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MELONI VS BERLUSCONI, NUOVO ROUND; CI SONO DUE GRANDI FRATTURE TRA LA DUCETTA E IL DUO PIER SILVIO MARINA: UNA RIGUARDA UNA NORMA SULLA TASSA DI SUCCESSIONE FAVOREVOLE AI BERLUSCONI, L’ALTRA IL CANONE RAI CHE MEDIASET NON VUOLE VENGA TOCCATO

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

L’ODIO DI FRATELLI D’ITALIA VERSO GIANNI LETTA CHE LA MELONI VUOLE “DEMANSIONATO”: LO CONSIDERA L’ESECUTORE, SU MANDATO DI PIER SILVIO, DELLA FUTURA ALLEANZA TRA FORZA ITALIA E PD

Vuole teste da tagliare e leggi da stracciare: Meloni esige prove d’amore dalla famiglia Berlusconi, desidera essere temuta. A Tajani chiede il demansionamento di Gianni Letta, al viceministro dell’Economia, Leo, avrebbe ordinato di stracciare una legge favorevole alla famiglia Berlusconi. Ci sono 423 milioni di ragioni, oltre alla Rai, e altre ragioni ancora, che separano Meloni e gli eredi del Cavaliere.
Sono i milioni che grazie alla riforma Leo sarebbero stati esentati dalla tassa di successione. La norma è scomparsa dal decreto che attua la riforma fiscale. La convinzione della premier è che Letta, su mandato di Pier Silvio, stia lavorando all’imboscata democratica, la futura alleanza tra FI e Pd. Meloni prepara il castigo e lo spavento.
La nomina di Simona Agnes alla presidenza della Rai è una richiesta di Gianni Letta che ora è il nemico definitivo Il caso Boccia-Sangiuliano ha il merito di illuminare una coalizione sbandata, con un partito che starebbe organizzando il dopo Meloni. Tajani continua a chiedere lo ius scholae tanto che gli affetti di Salvini avvisano: “Se Tajani non la smette, qui finisce male. Salvini è infuriato. Ormai è la prova che Pier Silvio, liberato dal padre, vuole, fare politica”.
La famiglia Berlusconi ha sempre stimato la premier, lo ha dichiarato, ma adesso c’è delusione per un comunità, quella di FdI, che vive di complotti, che scambia editori liberi per editori che manipolano dossier. E’ necessario tornare ad agosto, prima dei piani mirabolanti per indagare Arianna Meloni, denunciati da Meloni, prima del caso Boccia-Sangiuliano. Un episodio, dimenticato, risulta ora decisivo.
Nell’ultimo Cdm, si parla e si inserisce alla riforma fiscale, una norma interpretativa (non è stata mai smentita). Permette agli eredi che proseguono l’attività dei genitori di avere uno sconto sulla tassa di successione. Va però dimostrata la continuità. Nel caso di una società italiana, di una partita iva, è facile, diverso è per le società che hanno deciso, e non solo per ragioni fiscali, ma per avere più peso in assemblea, di spostare le holding all’estero.
Maurizio Leo, di FdI, l’uomo che sta riordinando il fisco interviene per precisare le norme e sono norme che toccano da vicino la famiglia Berlusconi. Si parla di un’esenzione del quattro per cento su un patrimonio di 423 milioni di euro ereditato dai fratelli Berlusconi. La riforma azzererebbe due sentenze, una della Cassazione, l’altra della Consulta. Per la Consulta l’esenzione non compete agli eredi che ricevono quote di partecipazione ma che non svolgono attività di impresa.
Il nodo riguarda le holding che controllano Fininvest e che hanno sede fuori dall’Italia. E’ impresa? Si può dimostrare? Per il Fatto l’esenzione è “un regalo” del governo alla famiglia Berlusconi, se invece non è regalo, ma un riassetto più ampio, perché il governo non lo spiega? Quando l’indiscrezione è uscita, nessuno ha smentito la notizia.
La famiglia Berlusconi può benissimo dire che non ha bisogno di regali. E infatti questo regalo nella versione finale non c’è e lo conferma lo staff di Leo.
Se non c’era perché dirlo solo adesso? E ancora: Leo aveva illustrato a Meloni quali conseguenze poteva avere la norma su un pezzo di capitalismo familiare? La norma è scomparsa. Ci sono quindi grandi argomenti, due grandi fratture tra i Berlusconi e Meloni (più Mediaset che Mondadori) e una riguarderebbe questa tassa, l’altra riguarda, al solito, la Rai, il canone che Mediaset non vuole venga toccato. Lo sanno tutti che il terminale romano dei Berlusconi è Gianni Letta. Letta ha ripreso a ricevere nel suo studio di largo del Nazareno, a pochi passi dalla sede del Pd.
Riceve esponenti dem, forte della sua massima, “dieci minuti non si negano a nessuno”. Il 29 settembre, Marina Berlusconi è attesa a Roma, per l’apertura del Mondadori Store, in Galleria Alberto Sordi, libreria che si candida a diventare il nuovo salone della politica, compresa quella di sinistra. Il centrodestra è a tre vertici, tre luoghi: Palazzo Chigi, la libreria Mondadori (dove una volta c’era Feltrinelli) e l’ufficio al Nazareno di Gianni Letta. Chi è vicino a Letta oggi rischia.
Una delle persone a lui più care è Simona Agnes, candidata presidente Rai in quota FI, ma anche in FI c’è chi la mette in discussione. Agnes produce format acquistati dalla Rai e in passato è stata attaccata dall’Usigrai. Torna quindi la dolce ossessione G.Letta, 89 anni, regista, secondo FdI, dei piani più spericolati e dell’altra frase, sempre citata da Dagospia, “un nemico o si compra o si seduce”. Schlein, a Cernobbio, è stata lodata, e avvicinata, da imprenditori, e sta iniziando a sedurre il nord.
Chiusa a palazzo, a Roma, la premier non si accorge di quanto avviene a Milano e Torino. Marina Berlusconi vuole acquistare Adelphi, che è sempre stata la casa editrice amata da Marella Agnelli, da Gianni. C’è una sintonia di valori, un comune sentire, su specifici temi, argomenti, tra gli eredi Agnelli-Elkann e gli eredi Berlusconi. Per quale ragione capitani d’industria, dinastie, devono accettare un governo che li rifiuta?
Perché devono essere trattati come mendicanti da un governo che non li vuole riconoscere? Dieci minuti non si negano a nessuno, ma Meloni ha deciso di dedicarli alle visite di Pino Insegno
(da agenzie)

