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TRIPOLI, UCCISO BIDJA, IL TRAFFICANTE CON LA DIVISA DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA

Settembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

UNO DEI CAPI DELL’ORGANIZZAZIONE CRIMINALE CHE GESTISCE I VIAGGI DEI MIGRANTI CON LA COMPLICITA’ DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA (CHE NOI FINANZIAMO)

Abdulrahman Bidja, Capo dell’Accademia navale libica, indicato da diversi report dell’Onu come uno dei più importanti trafficanti di uomini, è stato ucciso oggi pomeriggio a Tripoli in un agguato di chiaro stampo mafioso
Bidja è stato sorpreso mentre era in macchina davanti all’Accademia navale di Janzour da un commando di killer che ha sparato con fuoco incrociato uccidendolo sul colpo.
La sua attività criminale – che lo aveva fatto finire in più report dell’Onu – non gli aveva impedito nel 2019 di tornare ad indossare la divisa della Guardia costiera libica. Capo di quella di Zawiya, una delle località da cui partiva un gran numero di gommoni verso l’Italia, lo era già dal 2015, ma poi nel 2018 era stato sospeso per un breve periodo.
Nei suoi confronti era stato emesso anche un mandato di cattura cinque anni fa ma nessuno ha mai avuto il coraggio di arrestarlo. Anzi, nonostante questo il governo presieduto da Al Sarraji lo ha reintegrato e promosso. E Bija ha scalato ancor di più i vertici della Marina libica a cui l’Italia, con i patti firmati e rifinanziati più volte, ha paradossalmente affidato il compito di intercettare le partenze delle imbarcazioni di migranti.
Peccato che ci fosse proprio Bija, cugino di Mohammed Koshalaf, il capo della brigata di Al-Nasr, a capo dell’organizzazione che gestiva le partenze dei migranti. Come risulta anche da diverse inchieste aperte da Procure italiane. Tutti lo sapevano, eppure a maggio 2017 Bija appare seduto a Roma insieme a funzionari del ministero dell’Interno ad un vertice sul contrasto dell’immigrazione clandestina organizzato dall’Oim.
Lo rivela con tanto di foto su Avvenire il giornalista Nello Scavo che per le serie minacce poi ricevute è finito sotto scorta consì come la free lance Nancy Porsia, anche lei oggetto di pesanti minacce .
Bija andava in giro sempre superscortato da uomini armati e, si dice, che spesso mandasse avanti persino delle controfigure. Oggi, però, il commando di uomini che lo aspettava davanti l’Accademia navale non si è fatto ingannare.
(da agenzie)

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LO SCIOPERO GENERALE IN ISRAELE: UFFICI E SCUOLE CHIUSE, STRADE BLOCCATE, FERMI GLI AEREI

Settembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

ACCUSE A NETANYAHU: “I SEI ISRAELIANI SAREBBERO VIVI SE ISRAELE AVESSE ACCETTATO IL CESSATE IL FUOCO”

