Novembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
“SERVE UNA LEGGE DI RATIFICA DEL PARLAMENTO, LO DICE LA COSTITUZIONE”
“Così com’è il protocollo firmato tra Italia e Albania mi pare difficile possa essere attuato. Occorre una legge di ratifica da parte del Parlamento”. Silvia Albano, giudice della sezione immigrazione del tribunale di Roma, oltre ad essere un’esperta in materia è anche una dei magistrati che con tutta probabilità nei prossimi mesi sarà chiamata a pronunciarsi sull’attuazione dell’accordo che dovrebbe portare in Albania, per le procedure di frontiera accelerate, fino a 36.000 migranti in un anno salvati dalle navi italiane.
Dottoressa Albano, ha sentito. Il ministro per i rapporti con il Parlamento ha detto che non ci sarà alcun passaggio in aula sul protocollo. E allora?
“E allora vedremo. Immagino che ci sarà una pioggia di ricorsi su cui dovremo pronunciarci. E se non ci sarà una legge di ratifica che definisca le deroghe al quadro normativo nazionale previste da questo protocollo non potremo che prenderne atto”.
Quello che teme il ministro della Giustizia Carlo Nordio che nei giorni scorsi si è augurato che i giudici delle sezioni immigrazione non facciano come con il decreto Cutro.
“Il ministro Nordio sa bene che i giudici non possono che applicare le leggi verificando la compatibilità costituzionale e con le norme dell’Unione europea, perché noi siamo anche giudici europei”.
E questo protocollo secondo lei è compatibile?
“Intanto l’articolo 80 della Costituzione prevede che le Camere debbano autorizzare con legge di ratifica i trattati internazionali che comportino oneri alle finanze dello Stato e modifiche alle norme nazionali. E questo protocollo prevede sia oneri che modifiche”.
E se invece il governo cambiasse idea e il protocollo passasse dall’approvazione parlamentare i suoi principi sarebbero accettabili?
“Occorrerà vedere. Va da sé che le variazioni di legge devono comunque essere compatibili con le direttive europee. Per quello che abbiamo potuto leggere, in realtà, in questo protocollo non c’è molto. Quello che è stato enunciato invece presenta diversi punti di contrasto con le norme in vigore. A cominciare da quelle che definiscono le procedure per le domande di asilo che possono essere avanzate nel territorio dello Stato membro, alla frontiera, nelle acque territoriali e nelle zone di transito. E l’Albania non rientra in nessuna di queste opzioni per l’Italia”.
Ma la premier Meloni invoca una sorta di principio di extraterritorialità nelle due zone che l’Albania metterà a disposizione dell’Italia per le procedure accelerate di frontiera.
“Anche l’extraterritorialità necessita di una legge, non si dichiara con un protocollo. Perché si deroga alle norme sulla giurisdizione e sulla competenza. E infatti anche l’extraterritorialità delle ambasciate ( dove per altro allo stato non pare possano essere presentate richieste di asilo) è stabilita per legge e ratificata dal parlamento”.
Quali sono gli altri punti del protocollo su cui nutre dei dubbi di legittimità?
Ci sono diversi punti critici. Mi limiterei a sottolineare quelli più evidenti regolati da convenzioni internazionali come il diritto del richiedente asilo a rimanere nello stato membro durante l’esame della domanda, la competenza delle questure e dell’ufficio di polizia di frontiera a ricevere le domande, l’insediamento delle commissioni territoriali per l’asilo presso le prefetture, l’applicabilità delle procedure di frontiera solo per domande proposte in frontiera e nelle zone di transito e l’Albania non può considerarsi tale. E poi c’è il problema della competenza dei giudici delle sezioni specializzate. La legge prevede che sia il giudice del luogo dove il richiedente asilo è trattenuto e in questo caso il giudice del luogo non c’è. Ovviamente se il trattenimento non viene convalidato entro 48 ore il migrante deve essere riportato in Italia”.
E quale potrebbe essere, a rigor di logica, il giudice competente?
