Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL “VIKTATOR” HA ASSICURATO A “MAD VLAD” CHE L’UNGHERIA NON SI OPPONE ALLA RUSSIA, ANZI: I DUE PAESI HANNO STIPULATO NUOVI ACCORDI ENERGETICI. IL DOPPIO GIOCO DI ORBAN INIZIA A INFASTIDIRE LE CANCELLERIE EUROPEE. E A LUGLIO 2024 L’UNGHERIA ASSUME LA PRESIDENZA DI TURNO DELL’UE
Al tavolo con Vladimir Putin anziché al vertice informale con gli altri leader Ue per discutere della crisi in Medio Oriente. Alla riunione straordinaria del Consiglio europeo di ieri sera non è passata inosservata un’assenza piuttosto significativa: quella di Viktor Orban. Il premier ungherese non si è collegato e ha dato la delega al collega austriaco Karl Nehammer. Il motivo? Era impegnato a Pechino per il terzo forum della Via della Seta, dove ha incontrato Vladimir Putin.
È la prima volta dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina che un capo di Stato o di governo dell’Unione europea si intrattiene faccia a faccia con il presidente russo, oggetto di sanzioni da parte della stessa Ue nonché destinatario di un mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale.
I due si sono stretti la mano, hanno avuto un incontro bilaterale e davanti alle telecamere dei media russi il premier ungherese è parso piuttosto nervoso, incapace di rimanere fermo.
Orban ha assicurato a Putin che l’Ungheria non ha mai voluto opporsi a Mosca e anzi i due hanno rinsaldato i loro rapporti bilaterali, soprattutto in campo energetico. Il presidente russo ha usato questa “photo opportunity” per rivendicare il fatto che il suo Paese continua a “mantenere e sviluppare” relazioni con molti Paesi europei e ha negato l’isolamento internazionale.
Tra poco meno di un anno, il 1° luglio 2024, l’Ungheria assumerà la presidenza di turno dell’Unione europea. Avrà il compito di guidare tutte le riunioni del Consiglio nei primi mesi della legislatura, durante i quali verranno definite le cariche di vertice dell’Ue. Ma nel Parlamento europeo c’è chi torna a chiedere di rivedere il calendario.
Più nell’immediato, entro la fine di quest’anno, l’Unione europea dovrà decidere un doppio pacchetto di aiuti all’Ucraina. Uno relativo al sostegno militare e uno, legato al bilancio comunitario, di 50 miliardi per la ricostruzione del Paese devastato dalla guerra. Per il via libera serve l’unanimità, ma l’Ungheria continua a tenere in ostaggio il piano di aiuti.
A Bruxelles, inoltre, c’è il timore che anche la Slovacchia possa seguire la linea di Budapest dopo il successo elettorale dell’ex premier Robert Fico, anche lui filo-Putin.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
SI PARTE VENERDÌ CON STANDARD&POORS, QUELLO SUCCESSIVO C’È DBRS MORNINGSTAR, POI A NOVEMBRE FITCH E MOODY’S… AGLI INTERLOCUTORI, IL MINISTRO DEL TESORO IN QUESTI GIORNI RIPETE SPESSO UNA BATTUTA: “L’UNICA COSA DAVVERO SOVRANA CHE C’È, È IL DEBITO”
I leghisti più fumanti lo chiamano «il bocconiano». Come se l’aver
frequentato la prestigiosa università economica facesse di Giancarlo Giorgetti qualcosa di antropologicamente diverso dal «vero leghista». E c’è chi riferisce come fosse uno sfregio all’ortodossia una sua battuta buttata lì: «L’unica cosa davvero sovrana che c’è, è il debito».
In realtà, certo, la manovra è in deficit. Perché, avrebbe detto ai colleghi ministri protagonisti dell’inevitabile assalto alla diligenza, la legge di bilancio può «soltanto tenere conto dei disastri che si sono abbattuti sui ceti che lavorano».
