Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
SONO 10.000 I MEDICI PRONTI A LASCIARE
Negli ultimi sei mesi sono stati circa 5mila i medici che hanno chiesto al sindacato (Anaao, il più rappresentativo) informazioni per lasciare la sanità pubblica.
Sta in questo dato l’allarme sulla fuga dei medici da ospedali e pronto soccorso. Molti di questi pensano di andare all’estero, altri di lavorare nel privato e c’è anche chi vuole invece andare in pensione in anticipo. Poi c’è anche chi chiede per capire se convenga lasciare l’esclusività del Sistema sanitario nazionale per lavorare anche in privato.
Le condizioni sono di certo peggiorate, come dimostrano i numeri: nel 2021 hanno lasciato il settore pubblico in duemila, nel 2022 sono saliti a quasi 3mila. E quest’anno la cifra potrebbe nettamente aumentare: come racconta La Stampa sono 10mila i medici pronti a lasciare gli ospedali o a ridurre la loro presenza.
Pierino di Silverio, segretario nazionale Anaao, spiega che c’è già stata una manifestazione il 15 giugno contro le condizioni precarie di lavoro e per esprimere le difficoltà nel raggiungere livelli accettabili di assistenza, ora non garantiti a causa delle infinite liste d’attesa e del caos nei pronto soccorso. E già da settembre potrebbe scattare qualche nuova mobilitazione, con anche degli scioperi.
Anche perché i medici lamentano la situazione sul rinnovo del contratto, scaduto nel 2021. L’aumento medio previsto (del 4%) non viene ritenuto sufficiente, considerando che è molto meno di quanto perso a causa dell’inflazione. In più i medici chiedono migliori condizioni di lavoro: pensiamo, per esempio, alla media di 300 ore di lavoro extra non pagate e non recuperate.
L’estate porta con sé il timore di reparti vuoti, a causa delle ferie dei medici. Il rischio riguarda soprattutto la medicina d’urgenza, ma anche le sale operatorie a causa della carenza degli anestesisti e i reparti di infettivologia. C’è poi un altro elemento che viene sottolineato, riguardante il numero degli specializzandi, che sono in fuga da alcuni reparti: se vanno bene le cifre su dermatologia e chirurgia plastica (dove il privato dà più possibilità), vanno invece malissimo la virologia (quasi l’80% di posti liberi) e la specializzazione in medicina d’emergenza, ovvero i pronto soccorso (61% di posti vacanti).
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
LA REPRESSIONE HA DIMENSIONI SOVIETICHE
“Non importa se i risultati sono irraggiungibili, bisogna essere
ottimisti e combattere”, dice Oleg Orlov, uno dei più rispettati attivisti russi per i diritti umani. Ha iniziato come dissidente durante l’era sovietica e dissidente è ritornato: l’attivismo è diventato impossibile, con l’involuzione del regime di Putin e la repressione.
Memorial, l’Ong per i diritti umani fondata in Russia negli anni del crepuscolo comunista e che ha indagato i crimini commessi da Stalin e dai suoi successori, è stata dichiarata “agente straniero” e poi ufficialmente dissolta dal Cremlino subito dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma continua a lavorare sottobanco.
Orlov ha criticato duramente l’aggressione al Paese vicino e la guerra al dissenso in corso in Russia. Come migliaia di suoi concittadini, è ora perseguito sulla base delle nuove leggi con cui il governo si è attrezzato per stroncare ogni opposizione alla sua “operazione militare speciale” e alla sua politica. È accusato di aver violato l’articolo 280.3 del codice penale russo. Il reato consiste nell’intraprendere “azioni pubbliche volte a screditare le forze armate utilizzate al fine di proteggere l’interesse della Russia e dei suoi cittadini al mantenimento della pace e della sicurezza”.
Eppure, nota Orlov, la guerra in Ucraina è “senz’altro contraria” all’interesse della Russia e dei suoi cittadini. Per non parlare poi delle parole dell’articolo sul “preservare la pace e la sicurezza internazionali”. Ma non c’è da stupirsi. La Russia di Putin è diventato il Paese di Orwell. Pace vuol dire guerra. E anche l’articolo 29 della sua Costituzione, che prevede la libertà di parola, è all’insegna del “doublespeak” orwelliano: afferma una cosa per significare il contrario. Esprimere il proprio pensiero oggi in Russia di fatto è proibito.