“In teoria, visto che eventuali ricorsi sarebbero presentati contro il ministero dell’Interno in merito al diritto ad entrare su territorio italiano, il foro erariale competente sarebbe quello di Roma”.
(da La Repubblica)
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Novembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
“VOGLIAMO PERMETTERE AI SARDI DI SPAZZARE VIA LA PEGGIORE GIUNTA REGIONALE CHE LA SARDEGNA ABBIA MAI AVUTO NEGLI ULTIMI ANNI”
Prove di alleanza nel campo del centrosinistra in Sardegna, dove è stato
trovato un accordo per una candidatura unitaria in vista delle prossime elezioni regionali di febbraio. Si tratta di Alessandra Todde, esponente del M5s. «Sono emozionata e veramente orgogliosa di essere qui con tutte e tutti voi».
«Abbiamo necessità di costruire assieme la migliore proposta possibile per permettere ai sardi di spazzare via la peggior giunta regionale che la Sardegna ha avuto negli ultimi anni. Non ho mai creduto nelle donne e negli uomini soli al comando e non comincerò oggi.
«Siamo una squadra e lavoreremo da squadra, nel solco dell’unità e della condivisione», ha concluso il suo intervento di ringraziamento al tavolo della coalizione progressista, prima di mettersi all’ascolto dei suoi componenti.
Todde governatrice della Sardegna? “E’ una candidatura splendida, di una persona competente, onesta e forte. Ho letto che anche il passaggio del Pd in cui si dice che Todde va benissimo”. Lo dice l’esponente M5S ed ex presidente della Camera Roberto Fico, intervistato da Rai Radio1 a Un Giorno da Pecora, la trasmissione condotta da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA E’ NASCOSTA IN UN EMENDAMENTO AL DECRETO ANTICIPI IN DISCUSSIONE AL SENATO
I senatori di Fratelli d’Italia puntano a riscrivere le norme che regolano l’assegnazione degli incarichi pubblici nelle strutture tecniche ed amministrative dei Comuni e e le relative incompatibilità. L’obiettivo è allargare tantissimo le maglie, rispetto ai criteri oggi in vigore, innanzitutto rimettendo in gioco i condannati per reati contro la pubblica amministrazione.
Non sappiamo se la premier Giorgia Meloni sia a conoscenza del blitz, organizzato dai parlamentari del suo partito. Il colpo di mano è nascosto in una proposta, a prima firma del senatore Salvo Pogliese e sottoscritto da altri tre senatori di Fdi. Un emendamento, presentato in commissione Bilancio al Senato, sul cosiddetto decreto Anticipi, che si occupa di tutt’altri argomenti. Se approvate, tuttavia, le modifiche avrebbero un impatto enorme sull’impianto del decreto legislativo che regola la materia
Via libera ai condannati per corruzione
Il cambiamento più rilevante riguarderebbe il divieto, oggi in vigore, di accedere a una serie di incarichi nelle amministrazioni comunali, per i condannati per reati contro la pubblica amministrazione. Parliamo di corruzione e concussione, abuso d’ufficio e peculato, etc… Se l’emendamento venisse approvato, il divieto cadrebbe e i condannati potrebbero essere chiamati a coprire ruoli di vertice nella macchina amministrativa dei Comuni, come il segretario generale o il direttore generale.
Ancora, i condannati potrebbero diventare dirigenti comunali delle società pubbliche dei Comuni o di quelle private controllate interamente o parzialmente dagli enti locali. Ma si va anche oltre, perché il divieto verrebbe meno anche per gli incarichi di amministratore di queste società. Tradotto, chi ha una sentenza di condanna per corruzione potrebbe diventare presidente o amministratore delegato delle società idriche o dei trasporti pubblici locali.
Nota di cronaca, il senatore Pogliese – il primo firmatario dell’emendamento in questione – è condannato in appello per peculato, proprio uno dei reati oggetto del “libera tutti”. La sentenza si riferisce a un’inchiesta su presunte spese pazze, quando Pogliese era vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana. Nel caso in cui la pena di due anni e tre mesi fosse confermata in Cassazione, Pogliese perderebbe lo scranno a palazzo Madama, secondo i termini della legge Severino.
