Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
CINQUEMILA MERCENARI “CONTROLLANO” CON LE ARMI GLI INTERESSI DI MOSCA DALLA LIBIA AL SUDAN, DALLA REPUBBLICA CENTRAFICANA AL MALI
Che il capo mercenario di Wagner Yevgeniy Prigozhin stesse pianificando un piano contro i vertici della difesa russa era noto all’intelligence statunitense da alcune settimane secondo quanto riportava ieri il Washington Post.
Non erano certi tempi e modi – dicono sotto anonimato funzionari dei servizi segreti al giornale americano – ma era chiaro che il leader della Wagner stesse per rendere ancor più plateale il braccio di ferro avviato da mesi contro il Ministro della Difesa Shoigu e il capo dello stato maggiore Gerasimov.
Nelle settimane di aspre battaglie, costate centinaia di vittime a russi e ucraini, Prighozin aveva reso la piccola città del Donbass, un tempo abitata da 70 mila persone e oggi ridotta a macerie disabitate, la parte per il tutto della sua scalata opposizione ai vertici militari. Voleva dimostrare di saper mietere conquiste, lente certo ma costanti, nell’unico fronte dove l’esercito di Kyiv non stava recuperando terreno.
Dopo la straordinaria controffensiva del settembre scorso, per Prigozhin prendere Bakhmut, significava dire che i suoi uomini galeotti, mercenari, riuscivano dove l’esercito regolare stava fallendo. E riuscendoci avrebbe potuto alzare la posta in gioco di una guerra di potere che si muove intorno alla tenuta del capo. Prigozhin ha sostenuto di aver perso 20 mila uomini nei mesi di battaglia per Bakhmut, numeri altissimi, impossibili da verificare, ma che gli analisti militari ritengono verosimili.
Il dieci giugno scorso il presidente Putin ha chiesto alle forze autonome come la milizia Wagner – una ventina in Russia – di firmare un contratto che dal primo luglio le avrebbe poste di fatto sotto il controllo del Ministero della Difesa. La versione ufficiale era garantire ai mercenari gli stessi diritti e gli stessi benefici dei soldati regolari, assistenza pensionistica e sanitaria, ma era evidente che l’effetto sarebbe stato quello di commissariare le unità che sfuggivano al controllo di Shoigu e Gerasimov.
Condizione inaccettabile per Prighozin che dei due era nemico giurato e che li aveva descritti come «nonni incapaci di ottenere vittorie in battaglia e padri di figli corrotti e inabili al fronte»: «Nessun combattente della Wagner percorrerà di nuovo la via della vergogna. Perciò nessuno firmerà accordi» aveva detto, rispondendo agli ordini dei vertici militari.
L’ipotesi che la sua milizia diventasse vassalla dei suoi avversari era inaccettabile, Prigozhin ha capito che stava per essere messo all’angolo. E un uomo sanguinario e ambizioso che sta per essere isolato, cioè che sa che può perdere tutto da un momento all’altro, diventa un uomo ancora più pericoloso. È lì che, probabilmente, ha cominciato a pianificare la sua azione militare, ambendo e sperando di ottenere la testa di Shoigu
Prigozhin è una creatura di Putin. Gli è stato permesso di reclutare galeotti, è stato l’uomo dei giochi sporchi, dalle interferenze nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 con la sua cosiddetta struttura di troll alle guerre per procura combattute in Siria e in Africa.
La Wagner faceva il lavoro sporco, Putin se ne lavava le mani perché ufficialmente non erano membri delle forze di sicurezza ufficiali. Oggi che Prigozhin ha negoziato attraverso la mediazione del presidente bielorusso Alexander Lukashenko e si avvia sulla strada dell’esilio resta l’istantanea della debolezza del capo e le domande aperte proprio sugli scenari internazionali in cui la Wagner ha preso piede per conto di Putin.
Dal 2017 il gruppo – anzi, la vasta rete di imprese e gruppi mercenari che lo compone – agisce in diversi paesi africani, Repubblica Centraficana, Mali, Mozambico, Sudan, Libia. Si stima a cinquemila il numero degli uomini di Prigozhin che operano nel continente africano.
Con una mano offrono supporto militare, di sicurezza e di propaganda, con l’altra espande l’influenza di Mosca, promuovono gli interessi di politiche estera in Africa, facendo il lavoro sporco. Come macchiarsi di torture, esecuzioni extragiudiziali, è il caso dell’offensiva in Libia del 2019, dove le truppe Wagner a supporto del generale Haftar si sono macchiati di crimini di guerra di cui il Cremlino può non rispondere perché ufficialmente le truppe non dipendono dal ministero della Difesa.
In cambio dei servizi offerti, hanno ottenuto in questi anni finanziamenti e concessione di risorse, tra cui miniere d’oro e diamanti, terre rare, uranio, litio, che hanno reso gli almeno tredici paesi in cui operano, il bancomat delle azioni militari del gruppo.
Se è probabile che il gruppo Wagner venga smantellato in Russia, rimane da capire cosa sarà e come verrà gestita l’influenza che la milizia ha maturato in Africa. Putin ha tutto l’interessa a mantenere il controllo delle risorse guadagnate e mantenere salda l’influenza sui regimi e i governi che gli uomini di Prigozhin hanno sostenuto, resta da capire, però, a chi dovranno rispondere questi uomini e se lo faranno.
