tenere in considerazione alla luce della rivolta: che cosa succederà sul fronte ucraino dopo i fatti di sabato?
Quando una tensione interna diventa particolarmente forte e insopportabile, a quel punto il capo la esporta fuori. Non c’è da aspettarsi un cedimento russo come molti pronosticano, anzi. La guerra non è destinata a esaurirsi in tempi brevi.
E dentro la Russia?
Sul fronte interno, sentendosi minacciato, Putin potrebbe stringere le maglie del controllo politico. Occorre non cadere nel determinismo. Ci vorrà del tempo per capire se queste interpretazioni sono adeguate. Occorre osservare attentamente, nella consapevolezza che la prospettiva non sarà estremamente lunga: abbiamo di fronte a noi la scadenza delle presidenziali del 2024. Un’interpretazione è che esista una sacca di malcontento anti-Putin che può sfociare in un’elezione più contendibile. Staremo a vedere. Ma molto dipenderà dall’esito del conflitto e dalla prospettiva per la Russia che ha già perso il suo principale obiettivo.
La mancata conquista di Kiev, madre di tutto il caos ucraino…
Il 25 febbraio 2022, il giorno dopo l’invasione dell’Ucraina, ero a cena con un uomo del Cremlino e gli chiesi se Putin volesse arrivare a Kiev. Mi rispose che era un boccone troppo grosso: era chiaramente un uomo informato. E i fatti gli hanno dato ragione…
(da mowmag.com)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
L’ITER PROPOSTO È LO STESSO: CONTRATTO DI UN MINIMO DI SEI MESI, BIGLIETTO PAGATO PER MOLKINO, IL QUARTIER GENERALE DELLA WAGNER E POI AL FRONTE IN UCRAINA. STIPENDIO MENSILE IN CONTANTI DI 240,000 RUBLI (2600 EURO), PIÙ I PREMI
Il Wagner Center ha già riaperto i battenti, nonostante il suo proprietario, Evgeny Prigozhin, risulti sotto accusa per aver sollevato una rivolta armata solo due giorni prima. Nelle prime ore del golpe tentato da Prigozhin contro i vertici militari della Russia, agenti di polizia hanno perquisito la sede della Wagner di San Pietroburgo, oltre agli altri uffici del miliardario e alla sua residenza.
Oggi però sembra un giorno lavorativo come un altro nel Wagner Center che, oltre alla sede della compagnia di mercenari, ospita anche altre aziende. Alla fine della giornata […] tutto come prima. […] Restano tuttora inaccessibili i siti di notizie controllati dall’imprenditore, oscurati dalle autorità durante il golpe. […] Sono rimasti attivi invece i canali Telegram vicini a Prigozhin, come quello dell’organizzazione ultranazionalista Kiberfront-Z, che continua a pubblicare la consueta propaganda antioccidentale alternata a post in sostegno di Prigozhin e della Wagner.
Continuano la loro attività anche i centri di reclutamento della Wagner nell’oblast di Leningrado e in altre regioni della Russia, come riportano i media russi. Attivi anche i punti di arruolamento nei centri sportivi di San Pietroburgo, dove i recruiter sono pronti a rispondere alle domande dei potenziali candidati. L’iter proposto è sempre lo stesso: contratto di un minimo di sei mesi, biglietto pagato per Molkino, il quartier generale della Wagner nel sud della Russia. Lì, alcune settimane di prova e poi il lavoro vero e proprio al fronte in Ucraina. Stipendio mensile in contanti di 240,000 rubli (2600 euro), più i premi.
Il Wagner Center ha pubblicato un annuncio in cui sottolinea che ha lavorato “per il futuro della Russia”, realizzando più di cinquecento progetti, tra i quali lo sviluppo di droni, e la preparazione di “guerrieri dell’informazione”. “Nonostante gli ultimi avvenimenti”, si legge nell’annuncio, “Il centro continua a funzionare regolarmente in conformità alle leggi della Federazione Russa”.