Raggiungiamo Oleg Orlov in videoconferenza nella sua casa in un tranquillo quartiere residenziale moscovita. Ci rivolgiamo a lui con nome e patronimico, in segno di rispetto secondo l’usanza russa.
Oleg Petrovich, l’accusa contro di lei è paradossale, visto che è stata la Russia a invadere l’Ucraina. Ma poteva aspettarsela. Sapeva di esser nel mirino. Ora rischia fino a tre anni di prigione. E solo lo 0,3% degli imputati viene assolto, nei tribunali russi. Perché è rimasto a Mosca?
“Per due motivi. Il primo ha a che fare direttamente col mio lavoro: sono responsabile di un dipartimento di Memorial di cui fanno parte soprattutto persone che lavorano qui. Non sarebbe bello se gestissi i miei colleghi rimasti in Russia standomene in un posto più sicuro. Altri esponenti di Memorial, che si occupano di diritti umani, possono benissimo lavorare dall’estero. Il mio amico Sergei Davidis, per esempio, ha potuto organizzare da fuori un programma per aiutare i prigionieri politici, e funziona. Ma nel mio caso al momento non vedo come potrei andarmene e continuare con la mia attività”.
E questo è un motivo “professionale”, per così dire. Secondo motivo?
“Credo che dalla Russia la mia voce si senta più forte e suoni in modo migliore. Sia in Russia sia all’estero: stando qui guadagno in autorevolezza. È importante, per quello che faccio”.
La repressione si fa sempre più drastica, le pene per i dissidenti sono molto severe. Si è tornati ai tempi dell’Urss?
“Ovviamente ci sono parallelismi: in pratica è tornata l’era del totalitarismo sovietico. Il numero dei prigionieri politici oggi è addirittura superiore rispetto a quello dei tempi di Brezhnev”.
Quanti sono i prigionieri politici?
“Secondo l’elenco di Memorial, sono 564. Ma si tratta di una stima conservativa. Impossibile avere tutti i dati su tutta la Russia. È solo la punta dell’iceberg. L’organizzazione Ovd-Info, specializzata nel monitorare le persecuzioni politiche, ha inoltre accertato poco meno di 20mila detenzioni temporanee e 584 casi penali ancora aperti — tra i quali il mio — per azioni di protesta contro la guerra”.
Insomma, peggio che ai tempi di Brezhnev…
“Anche perché le condanne sono più crudeli di allora. Si è ritirato fuori il reato di alto tradimento, per cui si possono facilmente prendere 25 anni di galera, come nel caso del politico di opposizione Vladimir Kara-Murza (il codice penale lascia ampia discrezionalità interpretativa al giudice, che può anche considerare “alto tradimento” qualsiasi collaborazione o contatto con entità straniere, ndr). C’è poi l’articolo che punisce le ‘informazioni consapevolmente false’ sulle forze armate: per poche parole si può esser condannati fino a dieci anni (è il caso, tra gli altri, dell’attivista Dmitri Ivanov e dei politici Ilya Yashin e Alexei Gorinov — da cui l’articolo è stato soprannominato ’Gorinovskaya’, ndr). E nella ‘cassetta degli attrezzi’ predisposta dal regime per stroncare ogni dissenso va annoverato anche l’articolo che prevede una pesante responsabilità penale per chi organizza un’organizzazione ‘estremista’, dove per ‘estremista’ il giudice può intendere qualsiasi cosa non piaccia al governo”.
Con tutta questa repressione, esiste ancora una società civile in Russia?
“Esiste. E continua a lavorare. In condizioni molto difficili di semi-clandestinità. È una società civile ‘underground’. Una parte significativa di essa ha lasciato la Russia, ma siamo continuamente in contatto: lavoriamo insieme ogni giorno, in videoconferenza. Riunioni su riunioni”.
E portano a qualcosa, le vostre riunioni? In particolare: riuscite a sensibilizzare l’opinione pubblica all’estero? Forse — come successe per la dissidenza sovietica — il sostegno internazionale è importante. O no?
“È molto importante. Può portare a scambi di prigionieri. I nostri ‘politici’ contro le spie russe detenute all’estero. È una cosa a cui puntiamo e che può esser influenzata dalle pressioni dell’opinione pubblica internazionale. Come avveniva in passato. E poi, è importante l’assistenza finanziaria. Il 12 giugno scorso i media russi ‘emigrati’ all’estero hanno organizzato una maratona a sostegno dei prigionieri di coscienza in Russia e hanno raccolto diversi milioni di rubli. Serviranno per aiutare le famiglie, per le spese degli avvocati — che devono fare lunghi viaggi per visitare i loro assistiti in carceri spesso lontane migliaia di chilometri — e per assumerne di nuovi, di avvocati”.