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TUTTI A LAVORO FINO AL TRAPASSO: I SINDACATI, ANCHE QUELLI DELLA POLIZIA, BOCCIANO L’IDEONA DEL GOVERNO DI OBBLIGARE I DIPENDENTI PUBBLICI A RESTARE A LAVORO FINO AI 70 ANNI: UNA SOLUZIONE PER RISPARMIARE SUI CONTI DELLO STATO

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

MENO PENSIONI VUOL DIRE ANCHE MENO ASSUNZIONI (CON I GIOVANI CHE SE LA PIGLIANO IN SACCOCCIA)…I SINDACATI INSORGONO: “UNA FOLLIA, SIAMO GIÀ IL PAESE CON L’ETÀ PENSIONABILE PIÙ ALTA D’EUROPA E CON UNA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE TRA LE PIÙ VECCHIE”

I sindacati, anche quelli di polizia, bocciano l’idea del governo di spingere fino a 70 anni la permanenza al lavoro dei dipendenti pubblici. I leader di Cgil, Cisl e Uil – a Cagliari per il summit sindacale Labour 7 che precede il G7 del Lavoro – chiedono anzi alla premier Meloni di convocare quanto prima le parti sociali per discutere di pensioni e degli altri temi legati alla manovra.
Il pacchetto previdenziale si annuncia risicato. Il governo intende portare avanti, anzi accentuare, la filosofia dell’anno scorso: fare cassa sugli assegni medio-alti con la rivalutazione parziale all’inflazione, penalizzare le uscite anticipate, trattenere al lavoro
La linea non cambia, nonostante il primo ricorso finito davanti alla Consulta, raccontato ieri da Repubblica , per incostituzionalità del taglio all’indicizzazione delle pensioni sopra i 2.273 euro lordi, quattro volte il minimo.
Taglio strutturale, in vigore da un biennio e destinato ad essere confermato anche per il 2025 con un’ulteriore possibile stretta alle ultime due fasce, quelle che oggi recuperano solo il 37% e il 22% dell’inflazione. Parliamo di assegni rispettivamente sopra 4.544 euro e 5.679 euro lordi. Se l’obiettivo è quello di alzare le pensioni minime per accontentare Forza Italia, questa sarebbe la copertura.
Anche l’idea di allungare, per ora in modo volontario, la permanenza dei dipendenti pubblici fino a 70 anni viene chiaramente immaginata dal governo in chiave di risparmio sui conti dello Stato: meno pensioni, meno assunzioni. Così la interpreta Maurizio Landini, segretario generale della Cgil: «Una follia, siamo già il Paese con l’età pensionabile più alta d’Europa e con una pubblica amministrazione tra le più vecchie. Avremmo bisogno di giovani e di aumentare l’occupazione. Qui invece si fa l’operazione inversa per non pagare le pensioni e fare assunzioni, quindi risparmiare».
(da agenzie)