(da La Stampa)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL GRUPPO POTRÀ ANCORA LAVORARE IN UCRAINA SOTTO LA PROTEZIONE DI LUKASHENKO
Il gruppo di mercenari russo Wagner in teoria doveva essere sciolto per legge fra quattro giorni e passare sotto il controllo del ministro – e arcinemico – Sergej Shojgu. Invece dopo la rivolta armata di poche ore contro Mosca, dopo il gran “tradimento” come l’ha chiamato di nuovo Putin ieri sera, la situazione dal punto di vista di Prigozhin è ben diversa: la Wagner trasferirà le attività e le caserme dalla Russia alla Bielorussia, il capo si gode un’immunità speciale e mantiene i suoi affari in Africa e nel resto del mondo.
La base centrale del gruppo a Molkino, vicino alla città di Krasnodar nella Russia meridionale, è ancora aperta e accetta reclute come se l’ammutinamento di tre giorni fa non fosse mai avvenuto: basta presentare un documento valido. Gli uomini di Evgenij Prigozhin non hanno deposto le armi e non hanno ancora consegnato i mezzi pesanti e i sistemi missilistici per far saltare carri, elicotteri e aerei che hanno usato senza esitazioni nella marcia verso la capitale. Non hanno per ora accettato di farsi assorbire nelle Forze armate, come avrebbe voluto Shojgu
Nasce un nuovo patto, con differenze significative. Non sarà soltanto Prigozhin a trasferirsi sotto la protezione del dittatore bielorusso Lukashenko, sarà tutta la Wagner. Secondo media locali, sono già in corso i preparativi per allestire le caserme che ospiteranno migliaia di uomini del gruppo.
Un altro punto del patto che prova la fretta del Cremlino: come si è visto Prigozhin non è tenuto al silenzio, può parlare e di sicuro lo farà ancora, per l’entusiasmo di alcuni russi e con effetti pesanti sull’equilibrio politico a Mosca.
Il nocciolo del patto reale riguarda le attività della Wagner all’estero, soprattutto in Africa, che sono state garantite e le consentiranno di incassare e di mantenersi in attività. Fonti del regime bielorusso sostengono che il gruppo potrà ancora lavorare in Africa e anche in Ucraina sotto la protezione di Lukashenko. Anche Prigozhin fa un accenno a questa clausola nel suo messaggio audio, quando dice che la Wagner lavorerà “nel quadro legale” della Bielorussia. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ieri con una dichiarazione ambigua ha detto che non cambia nulla nei rapporti con i Paesi africani che fanno conto sul lavoro della Wagner.
(da La Repubblica)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
EDWARD LUTTWAK DIFENDE IL CAPO DELLA WAGNER: “SHOIGU E’ IGNORANTE E INCOMPETENTE E FA ERRORI ENORMI. GERASIMOV, ANCHE PEGGIO… IL POTERE DI PUTIN È BASATO SUL FATTO CHE NON C’È UN’ALTERNATIVA A LUI. L’UNICA POSSIBILITÀ CHE CADA È UNA CONGIURA DENTRO IL CREMLINO, DIVENTATA PIÙ FACILE ORA – LA GUERRA IN UCRAINA COME FINIRÀ? CON I REFERENDUM IN LUGANSK E DONETSK. SPERANDO CHE QUALCUNO NON SI RICORDI DELLA CRIMEA”
«Che cosa è successo? Basta riascoltare quello che Prigozhin ha detto per mesi. Voleva che Putin sostituisse il ministro della Difesa, Shoigu, e il suo capo di Stato maggiore, Gerasimov, che di guerra non ci capiscono niente, con generali in grado di vincere».
Edward Luttwak, politologo ed esperto di strategia americano-romeno, racconta il caos russo come se non avesse misteri.
Perché prendere di mira Shoigu?
