Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
“CANCELLARE I CONTRATTI PIRATA E INVESTIRE SU SANITA’ E ISTRUZIONE”
“È grave che il governo continui a non volersi confrontare seriamente col sindacato”. È quanto afferma il segretario della Cgil, Maurizio Landini in un’intervista al Corriere. “Vogliamo risolvere i problemi – aggiunge il leader del sindacato -. E per farlo bisogna cambiare le politiche del governo”.
“Aumentare i salari e le pensioni – aggiunge Landini -, contrastare la precarietà, non allargare voucher e contratti a termine. Cancellare il sistema degli appalti e subappalti, invece di modificare il codice e introdurre i subappalti a cascata come ha fatto il governo”.
“Cancellare i contratti pirata con una legge sulla rappresentanza. Introdurre il salario minimo per legge e investire su sanità e istruzione. Il governo – accusa il segretario della Cgil – anziché tassare le rendite e tutti gli extraprofitti usa dipendenti e pensionati come bancomat. Infatti, vorrebbe tagliare l’indicizzazione delle pensioni”.
“Come Cgil – aggiunge il leader della Cgil nell’intervista al Corriere – chiederemo ai lavoratori di votare sulle nostre proposte e di impegnarsi a sostenerle con la mobilitazione, fino allo sciopero generale, se necessario”. Il sindacato ha già annunciato di voler scendere in piazza il 7 ottobre prossimo contro il governo: “Se le nostre proposte non verranno accolte nella legge di Bilancio – afferma Landini -, scenderemo di nuovo in piazza”.
Il 28 agosto scorso la Cgil aveva scritto alla premier Meloni con una richiesta di incontro, ma ancora non c’è stata alcuna risposta, spiega il segretario, che dice: “È grave che il governo continui a non volersi confrontare seriamente col sindacato”. Alla manifestazione del 7 ottobre non partecipano né Cisl né Uil. Ma “con Cisl e Uil discuteremo insieme della manovra del governo”, assicura Landini.
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
SU CANALE5 NEL POMERIGGIO MYRTA MERLINO TENTERÀ DI CONVINCERE LE CASALINGHE DEL CAFFEUCCIO DELLA D’URSO… DOMANI SERA SU RETE4 BIANCA BERLINGUER RIFILERÀ I SOLITI ORSINI E CORONA AI TELEMORENTI… RADDOPPIA NICOLA PORRO CON “STASERA ITALIA” E “QUARTA REPUBBLICA”: TRA I COMMENTATORI SPUNTA FILIPPO FACCI, “EPURATO” DALLA RAI
La prima a partire con tutta la squadra in azione è Mediaset. Che, da oggi, dà il via alla stagione dell’approfondimento battendo la concorrenza sui tempi e proponendo volti e programmi nuovi. Un autunno di fuoco per la tv, dopo la girandola di anchorman dovuta alla rivoluzione Rai, che si accenderà realmente da metà settembre.
Da oggi pomeriggio Myrta Merlino prende il posto di Barbara d’Urso a Pomeriggio 5. Una scommessa voluta da Pier Silvio Berlusconi per orientare l’area delle news Mediaset verso un chiaro indirizzo giornalistico più che di infotainment. La prova della Merlino è da brividi: non è facile entrare nel cuore degli spettatori di Canale 5 che adoravano la d’Urso.
Stasera, invece, parte il «raddoppio» di Nicola Porro su Rete 4, il canale Mediaset dedicato all’informazione. Porro prende il posto di Barbara Palombelli a «Stasera Italia», la striscia quotidiana in onda alle 20,30 e poi (ovviamente solo il lunedì) dà la linea a sé stesso per «Quarta Repubblica». Per la striscia nuovo studio, grafica che ricorda le hard news americane ed editoriale del conduttore in apertura. Rilevante la scelta di avere come commentatore Filippo Facci, al centro della dura polemica (per un articolo sul caso di La Russa jr) che ha portato alla cancellazione del suo programma su Raidue ancora prima che cominciasse.
E, sempre su Rete4, martedì sarà la volta del debutto più importante: Bianca Berlinguer che lasciata la Rai non ha lasciato il suo talk. Si intitola, infatti, È semprecartabianca: […] largo spazio al siparietto con Mauro Corona, garanzia di ascolti e ospiti fissi Alessandro Orsini, Andrea Scanzi, ma non solo, ovviamente.
L’obiettivo è quello di allargare il pubblico raccogliendo anche spettatori vicini alle opposizioni: domani si comincia con un’intervista a Giuseppe Conte, presidente dei 5 Stelle e la settimana prossima alla segretaria del Pd Elly Schlein.