La vulnerabilità di Putin, a 48 ore dall’entrata di Prigozhin a Rostov, è rappresentata da un uomo che è stato una sua emanazione, una sua creazione, il braccio armato del lavoro sporco in Russia e negli scenari internazionali in cui il presidente russo aveva ambizioni economiche e geopolitiche e su cui ha dimostrato di non avere controllo.
(dala la Stampa)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
I COMANDANTI CADUTI IN DISGRAZIA DOPO I SUCCESSI MILITARI
Chi siede al Cremlino ha sempre impedito che i capi militari diventassero troppo influenti. Nell’Unione Sovietica l’esercito era l’unica organizzazione in grado di fare ombra al partito.
L’Armata Rossa era stata forgiata da Lev Trockij e tutti conoscono la sua sorte di esiliato, inseguito fino alla morte dai sicari di Stalin. Il suo successore Michail Frunze è stato avvelenato dall’anestesia nel 1925 subito rimpiazzato da Kliment Vorosilov
Fu Vorosilov a scavare la tomba al maresciallo Mikhail Tukhacevskij, l’uomo che ha trasformato gli antiquati manipoli bolscevichi in una macchina bellica moderna, giustiziato assieme ad altri 35 mila ufficiali nelle purghe del “terrore rosso”.
Ci sono volute l’invasione nazista e la sanguinosa guerra patriottica per riportare sugli altari un altro comandante: Georgij Zukhov, il condottiero che ha sconfitto la Germania e firmato la capitolazione del Terzo Reich.
Stalin ha poi cercato di relegarlo in provincia, senza incrinarne la fama. E quando il dittatore si è spento, Zukhov ha condotto l’operazione per neutralizzare la polizia segreta e arrestare il feroce Lavrentij Berija: ha messo il Cremlino nelle mani di Nikita Krusciov […]. Ovviamente, il nuovo leader se n’è liberato nel giro di un paio d’anni: come Cincinnato, Zukhov si è ritirato in Crimea a fare il pescatore
Memore della tradizione sovietica, Putin non ha mai permesso alla gloria di un militare di fargli ombra.
L’attuale ministro della Difesa Sergej Shojgu non è un ufficiale di carriera: è un politico nato alla scuola sovietica, rappresentante delle opulente regioni siberiane. Il capo di Stato maggiore Valerj Gerasimov è un’eccezione perché mantiene il posto da dieci anni, ma allo stesso tempo non ha un significativo seguito personale tra le truppe.
Viene ricordata la sua determinazione nel punire un colonnello che aveva stuprato e ucciso una ragazza cecena, vicenda che gli valse l’elogio di Anna Politkovskaja, l’oppositrice di Putin poi assassinata.
Pochi sono i comandanti adorati dagli uomini. La leggenda è Junus- Bek Evkurov: nel 1999 ha guidato in diretta tv la cavalcata dei blindati russi dalla Bosnia all’aeroporto Pristina, nel Kosovo, beffando la Nato
Una vita tutta in trincea, pure quando è diventato governatore della turbolenta Inguscezia nel Caucaso, legandosi al ceceno Kadyrov: adesso è viceministro della Difesa.
C’è poi Vladimir Alekseev, incursore dell’intelligence militare Gru e vice di Gerasimov, attivo nelle azioni segrete nel Donbass e in Siria: viene ritenuto l’inventore della Wagner.
Guarda caso, sono i due che hanno fatto accomodare Prigozhin nel quartiere generale di Rostov, comparendo al suo fianco nel video mentre lo invitavano blandamente a fermarsi.
L’altro astro nascente è lo spietato Sergej Surovikin, più temuto che amato: nel golpe del 1991 è stato l’unico a fare fuoco sui manifestanti pro Eltsin. Nel messaggio diffuso venerdì notte per dissuadere i mercenari, Surovikin è stato l’unico a mostrare un’arma al suo fianco: aveva però la canna in direzione opposta allo schermo.
Ora i complottisti interpretano questo particolare come un via libera alla rivolta: “Non vi spareremo contro”. Sabato mentre i tank marciavano su Mosca, lui e altri papaveri hanno tenuto a freno l’esercito, imponendo le loro condizioni a Putin. Tutti li accreditano come i veri vincitori, uniti da un’esperienza comune: il pugno di ferro usato in Siria per spegnere la rivolta con qualsiasi arma, gas inclusi. Un modello che potrebbero volere replicare in Ucraina.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
CHI PROTEGGE PRIGOZHIN?
Prevedere quello che succederà a Mosca è difficile, ma possiamo partire da quello che conosciamo con relativa certezza. Dal febbraio 2022 Putin e il suo esercito hanno subito in Ucraina umilianti sconfitte militari chiuse da una vittoria di Pirro: Bakhmut, un tritacarne che ha distrutto parte della Wagner e tantissimi regolari russi e ucraini.