«Quel totale incompetente di Shoigu, sosteneva Prigozhin, non ha neanche fatto il servizio militare ma è diventato generale a due, tre, quattro, cinque stelle e ministro, mentre non sa comandare un plotone di 30 uomini. È un ignorante e continua a fare errori enormi. E Gerasimov? Anche peggio. A lui si deve il fallimento della prima notte, pensava di combattere la guerra del futuro, cyber, post-cinetica, ibrida, di quarta generazione»
Post-cinetica?
«Sì, quella per cui ti illudi di sfondare qualcuno senza menarlo. Peccato che all’aeroporto da cui dovevano lanciarsi su Kiev, i russi hanno trovato alcuni riservisti ucraini armati di fucile che li hanno uccisi. Là è fallita la guerra iper-moderna. La guerra vera è fatta ancora di fanteria, artiglieria e corazzati».
E quindi?
«Quindi mi fa ridere che l’intelligence americana dica adesso che sapeva che Prigozhin stava preparando il golpe. Lo ha detto pubblicamente per settimane, non c’era bisogno di spiarlo…Prigozhin ha solo chiesto a Putin di sostituire gli incapaci. Quando metti i fedelissimi e non i competenti a comandare cosa puoi aspettarti? Prigozhin ha fatto un’azione sindacale, tipo cortei dei postini o dei ferrovieri, non come la marcia di Mussolini su Roma. Alla presa di Rostov sul Don abbiamo visto gente che passeggiava tra i carri armati mangiando gelato. Ma il colpo di Stato si fa di notte e di nascosto, non si annuncia per mesi e mesi»
Adesso che fine faranno Putin e Prigozhin?
«Prigozhin non può essere condannato. E’ il capo di un’azienda che si chiama Wagner. È stato efficace in Libia e in Mali. Ha perfino scalzato i francesi. Lukashenko non conta, è malato, non è stato neppure lui a fare la mediazione ma qualcuno per lui. Se Putin non caccia Shoigu e Gerasimov, questa guerra continuerà a essere una distruzione lenta di tutta la forza che rimane alla Russia».
Putin cadrà?
«La chiave della sua solidità politica sta nell’essere fedelissimo ai suoi compagni di strada, i suoi amici, gli impiegati da quattro soldi della sua Leningrado. Putin è uno che non licenzia. Io lo conosco dagli anni ’90, con lui parlo tedesco, lo parla benissimo. Andavamo a Leningrado in un paio di ristoranti in cui si pagava solo in valuta straniera mentre lui aveva solo rubli, così pagavo sempre io.
Il suo potere è basato sul fatto che non c’è un’alternativa a lui, il sistema non lo prevede… L’unica possibilità che cada è una congiura dentro il palazzo, interna al Cremlino, diventata più facile ora che ha perso molto del suo carisma. Ma ci vogliono persone determinate per farlo. Allora lui e Shoigu, che amano la natura, finirebbero nella Repubblica di Tuva, che è più vicina a Pechino che a Mosca, ad allevare cavalli».
E la guerra in Ucraina come finirà?
«Lo sanno tutti. Con i referendum in Lugansk e Donetsk. Sperando che qualcuno non si ricordi della Crimea. Sebastopoli è la città più russa che ci sia. Però con questa guerra gli ucraini sono diventati una nazione L’Ucraina, alla fine della guerra, sarà piena di culle».
(da il Messaggero)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL FONDO CON SEDE A DUBAI E’ INTERVENUTO SU VISIBILIA, KI GROUP E BIOERA, REALIZZANDO PLUSVALENZE IMPORTANTI… NON SI CONOSCONO GLI INVESTITORI, MA SI SA CHE PER UNA DIFFIDA A UN GIORNALE SI RIVOLSERO ALL’AVVOCATO LA RUSSA
Nella vicenda Santanchè tra bilanci non in regola, dipendenti e fornitori non pagati e piccoli risparmiatori che hanno perso i loro investimenti, adesso la procura di Milano ha acceso i riflettori anche sulle operazioni della galassia Visibilia con Negma: il fondo di investimenti con sede a Dubai che ha “prestato” milioni di euro a tutte le tre società in difficoltà della ministra del Turismo, oltre Visibilia anche Ki group e Bioera, facendo però plusvalenze importanti. Un fondo che, secondo uno studio di una società di consulenza finanziaria, ha operato con un meccanismo obbligazionario che ha contribuito ad abbassare il valore delle azioni. Lo studio adesso è sul tavolo della Guardia di finanza, che nel fascicolo Visibilia ha aperto una “cartella” Negma per capire se vi siano o meno gli estremi per contestare il reato di aggiotaggio e manipolazione del mercato.