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IL M5S E’ UNA MAIONESE IMPAZZITA: CI SONO 22 MILA IDEE SUL TAVOLO PER LA COSTITUENTE DI OTTOBRE (SONO I SUGGERIMENTI DEGLI ATTIVISTI)

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

IL MOVIMENTO E’ UN GRAN BAZAR, LA BASE PENTASTELLATA E’ DIVISA SUL LIMITE DEI DUE MANDATI … È IN DISCUSSIONE ANCHE L’ALLEANZA STABILE CON IL PD: UNA PICCOLA PARTE DEL M5S E’ CONTRARIA

Ventiduemila idee sul tavolo: tante sono le proposte della base M5S per la Costituente di ottobre. Venerdì si è chiusa la prima fase dell’iter che porterà all’assemblea di ottobre e gli stellati per ora registrano il numero elevato di suggerimenti degli attivisti. Ma come vogliono cambiare il Movimento i militanti? A scorrere l’elenco delle idee si trova tutto e il contrario di tutto.
Il termometro della base può anche essere utile per capire come sono gli umori nello scontro tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo. Su nome e simbolo la partecipazione degli attivisti non è molto forte, la questione sembra marginale rispetto a diversi temi interni e prevale in larga parte la volontà di mantenere la stessa identità.
Diverso il tema del superamento del limite dei due mandati. La base è divisa. Una maggioranza è favorevole a nuove regole, declinate in moltissimi modi. Ma ogni tre proposte circa per il cambiamento, ce ne sono due che invece evocano un ancoraggio alle origini.
Anche gli ex parlamentari si sono schierati: con il lodo proposto da Gabriele Lorenzoni (due legislature solo in Parlamento e regole diverse per gli altri incarichi) provano a inserirsi nella partita tra presidente e garante.
Tutto è in discussione. Anche l’alleanza stabile con il Pd: lo schieramento nel campo progressista in pianta stabile è un argomento di dibattito che vede una minoranza ancora titubante. Ma nel calderone della Costituente si trovano davvero mille spunti.
C’è il Partito gay di Fabrizio Marrazzo che propone lo scioglimento nel M5S, c’è chi chiede nero su bianco il ritorno di Alessandro Di Battista, chi parla di crowdfunding per i territori, chi vuole un inno ufficiale dei Cinque Stelle.
(da agenzie)

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IL TAR DEL LAZIO RIFILA UNO SCHIAFFO AL GOVERNO: HA SOSPESO IL DECRETO DEL MINISTERO DELLA SALUTE CHE INSERIVA LA CANAPA NELL’ELENCO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI, ACCOLTO IL RICORSO DI IMPRENDITORI DEL SETTORE, CHE DÀ LAVORO A 11 MILA PERSONE

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

IL PROVVEDIMENTO, ENTRATO IN VIGORE IL 5 AGOSTO, PROIBIVA COMMERCIO, LAVORAZIONE ED ESPORTAZIONE DI QUALSIASI PRODOTTO CONTENENTE SOSTANZE DERIVATE DALLA CANAPA