È sciopero generale in Israele. Dalle sei di oggi, 2 settembre, gli uffici governativi e comunali rimarranno chiusi così come le scuole e molte aziende private. A incrociare le braccia anche i dipendenti dal principale aeroporto del Paese, il Ben Gurion di Tel Aviv. Histadrut, uno dei più grandi sindacati israeliani, ha indetto lo sciopero per criticare la linea oltranzista del governo guidato da Benjamin Netanyahu sul rilascio degli ostaggi. I familiari delle persone prigioniere di Hamas dallo scorso 7 ottobre invocano invece un accordo immediato per il cessate il fuoco, alla luce del ritrovamento dei sei morti israeliani in un tunnel di Rafah. «Sarebbero ancora vivi se Israele avesse accettato un accordo», ha dichiarato in un’intervista all’emittente araba Al Jazeera il vicepresidente dell’Ufficio politico del movimento islamista Khalil al-Hayya.
Lo sciopero
Decine sono i manifestanti che hanno bloccato a Tel Aviv Ibn Gvirol Street. Secondo quanto riporta il Times of Israel, i contestatori si sono prima riuniti all’incrocio di Shilat, vicino a Modi’in, e hanno quindi chiuso l’accesso a una strada nella città settentrionale di Rosh Pina. Israele è letteralmente chiusa al traffico internazionale dato che il principale aeroporto civile e il più trafficato del Paese, il Ben Gurion, ha tutti gli aerei fermi sulle proprie piste. I manifestanti sono per un accordo immediato con la milizia di Hamas per portare a casa gli ultimi ostaggi (sarebbero ancora 97, ma quelli in vita forse sono sotto la quarantina). Il primo ministro israeliano non accenna alcun passo indietro, anzi rilancia: «Dobbiamo dire chiaramente che risponderemo con estrema forza. La prima cosa che deve essere fatta è portare entro 24-48 ore delle raccomandazioni per esigere un prezzo pesante, netto e molto rapido da Hamas: se non lo facciamo, vedremo altri omicidi di questo tipo», avrebbe detto Netanyahu nella riunione del gabinetto di sicurezza di ieri sera, 1 settembre.
L’attacco alla scuola di Gaza
Nel frattempo, sarebbero almeno 11 le persone rimaste uccise in un attacco aereo israeliano che ha colpito la scuola Safad, a Gaza City. Per il portavoce dell’agenzia di difesa civile Mahmud Bassal erano tutti sfollati. Il raid avrebbe centrato «una stanza usata dalla polizia», riporta un funzionario medico di Gaza, mentre l’Idf sostiene di aver colpito «terroristi di Hamas che operavano da un centro di controllo in un’area che era la scuola di Safad».
(da agenzie)

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STRAGE DI PADERNO DUGNANO: “PUO’ CAPITARE ANCHE A NOI. I GENITORI? SANNO DI PADEL O DELLA PARTITA”

Settembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

LO PSICANALISTA LANCINI: “IL GESTO DISPERATO PER UNA RELAZIONE ANNULLATA”… PAOLO CREPET: “E’ AVVENUTA PERCHE’ NON CI PARLIAMO PIU'”