Nel 2017, in crisi di liquidità, Visibilia si rivolge al fondo Bracknor Capital Ltd guidato da Aboudi Gassam e firma un prestito obbligazionario convertibile con azioni scontate. Questo prestito nel 2019 passa al fondo Negma, altra avventura finanziaria con sede a Dubai che vede tra i rappresentati sempre Gassam questa volta con altri soci italiani e francesi. Il meccanismo di questi prestiti prevede dei finanziamenti per tranche. La prima tranche è di 500 mila euro: dopo pochi giorni dal prestito il fondo Negma chiede subito in cambio le azioni, come da contratto, che riceve a un prezzo “scontato” rispetto al valore di mercato in quel momento. Le immette subito sul mercato e incassa non solo i 500 mila euro prestati ma in media registra una plusvalenza di oltre il 10 per cento. Fatta questa operazione diverse volte, e sempre sfruttando i rialzi del titolo, alla fine ottiene una plusvalenza per 600 mila euro più una commissione da 160 mila.
Intanto però per far fronte alla richiesta di azioni di Negma la stessa Visibilia ne emette di nuove. Ma chi compra queste azioni? Secondo una denuncia presentata dai piccoli azionisti in alcuni casi la stessa Daniela Santanchè con altre società della galassia Visibilia per mantenere comunque il controllo della società. Di certo c’è che “nel tempo il titolo Visibilia editore spa ha avuto una costante perdita di valore, basti pensare che nell’ultimo anno la perdita è stata dell’89,6 per cento, negli ultimi tre anni la perdita è stata del 99,5 per cento e negli ultimi cinque anni la perdita è stata del 99,9 per cento”, si legge in una informativa della Guardia di finanza. Lo stesso meccanismo si è replicato nelle altre due società di Santanché, Ki group e Bioera sempre con il fondo Negma: nel primo caso le azioni sono poi crollate come valore del 93,4 per cento (mentre il fondo ha registrato una plusvalenza potenziale intorno al 30 per cento).
Resta il mistero su chi siano gli investitori di questo fondo che, nella migliore delle ipotesi, è arrivato puntuale come un orologio a salvare dal fallimento le società della Santanchè consentendo di migliorare la situazione contabile: situazione che, secondo una perizia chiesta dalla procura di Milano, in Visibilia era molto diversa da come appariva tra crediti inesigibili, perdite di capitale non registrate e “plusvalenze fittizie”. In generale lo studio della società Ambromobiliare sconsiglia comunque ai propri clienti, in gran parte piccole imprese, prestiti obbligazionari di questo tipo perché nei casi controllati ci sono state sempre variazioni in ribasso del valore del titolo.
Nel caso di Negma, la società Visibilia non si è nemmeno tutelata con una clausola di “lock up”: cioè di mantenimento delle azioni per un certo periodo in caso di conversione. Insomma, un fondo che non salva, di cui non si conoscono gli investitori ma che quando ha dovuto presentare una diffida al giornale Milanotoday l’ha fatta firmare all’avvocato Ignazio Benito La Russa, oggi presidente del Senato e autorevole componente di Fratelli d’Italia, il partito della ministra Daniela Santanchè. E c’è un’altra curiosità in questa storia di Visibilia. Prima di essere nominata ministra Santanchè cede diverse azioni in Visibilia a favore di Luca Ruffino. Quest’ultimo è ex segretario dell’Udc a Milano assolto in un processo nel 2017 per presunti appalti pilotati nelle case popolari dell’Aler insieme a Marco Osnato, anche lui assolto, oggi deputato di Fratelli d’Italia e allora genero di Romano La Russa, il fratello del presidente del Senato
Il caso Santanché dovrebbe a breve sbarcare in Parlamento: fari puntati proprio al Senato dove la conferenza dei capigruppo potrebbe calendarizzare un’informativa sulla vicenda alla presenza della ministra. A chiederlo formalmente è il Partito democratico, che però vorrebbe la risposta puntuale a interrogazioni e quindi un question time. I 5 stelle presenteranno una richiesta analoga alla Camera.
