Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
LO SCOPO E’ SPEZZARE IN DUE LO SCHIERAMENTO RUSSO E TAGLIARE I RIFORNIMENTI
Unico obiettivo è “il corridoio a Sud dell’Ucraina. E alla fine, tutto si giocherà sulla capacità dei russi di resistere al fuoco e sulla efficacia della loro catena di comando”. Perché in questa guerra “hanno finora dimostrato un deficit in entrambi i fattori”. Ma Mosca “ha raddoppiato le sue truppe e costruito un sistema difensivo a scaglioni che potrebbe essere efficace”.
A parlare a Fanpage.it in videoconferenza da Tel Aviv è David Gendelman è un esperto militare russo-israeliano. “Per gli ucraini, conta soprattutto il numero dei mezzi, non la loro tecnologia. Ogni arma vale non di per sé ma per come viene utilizzata, e in quale contesto”, ha spiegato.
Allora, è davvero iniziata la tanto attesa controffensiva?
“È nelle sue fasi iniziali. Le attività si sono moltiplicate in vari settori del fronte. Ma le battaglie più importanti devono ancora arrivare. Nei prossimi giorni o nelle prossime settimane”.
Gli attacchi ucraini si concentrano nella zona di Zaporizhzha. Qual’è il suo valore strategico?
“Basta guardare la geografia. Se gli ucraini riuscissero ad arrivare al corridoio terrestre invaso dai russi nel sud del Paese raggiungerebbero davvero un obiettivo strategico importante, dividendo in due lo schieramento nemico, tagliando fuori la parte meridionale della regione di Kherson e spezzando le linee di rifornimento che uniscono la Russia alla penisola della Crimea. Per questo attaccano l’oblast di Zaporizhzia”.
E Bakhmut? Anche lì gli ucraini sono all’offensiva. C’è certamente un motivo psicologico: sottrarre ai russi la città appena conquistata potrebbe assestare un brutto colpo al morale delle truppe di Putin. Ma è solo questo?
“A Bakhmut si tratta di tenere impegnate le riserve russe, in modo che non possano esser dislocate in settori più strategici. E una seconda ragione dell’offensiva in quella zona è che può essere un buon punto di partenza per indirizzare poi l’offensiva verso Mariupol e verso il sud. Il sud è la chiave. Ma non è detto lo si debba ingaggiare da una sola direzione. Anzi, può essere utile una doppia manovra”.§
La colossale alluvione provocata dal crollo della diga di Kakhovka sul fiume Dnepr aiuta le difese russe?
“Certamente renderà impossibile per un certo periodo di tempo l’attraversamento del fiume, quindi ostacola un’eventuale azione ucraina. Ma non è mica detto che i comandi di Kyiv intendessero far passare il fiume in quella zona dai loro soldati. Forse puntavano solo a creare qualche testa di ponte dall’atra parte, per tenere impegnate le riserve russe. Comunque, è chiaro che gli allagamenti aiutano Mosca: il fianco sinistro delle forze armate russe lungo il Dnepr è stato messo in sicurezza. Per ora gli ucraini non potranno passare in forze il fiume. E perciò diventa ancora più importante il fronte di Zaporizhzhia, che se sfondato permetterebbe alle forze di eludere il delta del Dnepr e di attaccare immediatamente il cruciale corridoio sud”.
I russi hanno avuto un sacco di tempo per preparare le loro difese. Che tipo di difese hanno messo a punto? Cosa attende le avanguardie nemiche che cercano di avanzare?
“Le attende quella che in gergo si chiama “echeloned defense”, ovvero difesa a scaglioni. Le forze armate di Mosca hanno avuto sei mesi per costruirla con cura. Soprattutto sul fronte sud, dove il terreno non presenta ostacoli naturali importanti. È un sistema difensivo del tipo, in fondo, di quelli francese e tedesco sul fronte occidentale della Seconda guerra mondiale. Trincee, campi minati e ostacoli anticarro e artiglieria. In teoria una “echeloned defense” può essere travolta da un’offensiva ben congegnata. Ma quel che è sui manuali di tattica e strategia delle scuole militari non sempre vale sul campo di battaglia”.
Le forze ucraine possono contare su un sacco di nuovi mezzi. Ua novantina di mezzi blindati Striker, 100 carri leggeri Bradley, e poi i carri armati tedeschi Leopard appena arrivati. Danno loro davvero un vantaggio?
“Quello che importa è come vengono usati. Le caratteristiche tecniche non sempre sono fondamentali. Certo sarà un test importante, per questi armamenti”.
Ma comparati con i mezzi russi, sono migliori?