Nei giorni a seguire riprendono i programmi consueti: mercoledì Fuori dal coro con Mario Giordano, giovedì Dritto e Rovescio con Paolo Del Debbio (che dal 17 settembre al 22 ottobre raddoppia alla domenica), mentre Quarto Grado con Nuzzi il 15 settembre.
Nel weekend Augusto Minzolini comincerà la sua avventura a Mediaset conducendo la versione di Stasera Italia del sabato e domenica
La Rai riparte Presa diretta di Iacona con un’inchiesta sul cambiamento climatico, domenica prossima Monica Maggioni debutta a In Mezz’ora con un’intervista a Mario Draghi.
Poi bisogna aspettare il 3 ottobre per vedere il nuovo programma di Nunzia De Girolamo il cui titolo Avanti popolo sottolinea il coinvolgimento di persone comuni in studio, l’8 ottobre per Report trasferito dal lunedì alla domenica e il 23 settembre per Che sarà di Serena Bortone (in onda il sabato e domenica alle 20).
Nel frattempo continuano Il provinciale, Sapiens e Filo Rosso di Manuela Moreno, stasera in diretta da Caivano. Vespa ricomincia su Raiuno con Cinque Minuti l’11 e Porta a Porta il 12. La7 schiera tutta la sua potenza di fuoco a partire dall’11 con le novità di David Parenzo al posto di Merlino a L’aria che tira e Gramellini dal 23. Il «fuggiasco» Fazio comincerà sul Canale 9 da domenica 15 ottobre.
(da Il Giornale)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
A ESSERE PIÙ “MAMMONI” SONO I RAGAZZI (30,9 ANNI), RISPETTO ALLE RAGAZZE (29 ANNI)… NELL’UE, I PRIMI A LASCIARE IL “NIDO” FAMILIARE SONO FINLANDESI (21,3 ANNI), GLI SVEDESI (21,4) E I DANESI (21,7)
In Italia i giovani lasciano la casa dei genitori in media a 30 anni e al di sopra della media europea che si attesta a 26,4 anni. Escono di casa decisamente più tardi i ragazzi, con una media di 30,9 anni, rispetto alle ragazze (29 anni). Nell’Ue invece gli uomini hanno in media 27,3 anni, contro i 25,4 anni delle donne. E’ quanto rileva Eurostat con un’analisi dei dati del 2022.
Nell’Ue hanno un’età media di uscita di casa oltre o pari ai trent’anni anche Croazia (33,4 anni), Slovacchia (30,8), Grecia (30,7), Bulgaria e Spagna (entrambi 30,3), Malta (30,1). Medie più basse, e tutte sotto i 23 anni, sono state registrate in Finlandia (21,3 anni), Svezia (21,4), Danimarca (21,7) ed Estonia (22,7).
Nell’arco di 10 anni, l’età media dei giovani che lasciano la casa dei genitori è aumentata in 14 paesi dell’Ue, in particolare in Croazia (+1,8 anni), Grecia (+1,7) e Spagna (+1,6). Nel 2012, la media più bassa nell’Ue era stata quella della Svezia, dove i giovani hanno lasciato la casa dei genitori a 19,9 anni, tuttavia in 10 anni la media è aumentata di 1,5 anni. A livello dell’Ue, tra il 2012 e il 2022, l’età media è variata leggermente, con la più bassa registrata nel 2019 (26,2 anni) e la più alta nel 2012, 2014, 2020 e 2021 (26,5).
La differenza di genere che vede gli uomini uscir di casa più tardi delle donne emerge tutti i paesi. Il divario più ampio è stato riscontrato in Romania, dove i giovani uomini hanno lasciato casa a 29,9 anni e le donne a 25,4 anni (divario di genere di 4,5 anni), seguita dalla Bulgaria (divario di 4,1 anni), con gli uomini che hanno lasciato l’abitazione familiare a 32,3 anni e le donne a 28,2 anni. anni. Divari più ridotti al contrario per Lussemburgo (0,5 anni), Svezia (0,6), Danimarca e Malta (entrambi 0,7).
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DEL PARCO: “SI STANNO DIMOSTRANDO INDIPENDENTI, MA SONO IN GRAVE PERICOLO, NON SONO IN GRADO DI DIFENDERSI”
A quattro giorni dall’uccisione dell’orsa Amarena, i suoi cuccioli continuano a non farsi catturare. Per le persone che ne seguono le tracce è una lotta contro il tempo: i due gemelli hanno solo otto mesi e avrebbero dovuto rimanere con la loro madre fino alla primavera prossima. Ma un colpo di fucile ha cambiato il loro destino.