Alle sconfitte militari si sommano quelle politiche, già consumate, per esempio in termini di influenza nel Caucaso e in Asia centrale o di reputazione nel mondo, anche nelle grandi capitali vicine a Mosca. E soprattutto si somma il collasso della ideologia con cui Putin ha lanciato l’attacco: l’Ucraina è uno Stato fantoccio, guidato da un élite incapace e abitato da una popolazione che, tranne una minoranza “nazista”, sa di essere russa.
Sappiamo anche che le difficoltà a Bakhmut stavano destabilizzando Prigozhin, che quel tritacarne viveva. asta guardare i suoi video, come quello di fronte a un mucchio di cadaveri di suoi uomini, per ascoltare accuse feroci ai vertici del ministero e dell’esercito, vicinissimi a Putin ma definiti corrotti, criminali ecc.
Eppure Prigozhin non veniva punito per parole che sarebbero costate a un civile anni di carcere, segno evidente che aveva a Mosca protettori che riuscivano a farlo tornare nei ranghi, sia pure con sempre più difficoltà.
Per capire chi sono questi protettori bisogna conoscere la storia della Wagner che […] è una […] creatura del Gru, il direttorato delle informazioni dello Stato maggiore russo. La Wagner è stata fondata nel 2014 da Dmitry Utkin, un alto ufficiale in pensione delle forze speciali del Gru, per sostenere le “repubbliche popolari” del Donbass, dove già allora l’iniziativa putiniana, dopo il facile successo in Crimea, incontrava una forte resistenza ucraina.
I relativi successi del 2014 spinsero poi il Gru a usarla in Africa (dove provvede alla sicurezza di capi di Stato) e in Siria, dove ha partecipato alla guerra civile. Qui ha agito sotto il comando di Sergei Surovikin, il “macellaio di Aleppo”, poi comandante a fine 2022 dell’Operazione militare speciale, dirigendo la ritirata da Kherson. Con Vladimir Alexeev, vice-capo Gru (e probabile organizzatore dell’omicidio col gas nervino dell’ex agente Skrypal nel Regno Unito), egli è uno dei capi-protettori di Prigozhin.
Sappiamo anche che l’esercito e l’aviazione russa non sono intervenuti per fermare la Wagner, che si è arrestata solo dopo quello che si dice sia stato un accordo. Putin, la cui influenza è stata in ogni caso duramente minata, sarebbe stato costretto a accettare un compromesso doloroso che mette a nudo le sue sconfitte. Ora le previsioni, che valgono poco: terrà Putin fede all’accordo, che si dice contempli la diminuzione del potere, se non la sostituzione, di Shoigu e Gerasimov?
O cercherà piuttosto, se l’esercito tornerà a obbedirgli, di far pagare al Gru l’avventura di Prigozhin, come probabilmente vorrebbe, magari profittando del collasso di un’iniziativa non voluta, che ha tolto al Gru forza e potere?
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
UNA VOLTA AZZOPPATO, CHIUDERE LA GUERRA IN UCRAINA, CHE HA SCONVOLTO LA CUCCAGNA DEGLI OLIGARCHI E GLI EQUILIBRI MONDIALI
La verità, forse, non la sapremo mai. Quello che è indiscutibile è che i 27 mila mercenari della Wagner al comando di Prigozhin hanno inferto un vulnus molto forte nel sistema di potere di Vladimir Putin.
Altrettanto certo è che il blitz dell’ex venditore di salsicce di San Pietroburgo non è stato pianificato ieri. E non è stato innescato dal decreto che obbligava dal primo luglio l’”assorbimento” della Wagner nell’esercito di Mosca. Ed è altrettanto lampante che da solo il truculento Prigozhin non poteva agire indisturbato fino a 200 km da Mosca, rischiando di far precipitare la Russia nella guerra civile.
Ecco: l’obiettivo dell’operazione del Gruppo Wagner non mirava al rovesciamento di Putin, di per sé uno scenario spaventoso (chi sarebbe stato in grado di mantenere unito il paese, proteggere le armi nucleari, Prigozhin?). Quindi: non buttarlo giù dal trono del Cremlino ma indebolire il suo potere.
Vedere se, una volta azzoppato, al poverino partiva l’embolo fatale, detto ‘’dopo di me, il diluvio” (e vai con esercito e bombe), oppure Vlad avrebbe iniziato a ragionare. A partire dal negoziato di pace con Zelensky e chiudere la scellerata guerra in Ucraina nei prossimi 30 giorni.
La spia che Putin abbia iniziato a usare le sinapsi del cervello è rappresentato dalla sua richiesta di trovare una mediazione con Prigozhin, rivolta in maniera esplicita ad Alexander Lukashenko. Il presidente della Bielorussia, stato privo di risorse che ha bisogno come il pane della Russia, è rimasto 24 ore al telefono per placare i bollori di Prigozhin e tamponare l’avanzata della colonna Wagner giunta a 200 km da Mosca. Missione riuscita. Ma è ovvio che non si fa una mediazione chiacchierando al telefono. Ed infatti le trattative sono ancora in corso.