Il ”Tar del Lazio ha accolto l’istanza cautelare presentata, con l’assistenza degli Avvocati Dario De Blasi, Alberto Gava e Francesco (Prestige Legal & Advisory), contro il Decreto Ministeriale del Ministero della Salute del 27.06.2024, che inserisce le composizioni orali contenenti Cbd nella tabella dei medicinali contenenti sostanze psicotrope o stupefacenti”. Lo comunica Imprenditori Canapa Italia, esprimendo ”viva soddisfazione”.
”Il Giudice amministrativo ha riconosciuto la fondatezza delle nostre argomentazioni, rilevando il grave ed irreparabile danno che l’applicazione del decreto comporta all’intero settore e ha deciso di sospenderne l’efficacia in attesa del giudizio di merito. Questa decisione rappresenta un’importante vittoria per il settore della Canapa industriale, che rischiava di subire gravi danni sociali, occupazionali ed economici. I giudici hanno ritenuto che l’applicazione del decreto avrebbe infatti potuto comportare per gli operatori economici significative ed irreparabili conseguenze, anche di natura penale, legate alla possibile contestazione di reati in materia di stupefacenti”.
”Nell’ambito del giudizio, anche attraverso la relazione tecnica a firma del Prof. Ciallella (già Direttore dell’istituto di medicina legale dell’Università La Sapienza di Roma), ha dimostrato come il Cbd non determini dipendenza psicofisica e non possieda effetti psicoattivi che possano giustificarne l’inclusione tra le sostanze stupefacenti. Il ricorso presentato da Ici, con il sostegno di Coldiretti Liguria – che ha svolto un intervento ad adiuvandum nel giudizio – ha ribadito che il settore della canapa industriale, basato su principi di legalità e sicurezza, rappresenta un’opportunità economica significativa, specialmente per le aree rurali e le piccole e medie imprese agricole”.
“‘Siamo molto soddisfatti di questa nuova sospensione cautelare del decreto, che ancora una volta ci permette di tutelare e proteggere al meglio l’intero settore della canapa industriale,” ha dichiarato il presidente di Ici, Raffaele Desiante. ”È la seconda volta che riusciamo a ottenere la sospensione della decisione del Ministero di inserire il Cbd nella tabella dei medicinali contenenti sostanze psicotrope o stupefacenti, dimostrando l’infondatezza delle sue basi. Continueremo a lavorare per garantire un futuro sicuro e stabile per gli imprenditori della canapa in Italia.”
Il Tar del Lazio ha dato ragione, di nuovo, agli Imprenditori della canapa Italia (Ici) che, assistiti dagli avvocati Dario De Blasi, Alberto Gava e Francesco Renda dello studio Prestige, e in con il sostegno della Coldiretti Liguria, avevano presentato a fine agosto un ricorso contro il decreto Schillaci.
L’udienza di merito è stata fissata al 16 dicembre, ma intanto la norma ministeriale è sospesa perché il collegio dei giudici ha riconosciuto il rischio di danno economico, patrimoniale e penale che il decreto comporta all’intera filiera della canapa industriale italiana che oggi conta 12mila occupati (senza l’indotto) e con un’alta percentuale di under 35 al suo interno.
Un identico decreto del precedente ministro della Salute Roberto Speranza era già stato sospeso dal Tar. Schillaci aveva allora revocato quel decreto, emanandone uno sostanzialmente identico. Che oggi però è stato di nuovo bloccato.
(da agenzie)

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TAMBURI DI GUERRA CONTRO GIULI DAL CINEMA ITALIANO ESASPERATO DAL RINVIO-DOPO-RINVIO CHE STA BLOCCANDO I FINANZIAMENTI DEL TAX CREDIT

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

NEL MIRINO C’E’ L’INADEGUATEZZA DI GIULI, UN TIPINO COL SORRISO PRESTAMPATO DELLA PRESA PER I FONDELLI CHE NON HA MAI GOVERNATO ISTITUZIONI COMPLESSE E NEPPURE HA ESPERIENZE MANAGERIALI (VISTO IL FLOP AL MAXXI)