“Non è questo il punto. Noi esperti militari non facciamo questo tipo di comparazioni. L’efficacia di un’arma dipende sempre dal suo utilizzo in un certo momento, su un certo terreno, in una determinata situazione. Tanto per chiarire: non è che gli ucraini puntassero ad avere armi modernissime o migliori di quelle dei russi. Hanno semplicemente chiesto all’Occidente di fornir loro più armi possibile. Perché ne avevano poche. Nei depositi dei tempi sovietici non era rimasto granché. Il problema per Kyiv erano i numeri. La qualità tecnologica degli armamenti è per loro secondaria rispetto alla quantità: necessitavano di più carri armati, più mezzi corazzati, più artiglieria. Vedremo se ora ne hanno a sufficienza. Il campo di battaglia è l’unico test affidabile, in questa materia”.
Quanto tempo durerà questa controffensiva? Si cerca un blitz o ci son oda aspettarsi mesi di combattimenti?
“Secondo la mia esperienza, operazioni su questa scala si sviluppano e arrivano al loro esito nel tempo di settimane, più che di mesi. Dopo poche decine di giorni, le riserve normalmente sono esaurite e le truppe non possono continuare l’offensiva. Devono fermarsi”.
E quali sono allora gli obiettivi della controffensiva? Mica penseranno di riprendersi tutti i territori occupati, come hanno spesso proclamato i vertici politici a Kyiv. Poche settimane certo non basterebbero…
“Un’operazione come quella che è stata avviata adesso deve per forza avere obiettivi limitati. Per recuperare tutti i suoi territori l’Ucraina dovrà lanciare una serie di controffensive simili. Una dopo l’altra. Se riuscirà, quest’azione raggiungerà un solo importante obiettivo strategico: l’interruzione “del corridoio sud” e delle linee di rifornimento russe. Ogni riconquista ad Est, nel Donbass, sarebbe un extra. Ma certo non si tratta di un’offensiva totale che mira a chiudere definitivamente la partita sul terreno.
Ma come son messe le forze armate russe? Le reazioni, anche politiche, alle incursioni sul territorio patrio son sembrate lente, quasi apatiche. E ora — se davvero son stati loro — fan saltare una diga. Come i tedeschi in Normandia prima del D-Day. Non è che sono un po’ all’ultima spiaggia?
“La distruzione delle dighe sul Dnepr non è un atto di disperazione. Lo fecero i sovietici nel 1941 per frenare l’avanzata tedesca e lo ripeterono i nazisti due anni dopo per motivi opposti. È una costante degli eventi bellici nel bacino del Dnepr. Al contrario, i russi rispetto all’ultima controffensiva ucraina della fine della scorsa estate hanno raddoppiato i loro effettivi, portandoli a 400mila soldati”.
Ma i russi saranno in grado di combattere con convinzione ed efficacia? In passato non hanno avuto comportamenti molto soddisfacenti, in questo senso. A parte le dovute eccezioni.
“Tutto si gioca su due fattori. Primo, la capacità di resistenza delle truppe di Mosca sotto il fuoco nemico; secondo, la stabilità della loro catena di controllo e di comando. Entrambi i fattori durante questa guerra sono spesso venuti meno. Sono costati ai russi Karkhiv. Vedremo nei prossimi giorni se la situazione è per loro migliorata”.
(da Fanpage)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
IN DISCESA ANCHE M5S E LEGA, PERDE AZIONE
In testa c’è sempre Fratelli d’Italia, che però registra un nuovo calo, secondo c’è sempre il Pd, che prova a rosicchiare qualche punto. Gli equilibri nei sondaggi politici sono sempre gli stessi: la luna di miele della presidente del Consiglio con il Paese prosegue, anche se Meloni e i suoi perdono qualche punto secondo la rilevazione di Euromedia Research. Dietro ai primi due partiti resiste il Movimento 5 Stelle, che però non riesce a recuperare il terreno perso con gli ex alleati dem. La Lega non vede vicina la possibilità di tornare in doppia cifra e Forza Italia resta cristallizzata davanti all’ormai ex Terzo Polo. Vediamo le percentuali nel dettaglio.
Meloni cala e Schlein ne approfitta, male il Movimento 5 Stelle
Il sondaggio di Euromedia Research conferma Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni ampiamente in testa: la presidente del Consiglio e i suoi, però, perdono lo 0,4% e passano al 29,2%. Si fa strada, intanto, il Partito Democratico di Elly Schlein, che a sua volta guadagna lo 0,4% e sale al 21,2%.
In questo momento, secondo la rilevazione, ci sono otto punti di distanza tra i primi due partiti. Terzo, ma staccato, resta il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che perde lo 0,1% e non riesce a invertire la rotta, scivolando al 16,4%
Cala la Lega con Forza Italia stabile, Italia Viva si avvicina ad Azione
La Lega di Matteo Salvini perde lo 0,2% e ripassa al 9,0%: per il Carroccio, ormai, la doppia cifra nei sondaggi politici sembra una chimera.
Stabile Forza Italia di Silvio Berlusconi, che resta immobile al 6,5%. Dietro agli azzurri, cala Azione di Carlo Calenda, con un meno 0,2% che lo porta al 4,3%. E attenzione all’ex alleato Matteo Renzi: Italia Viva segna un più 0,1% e sale al 3,8%.