Per parlare dei tagli imposti ai ministeri, lui ha pubblicamente parlato di «schiaffoni». In realtà, pare siano stati discorsi assai più diplomatici. Il sovracuto, in qualche caso, è stato: «Vi sfido a trovare una sola “marchetta”».
E chi ancora recalcitrava, dopo gli incontri di dovere in via XX settembre, ha ricevuto un supplemento di suggestione silenziosa. Se non proprio subliminale, comunque senza commenti: il semplice invio di un calendario. Quello delle prossime sentenze delle agenzie di rating: venerdì Standard&Poors, quello successivo Dbrs morningstar, il 10 novembre Fitch, il 17 novembre il più delicato di tutti, Moody’s. Fino all’ultimo esame dell’anno, Scope Rating, l’1 dicembre. Gli appuntamenti che sanciranno il costo del debito.
Una soft suasion, soprattutto, anche se il ministro dice di aver «litigato con mezzo mondo». Non avrebbe litigato, invece, con Matteo Salvini. A cui ha dovuto far digerire il non mantenimento di quota 103 per sostituirlo con «un 104 non pieno». Che cosa questo significhi, a oggi non è del tutto chiaro. Il testo del provvedimento, ancora ieri sera non era disponibile. Segno che forse non tutto è ancora scritto nel marmo.
Anche il no agli emendamenti della maggioranza, Giorgetti lo ha rilanciato. Sia pur nella forma di augurio, visto che correggere i provvedimenti del governo «è un diritto costituzionale che io riconosco». Di certo, più volte si è richiamato all’«interesse pubblico». Quello, per esempio, che gli ha fatto stralciare dalla manovra gli sgravi del «decreto crescita» destinato ai calciatori, ritenuti poco identificati con i «ceti che lavorano».
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
INTERVISTA A CARTABELLOTTA: “SERVONO INVESTIMENTI CONSISTENTI E PER TANTI ANNI”
“Oggi i principi fondanti del Servizio sanitario nazionale – l’universalismo, l’equità e l’uguaglianza – sono stati ampiamente traditi”. Lo dice Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, in un’intervista con Fanpage.it a margine della presentazione del Rapporto sul Servizio sanitario nazionale della fondazione. Un documento che evidenzia la salute estremamente precaria del nostro Ssn, che si riflette sui cittadini. “Gli italiani quotidianamente sperimentano una serie di situazioni sgradevoli per la propria vita quotidiana e che hanno un impatto sia sulla salute sia sulle loro tasche, dai lunghissimi tempi di attesa al pronto soccorso all’aumento della spesa privata, fino alla rinuncia alle cure per chi non può permettersele”.
La spesa per la sanità, ha sottolineato Cartabellotta, non ha fatto che ridursi negli anni in rapporto al crescente fabbisogno del Ssn. E questo ha finito per creare un divario consistente con gli altri Paesi europei. “Purtroppo i governi negli ultimi 15 anni hanno fortemente depotenziato la sanità dal punto di vista economico: se nel 2010 noi avevamo una spesa pubblica pro capite pari a quella della media dei Paesi europei, oggi abbiamo invece un gap di circa 800 euro a persona, che in totale corrisponde a oltre 48 miliardi. È evidente che con un indebolimento di questo tipo abbiamo strutture vetuste e abbiamo tecnologie obsolete. E, soprattutto, abbiamo un personale che si è depauperato e demotivato”.
La crisi del personale sanitario – in particolare di quello infermieristico – è ormai sotto gli occhi di tutti, ha ribadito Cartabellotta, affermando di non vedere una soluzione nel breve periodo. Se, infatti, per le tecnologie e i macchinari basta investire più soldi, per il personale c’è anche un investimento in formazione da compiere. La spesa sanitaria però, ha sottolineato Cartabellotta, rimane sempre a livelli troppo bassi: “Per recuperare avremmo bisogno di investimenti veramente consistenti e per tanti anni. Comunque credo che dovremmo uscire dalla logica di quanto si mette nelle leggi di Bilancio; piuttosto si dovrebbe discutere di quanto il Paese vuole investire in sanità nei prossimi cinque anni. Oppure bisogna fare riflessioni diverse, che ovviamente non sono auspicabili: sto parlando di transitare verso un sistema sanitario differente, ma in quel caso la politica dovrebbe prendersi la responsabilità di dirlo apertamente ai cittadini. La privatizzazione occulta non è una cosa bella”, ha aggiunto Cartabellotta.