Perché Riccardo C. ha ucciso i suoi genitori e il fratellino a Paderno Dugnano? La strage di via Anzio, secondo lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, ha a che fare «con ciò che accade all’interno della famiglia. Ognuna di esse ha delle caratteristiche uniche e specifiche che difficilmente si possono generalizzare». Il presidente della Fondazione Minotauro di Milano parla oggi con La Stampa: «Sempre più spesso i fatti di cronaca e il lavoro quotidiano che facciamo anche al centro Minotauro ci restituiscono un quadro di ragazzi che faticano enormemente a esprimere gli aspetti emotivi, i conflitti e i sentimenti più disturbanti relativi al proprio contesto familiare e amicale in qualche cosa che diventi simbolo, parola e condivisione. La relazione viene annullata e si ricorre al gesto disperato».
La strage e i motivi
Secondo Lancini per comprendere il livello di salute mentale di Riccardo C. «bisogna attendere le perizie e tutti gli accertamenti della procura e del tribunale minorile. Senza dubbio ci troviamo davanti a un disagio e un dolore mentale che, però, non necessariamente possiamo subito attribuire a una psicopatologia». L’uso del coltello tra i giovani «è sempre più diffuso. Anche in età anticipata e tra ragazzi provenienti da contesti socio-economici non svantaggiati, come nella vicenda di specie, che regolano le vicende emotive attraverso l’utilizzo di quest’arma. Il ragazzo ha agito con gesto particolarmente violento e ripetuto. Prima contro un bambino di 12 anni e poi contro una madre e un padre». Mentre la chiamata al 112 per incolpare il padre della strage è spiegabile perché le difese «spesso non sono premeditate e strutturate».
Il disagio, l’oppressione, il triplice omicidio
Lancini dice che l’unico modo per comprendere prima questo tipo di disagi è che «non dobbiamo mai smettere di dare voce alle emozioni anche più disturbanti che hanno i ragazzi. Oggi abbiamo più che mai la necessità di partire da questa terribile vicenda per parlarne e fare in modo che i propri figli esprimano il proprio pensiero sul gesto e anche lasciarli dire delle cose che ci possano disturbare e non vorremmo sentire». Il professor Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e saggista, parla invece con Il Messaggero: «Prendiamo atto del disfacimento del nostro mondo, del disfacimento della famiglia. Lo dico da trent’anni. E mi sento rispondere che sono il disfattista, che sono il pessimista, che non capisco niente, che bisogna guardare il bicchiere mezzo vuoto. Da anni mi chiamate per commentare delitti di questo tipo… Ma davvero c’è qualcuno, compreso il ministro della Famiglia, che dica che esiste ancora la famiglia? Andiamo».
Il disfacimento della famiglia
Secondo Crepet «semplicemente non c’è più una regola. Ed è avvenuto perché non parliamo più. Abbiamo scambiato i soldi con le parole. Una volta si parlava e non c’erano i soldi. Oggi ci sono i soldi ma non si parla più. Un padre non sa dove è suo figlio di 14 anni. Sabato sera c’era mezza Italia che non sapeva dove si trovasse il proprio figlio. Ne aveva una idea molto, molto vaga. Un padre non sa cosa fa il proprio figlio di 14 anni, non sa quanti shot stia bevendo, non sa se consuma cocaina, non sa se fa sesso con una tredicenne. Semplicemente non lo sa. Sa di cosa sanno i genitori? Di padel, della partita, del prossimo viaggio quando magari si parte sposati e si torna separati. Poi mi dicono “lei è pessimista”. No, sono gli ottimisti che sono male informati».
I genitori protettivi nel modo sbagliato
Lo psicologo sostiene che i genitori italiani non sono protettivi quando dovrebbero esserlo, «vale a dire a partire dalle 9 di sera. Sono protettivi in modo sbagliato, ecco che non ci sono più i voti a scuola. Guardi, è stato fatto tutto il contrario di ciò che sarebbe intelligente fare. Forse non siamo un popolo così intelligente».
La situazione, secondo Crepet, si migliora «mettendo un punto. Possiamo cambiare la scuola, prima di tutto. In maniera rivoluzionaria. Non funziona nulla. Prima di tutto bisogna cominciare a 5 anni e non a 6, finire a 18 e non a 19. Bisogna rimettere i voti come si è sempre fatto. Bisogna avere la scuola a tempo pieno e dare più soldi agli insegnanti. Ma lei pensa che ci sia un politico che pensa a queste cose? Però ho ragione io, me lo faccia dire».
(da agenzie)

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RICCARDO, IL 17ENNE CHE HA UCCISO LA FAMIGLIA A PADERNO DUGNANO: “SERIO, STUDIOSO, TRANQUILLI. GLI AMICI, LA FIDANZATA, MAI AVREMMO PENSATO…”

Settembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

CHOC A SCUOLA: “I SUOI COMPAGNI E AMICI SONO TUTTI SCONVOLTI”