(da La Repubblica)
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Giugno 27th, 2023 Riccardo Fucile
DALLA CULTURA ALLA SALUTE, LA FOTOGRAFIA ISTAT DEL PAESE
Noi Italia 2023. È il titolo dell’ultimo lavoro dell’Istat pubblicato online oggi, 26 giugno. Un lavoro che non nasconde l’ambizione di fotografare, nella maniera più ampia possibile, gli aspetti «ambientali, economici e sociali» del Paese.
La ricerca ha scandagliato sei macroaree: «Popolazione e società, istruzione e lavoro, salute e welfare, industria e servizi, ambiente e agricoltura ed economia e finanza pubblica».
Dal capitolo dedicato alla cultura sono emersi, purtroppo, alcuni dati allarmanti. Ad esempio, spicca la scarsa attitudine alla lettura degli italiani: considerando l’intera popolazione con più di sei anni, il 60,7% di essa non ha letto un libro nel 2022 che non fosse scolastico o relativo al proprio lavoro. Ancora, il 17,5% non ha letto più di tre libri all’anno, il 15,4% tra i tre e gli 11 e solo il 6,4% ha letto una media di almeno un libro al mese. È indicativa la percentuale di spesa delle famiglie italiane destinata a ricreazione e cultura, misurata nel 2021: il 6,3%, a fronte di una media europea dell’8%.
Al contempo, però, nel 2022 «si è assistito a una generale ripresa della fruizione delle attività culturali che si svolgono fuori casa». Sono aumentate la visione di spettacoli cinematografici, le visite a musei e mostre, quelle a siti archeologici e monumenti e la partecipazione agli spettacoli sportivi, ha rilevato l’Istat. «Tuttavia, i livelli di fruizione sono ancora inferiori a quelli pre-pandemici».
L’analisi dell’Istituto nazionale di statistica è davvero ampia e si muove nei campi più disparati, dall’istruzione alla salute, dall’industria all’agricoltura. A proposito di scuola, ad esempio, sorprende quanto ancora sia alto il tasso di abbandono scolastico. Considerando la fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni, un giovane su dieci ha abbandonato precocemente gli studi superiori. L’Italia, inoltre, spende per l’istruzione il 4,1%, sotto la media europea del 4,9%. D’altronde, l’Italia si sta connotando sempre di più come un Paese di anziani. L’indagine ha individuato tre fenomeni che stanno incidendo particolarmente sulla trasformazione demografica del Paese: «La diminuzione della fecondità, l’innalzamento della vita media e il tendenziale invecchiamento della popolazione». Se la dinamica migratoria fa registrare segnali positivi, continua ad aumentare l’indice di vecchiaia, raggiungendo quota 187,6 anziani ogni cento giovani. Indice che fa dell’Italia uno dei Paesi più “vecchi” dell’Unione europea. L’età media al momento del parto è salita a 32,4 anni ed è fra le più alte in Europa. Ancora, la speranza di vita alla nascita, nel 2022, si è attestata a 80,5 anni per gli uomini e a 84,8 per le donne. Cercando un aspetto positivo nella sezione relativa all’ambiente, infine, si può osservare il trend in miglioramento della raccolta differenziata: rappresenta il 64,0% dei rifiuti urbani prodotti. Manca un punto percentuale al raggiungimento dell’obiettivo fissato al 65,0%. Target che, però, si sarebbe dovuto conseguire entro il 2012.
(da agenzie)
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