Nel rapporto sul Sistema sanitario nazionale la fondazione Gimbe ha anche lanciato un appello per un patto sociale e politico al fine di rilanciare la sanità pubblica.
Ai microfoni di Fanpage.it Cartabellotta ha ribadito che la tutela della salute debba prescindere sia dalle ideologie di partito, che dal succedersi dei governi: “Quello che serve oggi al Paese è un grande patto politico e sociale che esca dalla retorica di accuse e rivendicazioni su chi ha tagliato o investito di più. Queste oggi sono discussioni assolutamente inadeguate rispetto alle grandi difficoltà che hanno i cittadini, soprattutto nelle fasce socioeconomiche più fragili, che alla fine sono sempre quelle che pagano”.
Infine, per quanto riguarda il progetto di Autonomia differenziata, Cartabellotta ha ribadito il suo scetticismo: “Già in commissione Affari costituzionali avevo chiesto di togliere la sanità dal disegno di legge, perché con un servizio sanitario nazionale così disastrato – con un gap Nord Sud che oggi potremmo definire frattura strutturale – l’introduzione di maggiore autonomie (che ovviamente finirebbero per favorire le Regioni più ricche) darebbe il colpo di grazia all’unitarietà del sistema, già ampiamente compromessa”.
(da Fanpage)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
MA IL 40% DEGLI ISCRITTI NELLA CAPITALE “APPARTIENE” A FABIO RAMPELLI, IL CAPO DELLA CORRENTE DEI “GABBIANI”, CHE POTREBBE DECIDERE DI CANDIDARSI PER IL CONGRESSO ROMANO. I MELONIANI SONO SICURI DI STRAVINCERE CON MARCO PERISSA, DEPUTATO DELLA GENERAZIONE ATREJU
Squilli di tromba, parla Arianna Meloni, sorella madre e maggiore
della premier, partner storica del ministro Francesco Lollobrigida e soprattutto, ecco perché parla, responsabile del dipartimento adesioni e della segreteria politica di Fratelli d’Italia: “La campagna di tesseramento, che terminerà il 31 dicembre 2023, vede un netto incremento delle adesioni nazionali che si attestano intorno alle 280 mila in tutta Italia, circa il 40 per cento in più rispetto all’anno scorso”.
Il Pd è superato: notizia. Per quanto riguarda Roma, giardino di casa del melonismo per cui c’era stata una proroga di due settimane, ecco i dati. Ancora Arianna Meloni: “Gli oltre 43.000 tesserati della Capitale, a fronte dei 15.000 del 2022, confermano il trend di crescita del partito anche a Roma”.
Secondo calcoli interni 17mila tesserati fanno capo a Fabio Rampelli, l’ideologo cofondatore di Fratelli d’Italia e maestro dei ragazzi, a suo dire ingrati, svezzati a Colle Oppio. Poi 23mila racchiudono il resto del mondo largo di Fdi (Meloni, Lollobrigida, Aurigemma, Angelilli, Maselli, Ciocchetti) e infine ci sono circa 3mila persone che si sono iscritte online.
L’altra sera è stato Massimo Milani – deputato rampelliano nonché ex responsabile romano poi commissariato con Giovanni Donzelli – a portare gran parte del pacchetto della ditta dei “Gabbiani” in Via della Scrofa.
Ieri in Transatlantico rideva e si coccolava il sigaro con la faccia di chi la sa lunga: la partita è aperta. Il candidato di Roma dovrebbe essere lui per la minoranza, che tale non si sente dalle parti dei fatali colli dove iniziò la cavalcata dell’underdog nazionale.
