QUELLA FACCIA TOSTA DELLA MELONI, L’UNICA CHE NON SOSTENEVA IL GOVERNO DRAGHI, ORA LO CHIAMA PER CHIEDERE UN AIUTO PER FITTO NELLA PARTITA SULLA VICEPRESIDENZA ESECUTIVA DELLA PROSSIMA COMMISSIONE EUROPEA
SOCIALISTI, LIBERALI E VERDI SI SONO OPPOSTI ALLA NOMINA DEL MINISTRO MELONIANO: “PORTARE L’ECR NEL CUORE DELLA COMMISSIONE FAREBBE PERDERE IL SOSTEGNO DEI PROGRESSISTI”
Giorgia Meloni non si aspettava la levata di scudi di Socialisti, Liberali e Verdi contro l’ipotesi di vicepresidenza esecutiva a Raffaele Fitto. A Palazzo Chigi la descrivono irritata, ma convinta che quanto sta succedendo fa parte di una «normale dialettica politica».
Racconta una fonte autorizzata: «Accade ogni qual volta c’è una trattativa per la formazione di un esecutivo, dal più piccolo al più grande. È sempre stato così: è la politica». Chi ha parlato ieri con il ministro degli Affari comunitari descrive quest’ultimo «sereno», in attesa delle determinazioni della presidente incaricata. La realtà è però meno rassicurante di così.
La nota con cui all’ora di pranzo il gruppo europeo della sinistra ha minacciato il no a Ursula von der Leyen è senza precedenti, e suona come un veto insuperabile alla indicazione di un esponente dei Conservatori fra le posizioni di vertice della nuova Commissione europea. È l’ennesima prova che la politica dei due forni fin qui adottata dalla premier alla lunga mostra la corda.
Ma è anche la prova che l’attuale assetto delle istituzioni comunitarie – sempre più decisive nelle politiche nazionali – non è in grado di reggere maggioranze variabili. Una in Parlamento, una alla Commissione, una terza al Consiglio dei capi di Stato.
Quale sarà l’esito di questo braccio di ferro è ancora difficile dirlo. L’unica reazione ufficiale della premier al caos scoppiato a Bruxelles è una nota serale con cui rende noto di aver avuto una telefonata con Mario Draghi, e la richiesta di un incontro per discutere del piano per la competitività presentato ventiquattro ore prima su mandato di Von der Leyen.
La novità, quella che ha creato scompiglio, è la decisione di Von de Leyen di fare di più: concedere a Fitto un ruolo che nell’ultima Commissione era garantito solo a tre Commissari, quelli espressione dei tre partiti che tradizionalmente sostengono i vertici politici dell’Unione. A complicare il quadro c’è il fatto che questa volta i partiti che la sostengono sono quattro: oltre a Popolari, Socialisti e Liberali, anche la pattuglia dei Verdi, il cui sì ha dato alla politica tedesca la garanzia di una maggioranza solida a Strasburgo. Un voto che invece non è arrivato dai Conservatori di Ecr.
Nelle molte telefonate di queste ore fra Roma e Bruxelles circolano varie ipotesi. C’è chi sostiene che il veto della maggioranza sia insuperabile, e Fitto resterà senza vicepresidenza esecutiva. C’è invece chi è convinto che Von der Leyen non potrà venire meno all’impegno con Meloni, e darà comunque quel ruolo a Fitto senza però attribuirgli deleghe di peso.
I vicepresidenti esecutivi sono in sostanza dei supercommissari, i quali assommano alle proprie deleghe la supervisione su quelle di altri colleghi: insomma, tutto dipenderebbe dal perimetro dei poteri per Fitto.
L’unica cosa certa è che a questo punto il ministro italiano non avrà molto di più della responsabilità dei fondi europei e di coesione, una torta da oltre ottocento miliardi, dentro al quale c’è l’enorme serbatoio delle risorse del Pnrr. E poiché – è ormai certo – l’Italia sarà costretta a chiedere una proroga alla scadenza di giugno 2026, non è comunque poco. Ma per Meloni e Von der Leyen sarebbe in ogni caso una sconfitta politica.
In questa partita, le ragioni politiche sono tutt’uno con l’interesse nazionale. E questo spiega perché, per paradosso, i più interessati a evitare la sconfitta sono un alleato riottoso di Meloni – il ministro degli Esteri Antonio Tajani – e uno di Von der Leyen, Elly Schlein.
Il primo ha già preso contatti con i vertici dei Popolari europei per stringere una cintura di sicurezza attorno all’ex democristiano Fitto e alla premier.
Il Ppe a Strasburgo era e resta il partito più influente: se i Socialisti tenessero il punto per sbarrare la strada a Fitto, durante le audizioni dei singoli candidati commissari i Popolari potrebbero fare altrettanto. Il front runner della controffensiva è Manfred Weber, il leader dell’ala del partito più vicina a Ecr. E poi c’è l’imbarazzo del Partito democratico, che non può schierarsi apertamente contro un candidato italiano moderato ed europeista.
(da La Repubblica)
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