C’è un nuovo Ministro dopo Sangiuliano in fuga, quindi arriva la pace col Cinema italiano? Manco per sogno. Giuli deve stare molto attento ai tamburi che annunciano guerra contro di lui: non ci sarà luna di miele, e neppure una breve tregua, come indicano le prese di posizione di un settore esasperato dall’accoppiata lungaggini-demagogia di Sangiuliano (che tra le motivazioni delle sue dimissioni aveva inserito pure l’essersi “attirato molte inimicizie avendo scelto di rivedere il sistema dei contributi al cinema”).
Gli esasperati sono un esercito. E hanno finito la pazienza e la prudenza. Tutti preoccupati per l’inadeguatezza dell’ex giornalista di Libero e Il Foglio trasformato dalle Meloni in Ministro, un tipino col sorriso prestampato della presa per i fondelli che non ha mai governato istituzioni complesse e neppure ha esperienze manageriali (visto il maxi-flop al MAXXI).
Non conosce il funzionamento del settore e pare abbia promesso a Sangiuliano di non toccare nulla della collezione dei suoi capolavori al ministero della Cultura.
I più arrabbiati sono i lavoratori, le maestranze e le associazioni di professionisti riuniti sotto la sigla ‘Siamo ai titoli di coda’, che ha già minacciato manifestazioni di piazza contro l’indifferenza del Ministero.
La chat di centinaia di operatori denominata TUSMA (che portò anche alla affollatissima manifestazione contro le misure di Sangiuliano al Cinema Adriano il 5 aprile scorso) è agguerrita: non ne possono più – nonostante la spola di buona volontà del Sottosegretario leghista Lucia Borgonzoni tra Gabinetto e Uffici ministeriali – dei capricci “anti-terrazze di sinistra” voluti da Genny, il cui principale risultato sono state le modifiche della legge Cinema, ma soprattutto il rinvio-dopo-rinvio che sta bloccando i finanziamenti del tax credit.
Se sono agguerriti CentoAutori, ANAC, WGI (le associazioni di autori e sceneggiatori), o gli attori di UNITA, anche i Sindacati si preparano alla guerra: durante il Festival di Venezia, in una riunione a porte chiuse la CGIL ha presentato delle rilevazioni tra i lavoratori dei set cinematografici da cui emerge un tracollo del lavoro: dopo la crescita degli anni scorsi (209.315 giornate contributive totali nel 2023 a fine agosto) nel 2024 alla fine agosto il dato si sarebbe ridotto a 94.117 giornate.
Caduta dell’occupazione dovuta alle lungaggini di Sangiuliano, per l’incertezza sulla normativa. E qui, vero capolavoro di Genny in Boccia: sono altrettanto imbufaliti dei sindacati i gruppi multinazionali: molte produzioni estere sono state spostate all’estero, vista l’incertezza sulle regole e sugli incentivi protratta all’infinito.
Basta fare un giro per gli Studios di Cinecittà per vedere quanto siano vuoti, dopo la fuga di molti produttori internazionali. Pazienza finita anche per i pur diplomatici Produttori dell’ANICA: il Presidente Habib ha detto a Repubblica che Sangiuliano non ha mai capito come funziona questa industria.
E le celebrità non hanno lasciato solo Nanni Moretti (“Battiamoci contro questa bruttissima legge”): la rivelazione di Venezia Maura Delpero, vincitrice del Leone d’Argento con “Vermiglio”, ha denunciato: “Senza i contributi, non avrei mai potuto fare il mio film”.
E un moderato come Gabriele Muccino ha rincarato: “Sangiuliano ha messo in ginocchio il cinema italiano”. Tutte pessime avvisaglie per Alessandro Giuli. Non ci saranno tregue per lui, che rischia di vedersi addensare sul capo brizzolato le colpe di Gennaro, e ogni incertezza, rallentamento, sbandamento demagogico-sovranista di cui sarà responsabile.
(da Dagoreport)

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DOPO CHE SOCIALISTI, VERDI E LIBERALI SONO SALITI SULLE BARRICATE PER L’IPOTESI DI UNA VICEPRESIDENZA ESECUTIVA AL MINISTRO MELONIANO, VON DER LEYEN HA DOVUTO CAMBIARE STRATEGIA: DAL “PRENDERE O LASCIARE” È PASSATA AL “PRONTA A TRATTARE”. OVVERO TAGLIARE FUORI L’ITALIANO