Chiudono le intenzioni di voto l’alleanza Verdi e Sinistra stabile al 2,5%, Per l’Italia con Paragone al 2,4% (più 0,1%), +Europa all’1,9% (più 0,1%) e Noi Moderati allo 0,7% (più 0,1%).
(da Fanpage)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
LE PARTITE DI SERIE A TRASMESSE ALL’ESTERO AVRANNO IL RIDICOLO LOGO SOVRANISTA “SERIE A- MADE IN ITALY”, ROBA DA PSICHIATRIA
Ha suscitato molto clamore un’intervista, rilasciata dall’amministratore delegato della Lega Serie A Luigi De Siervo, ad AS. Parlando con il giornale spagnolo, De Siervo ha detto che il prossimo anno, all’estero, il massimo campionato italiano si chiamerà “Serie A – Made in Italy”. Questo, ha spiegato l’ad della Lega, grazie a “un accordo di 10 milioni a stagione”, chiuso con il governo.
L’annuncio ha scatenato le reazioni di molti, appassionati di calcio e non, che hanno criticato l’iniziativa, bollata come un regalo alle società di calcio, fatto con i soldi pubblici, volto a soddisfare l’ossessione del governo per il marchio “Made in Italy”.
L’esecutivo Meloni infatti in questi mesi ha usato questa denominazione un po’ ovunque: dall’ex ministero dello Sviluppo economico, ribattezzato appunto Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy), al nuovo liceo, immaginato per promuovere arti e mestieri, legati alle manifatture di punta del nostro Paese.
Cosa c’è nell’accordo fra Serie A e governo?
Fanpage.it ha provato a capire in che modo verranno impiegati i 10 milioni l’anno e se davvero valga la pena spendere tutti questi soldi, per associare l’etichetta Made in Italy, alla Serie A, sul mercato estero. Quello che abbiamo scoperto è che in realtà, a parte la cifra, i termini dell’intesa sembrano ancora avvolti nella nebbia. E incerto è persino quale sia il soggetto pubblico, controparte della Lega Calcio, nella trattativa.
Le parole di De Siervo sono state accolte con una certa sorpresa, anche all’interno degli uffici di via Rossellini. Quella dell’ad della Serie A infatti è stata un’anticipazione, rispetto ai tempi immaginati per la comunicazione formale dell’iniziativa, da ufficializzare più avanti in estate, a ridosso probabilmente dell’inizio del prossimo campionato.
Per questo motivo, spiegano fonti dell’associazione delle squadre di A, non è possibile rendere pubblici i dettagli dell’accordo, che potrebbero essere ancora in corso di definizione.
Unica precisazione che si azzarda a ipotizzare dalle stanze della Lega è che “non per forza il contributo pubblico sarà tutto in denaro”, ma si può immaginare che in parte assuma altre forme, come valorizzazione del marchio o altro.
Come accennato, rimane peraltro al momento un mistero, quale sia il soggetto statale con cui la Lega A ha stretto il profittevole contratto. Nell’intervista ad AS, De Siervo ha parlato genericamente di accordo chiuso “con il governo”. Dall’altro lato, il ministero del Made in Italy ci ha fatto sapere di non avere alcun ruolo nella vicenda, così come il ministero dello Sport.
Fonti di Lega, indicano come possibile modello per la nuova, misteriosa intesa, un’altra partnership siglata l’anno passato dalla serie A, per pubblicizzare il Made in Italy nel mondo. A inizio 2022, infatti, l’associazione della massima serie del calcio ha firmato un accordo con il ministero degli Esteri e con il suo braccio operativo, l’ICE (l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane).
La partnership era inserita nella campagna del ministero degli Esteri – allora retto da Luigi Di Maio -, denominata BeIt, immaginata per far conoscere le eccellenze italiane nel mondo.
L’accordo con la serie A – di durata annuale, dunque scaduto a fine 2022 – aveva “lo scopo di raccontare una storia di stile, passione, innovazione e creatività”, come si legge nel comunicato congiunto, pubblicato all’epoca da ICE e Lega Calcio.
Totti e Del Piero, ambasciatori del Made in Italy
Proseguiva il comunicato: “la squadra degli Ambassadors di Lega Serie A sarà attivamente coinvolta negli eventi all’estero, per valorizzare le filiere produttive italiane. E nel corso delle gare saranno trasmesse sigle internazionali e grafiche televisive dedicate”. In effetti, lo scorso anno si trova traccia di alcuni eventi della campagna BeIt, con protagonisti grandi campioni della storia recente del calcio italiano, da Totti a Del Piero, da Vieri a Nesta, tenuti a New York e Londra, Francoforte e Parigi.
Per questa partnership, secondo quanto si può ricavare dal sito dell’agenzia, l’Ice ha versato alla Lega Serie A un contributo di 10 milioni di euro. Si tratta della stessa cifra a cui fa riferimento De Siervo, a proposito della futura intesa, per mettere il bollino ‘Made In Italy’, sulle partite del campionato, trasmesse all’estero l’anno prossimo.