Stop alle incompatibilità
Il colpo di spugna pensato dai senatori di Fdi però va ben oltre il capitolo dei reati contro la Pa. La proposta parlamentare riscrive quasi tutte le regole sulle incompatibilità nelle amministrazioni locali, pensate per arginare i fenomeni dei doppi incarichi o delle porte girevoli. Vediamo cosa cambierebbe, se l’emendamento venisse approvato e quali paletti cadrebbero.
Sindaci, assessori e consiglieri comunali in carica di Comuni con più di 15mila abitanti potrebbero assumere ruoli al vertice della macchina amministrativa o diventare dirigenti della Regione, di cui il Comune che amministrano fa parte. Porte aperte anche per incarichi nelle società pubbliche regionali.
Addirittura, l’emendamento dei senatori meloniani stabilisce che chi fa parte di una giunta o consiglio comunale in città con oltre 15mila abitanti possa diventare anche alto funzionario o dirigente dello stesso Comune che sta amministrando, eliminando ogni distinzione tra ruoli politici e tecnici. E se proprio non riesce a fare il segretario generale del proprio Comune, avrebbero la possibilità di farsi dare quel posto in un altra città della stessa Regione.
Un’altra norma che cadrebbe sarebbe quella che proibisce a sindaci, assessori o consiglieri comunali di diventare presidenti o ad di società private, controllate in tutto o in parte dalle Regioni e dagli enti locali. Stop anche ai divieti per gli ex amministratori e via libera alle porte girevoli. Con l’emendamento, si eliminerebbe l’obbligo per chi è stato componente di una giunta o di un consiglio comunale di attendere almeno due anni prima di assumere ruoli amministrativi o dirigenziali nel Comune in cui era stato eletto o in un altro. Cancellata anche la pausa obbligata di un anno prima di ricevere incarichi a livello regionale.
(da Fanpage)
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Novembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
SONDAGGISTA NOTO: “PUO’ PORTARE FDI OLTRE IL 30% SE SI CANDIDA IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI”… POCHI I MINISTRI IN PISTA, LOLLOBRIGIDA HA AMBIZIONI EUROPEE
L’approccio di Giorgia Meloni alle elezioni europee del 9 giugno è molto
determinato, quasi spietato. Nessuna tregua agli avversari. Nulla lasciato al caso. “Dobbiamo vincere, anzi stravincere. Non gareggiare”, ha detto la premier ai suoi canzonando lo spirito olimpico di De Coubertain. L’obiettivo è chiaro: far uscire il suo governo rafforzato, nonostante un anno e mezzo non esattamente brillante, da quelle che negli Stati Uniti chiamano elezioni di midterm. E se per ottenere il risultato basterebbe anche un solo nuovo voto aggiuntivo rispetto al 26% incassato nel 2022, Meloni vuole di più. “Molto di più”. Da qui un’agenda studiata nel dettaglio per prendere la rincorsa elettorale. Con l’intenzione di tagliare, proprio a ridosso del voto europeo, i primi nastri nei campi-migranti promessi in Albania e di incassare i primi “sì” alla riforma del premier eletto dal popolo.
L’obiettivo della leader di Fratelli d’Italia, si diceva, però è “stravincere” il test di metà mandato. Mettere alle spalle il logorio di mesi e mesi a palazzo Chigi fatti di molte grane e pochi risultati. Dare conferma della solidità della sua leadership.
Così, anche per assicurare al suo governo una navigazione tranquilla dopo le elezioni di giugno e dare il primo seguito concreto allo schema plebiscitario insito nell’elezione diretta del premier, Meloni sta valutando il passo successivo: mettere la faccia sulle elezioni europee, candidandosi in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali.
La premier è descritta combattuta, non certo però come Elly Schlein. Da una parte Meloni valuta che esiste un unico precedente: soltanto Silvio Berlusconi, nel 2014, si presentò al voto mentre stava a palazzo Chigi e non brillò (16,8%).