«Il coltello era a terra là, vicino a un cartellino giallo, sai, quello usato per le prove». Il dito indica un pezzo di marciapiede, proprio di fronte al cancello che da via Anzio — contesto residenziale tranquillo di Paderno Dugnano, paesone dell’hinterland milanese — dà accesso alla via privata che porta alla casa della famiglia sterminata dal figlio maggiore. «Non riuscivo a capire: c’erano un sacco di pattuglie dei carabinieri. La scena mi ha stranito»
Sono le 5 del mattino di domenica, e il ragazzo, un coetaneo amico dell’omicida, si butta comunque a letto. «Stamattina m’ha svegliato mia madre e mi ha detto quello che era successo. Quando mi ha detto di Riccardo, all’inizio non ho realizzato. Sono rimasto sdraiato, non riuscivo a reagire. Poi, mi sono alzato e sono venuto qua».
Con l’autore della strage, il giovane condivide il nome, oltre a un pezzo di percorso scolastico. «Con lui ho fatto insieme le elementari, alle Mazzini, qua di fronte. Con il tempo ci siamo un po’ persi, ma abitava a due passi da casa mia, ci incrociavamo spesso, ci salutavamo, due chiacchiere veloci… Mai avrei pensato…».
Tutti i giovani che durante la giornata si radunano nel parchetto di fronte alla casa conoscono Riccardo C., chi più, chi meno. Hanno poca voglia di parlare, ma descrivono un ragazzo «serio», «studioso», «tranquillo», «sportivo» (gioca a pallavolo a Limbiate). Nessun accenno a sue passate intemperanze, oppure a comportamenti violenti. «Ma và, è l’ultima persona dalla quale ti aspetteresti una cosa del genere — sentenzia un altro ragazzo — e nessuno sapeva di problemi con i familiari, non ne ha mai parlato».
Non è questione di reticenza. Perché anche il ritratto che ne fa Antonella Caniato — preside del complesso scolastico che raccoglie in pochi metri da via Anzio scuola dell’Infanzia, elementari e medie — non si discosta dall’immagine di un ragazzino «assolutamente tranquillo, forse un po’ introverso, ma aveva amici, una fidanzatina, e non ha mai dato problemi». «L’ultima volta che l’abbiamo visto è stato il 19 luglio di due anni fa, per la commemorazione di Falcone e Borsellino». Riccardo aveva già terminato le medie, ma la scuola l’aveva ricontattato «per chiedergli una mano per una rappresentazione teatrale pensata per la ricorrenza — ricorda —. Alla fine eravamo anche andati tutti a mangiare una pizza».
Domenica lo choc. Doppio. Perché in quelle stesse classi stava crescendo anche Lorenzo, il fratellino 12enne, una delle vittime della strage. «Lorenzo era gioioso, aveva voglia di crescere e imparare, e sapeva farsi voler bene». Ecco perché «è stato un colpo, che dobbiamo ancora elaborare, per noi, e soprattutto per affrontare la settimana prossima questa tragedia con i suoi compagni e amici, che sono tutti sconvolti».
(da Il Corriere della Sera)

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STRAGE DI PADERNO DUGNANO: “IN CASA MI SENTIVO UN CORPO ESTRANEO, CI PENSAVO DA UN PO'”

Settembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

L’AUTORE DEL TRIPLICE OMICIDIO: “HO PENSATO CHE UCCIDENDOLI TUTTI MI SAREI LIBERATO DI QUESTO DISAGIO. MA NON E’ STATO COSI’, ME NE SONO ACCORTO UN MINUTO DOPO”