Viene quindi facile ipotizzare che la nuova partnership possa essere, nei termini e nelle modalità, un seguito di quella precedente, per la campagna BeIt (ormai conclusa). Con un cambio del marchio, più allineato alle parole d’ordine del nuovo governo.
Fonti di ICE però al momento non confermano che l’accordo annunciato da De Siervo sia stato siglato o sarà siglato con loro, limitandosi a sottolineare come non esistano documenti ufficiali e non possano essere commentate frasi dell’ad della Serie A, in cui l’agenzia non viene mai citata direttamente.
A tirare in ballo esplicitamente ICE, come partner per la prossima stagione calcistica, in realtà, era già stato il 31 marzo scorso, il presidente della Lega Calcio Lorenzo Casini. Davanti ai presidenti delle società di serie A, Casini aveva detto: “è stato rinnovato con soddisfazione l’accordo per un ulteriore anno, quindi per la stagione sportiva 2023/2024, tra la Lega Serie A e l’ICE per l’organizzazione di importanti attività di promozione del Made in Italy”.
Non sappiamo se questo annuncio ha avuto un seguito concreto e se nel caso, si tratti della stessa cosa di cui ha parlato De Siervo con AS. Possiamo solo notare che le cifre citate nelle due dichiarazioni non coincidono, perché il presidente della Serie A parlava di un’accordo da 8 milioni per la prossima stagione, mentre l’amministratore delegato ha alzato l’asticella fino a 10 milioni annuali.
Probabilmente nelle prossime settimane il quadro si farà più chiaro. Per ora rimane il fatto che le parole dell’ad della Lega Calcio abbiano scatenato una ridda di polemiche, smentite, misteri. Questo sì, tutto molto made in Italy.
(da Fanpage)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
IL COMUNE HA STANZIATO UN MILIONE DI EURO PER DEMOLIRE GLI “OBBROBRI”. MENTRE L’ISPETTORATO EDILIZIO È INTASATO DA 61MILA RICHIESTE DI SANATORIA SOLO PER I CASI DEL MUNICIPIO I
Centro storico. Patrimonio dell’Unesco. Tra il Pantheon e piazza Navona ecco che compare una veranda costruita abusivamente su un terrazzo con vista sui tetti di Roma, così da allargare la casa con una stanza più.
Siamo nel cuore della Capitale, trasformato in regno degli abusi edilizi dove i proprietari di singole abitazioni, ma anche i titolari di attività commerciali, decidono arbitrariamente di espandere i loro metri quadri, di aprire una finestra, quando invece sarebbe vietato, o di montare un condizionare installando la pompa di calore su una facciata vicino via del Corso
Nel 2022 nel centro storico e nella zona di Prati la polizia ha effettuato 1334 controlli sulle norme edilizie rilevando 106 violazioni amministrative e 126 violazioni penali. Nei primi quattro mesi di quest’anno sono state fatte 451 verifiche, da queste sono emersi 57 comportamenti da multare e 53 violazioni penali.
Lo scorso anno nel I Municipio i Vigili Urbani hanno aperto 212 fascicoli in seguito a segnalazioni di privati o a verifiche da parte della polizia locale o degli uffici tecnici. Di questi procedimenti, 70 sono giunti alla fase finale con tanto di multa e richiesta di demolizione o di ripristino delle cubature originali.
Il fatto che ci sia una richiesta non significa che chi ha commesso l’abuso abbia voglia di rimediare. Anzi, spesso tutto rimane com’è. Ed è per questo che, quest’anno, al I Municipio è stato assegnato un budget di un milione di euro per consentire di avviare le gare d’appalto per le demolizioni d’ufficio e la rimozione delle opere più invasive.
I primi sei mesi del 2023 sono in linea con l’anno precedente, finora sono stati aperti 110 fascicoli di cui 14 sono stati chiusi.
Ci sono poi i faldoni, e sono una montagna, che raggruppano le richieste di sanatoria che vengono presentate per rimediare a piccoli interventi fuori dalla norma ma anche a abusi macroscopici per cui si chiede la grazia. Parliamo di 61.526 richieste, che si sono accumulate negli anni, anzi nei decenni. Una mole di lavoro infinita, difficile da smaltire, se non impossibile. Gli uffici dell’Ispettorato edilizio non possono bastare per portare a termine tutte queste pratiche.
(da La Repubblica)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO SANCHEZ HA GIÀ OTTENUTO LA TERZA RATA, E HA CHIESTO (CON SUCCESSO) LA REVISIONE DEI PROGETTI, MOBILITANDO TUTTE LE RISORSE ASSEGNATE… DA NOI SONO FERMI ALLA CASELLA DI PARTENZA, TRA POLEMICHE E VELENI
“Pronti!”, era lo slogan della campagna elettorale. “Mica tanto”, è la sintesi dell’azione di governo. L’impreparazione di Giorgia Meloni può essere valutata su quello che è il più importante dossier del governo […]: il Pnrr. Ed emerge soprattutto dal confronto con un paese come la Spagna che, in silenzio e senza molte polemiche, ha fatto tutto ciò di cui l’Italia ha solo parlato da otto mesi.