Dall’altra, analizza le performance di Matteo Renzi che pur senza candidarsi (sempre nel 2014) portò il suo Pd al 40,8% e quella di Matteo Salvini del 2019. Il leader leghista, allora vicepremier e ministro dell’Interno, fece salire la Lega al 34,3%, salvo poi dissipare il patrimonio a causa delle sbronze (politiche) di mojito al Papeete.
Il Giornale scrive che Meloni deciderà dopo la festa di Atreju in programma dal 14 al 17 dicembre a Roma. Ma la decisione sarebbe già pressoché presa. “Giorgia ha deciso di candidarsi per trainare il partito”, dice un ministro di rango di FdI. “Giorgia per la verità sta ancora riflettendo”, aggiunge un alto esponente di via della Scrofa, “ma alla fine sarà costretta a candidarsi: è l’unica che porta davvero voti”.
Vero? A sentire il sondaggista Antonio Noto non ci sono dubbi. “Meloni è il volto di FdI ed è un aggregatore di consensi”, spiega, “in Italia chi si dichiara di destra è il 10%, ma grazie a lei alle elezioni del 2022 hanno votato FdI il 26% degli elettori”.
Dunque? “Dunque se Meloni si candida può portare FdI ben oltre il 30%. Tanto più che, come dimostrano le esperienze di Renzi e di Salvini, alle elezioni europee c’è un solo partito che fa boom, il botto. E per come vanno i sondaggi”, conclude Noto, “questa volta sarà il partito della premier, forte anche del fatto di guidare il governo”.
Di certo, c’è che Meloni sembra infischiarsene dello stato di salute post elettorale degli alleati. Anzi, appare intenzionata ad asfaltarli per essere ancora più forte e mettere il suo governo a riparo dalle fibrillazioni. “Salvini e Tajani aprono la crisi se vanno male? Balle!”, ridacchia un colonnello di FdI, “queste sono dinamiche antiche di sopravvivenza. Con i numeri che abbiamo in Parlamento non c’è possibilità di un esecutivo tecnico o di una diversa maggioranza senza i nostri voti. Dunque leghisti e forzisti se ne staranno buoni pur di conservare la poltrona. L’alternativa sarebbe sparire subito con le elezioni anticipate…”. Guarda caso il leitmotiv di Meloni è l’ormai famoso… “Non sono ricattabile”.
Nel quartier generale di FdI di via della Scrofa c’è chi sostiene che la candidatura di Meloni in tutte le circoscrizioni elettorali porterebbe con sé la rinuncia a far scendere in lizza i ministri. Ma c’è chi indica la pista di qualche candidatura, come quella di Daniela Santanché, per cambiare quelli meno graditi. Senza infrangere però l’ultima promessa solenne. “Voglio battere un altro record”, ha detto Meloni a Bruno Vespa, “finire la legislatura con lo stesso governo con cui l’ho iniziata”. Promessa fatta non soltanto per fregiarsi di un’altra medaglia, ma perché un rimpasto vero porterebbe alla necessità di aprire una crisi pilotata per il battesimo del Meloni-bis. Passaggio sempre rischioso. “Comunque tranquilli, lo sbarco di Santanché al Parlamento europeo imporrebbe un avvicendamento, non un rimpasto…”, ghigna un deputato di alto livello di FdI, “ma ci sono anche altre strade, come le dimissioni e l’interim nelle mani del premier”.
Si parla di candidatura anche per il cognato d’Italia: Francesco Lollobrigida. Il ministro dell’Agricoltura è indicato come probabile presidente del gruppo dei conservatori, l’Ecr. E per assumere la prestigiosa carica dovrebbe candidarsi a giugno. Percorso non necessario, invece, per chi è dato come probabile prossimo commissario europeo al posto di Paolo Gentiloni. I nomi più accreditati: Adolfo Urso (Imprese e made in Italy), Guido Crosetto (Difesa) e Raffaele Fitto (Pnrr, Affari europei).