Scambi di prigionieri, campagne internazionali a favore dei detenuti politici: cose già viste tanto tempo fa. Ma è possibile che la Storia della Russia abbia sempre un andamento circolare? Che non si riesca mai a spezzare il cerchio della violenza dello Stato, dei totalitarismi più o meno ibridi che tornano a infierire — magari dopo periodi di torbidi (nella domanda utilizziamo il termine russo ‘smuta’, che indica il dissesto precedente all’ascesa al trono di casa Romanov, ndr) come quello degli anni ’90?
“È una realtà su cui riflettere. E, come attivisti per una Russia migliore, lo stiamo facendo. Secondo me, il problema principale è che la Russia è stata un impero e non riesce ad abbandonare la sua eredità imperiale. La ‘coscienza imperiale’ risiede nella testa della maggior parte dei russi. Me compreso. Per questo non riusciamo a rompere il cerchio della violenza e dell’autoritarismo statale”.
Lei però ci prova da una vita a rompere il cerchio dell’autoritarismo statale russo. Nell’agosto del 1991, per esempio, era a difendere la ‘Casa Bianca’ di Mosca contro i golpisti del Kgb che volevano rovesciare Gorbachev e far tornare il Paese al totalitarismo. Oggi che pensa? Il Kgb alla fine ha vinto?
“Purtroppo è così: trent’anni dopo il golpe e il fallimento della democrazia, i ‘putchisti’ del Kgb hanno vinto”.
Alla prima udienza del processo che la vede imputato, lei è entrato in aula con in mano un libro del politologo Alexander Baunov. Titolo ‘La fine del regime’. Il libro non parla della Russia ma di altri regimi. Interessante però che in Russia vada a ruba e che lei se lo porti in un tribunale di Mosca. Allora: come finirà il regime? Quello di Putin.
“Si prospettano diversi scenari. Il più rapido e forse il migliore: la guerra in Ucraina si mette al peggio, Putin lascia il potere, o perché lo trasferisce più o meno volontariamente a un successore o perché viene defenestrato (non in senso letterale, intende Orlov ndr). In questo caso tutto avverrebbe molto velocemente — proprio come descrive Baunov. Dalle élites al potere emergerebbero riformatori che inizierebbero immediatamente a cambiare la Russia in senso democratico. Un po’ come successe con Khrushchev dopo la morte di Stalin, fatti i dovuti distinguo. Se succedesse questo, i russi dell’emigrazione e la società civile rimasta in patria avrebbero un ruolo cruciale nel vigilare sulle riforme impedendo che siano solo cosmetiche”.
E un altro scenario per la fine del regime, quale potrebbe essere?
“Il peggiore sarebbe quello in cui, in seguito alla guerra, il regime risulti incapacitato ma resti simile a se stesso per lunghi anni, nel corso dei quali la situazione in Russia diventerebbe putrescente. Il Paese resterebbe indietro rispetto al resto del mondo. E il tutto finirebbe con un’implosione che distruggerebbe la Russia e porterebbe all’anarchia, oltre che al crollo del regime.”
Tornando a lei: ma vale la pena combattere e andare in galera per risultati forse irraggiungibili? Al contrario dei politici, i dissidenti devono lottare anche senza speranza? L’etica oltrepassa la politica?
“Ah, certamente sì. Serve ottimismo, anche senza speranza (Oleg Orlov si schernisce e sorride, ndr)”.
(da Fanpage)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
ELLY SCHLEIN AVVISA LA MINORANZA INTERNA: “IO RISPONDO ALL’ELETTORATO DELLE PRIMARIE CHE MI HA VOTATO”
Non sarà una direzione di ruotine quella di oggi per Elly Schlein. Lo dimostra il fatto che anche i big della minoranza del partito, in genere restii a esporsi in prima persona per evitare tensioni, oggi interverranno: Stefano Bonaccini, Lorenzo Guerini e Matteo Orfini ieri scrivevano i loro interventi.