La maggioranza del partito, quella fantastica macchina di potere e fratellanza che ormai sta in Parlamento e in tutti i gangli di Roma, è sicura di stravincere. Il candidato potrebbe essere Marco Perissa, deputato della generazione Atreju, nonché già responsabile di Azione giovani.
Dunque Perissa contro Milani? Teoricamente sì, ma forse chissà. La carta coperta porta a Rampelli, e sarebbe clamoroso e divertente. Il suo nome gira, anche per capire “l’effetto che fa”. Non solo Roma, però.
E’ possibile che si celebrino altri congressi veri in giro per l’Italia (Toscana, Veneto, Calabria, Sicilia). Il regolamento è quasi pronto: una testa un voto. Per celebrare il congresso di Roma si pensa a un teatro o alla Fiera, come ai tempi di An.
(da Il Foglio)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL CAPO DELLO STATO: “L’ITALIA NON SIA UN PASSEGGERO DELL’EUROPA MA UNO DEI CONDUTTORI. È IL TEMPO DELLA RESPONSABILITÀ, L’UE ESERCITI LA PROPRIA INFLUENZA”… “SE IN ITALIA CRESCE LA POVERTA’ FA UN PASSO INDIETRO TUTTO PAESE”
Il lavoro significa avere la “titolarità di un diritto dunque e, insieme, attribuzione di un dovere: quello di svolgere un’attività o una funzione che, appunto, concorra alla crescita materiale o spirituale della società.
Una simmetria tra diritti e doveri dell’essere cittadini che troviamo in molte parti della Carta – a partire dai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale – sino all’art.53 sul dovere di ciascuno di concorrere alle spese pubbliche in ragione della sua capacità contributiva”. Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella in occasione della premiazione dei Cavalieri del lavoro.
“La storia ci chiama a un’ora di responsabilità. L’aggressione russa in Ucraina, il barbaro attacco di Hamas contro Israele con la spirale di violenze che si è perseguita, la destabilizzazione che rischia di coinvolgere l’intero Medio Oriente – per restare solo nell’area del Mediterraneo allargato – reclamano un’Europa capace di esercitare la propria positiva influenza. Un Continente capace di testimoniare con convinzione i propri valori di pace, cooperazione, rispetto dei diritti delle persone e dei popoli”. .
“Le imprese sanno, meglio di ogni altro, come la sfida europea non sia altro da noi. Come l’Italia non sia un passeggero del treno Europa del quale controllare i titoli di viaggio, ma ne sia uno dei conduttori, un artefice insostituibile”.
“Il valore sociale dell’attività economica, delle imprese, ha acquisito significati ancora più profondi in tempo di mercati globali e di interdipendenza. Il valore sociale passa – come prescrive la Costituzione – dal rispetto della dignità del lavoro, della sua sicurezza, della tutela della salute, dell’ambiente; e il valore che le imprese esprimono si amplia ulteriormente per il loro carattere di moltiplicatore delle opportunità, per le innovazioni che, migliorando produzioni e prodotti, arricchiscono le condizioni di vita comune”.
“Crescita, coesione sociale, equilibrio ambientale, qualita’ del lavoro sono tra loro strettamente connessi. Laddove crescessero diseguaglianze, emarginazioni, poverta’, sarebbe l’intera societa’ a fare un passo indietro”. “L’accelerazione tecnologica, il progresso digitale, la robotica, l’intelligenza artificiale stanno portando sfide nuove al lavoro.