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

I SOCIALISTI SONO STATI NETTI: SE CONFERMASSE L’APERTURA A ECR, NON AVREBBE PIU’ I LORO VOTI AL PARLAMENTO EUROPEO – MACRON E SCHOLZ FINORA HANNO TACIUTO, MANDANDO AVANTI I PARTITI DI RIFERIMENTO

“Stiamo negoziando, vedremo”. Lo dice la presidente del gruppo dei Socialsti Ue, la spagnola Iratxe Garcia Perez, rispondendo ad una domande sulle riserve del suo gruppo sul possibile sostegno alla candidatura di Raffaele Fitto come commissario Ue. “Abbiamo delle richieste che vogliamo siano ascoltate. E’ una questione generale non un problema di singoli temi”, ha aggiunto Garcia Perez lasciando la sala della conferenza dei capigruppo all’Eurocamera.
«Sono pronta a trattare». Davanti allo stop impresso da Socialisti, Liberali e Verdi alla nascita della nuova Commissione europea sbilanciata a destra, Ursula von der Leyen ha improvvisamente cambiato rotta. Dal “prendere o lasciare” dei giorni scorsi è passata al «pronta a trattare». Ha così rinviato alla prossima settimana a Strasburgo la presentazione della squadra fissata per oggi.
La linea concordata tra Pse, Renew e Greens non le offriva margini di operatività: se confermasse le aperture all’Ecr e in particolare alla vicepresidenza esecutiva per Raffaele Fitto, loro avrebbero votato contro. In bilico, infatti, c’è proprio l’incarico per il ministro italiano.
Lo scontro infatti ruota quasi tutto intorno a lui che indubbiamente è l’unico esponente di Fratelli d’Italia apprezzato a Bruxelles. Ma la linea seguita dai partiti che compongono la “maggioranza Ursula”, ad eccezione del Ppe, ha a che fare con un fattore politico esistenziale: un vicepresidente esecutivo di destra significa modificare la coalizione e soprattutto equivale a consegnare alla presidente della Commissione e ai Popolari la possibilità di scegliere di volta in volta con chi fare l’alleanza.
Un moderno “doppio forno”. Per socialisti, liberali e verdi vuol dire perdere capacità negoziale e di influenza sulle dinamiche europee. Non lo possono accettare. Un ragionamento che riguarda in subordine anche la distribuzione degli incarichi. I quattro commissari socialisti, secondo lo schema iniziale immaginato da palazzo Berlaymont rischiavano di avere portafogli minori. Perfino la transizione ecologica per la spagnola Ribeira appariva in bilico.
Per questo è scattato l’aut-aut di Pse, Renew e Greens. Per S&D (il gruppo socialista) è fondamentale «rafforzare il processo dello Spitzenkandidat, garantire l’equilibrio di genere e un’equa distribuzione delle posizioni di vicepresidente esecutivo che rifletta la maggioranza del Parlamento europeo ». E avvertono: «Se queste aspettative non saranno soddisfatte, sarà molto difficile, se non impossibile, sostenere i commissari presentati da Ursula von der Leyen».
Secondo la capogruppo Iratxe Garcia Perez, è inaccettabile «portare proattivamente l’Ecrnel cuore della Commissione. Esiste una maggioranza pro-europea con un accordo pro-europeo. Deve essere messa in pratica ora». Non è diversa la posizione di Renew: «I Trattati — si legge in una nota — affermano che i Commissari dovrebbero dimostrare un impegno europeo. Chiederemo loro di confermare di credere fermamente nell’ulteriore integrazione dell’Ue come progetto politico».
L’unico elemento di distinzione riguarda il Pd. Che non intende per il momento condurre una battaglia contro l’italiano Fitto. Ma dentro S&D almeno il 70 per cento dei parlamentari la pensa all’opposto. Anche perché sono pochi i socialisti legati da un vincolo di governo nei rispettivi Paesi e quindi si sentono liberi di votare secondo coscienza e senza disciplina di partito.
Una situazione che improvvisamente è apparsa chiara anche a Von der Leyen che da ieri ha iniziato a cambiare atteggiamento e ad accettare la trattativa con gli alleati. Nella consapevolezza che, seppure ammaccati, i governi di Francia e Germania non gradiscono il piglio di Ursula. Macron e Scholz non si sono esposti in questi giorni ma hanno mandato avanti i loro partiti di riferimento. E anche nel Ppe emergono dubbi, in primo luogo nella delegazione polacca.
La presidente della Commissione valuta quindi di ritirare la vicepresidenza per Fitto ricalibrando la composizione della Commissione. Oltre all’esame cui il Parlamento Ue sottoporrà tutti i candidati — qualcuno sarà bocciato — c’è il rischio di un voto negativo sull’intero collegio. Sarebbe senza precedenti. Von der Leyen anche in quel caso potrebbe rimanere presidente, ma sarebbe una sconfitta epocale.
(da agenzie)