L’ultimo avvistamento è avvenuto sabato notte, non lontano dal centro marsicano teatro della tragedia: “Ormai abbiamo capito che si muovono da quest’area al Parco e viceversa. A dimostrazione che il corridoio lo conoscono molto bene: non sono rimasti fermi solo nella zona dove la loro madre è stata uccisa. Questo è un dato molto importante, dimostra che sono indipendenti, non sono sbandati” spiega Luciano Sammarone, direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm), che nutre delle speranze sul futuro dei due: “Di certo non si nutrivano del solo latte materno: non ce l’avrebbero fatta tutti questi giorni senza mangiare e in questo periodo le montagne sono ricche di frutti. E poi nella precedente cucciolata Amarena aveva avuto quattro figli ed è inimmaginabile che possa averli allattati tutti e quattro per 18 mesi”.
C’è il precedente dell’orsetta Morena: nel maggio 2015 era stata trovata orfana a Villavallelonga. Di lei si era presa cura il Pnalm che dopo averle salvato la vita, averla svezzata, l’aveva rimessa in natura. Lei era riuscita a superare l’inverno e aveva dimostrato di sapersi nutrire da sola. È stata poi trovata morta nel luglio 2016, probabilmente uccisa da un predatore da cui non è stata in grado di difendersi. E probabilmente questo è il vero problema: “Ai due cuccioli – spiega il direttore – mancano le cosiddette “cure parentali”, quegli insegnamenti che la madre dà ai suoi figli nei primi mesi di vita per imparare a difendersi e a muoversi in maniera sicura”.
La difficile cattura
A complicare le operazioni di cattura sono sia la presenza dei tanti curiosi che la tecnica da utilizzare: “L’ultimo avvistamento è stato fatto da persone che invece di avvertire le autorità hanno cercato di avvicinarli facendoli nuovamente scappare – sottolinea Sammarone -. Sembra che non si impari dagli errori, neanche da questa tragedia: lo diciamo sempre di non seguirli, di lasciarli stare, ma poi la curiosità umana rovina tutto. È successo anche la sera di giovedì: San Benedetto dei Marsi sembrava una sorta di giostra paesana con un sacco di persone che non c’entravano nulla. Così abbiamo chiesto al sindaco di fare un’ordinanza in cui veniva vietato di rincorrere gli orsi, di illuminarli con i fari e altri divieti per tutelarli. E complessivamente la situazione è andata migliorando”. Qualcuno in Rete è arrivato a chiedere un lockdown per gli abitanti del paese per non avere impedimenti nelle ricerche ma il direttore del Parco non lo crede possibile: “Non avrebbe senso: prima di tutto perché gli orsi non si trovano all’interno di quel centro e poi perché sarebbe una strada non percorribile”.
E poi c’è la tecnica da usare che non aiuta: “I protocolli standard per la cattura degli orsi prevedono tre tecniche: il laccio di Aldrich che cattura la zampa dell’animale, la trappola tubo e la narcotizzazione. Ma data la giovane età dei tre esemplari, nessuna delle tre opzioni può essere utilizzata – spiega il direttore del Pnalm -. Quindi si è deciso di utilizzare delle trappole con dentro i polli con batuffoli sporchi del sangue della loro madre, gli stessi che si trovavano nella casa dell’uomo che ha sparato ad Amarena. Ma per ora le hanno sempre eluse. L’alternativa è quella delle reti, ma questo richiede di essere molto vicini a loro quando li si vuole prendere”.
Catturarli ma non per la cattività
La cattura serve per capire in che condizioni sono, e ciò che “non vogliamo è destinarli alla cattività” ci tiene a specificare Sammarone che delinea due scenari: “In base ai nostri protocolli, approvati dal Ministero dell’Ambiente con il parere dell’Ispra, se sono in buone condizioni di salute, pensiamo di traslocarli in una zona più interna al Parco, ovviamente una di quelle che loro hanno frequentato con la mamma e sicuramente più lontani da pericoli come il traffico di veicoli o incontri sbagliati. Se invece mostrano carenze fisiche, i cuccioli potrebbero andare incontro a un periodo di tenuta in un recinto completamente isolato per farli crescere e fargli mettere su peso per poi comunque liberarli prima dell’inverno. Ma questo lo decideranno gli esperti”.
Arrivano i super periti
Intanto la Procura di Avezzano ha nominato l’esperto di balistica, Paride Minervini, per tracciare l’esatta traiettoria del colpo di fucile che ha ucciso l’orsa Amarena rispetto alla posizione dell’indato. L’esperto si era già occupato dell’uccisione dell’orso a Pettorano sul Gizio, avvenuta nel 2014 sempre per un colpo di fucile: il responsabile, un ex operaio Anas, fu condannato. In passato Minervini si è occupato di casi, dall’omicidio di Nicola Calipari in Iraq a quello della giornalista Ilaria Alpi in Somalia, fino alla vicenda di Gabriele Sandri, il tifoso laziale ucciso da un agente di polizia. Oggi viene conferito un incarico per l’esame autoptico sulla carcassa dell’orsa, che si trova nell’Istituto zooprofilattico regionale, sede di Avezzano. Altro accertamento irripetibile. L’incarico è affidato a Rosario Fico, responsabile del Centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria dell’Istituto zooprofilattico Lazio e Toscana, e a Stefania Salucci, responsabile della sede avezzanese dell’Izs. I legali di Leombruni potranno a loro volta nominare dei consulenti, sia per la necroscopia che per gli accertamenti balistici. Al momento, per la Procura, parte offesa è il Parco.