Ci saranno cambiamenti da affrontare. L’Unione europea si e’ posta il tema di rendere “giusta” la transizione con interventi pubblici adeguati, ma ha voluto anche dotarsi dell’ambizione di guardare all’innovazione traducendola in una solida base industriale. E’ il caso del Chips Act con cui si propone di portare la produzione di chip e semiconduttori al 20% di quella mondiale, con investimenti che puntano a oltre 100 miliardi di euro. Vi e’ bisogno di eccellenze: aiutano il Paese. Ancora di piu’ se riescono a fare sistema. Se l’Italia intermedia – territoriale, sociale, imprenditoriale – sa colmare i vuoti, cancellare le distanze, far marciare l’innovazione, l’integrazione, la sostenibilita’. E’ il futuro da costruire insieme. L’orizzonte comune, europeo” conclude il Presidente.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL PREMIO PULITZER ROGER COHEN: “DUE POPOLI VOGLIONO AVERE IL LORO STATO SULLO STESSO PEZZO DI TERRA. E C’È UNA SOLA SOLUZIONE NEL MONDO REALE”… “QUESTI DUE POPOLI OGGI POSSONO VIVERE SOLO IN DUE STATI SEPARATI, MA ‘DUE POPOLI E DUE STATI’ È LA VIA CHE NETANYAHU HA DELEGITTIMATO PER RAFFORZARE HAMAS”
«Israele è in uno stato di choc estremo. Le persone sono furiose
verso Hamas, responsabile di un crimine malvagio, che ha rianimato qualcosa di molto profondo negli ebrei: due millenni di persecuzioni e ovviamente l’Olocausto. Israele doveva essere la terra che avrebbe posto fine a questi pogrom. E d’improvviso scoprono che non lo è. […]».
Domani mattina Roger Cohen sarà nella Low Memorial Library della Columbia University a New York per ricevere il premio Pulitzer per l’International Reporting, insieme a un gruppo di colleghi del New York Times , premiati per la copertura della guerra in Ucraina. A farglielo vincere «The Making of Vladimir Putin», straordinario ritratto del presidente russo.
«C’era anche tanta rabbia verso il governo — dice al telefono da Tel Aviv — la gente ne percepisce l’incompetenza, la distrazione verso problemi secondari, come la riforma giudiziaria, i coloni della West Bank da difendere in incidenti provocati da loro stessi. Questo non è stato solo il governo più a destra della storia di Israele ma anche il più inetto. È ovvio che la responsabilità ricada sui leader del Paese, soprattutto sul premier Netanyahu».
Ci sarà una resa dei conti?
«Non adesso. Le indagini, la commissione parlamentare d’inchiesta, capire come Hamas abbia superato barriere considerate imprendibili e per 12 ore abbia potuto uccidere a suo piacimento, tutto questo accadrà. Ma ora la priorità è un’altra: occorre essere uniti e porre fine una volta per tutte ad Hamas come potere militare e politico a Gaza».
Fino a che punto Israele ascolterà gli appelli a rispettare il diritto internazionale, evitando troppe vittime civili?
«È difficile. Il sangue sta già scorrendo. C’è desiderio di vendetta. Abbiamo ascoltato il linguaggio del ministro della Difesa, che ha parlato di “animali”. Allo stesso tempo, Israele rimane una democrazia, con una popolazione di cui fanno parte dei palestinesi, i cosiddetti “arabo-israeliani”. Penso che ora Israele sia determinata ad annichilire, eliminare e distruggere Hamas a qualsiasi costo».
Cosa ne pensi dell’argomento che entrando in piena forza a Gaza, l’esercito israeliano cadrebbe nella trappola tesa da Hamas?
«In questo momento il sentimento dominante è “mai più”. Mai più massacri di ebrei da parte di Hamas, un’organizzazione che nel suo atto fondativo persegue esplicitamente la distruzione dello Stato ebraico. Eliminarla può essere fatto solo con un’azione di terra».
Quando parli di rischi, oltre ai costi umani, includi anche quello che salti ogni dialogo, un riavvicinamento con i Paesi arabi?
«Ogni dialogo verrà congelato, almeno per qualche tempo. Il problema è che l’unico nodo politico-diplomatico dimenticato in questi anni è il cuore della questione: due popoli vogliono avere il loro Stato sullo stesso pezzo di terra. E a mio avviso c’è una sola soluzione nel mondo reale. Chi parla di uno Stato confederato dove israeliani e palestinesi vivono in pace e democrazia, parla di La La Land. Questi due popoli oggi possono vivere solo in due Stati separati».