Il governo dimissionario del socialista Pedro Sánchez ha infatti presentato nei giorni scorsi a Bruxelles una richiesta di modifica del “Plan de recuperación” (il Pnrr spagnolo) al quale ha aggiunto anche il capitolo RePowerEu
Con questa istanza la Spagna, che inizialmente aveva richiesto solo 70 miliardi di grant (trasferimenti) e rinunciato alla quota dei loan (prestiti), ha deciso di mobilitare tutte le risorse assegnatele: quindi 84 miliardi di prestiti e 10,3 miliardi di trasferimenti dei fondi del Next Generation Eu e del RePowerEu. Per ottenere le risorse, Madrid ha dovuto aggiungere al suo Piano 25 nuovi investimenti e altre 18 riforme, dettagliatamente descritti in un documento di oltre 190 pagine
Con questi 94 miliardi aggiuntivi il piano spagnolo sarà del tutto paragonabile a quello italiano, che è il più grande d’Europa (164 miliardi contro 191 miliardi). Secondo la vicepremier e ministro dell’Economia Nadia Caliviño l’attuazione del piano sta già avendo un impatto positivo sull’economia e l’addendum richiesto a Bruxelles dovrebbe amplificarne gli effetti.
L’aspetto interessante del confronto con l’Italia è che la Spagna è anche l’unico paese ad aver ricevuto la terza rata del Next Generation Eu (6 miliardi di euro) già a fine marzo, ma la luce verde della Commissione europea era già arrivata a metà febbraio.
La situazione dell’Italia è molto diversa, costellata da polemiche, ritardi, scambi di accuse e crisi istituzionali come quella con la Corte dei conti sul controllo concomitante. Sul pagamento della terza rata il governo è fermo da dicembre, in attesa che Bruxelles completi la verifica del raggiungimento degli obiettivi.
C’erano diverse cose che non andavano, il governo aveva chiesto una proroga per mettere le cose a posto, la Commissione ha avviato alcuni controlli a campione… fatto sta che siamo arrivati a giugno e i soldi non sono stati sbloccati. Anzi, siamo a ridosso del 30 giugno, che è la scadenza per la quarta rata.
Difficile aver raggiunto gli obiettivi della quarta se su quelli della terza non c’è ancora alcuna certezza. Della modifica del Pnrr, di cui Meloni e il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto parlano ormai da un anno non si vede neppure l’ombra. Si è inscenato anche una specie di braccio di ferro mediatico con la Commissione sulla possibilità di cambiare il Pnrr, ma a Bruxelles aspettano da mesi queste modifiche che alla fine non sono mai arrivate. Stesso copione per il RePowerEu .
Ciò che è poi paradossale è il contesto politico. Perché Meloni gode di una maggioranza politica solida e coesa, come in Italia non se ne vedevano dal 2008. Mentre Sánchez era sostenuto da una risicata coalizione “Frankenstein” con sinistra radicale e indipendentisti e ha dovuto affrontare una campagna elettorale per le elezioni amministrative da cui è uscito sconfitto e dimissionario.
(da il Foglio)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
LO SCONTRO E’ INIZIATO CON L’IPOTESI DI DARE LE DELEGHE AL MARE E AI PORTI A MUSUMECI, PASSANDO PER UNA RIDUZIONE DI POTERI ALLA GUARDIA COSTIERA (CHE FA CAPO A SALVINI) FINO ALLA BATTAGLIA SULLE NOMINE, DA ENEL ALLA GUARDIA DI FINANZA… LO SCONTRO SULL’AUTONOMIA, GLI AFFONDI DELLA LEGA ALLA RAI MELONIANA, LA BATTAGLIA SUI TERRITORI
E’ il “malessere” nei rapporti tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il leader della Lega Matteo Salvini. Alleati per forza già in campagna elettorale, basti pensare alle scenette a Cernobbio lo scorso settembre sulle sanzioni alla Russia, con Salvini che proponeva di toglierle «per il bene degli italiani» e Meloni che si metteva le mani ai capelli e diceva: «Le sanzioni non si toccano». Al governo si marcano a vicenda e in più occasioni davanti a ministri e non solo hanno fatto trapelare la poca sintonia: ultimo episodio lo scontro sul commissario per l’emergenza alluvione in Emilia Romagna.
Meloni a sorpresa partecipa al tavolo convocato con il governatore Stefano Bonaccini e i sindaci della Romagna e annuncia la nomina del ministro Nello Musumeci a coordinatore di un non meglio specificato tavolo di confronto tra governi ed enti locali: per tutta risposta il ministro Salvini fa strane smorfie, visto che non sapeva nulla della scelta: «Allora dobbiamo interfacciarci con Musumeci, anche noi ministri?».