Oggi Putin e Prigozhin chissà dove saranno finiti per mettere giù un accordo. E non solo per capire dove domani i 50 mila mercenari delle milizie Wagner, di cui 27 mila tra Russia e Ucraina, andranno a far danni. Prigozhin ha brutalmente dimostrato che può arrivare a Mosca quando vuole e nel giro di poche ore, sapendo bene di avere a suo favore un paese stanco della “missione militare speciale” in Ucraina e che Putin non ha potuto permettersi di bombardare la colonna Wagner composta in gran parte da russi. E se le cose precipitano, i mercenari ritornano più forti che pria.
Più semplice additare chi aveva interesse a trasformare Vladimir in un’anatra zoppa o, ultima ratio, spedirlo ai giardinetti. In primis, gli oligarchi. Anche loro erano convinti, come Putin, che l’invasione ucraina si sarebbe risolta in una settimana di bum-bum, ma quando hanno visto prolungarsi la guerra di un mese, di un anno, ora siamo a due, hanno iniziato a incazzarsi.
Negli ultimi due anni hanno visto cadere sotto sequestro gran parte dei loro capitali e beni all’estero e con la morsa delle sanzioni i loro ricavi si sono più che dimezzati. Tant’è che oggi non si rintracciano nelle agenzie dichiarazioni di oligarchi a favore di Putin.
A seguire i paesi occidentali e la Cina che mirano a chiudere la demente guerra della Russia all’Ucraina che ha mandato in crisi i rapporti economici di mezzo mondo. Infine, l’élite del potere russo: un segnale di grande indebolimento dello zar è arrivato dal Consiglio di Sicurezza, di cui solo cinque membri sono intervenuti con dichiarazioni a favore di Putin. Altro latitante è l’influente ministro degli Esteri Sergey Lavrov, di cui si sono perse le tracce.
Il lato più oscuro di tale incredibile rivolta è rappresentato dall’attuale stato mentale di Putin. Un tipino dall’ego espanso che ha visto il declassamento della Federazione Russa alle spalle di Stati Uniti-Cina come un’ingiustizia storica.
Uno “zar de’ noantri” che, in combutta con il suo ex “cuoco”, s’inventa nel 2015 per combattere in Siria a fianco di Assad una sorta di Legione Straniera in salsa russa chiamata Wagner per portare a termine lavori sporchi in giro per il mondo, evitando così di impiegare le insegne dell’esercito di Mosca.
Ma per Putin non è l’inizio della fine: nessuna potenza internazionale accetterà mai la sua uscita dal Cremlino senza saper chi verrà dopo in un paese che, secondo le più recenti stime della Federation of American Scientists, ha negli arsenali 5.977 testate, qualche centinaio in più rispetto a quelle su cui può contare Washington (5.428). Come ha avvertito il segretario di Stato americano Antony Blinken: “Bisognerà aspettare le prossime settimane per capire gli sviluppi”.
(da Dagoreport)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
UN BUSINESS DA 63 MILIARDI ALL’ANNO, ORMAI IL SETTORE PRIVATO VALE PIU’ DELLA META’ DI QUELLO PUBBLICO
«Il definanziamento della sanità porterà alla sua privatizzazione», si sente spesso ripetere. Ignorando che il privato vale già oltre la metà del pubblico. Perché ad avanzare non è soltanto la spesa per cure, farmaci e accertamenti sostenuta direttamente dai cittadini, che secondo l’ultimo rapporto dell’Economia è aumentata in un anno del 20,7% portandosi nel 2021 a 37,16 miliardi. Passo dopo passo sale anche quella per il privato convenzionato finanziato con soldi pubblici, che nel 2012 pesava per 22,5 miliardi e nel 2021 ne valeva 25,5, con una crescita più o meno costante dell’1,4% l’anno, certifica sempre il Mef. Un business alimentato da tariffe per la diagnostica pagate dalle Regioni che arrivano a essere anche il doppio di quelle che lo stesso privato applica agli assistiti paganti di tasca propria.
Per non parlare degli affari che il privato convenzionato fa con i ricoveri, visto che la sua offerta si concentra di solito sulle prestazioni più remunerative, lasciando al pubblico quelle maggiormente onerose, come i pronto soccorso, le terapie intensive o la prevenzione, che fa risparmiare in futuro ma non porta denari nel presente.
Comunque sia, fatte le somme, è un giro d’affari che per la sanità privata ammonta ormai a 62,7 miliardi, mentre tolti dai 128 miliardi del fondo sanitario nazionale i 25 e mezzo destinati ai privati convenzionati si scopre che alle strutture pubbliche restano poco più di 100 miliardi.
E uno studio condotto da due ricercatori dell’Istat, Monica Montella e Franco Mostacci, pubblicato su Voce.it, mostra che la maggiore spesa privata non ha comportato alcun miglioramento dell’offerta sanitaria, misurata sul livello di adempimento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza.
Del resto non potrebbe essere altrimenti esaminando come lo Stato strapaghi i privati convenzionati per gli accertamenti diagnostici, lasciando poi a loro anche i ricoveri più redditizi.