Rinviata due volte (per i funerali di Silvio Berlusconi e di Flavia Franzoni) alla fine questa riunione è arrivata. E i giorni hanno contribuito a far fibrillare ulteriormente i dem. Un pezzo del partito (i cui esponenti provengono anche dalla maggioranza) ritiene che Schlein non possa dedicarsi solo alle piazze. Tanto più che ogni tanto, come è accaduto sabato, questa sua propensione al movimentismo non le porta bene
Ma la leader dem non ha intenzione di fare ammenda: «Basta con il partito paternalista. Ho fatto bene ad andare in piazza. E continuerò a farlo ogni volta che ci sarà bisogno», si sfoga con i fedelissimi. Schlein ripete «Io rispondo all’elettorato delle primarie che mi ha votato e che chiedeva una nuova politica, quindi con me non torneranno mai le vecchie logiche e i vecchi riti correntizi. Io non mi farò ingabbiare».
Con chi l’ha interpellata ieri la segretaria è stata netta: «Non torniamo indietro anche perché daremmo l’immagine di un partito paternalista nelle mani di pochi saggi, per la maggior parte uomini. Mi chiedo se sarebbe accaduto lo stesso con un segretario uomo. In ogni caso, io sono qui per fare altro». Tradotto: Schlein non ha nessuna intenzione di farsi commissariare o anche solo condizionare dai big del suo partito.
Perciò, almeno all’apparenza, la segretaria tira dritto. Oggi, come programmato da molti giorni, chiamerà il Pd a una grande mobilitazione su un’agenda che va dalla precarizzazione del lavoro ai tagli alla sanità e scuola pubbliche e al Pnrr.
Nella minoranza però vorrebbero porre un argine al movimentismo della segretaria. Ieri, nella chat di alcuni esponenti dell’area Bonaccini circolava un video in cui si vede Jasmine Cristallo, la «Sardina» che Schlein ha voluto in Direzione, che si avvicina tutta affannata a Conte, gli prende la mano e la porta alle labbra. I commenti, ovviamente, conditi con espressivi emoticon, si sono sprecati. Certo, anche per l’area Bonaccini non è facile rintuzzare le sortite della segretaria senza andare allo scontro
(da Corriere della Sera)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
UN VIAGGIO TRE VOLTE PIU’ LUNGO DI QUELLO DOVE AVREBBERO DOVUTO SBARCARE 117 PROFUGHI IN BASE ALLE LEGGI INTERNAZIONALI
La nave umanitaria di Open Arms ha soccorso 117 persone nel
Mediterraneo centrale, al largo delle coste libiche. Le autorità italiane hanno assegnato alla Ong il porto di Livorno, a circa quattro giorni di viaggio: “È un viaggio tre volte più lungo di quello al porto sicuro più vicino in Sicilia, dove ci saremmo dovuti sbarcare secondo le convenzioni internazionali”, ha commentato Open Arms, sottolineando come le sofferenze alla fine ricadano sempre sui più vulnerabili. Come in questo caso, in cui 117 naufraghi in fuga da Sudan, Eritrea e Libia, “dei Paesi dilaniati dal conflitto in cui violenze e abusi prevalgono”, dovranno attendere diversi giorni prima di arrivare al porto sicuro.
“Puniscono le organizzazioni della società civile che rispettano la normativa internazionale e il diritto del mare”, ha proseguito la Ong. “Dopo aver soccorso 117 persone, tra cui 25 donne e un bimbo piccolo, le autorità italiane ci hanno assegnato come porto di sbarco Livorno. Abbiamo fatto presente che il porto è molto lontano, si tratta di quattro giorni di navigazione, una sofferenza inutile per le persone soccorse, già provate dal viaggio in mare”, ha aggiunto il fondatore di Open Arms, Oscar Camps.
“Ricordiamo che le Convenzioni internazionali prevedono lo sbarco in un porto vicino e vanno rispettate”, ha poi aggiunto. In un altro post la Ong ha fatto sapere: “Durante la traversata verso Livorno, abbiamo incontrato tre differenti imbarcazioni precarie e in difficoltà. Abbiamo messo al sicuro tutte le persone a bordo e atteso l’arrivo della Guardia Costiera italiana. Sono moltissime le imbarcazioni in pericolo, per questo allontanare le navi umanitarie assegnando porti distanti aumenta il rischio che tragedie come quella avvenuta in Grecia possano ripetersi”.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
DANIELA, I SUOI AFFARI E L’AIUTO DELL’AVV. IGNAZIO
Si intitola Open to fallimento il lungo servizio a cura di Giorgio Mottola che Report, in onda stasera dalle 21.20 su Rai3, ha dedicato alle attività imprenditoriali dell’attuale ministra del turismo Daniela Santanché. Ripercorrendo la carriera della senatrice di FdI, Mottola si concentra in particolare su due vicende note ai lettori del Fatto. La prima riguarda il colosso del biologico Ki Group, costantemente in perdita negli anni passati sotto la gestione della ministra e dell’ex compagno Canio Mazzaro.