Ma questo è soltanto l’ultimo episodio
Il primo scontro a Palazzo Chigi è avvenuto proprio nel giorno delle nomine dei ministri e sempre con Musumeci in mezzo: quando Salvini ha saputo che all’ex governatore siciliano sarebbero andate le deleghe al mare e ai porti è andato su tutte le furie. Le deleghe rimangono in capo al ministero delle Infrastrutture.
Tensione alle stelle anche poco prima della delicata conferenza stampa a Cutro sul decreto migranti: nella bozza vistata da Meloni si davano più poteri alla Marina Militare togliendo spazi alla Guardia costiera che dipende dal ministero Infrastrutture. Dicono che le urla di Salvini si siano sentite anche fuori dal Municipio e la norma è stata cancellata.
Ad aprile invece la tensione tra Lega e Meloni è emersa alla Camera sul dibattito Pnrr: il capogruppo leghista Riccardo Molinari nel suo intervento propone di «valutare se rinunciare a una parte dei fondi». Meloni poco dopo risponde: «Non prendo in considerazione questa ipotesi». Lo scontro vero è andato in scena tra Meloni e il sottosegretario Alfredo Mantovano da una parte e dall’altra Salvini e il ministro leghista Giancarlo Giorgetti.
Al centro del contendere la nomina del nuovo vertice della Guardia di Finanza: Giorgetti e Salvini hanno messo più di un bastone tra le ruote a Meloni che voleva nominare subito Andrea De Gennaro. La nomina è poi arrivata in un cdm senza Giorgetti e dopo una telefonata di fuoco tra Meloni e Salvini. Il mese scorso invece è il ministro Roberto Calderoli a sospettare una manina di FdI nella pubblicazione del dossier al Senato che smonta la sua riforma sull’autonomia
Ieri in commissione Vigilanza Rai la Lega è andata a muso duro contro l’amministratore delegato di viale Mazzini, Roberto Sergio voluto da Meloni, non solo riproponendo il taglio del canone, che azzopperebbe i conti dell’azienda a trazione meloniana, ma anche chiedendo [«maggiore trasparenza nelle spese perché le risposte alle interrogazioni in merito da parte dei vertici Rai sono inaccettabili».
Nei territori Salvini e Meloni si fanno la guerra per interposta persona: in Veneto il senatore e coordinatore di Fratelli d’Italia Luca De Carlo chiede più posti nel sottogoverno Veneto, ma il presidente Luca Zaia rimanda al mittente le richieste. In Sicilia Fratelli d’Italia chiede invece la testa dell’assessore regionale leghista Domenico Turano reo di non aver appoggiato il candidato di Meloni a sindaco di Trapani.
(da Repubblica)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
MA NON SOLO: IL RIALZO DEI TASSI NON FA SALIRE I RENDIMENTI DEI DEPOSITI… GLI INTERESSI BANCARI PER I CLIENTI DEGLI ISTITUTI DI CREDITO HANNO SFIORATO APPENA LO 0,5% PER LE FAMIGLIE E LO 0,3% PER LE IMPRESE
L’aumento del costo del denaro e la corsa sfrenata dei prezzi minacciano i salvadanai di famiglie e imprese. Da dicembre 2021 a marzo 2023, il saldo dei conti correnti è calato di oltre 61 miliardi di euro, da 2.076 miliardi a 2.015 miliardi. In soli tre mesi, da dicembre 2022 a marzo 2023, la variazione negativa è stata pari a oltre 50 miliardi. E’ quanto emerge da una ricerca della Federazione autonoma bancari italiani. Il carovita non solo ha invertito la tendenza al risparmio delle famiglie, pressoché prossima allo zero nei primi 5 mesi (in media 0,2%), ma ha cominciato a erodere le riserve accumulate dal sistema produttivo.
Tra i fenomeni monetari più sorprendenti dei conti italiani, non c’è solo l’erosione della liquidità che giace in banca, ma anche la sfida che si gioca sui tassi applicati ai depositi. E’ quanto rileva una ricerca della Federazione autonoma bancari italiani. Prendendo in esame i dati più recenti, secondo l’analisi, la forbice dei tassi bancari tra il 2021 e l’inizio del 2023 ha quindi mostrato un aumento in punti base decisamente sproporzionato tra interessi attivi e passivi.
Il rialzo dei tassi ancora in corso da parte della Bce continua a non far salire i rendimenti dei depositi e il fenomeno non è nuovo. Nell’osservare i dati relativi agli ultimi anni, si nota che a fine del 2021, i tassi attivi applicati dalle banche ai finanziamenti avevano registrato una media dell’1,36% (1,40% per i mutui alle famiglie, 1,31% per i prestiti alle società non finanziarie), mentre quelli passivi sulla raccolta erano stati pari quasi allo 0,21% (0,39% per famiglie e 0,04% per le imprese).
l 2022 ha visto crescere progressivamente gli interessi sul credito, merito della politica monetaria della Bce, che si sono attestati a dicembre sul valore medio di 3,45%, sintesi il 3,34% dei mutui alle famiglie e il 3,56% dei prestiti alle imprese. Con il costo del denaro portato al 3,5% a marzo (poi al 3,75% a maggio), i tassi sui mutui alle famiglie sono arrivati al 4,36% mentre quelli per i prestiti alle imprese sono arrivati al 4,33%. Non si è verificato un pari aumento, però, per quanto ha riguardato i tassi passivi: gli interessi bancari a favore dei depositi della clientela hanno sfiorato appena lo 0,4%, risultato della media tra quelli alle famiglie (0,50%) e imprese (0,30%).