Partiamo dai primi. Il tariffario, vecchio di vent’anni, è stato finalmente aggiornato e le nuove tariffe per tac, risonanze, doppler e quant’altro entreranno in vigore il 1° gennaio prossimo, ritoccando ancora all’insù i rimborsi, visto che per lo Stato ci sarà un aumento di spesa pari a 174,8 milioni nonostante siano state escluse tutta una serie di prestazioni ormai obsolete.
Ma già con le vecchie tariffe per il privato gli accertamenti diagnostici sono una gallina dalle uova d’oro, nonostante i rimborsi siano uguali a quelli destinati al pubblico. Solo che il privato quando è il cittadino ad aprire il portafoglio riesce a praticare tariffe molto più economiche. In Lombardia, ad esempio, per una risonanza magnetica il rimborso della Regione al privato convenzionato arriva ad essere dell’89% maggiore di quello che quest’ultimo chiede agli assistiti solventi. In Liguria si arriva a una differenza del 196%, in Veneto addirittura al 219%. Più o meno stesso discorso vale per tac al torace ed ecografie all’addome, tra gli accertamenti più gettonati di quei 55 milioni che ogni anno vengono eseguiti fuori da ospedali e ambulatori pubblici, rimborsati molto di più di quel che costano ai privati, viste le tariffe decisamente inferiori che questi riescono a praticare quando si svestono del redditizio ruolo di convenzionati con l’Ssn.
Quanto si potrebbe risparmiare se lo Stato rimborsasse come pagano i cittadini da solventi non è facile stabilirlo. Ma a vedere le differenze tra privato convenzionato e privato-privato, calcolando inoltre che per gli accertamenti diagnostici lo Stato rimborsa ai privati 4,7 miliardi, è lecito stimare che 2 miliardi potrebbero tornare in cassa. Magari per assumere medici e infermieri, tagliando le liste d’attesa. Che a loro volta foraggiano sempre il privato.
Ma anche il pubblico deve farsi un esame di coscienza. Perché se va in rosso nonostante rimborsi decisamente più alti delle tariffe che il privato-privato riesce a praticare, evidentemente un bel po’ di inefficienza anche da quelle parti deve esserci. E se è vero che il pubblico dietro la singola prestazione deve conteggiare anche i costi vivi per servizi che non sono rimborsati a tariffa, lo è altrettanto che tra il 30 e il 50% dei finanziamenti che le strutture ricevono dalle Regioni sono non per i singoli servizi resi, bensì per ammortizzare i costi generali, certifica uno studio di qualche tempo fa della Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali.
Ma il privato di affari d’oro ne fa anche con i ricoveri. Prendiamo la Lombardia, dove il 70% delle degenze sono nel pubblico e il 30% nel privato. Ma quest’ultimo a Milano, dove fanno capo i colossi della sanità convenzionata, fa l’88% dei bypass coronarici, il 68% delle protesi d’anca e ginocchio e impianta il 60% dei defibrillatori. Tutte prestazioni a tariffe redditizie. Il pubblico si sovraccarica invece l’80% delle emorragie cerebrali, l’87% delle leucemie, l’82% dei tumori ai polmoni, il 90% degli aborti, l’80% dei calcoli e il 78% delle polmoniti. Interventi comuni e poco remunerativi. E infatti i bilanci degli ospedali pubblici lombardi sono in rosso mentre i colossi privati continuano a trovare redditizio investire nella sanità. «La spesa per il privato convenzionato è vincolata a un tetto anacronistico che non le consente di andare oltre quanto speso nel 2011», replica Barbara Cittadini, Presidente dell’Aiop, l’associazione dell’ospedalità privata. Che poi però precisa: «Per contrastare le liste d’attesa sono state concesse delle deroghe, che hanno inciso in misura limitata sulla spesa». E sulla questione dei ricoveri più remunerativi ci tiene a dire che «non sono le strutture private a limitare l’offerta ma le Regioni che acquistano volumi e quantità di prestazioni in base alla loro programmazione. E alcune, come Emilia-Romagna, Abruzzo e Sicilia, non autorizzano le convenzioni per terapie intensive e pronto soccorso con i privati».
Intanto i dati del ministero della Salute documentano che è andato ai privati il 30% delle risorse stanziate per il recupero delle liste di attesa, che continuano a non essere un buon affare soltanto per gli assistiti.
(da La Stampa)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
IL DIPENDENTE IN CIG A ZERO LAVORAVA AL SENATO PER LA PITONESSA E LA RUSSA
L’ammissione delle furbate sulla cassa integrazione Covid realizzate da Visibilia esiste. A fornirla è lo stesso disastrato gruppo editoriale-pubblicitario quotato in Borsa del quale all’epoca azionista di maggioranza (48,6%), presidente e amministratore delegato era la senatrice di Fratelli d’Italia e oggi ministra del Turismo Daniela Santanchè.
Un dipendente con funzioni apicali, ufficialmente in cassa integrazione a zero ore da marzo 2020 sino a novembre 2021 – grazie agli aiuti Inps varati dal governo Conte con il decreto Cura Italia –, continuava invece a lavorare per l’azienda della ministra.
Come scritto dal Fatto a novembre, i fatti erano noti a manager ed esponenti di Visibilia tra i quali Dimitri Kunz, compagno della Santanchè subentratole ai vertici aziendali a fine 2021.