Una cattiva gestione – secondo i dati raccolti da Report – che ha portato la società da un valore di borsa da 35 milioni di euro a 469 mila euro. Santanché, allora sottosegretaria nel governo Berlusconi, insieme a Mazzaro, che era a capo della cordata, acquisisce Ki Group con un esborso minimo, grazie alle ottime condizioni concesse da Monte dei Paschi di Siena.
Un documento inedito mostrerà come Mazzaro si sia fatto carico del debito di 6 milioni di euro che aveva contratto con Mps la famiglia Burani (che controllava Ki Group, ma era stata travolta dallo scandalo di una bancarotta fraudolenta).
Ma per saldarlo si fa prestare i 6 milioni dallo stesso Monte dei Paschi di Siena, a cui dà in garanzia le azioni di Ki Group. Un debito con la banca che, secondo Report, non è mai stato ripagato. Ma è la vicenda del gruppo editoriale Visibilia a creare più imbarazzo, coinvolgendo sia la ministra sia l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa.
Il servizio ripercorre la vicenda degli aiuti Covid erogati per manager che risultavano in cassa integrazione ma continuavano invece a lavorare a tempo pieno in violazione della legge. E si focalizza sulla strana operazione finanziaria che ha portato, in base a un contratto firmato l’8 ottobre 2021, il fondo Negma, con sede a Dubai e registrato nelle Isole Vergini Britanniche, ad acquistare obbligazioni di Visibilia per tre milioni di euro. Negma che convertiva le azioni quando il titolo era molto basso, e le vendeva quando il valore dell’azione di Visibilia improvvisamente risaliva, riuscendo a guadagnare quasi 1,5 milioni di euro su un prestito di 5 milioni.
Operazione che porta Visibilia a perdere il 97% del suo valore in borsa, e, come già scritto dal Fatto, arricchisce il fondo, appiana i debiti delle società e punisce gli azionisti: uno di loro, Giuseppe Zeno, ha denunciato tutto alla procura vedendoci una possibile manipolazione del mercato. Sull’operazione indagano i pm di Milano.
Non è possibile sapere chi c’è dietro al fondo emiratino, il cui presidente è un arabo, Elaf Gassam, ma Report nota come Ignazio La Russa, avvocato di Visibilia e delle società di Santanchè, abbia mandato a MilanoToday anche due diffide a nome del fondo Negma. La Russa non ha risposto alle domande di Report, mentre Dimitri Kunz, l’attuale compagno di Santanché e ad di Visibilia, nega che si tratti dell’avvocato di Negma: “Ha solo mandato le diffide”.
(da Open)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
FORTE CON I DEBOLI E GARANTISTA CON CHI GESTISCE IL POTERE
Il reato di tortura? Da abolire. L’abuso d’ufficio e il traffico di
influenze? Da cancellare o depotenziare. In questo agire c’è l’essenza della destra al governo, figlia del berlusconismo. C’è l’idea di una giustizia forte con i deboli e garantista con chi gestisce potere.
È il garantismo della destra erede del sogno del Caimano, genuflessa davanti ai potenti, giustizialista nei confronti di chi nulla ha. Nessuna delle norme presenti nel pacchetto Nordio migliorerà la vita degli indagati senza diritti davanti alla legge. Ogni punto mira a proteggere politici, faccendieri, lobbisti, imprenditori da possibili indagini della magistratura. Persino il lodevole tentativo di migliorare il processo decisionale sulla carcerazione preventiva si riduce a una farsa.
Non potevamo aspettarci molto di diverso da una coalizione che è stata già al potere per lustri, seppure con equilibri diversi al suo interno. Sono gli eredi di chi ha firmato leggi come la Bossi-Fini sull’immigrazione, nella quale era previsto l’arresto obbligatorio per chi veniva fermato senza permesso di soggiorno (la Corte costituzionale ha poi dichiarato illegittimo quell’articolo). Sono gli eredi della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, la quale ha contribuito più di ogni altra legge al sovraffollamento carcerario.