Se si prendono in esame i dati più recenti, secondo l’analisi Fabi, si osserva che la forbice dei tassi bancari tra il 2021 e marzo 2023 ha quindi mostrato un aumento in punti base decisamente sproporzionato tra interessi attivi e passivi. Considerando i mutui delle famiglie, lo spread è stato pari a 296 punti, risultato del passaggio della media degli interessi dall’1,4% al 4,36%, mentre il differenziale sui prestiti alle imprese ha incassato addirittura 302 punti, dall’1,31% al 4,33%.
Quanto invece ai conti correnti, lo spread è stato di appena 24 punti per le famiglie (da 0,02% a 0,26%), mentre è salito con maggior vigore il tasso riconosciuto sui depositi a tempo, da 0,99% a 2,12% con uno spread di 113 punti e quello sui pronti contro termine, aumentato dallo 0,59% al 2,25% con uno spread di 166 punti.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
“NON È POSSIBILE ALLEARSI CON IL GRUPPO IDENTITÀ E DEMOCRAZIA”… E DAL CARROCCIO SI INCAZZANO: “I POPOLARI, QUELLI CHE DA DECENNI MAL GOVERNANO CON SOCIALISTI E SINISTRA? NO, GRAZIE”
I nostri comuni valori cristiani sono alla base dell’identità europea: Antonio Tajani e Manfred Weber usano le stesse parole per sancire la definitiva ricucitura tra il Ppe e Forza Italia, archiviando lo strappo di febbraio frutto delle critiche di Berlusconi a Zelensky.
Tuttavia, tra Fi e Lega, scoppiano scintille. Al voto europeo manca un anno, ma nel centrodestra è già clima di campagna elettorale. Tajani è netto nel segnare i confini politici dell’intera operazione: «La possibile alleanza può essere fatta tra conservatori, liberali e popolari. Non è possibile – chiarisce il coordinatore azzurro – fare un’alleanza con il gruppo di ID (il gruppo a cui è iscritto il partito di Salvini)
La Lega è molto diversa da Afd e deciderà cosa fare, se rimanere in quella famiglia politica o meno. Rispetto la volontà di quel partito e toccherà a loro decidere cosa fare. Siamo alleati in Italia, e le questioni europee riguardano le famiglie europee».
Immediata arriva la replica piccata del partito di Matteo Salvini: «I Popolari, quelli che da decenni mal governano in Ue a braccetto con socialisti e sinistra? No, grazie», dichiarano gli europarlamentari della Lega Marco Zanni, presidente gruppo Id, e Marco Campomenosi, capo delegazione Lega.
C’era uno strappo, doloroso, da ricucire. Manfred Weber, il presidente dei popolari europei, a metà febbraio aveva clamorosamente annullato una due giorni a Napoli a causa delle scomposte dichiarazioni di Silvio Berlusconi sul «signor Zelensky».
Quasi quattro mesi dopo Weber è tornato a Roma per dire che «Forza Italia è il pilastro del Ppe in Italia» e per lanciare una lunga campagna elettorale verso il rinnovo dell’Europarlamento che riserva già scintille.
L’obiettivo lo spiega Tajani, senza remore: «Forza Italia è centrale all’interno della famiglia del Ppe, in prospettiva anche delle elezioni europee. Faremo di tutto perché possa esserci un cambio di maggioranza, con una maggioranza formata da Popolari, Conservatori e liberali».
Faremo di tutto, sottolinea. Mai il coordinatore di FI era stato così netto: ogni sforzo sarà profuso per mettere all’angolo i socialisti e ribaltare l’asse che in questo momento sostiene Ursula von der Leyen.
L’abbraccio con i conservatori è un traguardo al quale Weber e Tajani lavorano da tempo, con la sponda istituzionale di Giorgia Meloni. È l’argomento che fa da sfondo alla visita di Weber a Roma: in mattinata, davanti a una platea di almeno un centinaio di europarlamentari del Ppe nella sala dei gruppi della Camera. Di pomeriggio, nel prosieguo dei lavori – a porte chiuse – a Villa Magistrale
Il cantiere della nuova alleanza è aperto. E Weber pone un solo paletto. Ma significativo: «Il Ppe combatte per un’Europa più forte. Chiunque sarà nostro alleato in futuro dev’essere convinto di voler partecipare a un progetto comune di rafforzamento dell’Europa». No a estremisti e a euroscettici, insomma.