La prova emerge da una causa davanti al giudice del lavoro di Roma: a metterla nero su bianco sono i legali del gruppo che si oppongono alle richieste di danni dell’ex funzionario. Nella loro memoria depositata l’8 giugno al tribunale di Roma, gli avvocati scrivono che l’ex dirigente “è stato collocato in cassa integrazione in coincidenza con la contemporanea sospensione dei colleghi durante la pandemia. È un fatto, tuttavia, durante la sospensione, in sia pur informale accordo con la datrice di lavoro, ha svolto limitate attività (senza mai mettere piede nei locali aziendali), ricevendo e inviando email”. Ma non basta: i legali confermano che “oltre al rapporto di lavoro subordinato con Visibilia”, il dipendente “svolgeva anche lavoro autonomo quale assistente di alcuni senatori: dal 2018 al 2019 Daniela Santanché e dal 2019 al 2021 Ignazio La Russa. Per tali incarichi, che lo impegnavano per diverse ore settimanali e tutto l’anno, emetteva fatture mensili”.
I legali di Visibilia però negano che il dirigente sia stato “collocato in cassa integrazione senza adeguate informazioni circa entità e durata del ricorso all’ammortizzatore sociale” e che abbia “lavorato durante il periodo di sospensione in misura sostanzialmente analoga a quanto dedotto per gli altri periodi”.
“Pur ritenendo che tale contenuta attività rientri nell’ambito di uno scambio di cortesie e di rapporti di correttezza e buona fede cui il rapporto di lavoro si informa e della fiducia connessa alla posizione”, scrivono, “Visibilia Editrice – viste le contestazioni mosse con il ricorso – ha ritenuto opportuno ridefinire la posizione sotto i profili retributivo e contributivo, come se il lavoratore avesse svolto integralmente la prestazione secondo gli accordi contrattuali. Il che è avvenuto nel marzo 2023”. Quattro mesi dopo la denuncia del Fatto, Visibilia ha inviato al dipendente la busta paga con arretrati retributivi e contributivi per 37 mila euro. “Riteniamo cessata la materia del contendere”, scrivono i legali.
Ma a detta di altri avvocati contattati dal Fatto, però, considerare chiusa questa vicenda non è semplice come immagina Visibilia: se sulla vicenda giuslavoristica dovrà pronunciarsi il giudice, resta aperta la questione delle dichiarazioni e certificazioni sulla Cassa Covid inviate da Visibilia all’Inps, che hanno potenziale rilevanza penale.
Come paiono ammettere gli stessi legali di Visibilia che scrivono “non è dato comprendere… su quali basi possa pretendere un risarcimento connesso a un reato un soggetto che di tale presunto reato pacificamente non è vittima”. Se sarà riscontrato un reato, la vittima sarà infatti l’Inps. A quel punto dovrebbe essere l’Istituto nazionale di previdenza, ora commissariato dal governo ma comunque vigilato dal ministero del Lavoro di Marina Calderone e da quello delle Finanze di Giancarlo Giorgetti, a sollevare la questione contro Visibilia. Dopo l’Agenzia delle Entrate, al cui beneplacito sulla richiesta di transazione per i debiti fiscali di Visibilia Srl è appesa la possibilità che non scatti il fallimento e l’accusa di bancarotta (sulla cui ipotesi, come pure per quella di falso in bilancio, indaga la Procura di Milano), anche l’Inps ora ha in mano le sorti giudiziarie della “Pitonessa”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
MENTRE IL GOVERNO BOCCIA IL SALARIO MINIMO E PRENDE TEMPO SULLA RAPPRESENTANZA
No al salario minimo e silenzio riguardo al recepimento della direttiva europea in materia approvata lo scorso ottobre. Mentre Pd e Movimento 5 Stelle cercano una convergenza sulle proposte di legge depositate in Parlamento, il governo continua a non adottare provvedimenti strutturali contro il lavoro povero.
Tra il resto non pare nemmeno intenzionato a contrastare i contratti pirata o di comodo con stipendi e tutele molto minori rispetto a quelli di chi gode del ccnl principale. Un obiettivo che l’atto Ue ci impone di raggiungere, perché ai Paesi che non hanno un minimo legale sarà richiesto perlomeno di misurare l’effettiva copertura dei contratti nazionali. E per farlo serve una legge sulla rappresentanza, che andrebbe subito a vantaggio dei tanti lavoratori a cui vengono applicati accordi peggiorativi.
Nonostante gli stessi contratti leader in alcuni casi siano a loro volta molto “poveri”, soprattutto nei servizi, le differenze in termini di retribuzione posso superare il 30%.
Commercio, bar e ristoranti
I contratti ritenuti maggiormente rappresentativi, firmati da Cgil, Cisl e Uil, sono stando all’ultima ricognizione del Cnel solo 211 su un totale di oltre 940. Il comparto del commercio e dei servizi è una vera giungla con oltre 200 contratti registrati. I principali per numero di persone coperte sono il ccnl della distribuzione firmato da Confcommercio (2,3 milioni di lavoratori sparpagliati in 381mila attività) e quello dei pubblici esercizi di Fipe (592mila addetti). Entrambi con i sindacati confederali come controparte, entrambi scaduti da alcuni anni ma con trattamenti economici migliori rispetto, per esempio, a quelli siglati dal sindacato Cisal, assai vicino all’attuale governo, e da Confsal, al cui congresso nazionale il 27 giugno parteciperanno sei ministri.