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
SUI FLUSSI MIGRATORI E’ LEGATO DA NORME SOVRANAZIONALI, SULLA FINANZA PUBBLICA E’ ALLA MERCE’ DELLA UE
A un paio di mesi dal suo primo compleanno, al termine di un’estate difficile e alla vigilia di un autunno che si preannuncia più difficile ancora, si può forse tentare di abbozzare una prima, provvisoria definizione del governo Meloni. Questa è la mia proposta: «Il governo Meloni è un governo pragmatico radicato nella tradizione della destra italiana, le cui linee di controllo interne sono sempre più accentrate su un piccolo nucleo di persone strettamente legate alla Presidente del Consiglio. Dedica il 95% delle proprie energie ad affrontare sfide più o meno emergenziali con provvedimenti che per il 95% sono definiti dal perimetro dei vincoli esterni, e il restante 5% a curare alcuni dossier identitari. Fatica, per insufficiente forza politica e culturale, a proiettarsi oltre il breve periodo e a dominare le battaglie ideologiche della nostra epoca, rispetto alle quali si colloca in una posizione volutamente ambigua».
Questa definizione nasce alla confluenza di due riflessioni, la prima sullo spazio del politico nell’Italia degli anni Venti, la seconda sulla consistenza politica e culturale della destra italiana.
Due dossier, quello che ha segnato l’estate e quello che segnerà l’autunno, mostrano con sufficiente chiarezza quanto angusto sia oggi lo spazio del politico: i flussi migratori sono prodotti da contingenze geopolitiche e avviluppati in una rete di norme giuridiche sovranazionali, la finanza pubblica è alla mercé della congiuntura economica, delle decisioni della Banca Centrale Europea, della revisione del Patto di stabilità e crescita.
Nell’un caso come nell’altro, si tratta di condizioni che qualsiasi governo italiano può modificare poco o per nulla. Il gabinetto Meloni ha preso atto di questa realtà e, come detto, si è pragmaticamente dedicato a sfornare decisioni in buona misura precondizionate su urgenze anch’esse precondizionate.
È un fallimento, questo, per un governo che ambirebbe a ripristinare la sovranità nazionale? Più ancora: è una tragedia. Che appartiene però alla tragedia ben più vasta e profonda dell’appassire della dimensione politica nel suo complesso. Non per caso le opposizioni versano in condizioni ben peggiori della maggioranza e sono ancora lontane dal proporsi come un’alternativa plausibile. Anche il grande moto di rivolta contro la crisi del politico che ha segnato gli ultimi dieci anni e che abbiamo chiamato populismo ha perduto la propria spinta propulsiva, almeno in Italia: gli elettori si sono rassegnati a respirare un’atmosfera assai rarefatta nello spazio pubblico e, come da tradizione nazionale, si sono dati a cercare soluzioni individuali negli spazi privati. Il montare dell’astensionismo lo dimostra in maniera piuttosto chiara.
La destra è arrivata al governo afflitta da un’antica e ben nota debolezza di cultura e classe dirigente. L’insufficienza del suo ceto di governo è testimoniata, in fondo, dalla stessa presidente del Consiglio. L’evidente riflesso difensivo di Meloni, il suo sforzo di accentrare il più possibile il controllo dei dossier nelle mani di un piccolo gruppo di fedelissimi, il fatto che col tempo non soltanto non abbia allargato la plancia di comando, ma la stia anzi restringendo: tutto questo dimostra che è la prima a non fidarsi delle seconde file del suo mondo – figurarsi dei mondi limitrofi. Prudenza comprensibile, che comporta tuttavia un prezzo non lieve: più si accorcia la catena di comando, più il gruppo di testa rimpicciolisce e diventa omogeneo, e più il fiato si mozza, le prospettive strategiche si disseccano e l’azione di governo si riduce ad amministrazione delle urgenze quotidiane. Perché, molto semplicemente, mancano le risorse per fare altro.