Con il tentativo di abolire l’abuso d’ufficio e di rendere inefficace il reato di traffico di influenze è finalmente chiaro il progetto della destra di governo: liberare da lacci e lacciuoli chi gestisce il denaro pubblico, cioè le risorse di tutti. L’abrogazione dell’abuso permetterà di affidare appalti in via diretta (quando possibile) ad amici, parenti, amanti, cugini, clientele varie ed eventuali, senza il rischio di incorrere in processi. La rimodulazione del traffico di influenze – con l’idea che affinché il delitto si consumi sia necessario un passaggio di denaro – porterà all’azzeramento di indagini sulle trame tessute da mediatori in doppio petto che sfruttano le relazioni con la politica per ottenere commesse, appalti, servizi. Sono, tuttavia, rarissime ormai le bustarelle zeppe di contanti: i trafficanti di influenze pagano in consulenze, offrono viaggi da sogno, regalano carte di credito aziendali. Nordio vanta di essere uno dei magistrati del caso Mose, una delle maggiori operazione contro la corruzione fatta in Italia. Come può ignorare l’evoluzione del fenomeno?
Il testo presentato ha più il sapore di una rappresaglia servita fredda, a distanza di anni. La resa dei conti è evidente pure contro l’antimafia. Nordio accusa i magistrati anti clan di vedere organizzazioni criminali ovunque: l’ultimo a subire un attacco di questo tenore è stato Pietro Grasso, ex presidente del Senato, una vita trascorsa in prima linea contro Cosa nostra. La vendetta tocca anche i media: la limitazione della pubblicazione delle intercettazioni prevista dal testo della riforma è l’ennesimo tentativo di lasciare i cittadini all’oscuro di fatti che sono di interesse pubblico al di là della loro rilevanza penale. L’elogio del silenzio, il migliore alleato del malaffare.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
LAVORA A SFAX E HA UNA SOCIETA’ DI COPERTURA… I PREZZI E L’AIUTO DEI COLLETTI BIANCHI
Si chiama M.B. Ed è uno dei passeur più importanti di Sfax in Tunisia. Al vertice di una delle organizzazioni mafiose che organizzano i passaggi illegali dei migranti verso il Mediterraneo, oggi in un’intervista a Repubblica spiega come funziona il suo business.
Ha 29 anni e parla della sua attività come «un’agenzia di viaggi illegale». Dice in un’intervista a Repubblica che ha dei clienti e che ci sono domanda ed offerta, come in qualunque mercato.
«Sono originario delle isole Kerkennah», dice. «Ho iniziato dal basso, cinque anni fa. Partecipavo all’organizzazione dei viaggi, ma non sono stato mai scafista. I clienti erano contenti, mi sono fatto un nome e poi un gruzzolo. Ho iniziato a investire nelle trasferte». Parla in francese. Ha anche frequentato per un po’ l’università.
Una copertura
Dice di avere una copertura per i suoi affari: «Una società in regola in un altro settore». Che gli serve «per lavare il denaro sporco e giustificare il mio tenore di vita». È al vertice di una piramide che prevede «coordinatori» a diversi livelli. C’è chi raccoglie i clienti, chi si procura le barche, chi rimedia i motori. Fino a chi guida la barca e diventa scafista: «Fra loro non si conoscono. Solo io conosco tutti». Usa il cellulare per dare ordini e istruzioni. E barche di legno per passare sul Mediterraneo perché quelli metallici sono troppo pericolosi.
«Viaggiano donne con neonati o famiglie intere. Non voglio macchiarmi le mani del loro sangue. E poi un naufragio è un grosso rischio anche per me». Un organizzatore di viaggi clandestini si è preso 79 anni di carcere perché il suo barchino è affondato: «Grazie a Dio non ho mai avuto un naufragio», sostiene invece lui nel colloquio con Leonardo Martinelli.
L’harka
Ma per lui «anche chi viaggia si assume rischi e responsabilità». «Se i viaggi si sono ridotti, è solo perché il tempo è strano quest’anno. Soffia un vento forte. È il cambiamento climatico. Non fatevi illusioni».
Gli accordi che Giorgia Meloni e l’Ue negoziano con la Tunisia (soldi in cambio di un blocco dei migranti nel Mediterraneo) non serviranno. «Neppure il profeta in persona potrebbe bloccare l’harka», dice M.B. Non finirà perché «in Tunisia la gente è come strozzata: impedirgli di partire significherebbe ucciderli subito. Ormai qui siamo a un punto di non ritorno». E fa sapere che «ad agosto ho già trenta viaggi completi e pronti a partire. La Meloni si deve rassegnare».