Il ccnl di Confcommercio riconosce a un garzone o addetto alle pulizie un minimo di 1.281 euro, a un commesso 1.616 euro e a un aiuto commesso 1.508, sempre per 14 mensilità e con maggiorazioni del 30% per i festivi, del 15% per gli straordinari (20% oltre la 48esima ora) e del 50 per i notturni.
La distanza rispetto al contratto dell’Associazione nazionale per l’industria e il terziario (Anpit)-Cisal è molto ampia: del resto in quell’accordo, applicato a 45mila lavoratori, si legge che “i vecchi contratti preferiscono la morte delle aziende e dei posti di lavoro piuttosto che cedere, seppur marginalmente, rispetto alle pregresse conquiste economiche e normative, trasformando quei sofferti benefici dei tempi migliori in dogmi intoccabili”.
Ecco, nel ccnl Anpit di dogmi non ce ne sono: la paga è differenziata per Regione, per cui un commesso junior parte da una base di 1.156 euro a cui si somma un “elemento perequativo” di 80 euro in Lombardia ma solo 21 in Sicilia, 17 in Campania e 10 in Calabria. Il totale oscilla quindi tra 1.166 e 1.236 euro. Per una hostess o un addetto alla biglietteria non si va oltre i 1.145 euro mensili in Lombardia e 1.080 in Calabria. Cifre al netto della “indennità di mancata contrattazione” (a questi livelli una settantina di euro) che spetta in assenza di contratto aziendale di secondo livello. Non c’è la quattordicesima, le ore di lavoro salgono da 40 settimanali fino a 45, la maggiorazione per straordinario festivo si ferma al 25%, quella per il notturno con preavviso al 22%. E chi ha un part time – casi molto frequenti – riceve per lo straordinario con preavviso solo una maggiorazione oraria del 25%, contro il 35% in più del contratto Confcommercio.
Anche il ccnl intersettoriale Cifa-Confsal consente differenziazioni regionali, con paghe più basse per le piccole società che operano al Sud e per tutte quelle che hanno sede in piccoli Comuni sotto i 10mila abitanti o nei territori in stato di calamità. Un aiuto commesso nelle “aree svantaggiate” prende in base al contratto solo 1.234 euro (con quattordicesima) contro i 1.542 euro che sono la retribuzione normale. Un garzone in Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania e Puglia o in un piccolo centro guadagna 1.047 euro contro i 1.309 del resto d’Italia. I giovani devono mettere in conto un’ulteriore riduzione: nel primo anno di lavoro è prevista una “retribuzione di primo ingresso” pari a circa il 75% di quella che prendono i colleghi più esperti.
Nel settore dei pubblici esercizi il contratto Fipe–Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil offre a un cameriere di ristorante 1.562 euro, a un cassiere di bar o banconiere di gelateria 1.462, con maggiorazioni del 30% per gli straordinari, del 25% per il lavoro notturno e 20% per il festivo. I 29 ccnl concorrenti sono tutti più o meno peggiorativi. Un cameriere specializzato inquadrato con il ccnl Anpit-Cisal per Turismo, agenzie di viaggio e pubblici esercizi prende, tenendo conto del rinnovo arrivato nel 2022, 1.337 euro in Lombardia, 1.264 in Sicilia e 1.239 in Calabria (al netto dell’eventuale indennità mensile di mancata contrattazione). Cifre che scendono di un centinaio di euro per un banconiere o addetto alla cassa. L’intersettoriale Cifa-Confsal equipara camerieri, cassieri e baristi (ricadono tutti nel quinto livello) e ferma le paghe a a 1.456 euro come standard, 1.165 nelle aree svantaggiate.
Metalmeccanica
Il contratto principale per i metalmeccanici è quello firmato da Federmeccanica con i confederali. Vale per 1,5 milioni di lavoratori impiegati in oltre 60mila aziende. Per il livello più basso, il D1 – riservato a chi ha compiti operativi per cui non servono conoscenze professionali specifiche – prevede un minimo di 1.488,89 euro mensili che però, grazie a una clausola di garanzia legata all’inflazione inserita nell’ultimo rinnovo, da giugno aumenteranno di 99,6 euro arrivando a 1588,9. Già il ccnl principale (Confartigianato-confederali) per i dipendenti da imprese artigiane della metalmeccanica e dell’installazione di impianti, applicato a oltre 500mila lavoratori, ha però condizioni assai peggiori: poco più di 1.270 euro per il livello base. I ccnl firmati da organizzazioni non comparativamente più rappresentative, pur del tutto minoritari come numero di addetti coinvolti, hanno livelli retributivi più bassi spesso di oltre il 30%: quello sottoscritto dalla Cisal con un gruppo di associazioni datoriali che va da Anpit a Confimprenditori e Federodoontotecnica, applicato a circa 4mila persone in 357 aziende, secondo le tabelle del Cnel ha minimi di soli 1.001 euro per il livello D2 che comprende gli operai.