La cultura di destra nell’Italia repubblicana è sempre stata debole e minoritaria. Figurarsi il sottosettore di quella cultura che faceva politicamente capo al Movimento sociale italiano. Ma non possiamo limitare il discorso alla Penisola. Anche paesi che hanno una tradizione conservatrice ben più ricca della nostra, come quelli anglosassoni, hanno finito per affidarne la rappresentanza a leader istrionici e narcisisti e a retoriche sgangherate e provocatorie. Malgrado incontrino il favore di vasti strati della popolazione, insomma, gli argomenti del conservatorismo paiono incapaci di proporsi sulla scena pubblica al contempo con forza e in una forma culturalmente strutturata. Quasi come se la storia avesse spazzato via la logica e perfino la lingua con le quali li si poteva difendere. L’ormai noto best-seller del generale Vannacci non è altro che la conseguenza logica di questo fenomeno. Tragico anch’esso: una tragedia solo in parte attenuata dal fatto che, pure in questo caso, se Sparta piange, Atene certo non ride. Il progressismo ha vinto le battaglie culturali e ha conquistato la logica e la lingua. Solo, quella logica e quella lingua non descrivono più la realtà: la cultura progressista non ha visto arrivare la protesta cosiddetta populista, non l’ha capita, non ha saputo né sa risponderle. E si è ridotta infine al gioco patetico dell’indignazione, come è accaduto da ultimo proprio con Vannacci e, in maniera ancor più ridicola e strumentale, con Giambruno. Nell’indifferenza, quando non nell’insofferenza dei più.
Se queste sono le premesse, è evidente allora come il gabinetto Meloni – nonostante il consenso di cui gode e continuerà a godere e malgrado, come detto, sia destinato a non avere alternative ancora per un bel pezzo – non possa avere la forza, culturale e perciò anche politica, per disegnare e realizzare progetti di ampio respiro, né, con ogni probabilità, per portare a compimento riforme politicamente o finanziariamente onerose: la costituzione, la giustizia, il fisco. E nemmeno per scegliere fra la mimetica del generale Vannacci e il doppiopetto del presidente dei popolari europei Manfred Weber. Capita che ci si chieda quando comincerà la seconda fase di questo governo, se Meloni ripenserà il partito dotandolo di un più robusto ancoraggio conservatore, se scioglierà le ambiguità che ha mantenuto finora fra il profilo di lotta e quello di governo. La risposta a tutte queste domande è: con ogni probabilità, mai. Di certo non prima delle elezioni europee, ma, se l’analisi che ho svolto qui ha minimamente senso, nemmeno dopo. Questo esecutivo sembra destinato a conservare l’imprinting del suo primo anno di vita: una creatura pragmatica e reattiva, dominata dalle emergenze ben più che dai programmi. Una Meloni molto più Angela Merkel che Margaret Thatcher, insomma. Ma la nostra, del resto, è l’epoca delle Merkel, non delle Thatcher.
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
“SE CI FOSSE UNA PROTEZIONE COMPLETA, MOLTE PIU’ DONNE SAREBBERO DISPOSTE A DENUNCIARE”… “NON DOBBIAMO ESSERE NOI A VERGOGNARCI MA CHI OSA SFIORARCI SENZA IL NOSTRO CONSENSO”
“A volte ci si spaventa per ripercussioni da parte di parenti e amici degli stupratori come è successo a me, che sono stata inondata di minacce. Se ci fosse una protezione completa molte più donne sarebbero disposte a denunciare. Mi dispiace dirlo ma non è sempre così”.
È questo uno dei passaggi della lettera della 19enne vittima dello stupro di gruppo di Palermo, consumatosi tra il 6 e il 7 luglio scorsi: la giovane sarebbe stata aggredita da 7 ragazzi nella zona del Foro Italico. Tutti sono stati arrestati: il più piccolo ha compiuto 18 anni da poco, era ancora minorenne all’epoca dei fatti, che sono stati anche ripresi con un cellulare e il cui video rappresenta una delle prove principali a carico degli idagati.
La 19enne ha inviato la lettera alla trasmissione di Rete 4 Zona Bianca condotta da Giuseppe Brindisi. Durante la puntata andata in onda nella serata di ieri, domenica 3 settembre, la giovane ha raccontato: “Gridavo loro di smettere. Non mi reggevo in piedi, ma loro continuavano”, riferendosi a quella notte di inizio luglio.
Poi, ha rivolto un appello ad altre giovani che si trovano nella sua stessa situazione: “Molte donne hanno paura di denunciare per vergogna, non dobbiamo essere noi a vergognarci ma chi osa sfiorarci senza il nostro consenso — ha proseguito nella lettera la 19enne, che da qualche giorno vive in una comunità protetta —. Ho letto di ragazze che dopo quello che è successo a me non vogliono più uscire… ma perché privarci di uscire? Perché noi? Sono le bestie che si dovrebbero essere private”.