Ma «due popoli e due Stati» è la via che Netanyahu ha del tutto delegittimato.
«Proprio così. Ha lavorato in modo cinico per rafforzare Hamas, a scapito dell’Autorità palestinese, più moderata. Fin quando c’era Hamas, nessuno Stato palestinese poteva esistere, i dirigenti erano divisi tra un gruppo radicale e terrorista che controllava Gaza e un’Autorità Palestinese indebolita e corrotta nella West Bank. Netanyahu ha gestito il conflitto, invece di lavorare per risolverlo. Un tatticismo miope e irresponsabile”.
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
L’ALLARME PIÙ FORTE RIGUARDA L’AFRICA CENTRALE: MALI, BURKINA FASO, MOZAMBICO… IN TUNISIA DA ANNI SI STA SVILUPPANDO UNO DEI POLI PIÙ FORTI DEL NUOVO DAESH, CHE SI MUOVE INDISTURBATO NEL DESERTO TRA ALGERIA E SAHEL
Il vento del Califfato non si è spento con la caduta di Mosul e di Raqqa. La disfatta sul campo dello Stato islamico […] non ha fermato la macchina di morte jihadista. Ci sono nuclei armati che in Medio Oriente, in Asia e soprattutto in Africa stanno cercando di ricostruire la rete operativa dell’organizzazione. E soprattutto c’è una potente fabbrica dell’odio che si muove sul web e sui social, cercando di convertire al radicalismo musulmani in Europa e in Nord America, trasformandoli in “lupi solitari” come l’attentatore di Bruxelles.
Daesh ha perso il suo Stato ma ha mantenuto una struttura digitale che sparge messaggi ossessivi per favorire il reclutamento […] L’attacco di Bruxelles sembra nascere da questa ragnatela di propaganda multimediale, che pare avere avuto un ruolo chiave pure nella designazione dell’obiettivo: contrariamente al killer che ha colpito in Francia pochi giorni fa, non si è cercato di cavalcare la situazione di Gaza. Isis ha sempre dedicato un’attenzione limitata alla causa palestinese.
Il terrorista di Bruxelles ha ucciso gli svedesi per vendicare il rogo del Corano, che le autorità di Stoccolma hanno permesso di bruciare in pubblico due volte un mese fa. La vicenda ha avuto enorme eco tra le comunità musulmane di tutto il mondo. Dopo la sconfitta a Mosul e Raqqa, capi e combattenti si sono dispersi in Siria e Iraq per poi riprendere lentamente la loro attività.
Oggi la situazione internazionale determinata dal conflitto in Ucraina e dal sovrapporsi di crisi locali sta frenando le operazioni per eliminare questi focolai. In particolare in Siria le tensioni tra Stati Uniti e Russia rendono difficili i raid contro la rinascita di Daesh. Il sogno di ricostruire il Califfato si spinge però oltre il Levante e tenta di trasformare i buchi geopolitici nei capisaldi di un nuovo dominio territoriale. Accade in Afghanistan, dove il ritorno al potere dei talebani non riesce a soffocare l’espansione dell’Isis nel Nord.
Da lì si sparge l’influenza nelle ex repubbliche sovietiche confinanti: Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan. L’allarme più forte riguarda l’Africa centrale, la Terra Promessa del Daesh: una vera epidemia che porta formazioni fondamentaliste vecchie e nuove ad affiliarsi all’Isis. I predicatori sfruttano la povertà della popolazione, la fragilità e la corruzione dei governi per ingigantire le loro schiere. Mali, Burkina Faso, Mozambico sono l’epicentro di uno sciame sismico che si estende fino al Maghreb e minaccia direttamente l’Europa.
In Tunisia da anni si sta sviluppando uno dei poli più forti del nuovo Daesh, che si muove indisturbato nel deserto tra Algeria e Sahel. […] la crisi economica e istituzionale del Paese ha spinto masse di ragazzi senza futuro ad aderire ai proclami di odio. Ci sono state le stragi contro i turisti al Museo del Bardo e sulle spiagge di Sousse. E ci sono stati lupi solitari ingaggiati tra gli emigrati in Europa che hanno messo a segno colpi terribili: il più sanguinoso è stato il tir lanciato da Anis Amri sulle bancarelle di Natale a Berlino.