Logistica
I lavoratori inquadrati nel ccnl logistica, trasporto merci e spedizione rinnovato nel 2021 da Assologistica, Confetra e Federlogistica con Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti partono da poco meno di 1.500 euro al mese per le mansioni più semplici (facchini, addetti alle consegne in motorino ai primi mesi di incarico) che salgono a quasi 1.800 per chi guida un camion che richiede la patente C. Sotto quell’ombrello operano oltre 530mila lavoratori di 36mila imprese. Ma i contratti applicati da molte cooperative che lavorano in appalto per i big del settore sono spesso ben altri.
Come quello dell’Unione nazionale cooperative (Unci) con la Federazione autonoma dei sindacati dei trasporti (Fast Confsal), scaduto nel 2017, che prevede minimi da 1.260 euro per i soci e 1.300 per i non soci. Per non parlare dell’inquadramento dei rider, per i quali è ancora consentito il cottimo e il contratto Assodelivery-Ugl – bocciato da diversi tribunali – prevede solo “un compenso minimo per una o più consegne” pari a 10 euro l’ora che la piattaforma può “riparametrare” se stima che per recapitare il pasto sia servito meno tempo.
(da Il fatto Quotidiano)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
“SENZA VOTI DELLA LEGA ARRIVERANNO QUELLI DELL’OPPOSIZIONE, NOI CI SIAMO”
«Dopo un balletto con l’Unione europea che ci saremmo potuti evitare, ci sarà un cambio di rotta, come su molte altre promesse elettorali. E se Meloni non avrà il sì della Lega, i voti arriveranno dall’opposizione» per la ratifica del Mes. Sono le parole del leader di Azione, Carlo Calenda, in un’intervista a Il Messaggero. Sul Mes noi ci siamo, come abbiamo sempre detto, ha proseguito Calenda, sottolineando che si dice «certo» che il governo, alla fine, «dirà sì». Calenda ha spiegato che da parte di Azione arriveranno anche i voti a sostegno della riforma della Giustizia del ministro Nordio: «il nostro progetto era molto simile». Quanto al futuro di Azione, Calenda ha escuso in toto la nascita di un fronte che includa sia il Partito democratico sia il M5s, perché «allo stato attuale, un’alleanza è impossibile: con la linea di Schlein c’è troppa distanza. La segretaria ha legittimamente impresso una svolta a sinistra, ma sui singoli temi possiamo creare convergenze».
E in vista delle Europee che succederà tra Calenda e Renzi? Il leader di Azione, sull’ex alleato, taglia corto: «Ha scelto lui di autoescludersi, quando ha fatto in modo che il partito unico del Terzo polo non vedesse la luce chiedendo mani libere per Italia Viva. Un cambiamento di rotta incomprensibile per due milioni di elettori che ci hanno sostenuto alle Politiche, con il mio nome nel simbolo».
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
SIAMO DI FRONTE A UN’EVASIONE DI MASSA CON UN GOVERNO COMPLICE CHE CONDONA TUTTO
Il 60% dei cittadini italiani vive con meno di mille euro lordi al mese. O almeno questo è quanto dichiarano. Nel dettaglio, il 23,75% dei contribuenti dichiara redditi da negativi a 7.500 euro lordi. Il 18,84% tra i 7.500 e i 15mila euro. Quindi, il 42,6% degli italiani che pagano le tasse contribuisce all’1,73% dell’Irpef, ovvero 175, 4 miliardi. Mentre, il 13,5% risulta con redditi tra i 15 e i 20 mila euro, e paga il 5,65% dell’Irpef. Infine, la fascia tra il 20 e i 29mila riguarda il 22,1% del totale. È quanto rivelano i dati riportati dal Corriere Economia. Siamo quindi un Paese con una grande fascia di persone che fatica ad andare avanti. Ma appare anche che – al tempo stesso – cerchi di trovare fortuna in altri modi.
Nel 2022 il record assoluto
Secondo i dati del Libro Blu dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nel 2022 il nostro Paese ha toccato il record assoluto nella spesa per il gioco d’azzardo. Che si attesta a 136 miliari di euro. Nel 2021 era a 111,7 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti altri 20 miliardi per il gioco irregolare in mano alle associazioni criminali. Lo scorso anno la spesa media per il gioco, togliendo la parte illegale, è stata di 2.320 a cittadino. Nel 2021 era di 1.886 euro.
Evasione di massa?
Tra i dati rilevanti vi è anche quello degli smartphone. Su meno di 60 milioni di abitanti i cellulari nel 2022 risultano essere 78,2 milioni, in crescita di 200mila unità rispetto all’anno precedente. Pertanto, il 97,5% di cittadini italiani ha almeno uno smartphone.
Si parla quindi di quasi l’intera popolazione. In crescita anche il numero di coloro che possiedono un computer, ovvero il 75% delle persone del nostro Paese. I consumi schizzano, mentre gli introiti faticano ad aumentare. Dati che rivelano una potenziale evasione di massa.
(da agenzie)
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