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QUELLA FACCIA TOSTA DELLA MELONI, L’UNICA CHE NON SOSTENEVA IL GOVERNO DRAGHI, ORA LO CHIAMA PER CHIEDERE UN AIUTO PER FITTO NELLA PARTITA SULLA VICEPRESIDENZA ESECUTIVA DELLA PROSSIMA COMMISSIONE EUROPEA

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

SOCIALISTI, LIBERALI E VERDI SI SONO OPPOSTI ALLA NOMINA DEL MINISTRO MELONIANO: “PORTARE L’ECR NEL CUORE DELLA COMMISSIONE FAREBBE PERDERE IL SOSTEGNO DEI PROGRESSISTI”

Giorgia Meloni non si aspettava la levata di scudi di Socialisti, Liberali e Verdi contro l’ipotesi di vicepresidenza esecutiva a Raffaele Fitto. A Palazzo Chigi la descrivono irritata, ma convinta che quanto sta succedendo fa parte di una «normale dialettica politica».
Racconta una fonte autorizzata: «Accade ogni qual volta c’è una trattativa per la formazione di un esecutivo, dal più piccolo al più grande. È sempre stato così: è la politica». Chi ha parlato ieri con il ministro degli Affari comunitari descrive quest’ultimo «sereno», in attesa delle determinazioni della presidente incaricata. La realtà è però meno rassicurante di così.
La nota con cui all’ora di pranzo il gruppo europeo della sinistra ha minacciato il no a Ursula von der Leyen è senza precedenti, e suona come un veto insuperabile alla indicazione di un esponente dei Conservatori fra le posizioni di vertice della nuova Commissione europea. È l’ennesima prova che la politica dei due forni fin qui adottata dalla premier alla lunga mostra la corda.
Ma è anche la prova che l’attuale assetto delle istituzioni comunitarie – sempre più decisive nelle politiche nazionali – non è in grado di reggere maggioranze variabili. Una in Parlamento, una alla Commissione, una terza al Consiglio dei capi di Stato.
Quale sarà l’esito di questo braccio di ferro è ancora difficile dirlo. L’unica reazione ufficiale della premier al caos scoppiato a Bruxelles è una nota serale con cui rende noto di aver avuto una telefonata con Mario Draghi, e la richiesta di un incontro per discutere del piano per la competitività presentato ventiquattro ore prima su mandato di Von der Leyen.
La novità, quella che ha creato scompiglio, è la decisione di Von de Leyen di fare di più: concedere a Fitto un ruolo che nell’ultima Commissione era garantito solo a tre Commissari, quelli espressione dei tre partiti che tradizionalmente sostengono i vertici politici dell’Unione. A complicare il quadro c’è il fatto che questa volta i partiti che la sostengono sono quattro: oltre a Popolari, Socialisti e Liberali, anche la pattuglia dei Verdi, il cui sì ha dato alla politica tedesca la garanzia di una maggioranza solida a Strasburgo. Un voto che invece non è arrivato dai Conservatori di Ecr.
Nelle molte telefonate di queste ore fra Roma e Bruxelles circolano varie ipotesi. C’è chi sostiene che il veto della maggioranza sia insuperabile, e Fitto resterà senza vicepresidenza esecutiva. C’è invece chi è convinto che Von der Leyen non potrà venire meno all’impegno con Meloni, e darà comunque quel ruolo a Fitto senza però attribuirgli deleghe di peso.
I vicepresidenti esecutivi sono in sostanza dei supercommissari, i quali assommano alle proprie deleghe la supervisione su quelle di altri colleghi: insomma, tutto dipenderebbe dal perimetro dei poteri per Fitto.
L’unica cosa certa è che a questo punto il ministro italiano non avrà molto di più della responsabilità dei fondi europei e di coesione, una torta da oltre ottocento miliardi, dentro al quale c’è l’enorme serbatoio delle risorse del Pnrr. E poiché – è ormai certo – l’Italia sarà costretta a chiedere una proroga alla scadenza di giugno 2026, non è comunque poco. Ma per Meloni e Von der Leyen sarebbe in ogni caso una sconfitta politica.
In questa partita, le ragioni politiche sono tutt’uno con l’interesse nazionale. E questo spiega perché, per paradosso, i più interessati a evitare la sconfitta sono un alleato riottoso di Meloni – il ministro degli Esteri Antonio Tajani – e uno di Von der Leyen, Elly Schlein.
Il primo ha già preso contatti con i vertici dei Popolari europei per stringere una cintura di sicurezza attorno all’ex democristiano Fitto e alla premier.
Il Ppe a Strasburgo era e resta il partito più influente: se i Socialisti tenessero il punto per sbarrare la strada a Fitto, durante le audizioni dei singoli candidati commissari i Popolari potrebbero fare altrettanto. Il front runner della controffensiva è Manfred Weber, il leader dell’ala del partito più vicina a Ecr. E poi c’è l’imbarazzo del Partito democratico, che non può schierarsi apertamente contro un candidato italiano moderato ed europeista.
(da La Repubblica)