I prezzi
Il trafficante di esseri umani ci tiene a far conoscere prezzi e tariffe: «Dipende sempre dal servizio fornito. Sono 2500-3000 dinari (740-880 euro) su una barca di legno con più di cinquanta persone a bordo. Chi, invece, ne pagherà 7000-8000 andrà nella stessa imbarcazione, ma solo con una trentina di migranti e due motori invece di uno, nel caso il primo faccia cilecca».
C’è perfino chi non paga. «Se qualcuno non ha i soldi, può partire gratis ma deve procurarci almeno cinque clienti. E poi, se in navigazione ci saranno problemi, dovrà essere il primo a saltare in mare».
Per ogni viaggio l’organizzazione investe 240 mila dinari, compreso l’acquisto della barca. Ne incassa 450 mila. «Io ne trattengo il 20% (oltre 12mila euro). Il resto lo divido tra i coordinatori, in genere sono cinque quelli coinvolti».
Il colletto bianco
Infine quando bisogna trovare i capitali per organizzare i viaggi lui si rivolge a uomini d’affari e liberi professionisti. Che gli forniscono il capitale iniziale per la preparazione delle barche di ogni viaggio.
«Ci sono sempre più controlli della polizia e i pescatori hanno paura, possono essere incriminati. Allora, facciamo costruire barche di legno qui nella zona di Sfax, in appena 5-6 giorni. I componenti sono già pronti, vanno solo assemblati. Ma è caro».
Lui fa tutto questo perché «mi sono dato un obiettivo. Una cifra ben precisa per realizzare un progetto personale e lecito».
(da Open)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
GLI AVVOCATI HANNO INIZIATO A CONSIGLIARE LA STRATEGIA
TheBorderline chiudono. Con un messaggio di 40 secondi
pubblicato dagli youtuber i ragazzi protagonisti delle sfide challenge che pubblica(va)no sui social e dell’incidente in cui è morto Manuel, 5 anni, annunciano lo stop alle attività sul loro canale Youtube: “Moralmente impossibile andare avanti”
Dopo lo scontro a Casalpalocco, alla periferia sud di Roma, vicino a Ostia, tra la Lamborghini noleggiata a 1500 euro al giorno e la Smart guidata dalla mamma del bambino che perso la vita nello schianto, il canale che conta 600mila iscritti era rimasto aperto. Ora il gruppo comunica con un ultimo messaggio di aver chiuso la sua attività.
Il testo del messaggio
“I TheBorderline esprimono alla famiglia il massimo, sincero e più profondo dolore – hanno scritto nel testo – Quanto accaduto ha lasciato tutti segnati con una profonda ferita, nulla potrà mai più essere come prima. L’idea di TheBorderline era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano. La tragedia accaduta è talmente profonda che rende per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il gruppo TheBorderline interrompe ogni attività con quest’ultimo messaggio. Il nostro pensiero è solo per Manuel”.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2023 Riccardo Fucile
I SONDAGGI PER ORA SPIEGANO CHE I NUMERI NON CI SONO…MA SU QUESTA FANTASIA TUTTI SI GIOCHERANNO LA CAMPAGNA ELETTORALE
Nelle praterie della politica si aggira una bufala.
L’aveva già segnalata Stefano Folli, su queste colonne, circa una settimana fa; ma il quadrupede circola indisturbato come se davvero tra un anno, dopo le elezioni europee, fosse plausibile, anzi probabile un ribaltone tipo quello che ha portato al governo la destra in Italia.
E’ un grosso “fake”, la nostra bufala non si regge in piedi. Eppure perfino l’ex ministro Giulio Tremonti, intervistato venerdì dalla Stampa, consiglia con eleganza ai leader europei di rinviare le decisioni sul futuro Patto di stabilità in attesa che si pronuncino gli elettori. Sottinteso: il 9 giugno 2024 sarà l’alba di un nuovo giorno, dal voto deriverà un “cambiamento strutturale” degli equilibri continentali per cui forse diventerà possibile ciò che oggi non lo è.
In pratica verrebbe battuta la maggioranza in carica, composta da Popolari, Liberal-democratici e Socialisti; al suo posto ne nascerebbe un’altra formata dai Popolari e dai Liberaldemocratici di Renew Europe (Ppe e Re le rispettive sigle), però stavolta con l’aggiunta dei Conservatori dell’Ecr, guidati da Giorgia Meloni, che rimpiazzerebbero gli odiati socialisti (S&D). L’asse politico rimbalzerebbe a destra.