Ma il muro di sbarramento diventa ancora più alto nelle parole di Tajani che aprono lo scontro in un centrodestra che si vorrebbe esportare in Europa ma che comincia a litigare all’ombra del Cupolone: Salvini non risponde solo per cortesia istituzionale all’altro vicepremier Tajani. Ma lascia un commento ufficiale ai suoi luogotenenti Marco Zanni e Marco Campomenosi: « Dobbiamo prendere atto, forse, che il Ppe preferisce continuare il cammino con Macron e le sinistre e la maggioranza Ursula. La Lega è al lavoro per cambiare questa Ue che non funziona, partendo proprio da quelle regole che colpiscono l’Italia che socialisti e popolari hanno promosso e votato in questi anni».
Dito puntato sulla contraddizione di un partito che oggi, e per un anno ancora, sta in una maggioranza coi socialisti ma opera per costriuire una coalizione alternativa. In realtà, la strada non è semplice: Weber ha resistenze nella Cdu/Csu tedesca, in Polonia il rapporto fra Ppe e Conservatori è logorato da una durissima campagna elettorale fra il presidente Morawiecki e il suo predecessore (popolare) Donald Tusk.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2023 Riccardo Fucile
LO DIMOSTRANO I DATI RELATIVI AD ALTRI PAESI EUROPEI
Il salario minimo in Italia è necessario. A dirlo stavolta non sono coloro i quali, da anni, lo propongono. Ma semplicemente dei dati, secondo i quali il salario minimo in molti Paesi europei è molto vicino al salario medio degli italiani. Cifre che dimostrano come sarebbe necessario aumentare i salari minimi, considerando che è probabile che molti lavoratori siano ben al di sotto di tutte le soglie previste in Europa.
In Italia il salario minimo non c’è, ma si applicano i contratti collettivi. In molti altri Paesi europei, invece, il salario minimo c’è ed è anche in aumento negli ultimi anni. Un’analisi dello studio legale Daverio&Florio, riportato dall’Adnkronos, ricorda come il salario minimo esista in tantissimi Paesi europei, ma non in Italia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia. Ci sono, invece, Paesi in cui esiste da più di 50 anni, come Francia e Spagna.
Il Paese in cui il salario minimo più alto in Europa è il Lussemburgo, pari a 2.387,40 euro al mese, circa 31mila euro lordi l’anno se considerato su 13 mesi. In Germania la cifra è di 2.080 euro al mese, circa 27mila euro annui. Peraltro a fine 2022 il valore è stato aumentato a 12 euro lordi e un altro aumento è atteso nel 2024. Anche in Belgio e Irlanda è previsto un aumento: oggi a Bruxelles esiste il reddito minimo mensile medio garantito, pari a circa 1.955 euro lordi, con 35 euro in più attesi dal 2024.
In Olanda la cifra è di 1.934,40 euro, con un recente aumento del 10%. Anche in Irlanda il valore è sopra i 1.900 euro al mese, mentre in Francia – per 35 ore di lavoro settimanali – la cifra si attesta a 1.747,20 euro mensili, ovvero 11,50 l’ora. Cifra più bassa in Spagna, dove c’è stato di recente un aumento che ha portato l’importo minimo a 1.080 euro lordi.
In Italia il salario minimo non esiste, ma ci si affida ai contratti collettivi nazionali che coprono gran parte dei lavori. Però un problema di retribuzioni è evidente, tanto più se pensiamo che siamo l’unico Paese europeo in cui i salari non sono cresciuti negli ultimi 30 anni. Per capire quanto quello del salario minimo sia un problema urgente basta vedere i dati sui salari medi in Italia.
I dati dell’Istat, consultati da La Notizia, mostrano retribuzioni medie – riferite all’anno 2022 – di 30.105 euro annui. Nel settore privato questa cifra scende a 29.288 euro, per i lavoratori dipendenti si scende ulteriormente a 27.468 (escludendo i dirigenti) e nel pubblico, invece, si sale a 31.324 euro. Praticamente cifre uguali a quelle del salario minimo in Lussemburgo (per il quale, però, un confronto è difficile considerando l’alto costo della vita), ma solo pochissimo più alte del salario minimo in Germania.
Anche andando a prendere altri dati, come quelli del report della Fondazione Di Vittorio (Cgil), la situazione non cambia: in questo caso si parla di retribuzioni medie di 29.440 (nel 2021), inferiori a quelle europee. In Francia e Germania si sale sopra i 40mila e non a caso il nostro reddito medio è più vicino al loro salario minimo che a quello medio. Dati confermati anche dall’Organizzazione internazionale del Lavoro, l’agenzia delle Nazioni Unite, con retribuzioni medie italiane stimate sui 29.301 euro. Un dato, quindi, molto simile al salario minimo tedesco. Ma l’Italia, sul fronte dei salari, sembra davvero essere su un altro pianeta. Ovviamente in negativo.
(da La Notizia)
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