La ragazza chiede maggiore protezione per le vittime di stupro e per tutte le donne che dovrebbero denunciare le violenza a cui vengono sottoposte. “Ci sono donne che dopo aver denunciato vengono uccise o sfregiate e di certo nessuno vuole rischiare tutto ciò. — si legge ancora nella lettera —. Se ci fosse più tutela e una legge più incisiva, gli uomini stessi ci penserebbero due volte prima di fare una cosa simile. Molto spesso per loro è un semplice sfogo, ma se si parlasse di ergastolo o comunque di tanti di anni di carcere, ci penserebbero due volte anzi 20 prima di toccare una donna”.
Infine, un riferimento al suo passato difficile: “Non sto sempre bene nonostante ci siano momenti in cui cerco di risollevarmi pensando al futuro. Purtroppo ho affrontato una vita non facile… ma devo andare avanti, controvoglia, ma devo riuscirci. Non solo perché voglio una vita migliore ma anche per mia madre, che nonostante fosse molto malata e bloccata a letto, si faceva sempre vedere col sorriso. Non si è mai arresa, dopo decenni passati in sedia a rotelle”.
(da Fanpage)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
“DON ABBONDIO” GIORGETTI RITROVA UN PO’ DI CORAGGIO E RIVENDICA LA TASSA SUGLI EXTRA-PROFITTI DELLE BANCHE, SALVO POI AMMETTERE CHE SARÀ MODIFICATA. POI SI LANCIA IN UN ATTACCO DEI CORPORATIVISMI – LA PLATEA SPIAZZATA: “SEMBRAVA UN MINISTRO DEL GOVERNO DRAGHI”. E C’È CHI COMMENTA VELENOSO: “HA FATTO IL MIGLIOR DISCORSO DELL’OPPOSIZIONE”
Se il giudice supremo fossero gli applausi, Giuseppe Conte avrebbe registrato una sconfitta cocente, Elly Schlein non sarebbe neanche entrata in gara e Carlo Calenda avrebbe portato a casa meno punti di un anno fa.
Ieri a Villa d’Este la folla di imprenditori ha finito per promuovere in un sondaggio l’operato, fin qui, del governo stesso: circa il 30% ne ha dato una valutazione negativa, ma poco più del 50% ha un giudizio da sufficiente a molto positivo. E l’impressione del Forum Ambrosetti è che donne e uomini d’impresa, dopo aver sentito gran parte dei messaggi dell’opposizione, di colpo trovino il governo più accettabile.
Eppure se gli applausi fossero il metro di tutto, la sala avrebbe dato responsi disomogenei. Meno apprezzate le figure più puramente politiche: reazioni solo formali per il ministro delle Imprese Adolfo Urso o per quella delle Riforme Elisabetta Casellati. Più convinte invece per i tecnici o quelli che parlano con precisione e misurabilità da tecnici.
Così a Cernobbio funziona Raffaele Fitto, quando il ministro per gli Affari europei va al punto e propone «una riflessione spesso omessa – dice – sui 152 miliardi di debito dal Piano nazionale di ripresa e dal fondo nazionale». Semmai in sala qualcuno […] nota che del Pnrr gli altri ministri non parlano granché, quasi a lasciare la responsabilità di eventuali problemi a Fitto stesso
Funziona a Cernobbio Carlo Nordio. Resta giusto il sospetto che incassi l’applauso più lungo della mattinata solo perché alla fine propone una dose massiccia di tutele in più contro gli arresti di indagati che spesso si sono dimostrati ingiusti: parole che scaldano i manager di Villa d’Este facendoli sentire più protetti.
Ma se c’è un momento in cui davvero succede qualcosa al Forum, è alla fine. La platea è stanca, affamata. Le due sono passate da un pezzo e tutti sono lì da sei ore. Eppure parte da sé l’unico applauso a scena aperta di tutta la tre giorni: è per Giancarlo Giorgetti, oltretutto nel momento in cui il ministro dell’Economia riconosce che modi e comunicazione della tassa sugli extraprofitti delle banche erano sbagliati; ma la tassa era «giustissima».
Lo dice anche se l’ennesimo sondaggio in sala l’aveva appena bocciata. Succede, semplicemente, che il popolo di Cernobbio è sorpreso da Giorgetti. Dal suo messaggio e persino dal tono. Il ministro legge da un foglietto che ha scarabocchiato fino all’ultimo.
E le parole gli escono come se fosse saltato un tappo. Parla con urgenza e la sala lo sente, tanto che si crea un po’ di elettricità malgrado la stanchezza dell’ora.
Dice Giorgetti: «Il problema resta l’offerta, la sua ricostruzione per via di intenti pubblici sani e decisioni private efficienti. La nostra capacità produttiva deve aumentare e occorre accrescere la produttività. Ma se insistiamo a far fare allo Stato la parte del Re Sole che distribuisce prebende, non andiamo lontani».