In mano ha la lama di un grosso coltello che gronda sangue. Lo lascia cadere sul marciapiedi davanti al cancello del vialetto quando vede i carabinieri. Riccardo è in mutande, a torso nudo, addosso ha il sangue di papà Fabio, della mamma Daniela, di suo fratello Lorenzo, 12 anni. È a lui che riserva le prime coltellate, nel sonno, mentre dorme. Sono colpi feroci, tanti. Gli inquirenti parlano di decine di lesioni.
«Non c’è un vero motivo per cui l’ho ucciso. Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio». Ma non è stato così. «Me ne sono accorto un minuto dopo: ho capito che non era uccidendoli che mi sarei liberato».
Per più di dodici ore Riccardo C., — 17 anni, la quinta al liceo scientifico Gadda di Paderno che sarebbe iniziata a giorni, la passione per la pallavolo, un ragazzo come tanti — prova a far reggere una bugia che non sta in piedi. Perché è davvero difficile credere, come ha raccontato al 112, che papà Fabio abbia ucciso mamma e figlio e poi lui abbia raccolto il coltello per colpirlo senza però avere addosso neppure un graffio, un segno di lotta contro un uomo alto e dal fisico atletico.
Quello davanti al pm dei minori Sabrina Ditaranto è un monologo inframmezzato dalle lacrime: «Non è successo niente di particolare sabato sera. Ma ci pensavo da un po’, era una cosa che covavo», racconta durante le sue spontanee dichiarazioni.
Sono parole difficili da ascoltare. Riccardo dice di essersi alzato mentre gli altri dormivano per andare in cucina a prendere un «coltello da carne» e di avere colpito per primo («ma senza una ragione precisa») il fratellino. Quando parla delle motivazioni del massacro, singhiozza parole che non chiariscono cosa sia questo «disagio» che ha armato il suo piano di morte, un «malessere», questo il termine messo a verbale dal ragazzo davanti a inquirenti e investigatori. «Non so davvero come spiegarlo. Mi sento solo anche in mezzo agli altri». A casa come con gli amici, che non gli mancavano: «Non avevo un vero dialogo con nessuno. Era come se nessuno mi comprendesse». Riccardo ha pianto a lungo e chi l’ha visto nelle ore dell’interrogatorio ha trovato un ragazzo «fragilissimo».
Quando alle 17.30 esce dalla caserma di Paderno, mentre la macchina dei carabinieri sfreccia via, lui si copre il viso con la mano destra. Tra le dita sembra stringere un fazzoletto di carta. Nei prossimi giorni gli psicologi del Beccaria, dove è in arresto per omicidio plurimo, lo aiuteranno a scavare dentro di sé. A dare una ragione — se mai ce ne possa essere una — per spiegare questo massacro arrivato nei giorni in cui tutti si interrogavano per la fine di Sharon Verzeni, ammazzata «solo per il bisogno di uccidere».
Fuori dalla villetta di via Anzio c’è chi prova a lanciarsi in parallelismi arditi: «Questi ragazzi non conoscono il valore della vita. Non sappiamo insegnargli più cos’è il bene e cosa il male», sentenzia la mamma di un ragazzino che avrà l’età del povero Lorenzo. «È davvero troppo presto per capire», riflette il difensore del 17enne, Chiara Roveda.
E sono parole sovrapponibili a quelle degli investigatori. A chi lo interroga sembra un ragazzo «intelligente», forse più della media. La sua appare come una confessione «autentica». Ma è un racconto vuoto, desolante davanti a tanto orrore. Forse Riccardo non ha gli strumenti per spiegare cosa sia davvero quel «disagio interiore». Non parla di bullismo, di sessualità, di problemi con le droghe. È come se tutto fosse racchiuso in quella sensazione che tanti adolescenti vivono ogni giorno: la difficoltà di sentirsi adulti, il disagio di trovare una propria strada. Ma è tutto troppo poco, infinitesimo di fronte al massacro di un’intera famiglia.
(da Il Corriere della Sera)

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MILANO ERA “COCATA” GIA’ NEL SEICENTO. A RIVELARLO LE ANALISI TOSSICOLOGICHE SUGLI SCHELETRI DELLA CA’ GRANDA, ANTICO OSPEDALE PUBBLICO CITTADINO

Settembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

L’ARRIVO DELLA DROGA IN EUROPA E’ DATATO INTORNO AL 1859. MA ORA UNO STUDIO DELLA STATALE RIVELA CHE “LA BAMBA” ERA CONSUMATA GIÀ DUE SECOLI PRIMA. IL MEDICO LEGALE CRISTINA CATTANEO: “MILANO ERA SOTTO IL DOMINIO SPAGNOLO, DETERMINANTE IL PONTE CON IL SUDAMERICA”