La Tunisia è stata uno dei più grandi serbatoi di combattenti per il Califfato: l’Onu stima che cinquemila giovani abbiano raggiunto la Siria e l’Iraq. Mille sono tornati in patria
(da La Repubblica)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA SINISTRA IMPLODE IN FRANCIA, E’ SOTTO PRESSIONE IN SPAGNA
La guerra di Gaza spacca la sinistra. Che implode in Francia, è sotto
pressione in Spagna, matura qualche discussione anche tra i Democratici Usa. Lo scontro si allarga nell’Unione europea, mentre al momento non sembra riguardare l’Italia, anche per le posizioni defilate scelte finora da Pd, M5S e Sinistra italiana.
La rottura più eclatante è quella francese. Il Partito socialista, uno dei membri della Nupes, l’alleanza elettorale che unisce socialisti, comunisti, ecologisti e soprattutto gli “insoumis” di Jean-Luc Mélenchon, ha deciso di dichiarare una “moratoria” dell’alleanza fino al “chiarimento” interno. Il Pcf invece definisce la Nupes “un’impasse” e propone un “nuovo fronte popolare” con l’obiettivo di far fuori Mélenchon.
Il motivo: la sua reticenza a definire Hamas “terrorista”.
“Faure (segretario socialista, ndr) rompe con la Nupes per fatto personale” ha risposto via twitter Mélenchon senza precisare nulla a proposito di Hamas. E dopo che ieri un’altra deputata insoumis, Danielle Obono, ha spiegato che Hamas “è un gruppo politico islamista che ha una branca armata e che resiste a Israele” nell’aula dell’Assemblea è stata la prima ministra Élisabeth Borne a imputare alla FI di “volersi escludere dal campo repubblicano”.
La “diabolizzazione” di Mélenchon è in atto da tempo, l’operazione mira a espellerlo dal quadro politico per recuperare alla sinistra tradizionale voti e consenso. È quanto finora si è cercato di fare in Italia con il M5S, che però stavolta ha tenuto una posizione più defilata, mentre Elly Schlein è allineata alle posizioni maggioritarie in Europa. Non a caso anche l’opposizione ha ricevuto ieri il plauso di Alon Bar, l’ambasciatore di Israele in Italia, intervistato da Formiche.net.
In Spagna, invece, il ministro degli Esteri José Manuel Albares – che è ancora quello precedente – ha replicato con “profondo disgusto” all’ambasciata israeliana che ha definito “immorali” alcune dichiarazioni di membri del governo riferendosi alla sinistra di Podemos. Albares ha parlato di un “gesto di inimicizia” dichiarando poi “l’incidente chiuso”. Sánchez ha così scelto di difendere l’alleanza interna nei confronti di Israele. Anche nella dichiarazione fatta da presidente dell’Internazionale socialista, dopo aver condannato nettamente gli attacchi di Hamas, ha però sottolineato la necessità per Israele di stare nei ranghi del diritto internazionale. Allo stesso tempo, il Psoe sembra resistere alla richiesta dell’alleato di sinistra Sumar di includere nel programma del nuovo governo il riconoscimento dello Stato palestinese. E questo nonostante lo stesso Sánchez, dall’opposizione, lo chiedesse nel 2015 e lo avesse promesso al presidente dell’Anp Abu Mazen nel 2017.
Sinistra se non in fibrillazione quantomeno in discussione anche negli Stati Uniti dove cinque deputati hanno stilato un documento che chiede un “immediato cessate il fuoco” a Gaza per inviare aiuti umanitari e “salvare quante più vite possibili”. Altri 55 deputati hanno inviato una lettera a Biden e ad Antony Blinken chiedendo di prendere misure “per limitare i danni ai civili innocenti”.