E ancora: «Le rendite sono la questione più dolente, quella del loro eccesso rispetto ad altre nazioni europee». Non è il compitino del ministro; condivisa o no nel governo e fuori, è una visione dell’Italia.
Un’accusa agli eterni corporativismi che, dice Giorgetti, gonfiano i costi «come nei primi anni dell’euro» (quando al potere, spesso, c’era Silvio Berlusconi).
«Giorgetti sembrava quasi un ministro del governo di Mario Draghi — nota Gianluca Garbi di Banca Sistema — barra dritta, niente giri di parole». Simile il commento del francese Bernard Spitz, del Medef e organizzatore del Forum economico annuale franco-italiano (il quale peraltro ha apprezzato anche l’apertura al nucleare fatta da Matteo Salvini): «Da Giorgetti un’ispirazione liberale». Ma chiosa caustico un imprenditore: «A Cernobbio, ha fatto il miglior discorso dell’opposizione».
(da Corriere della Sera)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
ORA LO ATTACCANO E PARLANO DI GRANDE TRUFFA
Altro che “la più grande truffa ai danni dello Stato”, o roba da “mal di pancia”. Per tutto il centrodestra, da Lega a Fratelli d’Italia, passando per Forza Italia, fino all’anno scorso il Superbonus era “uno strumento molto utile per rilanciare l’economia”, una “misura eccellente” da mantenere a tutti i costi. La premier Giorgia Meloni ha infatti prorogato i termini del bonus edilizio per le villette fino al 31 dicembre 2023. Salvo poi parlare di “disastro”, o peggio: “tragedia contabile”. Ma le idee, come le promesse, cambiano in fretta. E pure il Superbonus al 110% tanto vituperato, in un’altra congiunzione astrale oltreché politica, non sembrava poi così male.
Tanto per dire, Fratelli d’Italia, nel luglio 2021, presentava una serie di emendamenti al Decreto Semplificazioni voluto dal governo Draghi, di cui uno che riguardava proprio il Superbonus. Un cavillo per abolire la misura grillina e consegnare alla storia la “grande truffa criminale”? Neanche per sogno: “Vittoria di Fratelli d’Italia: nel corso dell’esame al Dl Semplificazioni, è stato approvato un ordine del giorno a mia prima firma che impegna il Governo ad estendere il superbonus alle strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere” esultava il deputato meloniano Riccardo Zucconi. L’ordine del giorno era stato presentato nientemeno che dall’allora capogruppo Francesco Lollobrigida. Nessun “mal di pancia” nemmeno per Matteo Salvini, che il 16 febbraio 2022 spiegava: “L’obiettivo della Lega è rilanciare il superbonus, che ha creato lavoro per imprese, artigiani e operai, e valore per le famiglie”.
“Nulla di nuovo nella risoluzione di maggioranza al Def approvata oggi alla Camera”, sbuffava Giorgia Meloni il 23 aprile 2021: “Il governo Draghi perde l’ennesima occasione per dare una sterzata all’economia italiana: nessuna misura per superare il blocco sul Superbonus”. Accorati appelli arrivano poi da tutti i partito. Maurizio Gasparri (FI) il 23 ottobre 2021 fa sapere che “Forza Italia chiede con forza e determinazione l’estensione di tutti i bonus per l’edilizia, da quelli per le facciate al 110% fino all’estensione alle abitazioni unifamiliari”.
Qualche mese prima, la futura presidente del Consiglio definiva addirittura “patriottica” la sua richiesta di implementare il Superbonus: “Abbiamo interrotto la campagna elettorale per essere in Aula al fine di garantire la conversione del decreto Aiuti bis, che contiene importanti norme volute anche da noi, come lo sblocco dei crediti del Superbonus”.
Magia: la Giorgia Meloni di oggi invece denuncia sarcastica i “12 miliardi di irregolarità”. Ma come, verrebbe da dire: il 6 maggio 2021 Tommaso Foti riteneva “indispensabile eliminare la presentazione del certificato di conformità urbanistica”, perché “l’attuale disciplina per accedere al Superbonus appare vessatoria, contraddittoria e degna di uno stato di polizia”. Sulla stessa linea era anche Alberto Bagnai della Lega: “Dei comportamenti fraudolenti di pochi, finanche della criminalità organizzata, non possono farne le spese la maggioranza di cittadini e operatori onesti che hanno rispettato le regole”. Anche Fabio Rampelli (FdI) nel febbraio 2022 minimizzava: “Tra i pochi disonesti che hanno lucrato sul 110, ci sono migliaia di aziende che invece hanno ricominciato a lavorare onestamente grazie al bonus”. Ora, il “gabbiano” vola su altri lidi, parlando di “gestione pessima”, col “rischio di un buco da 100 miliardi”.