Nel 1859 il chimico tedesco Albert Niemann isola il principio attivo di alcune foglie arrivate dal Sudamerica: la storia della cocaina in Europa inizia qui. Anzi, no. Perché, in realtà, a Milano si conoscevano (e si cercavano) gli effetti delle piante di coca già due secoli prima degli esperimenti di Niemann. A «spifferarlo» gli scheletri secenteschi della Ca’ Granda, antico ospedale pubblico cittadino.
La prova schiacciante
I resti del sepolcreto nel 2022 sono finiti al centro delle analisi tossicologiche dell’Università Statale. Tra gli accertamenti, quelli che — né più né meno — si eseguono in presenza di delitti contemporanei.
Prima lo screening generale, poi la ricerca di molecole di cui, nel mare di dati, emergono picchi. Quantità e concentrazioni passate in rassegna, incrociate con i registri dell’ospedale per scremare sostanze a uso medico. Ancora: contro-verifiche per scartare contaminazioni (dal contatto con scheletri di altre epoche o con l’esterno).
Finché: sorpresa. In due encefali è saltata fuori la molecola di igrina — impronta inequivocabile dell’assunzione di coca —, con conseguente rivoluzione di quanto si sapeva di essa. La pianta in Sudamerica è nota da tempo immemore — masticata in riti e contro la fatica tra Perù, Bolivia, Colombia —, ma nel vecchio continente è ben altra storia.
Sul Journal of Archaeological Science quanto emerso a Milano è oggetto di un articolo fresco di pubblicazione: lo firmano, tra gli altri, Cristina Cattaneo, medico legale chiamata a lavorare sui più oscuri casi di cronaca nonché guida del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense della Statale; Domenico Di Candia, responsabile del laboratorio di tossicologia e archeotossicologia forense; la dottoranda Gaia Giordano; il tossicologo Michele Boracchi e Mirko Mattia, curatore del Musa-Museo universitario delle scienze antropologiche, mediche e forensi per i diritti umani.
La ricerca ha attirato l’interesse internazionale della comunità scientifica e non solo. Aggiungere dettagli sulla diffusione della coca e del suo principio attivo (cocaina) significa aggiungerli su un fenomeno che — per quanto riguarda lo spaccio — a Milano pesa 100 milioni di euro l’anno.
Nel 2023 in città sono stati sequestrati 100 chili di cocaina: la stima è che in circolazione ce ne siano 10 volte tanti. Inoltre: nelle circa 800 autopsie annue svolte dall’Istituto di medicina legale cittadino, in caso di positività agli stupefacenti (20% dei soggetti) otto volte su 10 c’è cocaina. «Una diffusione enorme», ricordano i ricercatori. Che ha un’origine meno recente di quanto si immaginasse: Milano è dunque un caso. Anche perché solo qui — a livello internazionale — è stata fatta una ricerca così approfondita sul passato.
Gli studi tossicologici su resti archeologici non si fanno quasi mai e noi invece ci abbiamo creduto». Il secondo motivo è il patrimonio ineguagliabile di Milano: sotto l’ex ospedale, nella cripta della chiesa della Beata Vergine Annunciata, sono conservati (spesso mescolati) i resti di migliaia di pazienti morti tra XV e XIX secolo.
Il microclima ha permesso (è rarissimo) la conservazione non solo di ossa, ma anche di frammenti di encefalo. Nella materia cerebrale interna a due scatole craniche di inizio Seicento (data accertata con il carbonio 14, usato anche sulle mummie) è appunto emersa la molecola di igrina.
L’identikit dei due assuntori
«Queste due persone avevano consumato foglie di coca: abbiamo capito che avveniva già nel 1600, in una grande città come Milano, e non solo sulle montagne boliviane o nelle miniere del Perù. Si ricercava evidentemente l’effetto che dava la pianta, più blando di quello della sostanza di sintesi attuale», prosegue Cattaneo.
La scoperta cosa ci dice? «Ad esempio che il Seicento è considerato a torto un secolo statico per gli scambi, e che le foglie giungono qui molto presto. Milano era sotto il dominio spagnolo: il ponte con l’America latina probabilmente è determinante». L’identikit dei due assuntori? Milanesi poveri — non poverissimi — o viaggiatori benestanti. «La Ca’ Granda era un ospedale pubblico: chi si poteva permettere di viaggiare ed era straniero andava lì, chi viveva in città riceveva cure gratuite se indigente. Anche se i più poveri tra i poveri restavano per strada».
Cannabis per uso ricreativo
Non è la prima volta che la Statale, con i suoi esperti, mette punti fermi sulla storia delle droghe. Nel 2023 nei femori di due defunti del XVII secolo (un uomo di 16-20 anni e una donna di 40-45 anni) era emersa la cannabis. In questo caso non una sostanza che non si pensava circolasse, ma la particolarità era l’impiego: esclusa la terapia — zero tracce nella documentazione coeva dell’ospedale—, era stato censito il primo caso di cannabis a uso ricreativo.
(da Il Corriere della Sera)

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