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IL DELIRIO DI TRUMP DOPO LA SCONFITTA CON KAMALA IN TV: “ERA TRUCCATO, LEI HA AVUTO LE DOMANDE IN ANTICIPO”

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

IL CRIMINALE D’AMERICA POI MINACCIA TAYLOR SWIFT: “LA PAGHERA'”

All’indomani del primo dibattito tv contro Kamala Harris su Abc Donald Trump è furioso. Ospite del programma di prima mattina Fox & Friends, il candidato Repubblicano è un fiume in piena, conscio probabilmente del fatto che pressoché tutti gli osservatori – compresi quelli a lui più vicini – considerano Harris la vera vincitrice del match televisivo.
Trump non lo dice, ovviamente, preso se mai ad attaccare a testa bassa tutti i nemici che vede attorno: la candidata Democratica in primis, certo. Ma pure i media «di sinistra e faziosi»
Quello andato in onda su Abc «è stato uno show truccato, con qualcuno che forse addirittura conosceva da prima le domande. Kamala aveva una strana familiarità con le domande…», è il pesante affondo di Trump.
Nella curva dei suoi oppositori Trump deve contare però da questa mattina pure un’altra, pesantissima figura: quella di Taylor Swift. E il tycoon ne ha subito anche per lei, pur facendo mostra di non essere stupito dell’endorsement della popstar per Kamala: «Lei è una molto di sinistra, appoggia sempre i Democratici e probabilmente pagherà il prezzo per questo».
(da agenzie)

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WALL STREET BOCCIA TRUMP DOPO IL DIBATTITO CON HARRIS, IL SUO TRUTH CROLLA IN BORSA: -16%

Settembre 11th, 2024 Riccardo Fucile

IL TONFO DEL SOCIAL LANCIATO DA TRUMP

Non è andato come voleva il primo, forse l’ultimo, dibattito televisivo contro la sfidante democratica alla Casa Bianca Kamala Harris.
Lo si intuisce dalle sue dichiarazioni subito dopo il faccia a faccia. «È stato uno show truccato, con qualcuno che forse addirittura conosceva da prima le domande. Kamala aveva una strana familiarità con le domande», ha dichiarato Donald Trump criticando la gestione del network Abc. Ma che abbia vinto la vice di Biden, oltre ai sondaggi a dibattito concluso, lo dice anche la borsa di New York.
A Wall Street infatti Truth, il social network fondato da Trump in risposta al suo esilio dal fu Twitter, è crollato.
Il titolo Trump Media & Technology Group è affondato fino a perdere oltre 16 punti, il calo maggiore dopo quello registrato lo scorso giugno. «Siccome ho vinto il dibattito, non so se voglio farne un altro», ha detto Trump a Fox News mentre Kamala Harris gli ha proposto un nuovo duello tv per ottobre, un mese prima del voto.
(da agenzie)

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