Quanto all’Unione europea, lo scontro verte soprattutto sul ruolo da “regina” avuto nei giorni scorsi da Ursula von der Leyen, il suo viaggio in Israele e la pretesa di rappresentare una politica europea. “Non serve fare viaggi in zone di conflitto senza un’agenda chiara solo per raccogliere voti”, ha detto la capogruppo dei socialisti a Bruxelles, Iratxe Garcia Perez.
E anche per Josep Borrell, capo della diplomazia comunitaria, anch’egli socialista, “la politica estera e di sicurezza resta competenza degli Stati membri” riuniti ieri a distanza. Il Consiglio col suo presidente Charles Michel ha ribadito che Israele ha diritto alla difesa, da realizzare però nel rispetto del diritto internazionale e umanitario. Un altro messaggio a Netanyahu, dopo quello di Biden, che occorre andarci cauti.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 18th, 2023 Riccardo Fucile
I RAZZI AMERICANI SONO IN GRADO DI TRASPORTARE BOMBE A GRAPPOLO FINO A UNA DISTANZA DI 300 CHILOMETRI
«Un nuovo capitolo di questa guerra è iniziato. Non ci sono più luoghi sicuri per le truppe russe all’interno dei nostri confini». Mikhaylo Podolyak, il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, lo scrive sul suo canale Telegram quando ormai tutto è svelato. Sta parlando della svolta arrivata sul campo di battaglia ucraino: l’utilizzo — per la prima volta — dei missili a lungo raggio Atacms
La sua dichiarazione segue le parole scritte poco prima dallo stesso Zelensky, che dopo le indiscrezioni della stampa Usa conferma — anche lui via Telegram e poi pure in un messaggio video — che sì, l’Ucraina ha ricevuto e usato gli Atacms inviati dall’America. «Oggi, un ringraziamento speciale agli Stati Uniti» premette Zelensky. «I nostri accordi con il presidente Biden sono stati rispettati in modo molto accurato; gli Atacms hanno dato prova di sé».
All’alba e nelle ore precedenti Kiev ha usato per la prima volta gli Atacms per colpire due aeroporti occupati dai russi a Berdyansk, sulla costa del Mar d’Azov, e nell’autoproclamata regione orientale del Lugansk. Risultato: i vertici militare ucraini esultano per la distruzione di nove elicotteri russi, un lanciamissili antiaereo, un deposito di munizioni e diversi equipaggiamenti speciali detenuti nei due scali colpiti, dei quali risultano danneggiate anche le piste. Quindi un colpo duro anche per la logistica delle truppe di Putin. E il bilancio è molto pesante anche in termini di vite umane: «Decine tra morti e feriti» hanno fatto sapere fonti militari.
Gli Atacms sono in grado di trasportare bombe a grappolo fino a una distanza di 300 chilometri e la loro potenza aveva sempre dissuaso il presidente Biden da eventuali forniture a Kiev, nel timore di una escalation. L’amministrazione statunitense temeva l’utilizzo di quei missili per colpire il territorio russo. E invece Kiev ci contava molto per provare a cambiare le sorti della guerra.
Quando gli Stati Uniti abbiano deciso di cambiare rotta e cedere alle richieste di Zelensky non è noto ma probabilmente è successo nel corso della sua ultima sua visita oltreoceano, il mese scorso. E il trasferimento degli Atacms — un modello con gittata da 140 chilometri — è avvenuto in segreto perché non si è mai avuta la certezza che fossero arrivati sul territorio ucraino. Fino al «battesimo» di ieri, con l’attacco ai due aeroporti (lontani dal fronte) nell’operazione che è stata denominata «Dragonfly». È una svolta? Mikhaylo Podolyak parla, appunto dell’inizio di un «nuovo capitolo». E avverte la Russia: «Non c’è alcuna possibilità di mantenere il Sud, la Crimea e la Flotta del Mar Nero nel medio termine. Il tempo scorre già nella direzione opposta».
(da agenzie)
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