(da Huffingtonpost)
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Novembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
IL GRUPPO AL SENATO DI AZIONE-ITALIA VIVA SI SFASCIA: I QUATTRO SENATORI DEL “CHURCHILL DEI PARIOLI” ANDRANNO NEL MISTO, I SETTE RENZIANI RESTERANNO IN UN GRUPPO AUTONOMO…ALLA CAMERA INVECE DOVREBBE ACCADERE L’OPPOSTO
Alla fine di un lungo tira e molla, il divorzio tra Renzi e Calenda è ufficiale. «È stata trovata un’intesa», ha annunciato il presidente del Senato, Ignazio La Russa, al termine della riunione della Giunta per il regolamento, nella quale si è preso atto che i quattro senatori di Azione migreranno nel gruppo misto e Italia viva, con i suoi sette senatori, resterà gruppo autonomo.
«Se Dio vuole, habemus Papam», commenta il leader di Azione, Carlo Calenda riguardo alla decisione di Palazzo Madama. Più complicato, invece, il «divorzio» alla Camera. La Giunta per il regolamento di Montecitorio sarà convocata «prestissimo» per prendere una decisione, come ha promesso Lorenzo Fontana, aggiornando l’organismo interno di Montecitorio che era stato convocato ieri pomeriggio. A Montecitorio, comunque, dovrebbe avvenire l’opposto. Cioè Azione dovrebbe tenere il gruppo e i deputati di Italia viva dovrebbero uscire.
(da Corriere della Sera)
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Novembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
IL SOSPETTO È CHE LE AZIENDE SI SIANO COORDINATE, ALL’INCIRCA A PARTIRE DAL 2022, PER EVITARE IL CONFRONTO CONCORRENZIALE… NEGLI ULTIMI 18 MESI IL COSTO DEL VETRO PER LA REALIZZAZIONE I BOTTIGLIE È AUMENTATO DEL 58%. UN AUMENTO DEI PREZZI INCONTROLLATO
L’Antitrust, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha
avviato un’istruttoria sull’impennata del costo del vetro. L’iniziativa è partita a seguito di una serie di segnalazioni pervenute tramite l’apposita piattaforma di whistleblowing e coinvolge nove società, e relative associazioni, a causa di una presunta intesa restrittiva della concorrenza nella vendita delle bottiglie di vetro: sono Berlin Packaging Italy, Bormioli Luigi, O-I Italy, Verallia Italia, Vetreria Cooperativa Piegarese, Vetreria Etrusca, Vetri Speciali, Vetropack Italia e Zignago Vetro.
Il sospetto è che le aziende si siano coordinate, all’incirca a partire dal 2022, nel richiedere ai propri clienti analoghi aumenti di prezzo delle bottiglie di vetro nello stesso arco temporale. Una nota di Agcom spiega che questo coordinamento potrebbe essere il risultato di un accordo o di una pratica concordata per evitare il confronto concorrenziale tra i principali operatori del settore. I funzionari, con la collaborazione del nucleo speciale Antitrust della Guardia di finanza, stanno svolgendo le ispezioni nelle principali sedi delle imprese coinvolte e dei soggetti che potrebbero avere elementi utili alle indagini. È il caso di Assovetro, Associazione nazionali degli industriali del vetro.
Le conseguenze sul mercato
La corsa dei rincari della materia prima è una condizione che da molto tempo è diventata un problema per i produttori di vino, essendo il vetro una componente fondamentale nella realizzazione del prodotto finale. Secondo le recenti rivelazioni di Coldiretti e Filiera Italia, negli ultimi 18 mezzi il costo del vetro per la realizzazione i bottiglie è aumentato del 58%. Un aumento dei prezzi incontrollato, lamenta il settore, condiziona la competitività del vino made in Italy sia sul mercato nostrano che su quello internazionale proprio in un momento in cui le vendite si sono appiattite. In particolare negli Stati Uniti, che solitamente è il principale Paese di esportazione del vino italiano: nei primi sette mesi del 2023 il commercio ha registrato un calo dell’8%.
(da agenzie)
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