Prima obiezione: con quali numeri? Oggi ne siamo lontani. L’aria che tira in Europa ce la registra tra gli altri un sito facilmente consultabile di documentazione e analisi (politico.eu) dove, per non far torto a nessuno, viene pubblicato un “Poll of Polls”, vale a dire una super-media dei principali sondaggi nei 27 Stati membri, quotidianamente aggiornata. Stando a questo barometro degli umori collettivi, la maggioranza in carica otterrebbe 383 seggi sui 705 del futuro Parlamento Ue, con 30 voti di margine. Al momento, un comodo vantaggio.
Cacciando i socialisti e inserendo al loro posto i meloniani d’Europa, il totale farebbe invece 329, cioè 24 seggi in meno del necessario.
A questo mondo può accadere la qualunque, perfino che nei prossimi 12 mesi la crescita dei Conservatori sia talmente impetuosa da colmare il gap con i partiti maggiori, il cui trend peraltro pare piuttosto stabile nel tempo, e senza danneggiare i potenziali alleati. Fingiamo che sia possibile. Sorgerebbe a quel punto un ulteriore problema. Non numerico ma politico.
Mettere insieme Conservatori e Liberal-democratici sarebbe come far convivere cani e gatti o, si preferisce, il diavolo e l’acquasanta.
Tra i boss di Renew Europe c’è un tal Emmanuel Macron per il quale sarebbe assurdo, indecente, politicamente osceno allearsi con la nostra Ducetta, e viceversa com’è naturale nell’ottica meloniana.
Chi teorizza un ribaltone europeo dovrebbe prima spiegare come conciliare quei due i cui interessi sono agli antipodi. L’ostacolo non sembra aggirabile neppure se i Popolari spendessero per Giorgia una buona parola col presidente francese. Quindi: o lui o lei. Ma sorge a questo punto una terza difficoltà che prescinde dai caratteri o caratterini: il potere in Europa appartiene in piccola quota al popolo, per la gran parte spetta ai governi. E la “Cupola” del potere governativo risiede ancora nel Consiglio Ue. Al cui interno gli equilibri non aiutano il ribaltone. Semmai il contrario.
Piccola nozione istituzionale, a questo punto necessaria per inquadrare il problema: il presidente della Commissione Ue viene designato alla luce degli orientamenti elettorali, tanto è vero che occorre un via libera del Parlamento; però la proposta discende dagli Stati membri, sono loro a indicare il nome del candidato dopo essersi messi d’accordo.
In ragione del peso specifico l’iniziativa spetta dunque alla Germania, dove il Cancelliere Olaf Scholz è socialdemocratico, quindi alla Francia (di cui s’è detto).
Tra un mese sapremo dove andrà la Spagna, in autunno avremo notizie dalla Polonia; ma l’asse franco-tedesco resterà invincibile; e tutti i segnali fanno pensare che dal cilindro alla fine rispunterà il nome di Ursula von Der Leyen, sorretta a Strasburgo dalle stesse famiglie politiche di quattro anni fa, più quelle che si aggiungeranno per motivi di convenienza.
Chi ha contezza delle dinamiche Ue ricorda come Ursula venne votata dai conservatori polacchi nonché dagli stessi sovranisti ungheresi per non smentire i rispettivi governi. Vuoi vedere che pure Giorgia dovrà aggregarsi alla solita comitiva, se non vorrà restare isolata nella scelta dei Commissari e poi quando i nodi veri (Pnrr, Mes, Patto di Stabilità, immigrazione) arriveranno al pettine? L’ipotesi che i Fratelli d’Italia finiranno per confluire nella “maggioranza Ursula” alla fine non sembra così peregrina; nelle segrete stanze, a quanto pare, se ne sta già ragionando; in quel senso Forza Italia e Ppe potrebbero diventare d’aiuto.
Ma allora: se il ribaltone conservatore in Europa ha le stesse percentuali di riuscita dell’Italia di Mancini ai prossimi Mondiali (forse perfino meno), come mai questa bufala continua a scorrazzare? Facile la risposta: per ragioni di propaganda. Tenere viva un’alternativa conviene alla destra, che vuole motivare gli elettori in vista delle Europee con la promessa di “cambiare verso” all’Unione, con Giorgia alla testa del cambiamento. Conviene altrettanto e forse addirittura di più alla sinistra, in quanto Giuseppe Conte e Elly Schlein avranno un motivo, una scusa, un pretesto, un mulino a vento contro cui lanciarsi al galoppo in mancanza di meglio. La narrazione in fondo fa comodo a tutti; peccato che non sia vera.
(da Huffingtonpost)
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