Giusto il 25 giugno 2022 il leader del Carroccio prometteva poi: “Sul bonus 110%: non puoi approvare una legge, finanziarla, e poi a metà strada dire alle imprese che i soldi non ci sono più”. Invece a febbraio 2023 il governo corre ai ripari: blocca la cessione dei crediti e lo sconto in fattura. Da Fratelli d’Italia fanno sapere che hanno appena “disinnescato una bomba che avrebbe mandato enti locali su lastrico”. Eppure il 31 marzo 2021 qualcuno salutava con favore “l’intenzione di estendere il superbonus 110% al 2023”. Ma tutto ciò non era “abbastanza”, perché “occorreva una proroga vera, almeno fino al 2025”. Qualche nostalgico dei 5 Stelle? Non proprio. A dichiararlo era Monica Ciaburro, di Fratelli d’Italia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 4th, 2023 Riccardo Fucile
IMPOSSIBILI PARAGONI CON LE OPERAZIONI DI 30 ANNI FA
Anche se il clima è diverso ed i margini di manovra sembrano ora particolarmente limitati, si torna a parlare di privatizzazioni in Italia per fronteggiare in qualche modo il nostro debito pubblico che avanza. Della possibilità, ne ha discusso, alcuni giorni fa, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
All’indomani, si sono subito scatenate le polemiche anche se, all’atto pratico, l’unica operazione che appare oggi sicura è quella della vendita del pacchetto di maggioranza del Monte dei Paschi di Siena perché, dopo il salvataggio del 2017, sussiste tuttora l’impegno preso con l’Unione Europea di fare uscire la banca dall’orbita pubblica entro il prossimo anno. Peraltro anche questa dismissione non sarà facile perché, all’interno della maggioranza, si è già accesa una discussione tra il vicepremier Antonio Tajani, pronto a ribadire che lo Stato non deve fare il banchiere, ed esponenti della Lega che prendono le distanze sostenendo che la cessione dell’istituto di credito toscano non è all’ordine del giorno.
Non è quindi assolutamente il caso di ipotizzare un bis delle grandi privatizzazioni di un trentennio fa, artefice l’allora presidente dell’Iri (e, successivamente, premier) Romano Prodi.
Non è possibile fare paragoni tra le dismissioni di ieri e quelle, eventuali, di oggi – e lo stesso Prodi, che ho interpellato, ha detto di non essere in grado di confrontare le sue privatizzazioni con quelle che potrebbero esserci adesso perché oggi non si conoscono ancora le reali intenzioni del governo sull’argomento – ma molti, dopo le dichiarazioni di Giorgetti, hanno comunque rivissuto quella storica stagione.
Tanti addetti ai lavori hanno considerato quegli anni come una vera svolta dell’economia italiana, una drastica cura dimagrante (dalla Stet ad Autostrade, dalla Sme alla Finsider) che consentì alle casse statali di poter avere una seconda giovinezza. Era tale lo scetticismo nei confronti di Iri & C. che questi gruppi venivano comunemente chiamati “pachidermi pubblici” mentre i loro manager erano stati ribattezzati “boiardi di Stato”. Poche le eccezioni: si salvavano solo l’Eni fondato da Enrico Mattei, anche perché controllava direttamente un giornale, e qualche altro gruppo.
A posteriori, abbiamo visto che quelle grandi privatizzazioni, in effetti, non sono state sempre il toccasana che tutti speravamo: è il caso dell’ex-Italsider di Taranto che non è poi riuscita ad invertire completamente la rotta a cominciare dal problema dell’inquinamento. Resta il fatto che, nella stagione d’oro, c’era stata una mobilitazione pressoché generale: chi non ricorda gli sforzi dell’allora direttore generale del ministero del Tesoro, Mario Draghi, che, nel 1992, organizzò pure la famosa crociera sul “Britannia”, lo yacht della regina Elisabetta, alla quale partecipò la “crème” finanziaria ed imprenditoriale di mezzo mondo?
Sembrava veramente una grandissima svolta tanto che, adesso, il governo Meloni potrebbe in qualche modo riprovarci. Comunque andrà a finire, dobbiamo però tenere sempre presente che le privatizzazioni di Prodi, a parte le dimensioni, risalgono ad altri tempi: adesso Giorgetti non avrebbe certo bisogno di ricorrere al panfilo reale per vendere quello che è rimasto dell’argenteria di famiglia dell’Azienda pubblica italiana. L’importante, a questo punto, al di là di tutte le discussioni che ci saranno, è di essere pragmatici come lo fummo allora.
(da Il Corriere della Sera)
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