Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
SULLA CRESCITA DEL PIL GIORGETTI SI APPOGGIA AI NUMERI “ADDOMESTICATI” DELLA RAGIONERIA GENERALE FORNITI DALLA SUA FEDELE DARIA PERROTTA, PER VENIRE SUBITO SMENTITO SECCAMENTE DALL’UFFICIO STUDI DI BANKITALIA
In queste ultime settimane Giancarlo Giorgetti sembra dare i numeri. Parlando delle
misure necessarie da adottare in vista della Legge di Bilancio, si è discostato spesso dalla linea di Palazzo Chigi che punta a rassicurare e a negare una manovra “lacrime e sangue”.
Il ministro del Tesoro ha parlato di allineare le accise di diesel e benzina, di “sacrifici per tutti”, “tagli significativi” in quasi tutte le voci del bilancio dello stato e, da ultimo, ha annunciato una revisione catastale per gli edifici cha hanno beneficiato del Superbonus (facendo scattare subito Forza Italia)
Una serie di uscite che hanno fatto saltare gli otoliti a Giorgia Meloni. La Ducetta, allarmata dal rischio di perdere consenso, alla fine ha pubblicato un video in cui, reprimendo a stento tutta la sua rabbia, azzanna le opposizioni per lanciare in realtà un messaggio netto al suo ministro dell’Economia: “Leggo in queste ore dichiarazioni fantasiose secondo le quali il governo vorrebbe aumentare le tasse che gravano sui cittadini. È falso. Questo lo facevano i governi di sinistra. Noi le tasse le abbassiamo”. Tradotto: Giorge’, basta evocare nuove tasse e nuovi balzelli
Il “Don Abbondio” leghista, costretto tra i lacci e lacciuoli del rigido Patto di stabilità europeo e del piano di rientro per la procedura d’infrazione aperta nei confronti dell’Italia, ha tratteggiato uno scenario confortato dai dati “confezionati” dalla Ragioneria generale dello Stato, dove ha piazzato la sua fedelissima Daria Perrotta, dopo il siluramento irrituale di Biagio Mazzotta.
Viene il dubbio che i numeri citati da Giorgetti fossero “addomesticati”, visto che la Banca d’Italia è intervenuta a gamba tesa, certificando che la crescita sarà diversa da quanto prvisto dal Tesoro: il Pil si fermerà allo 0,8% nel 2024”. E ha gelato il governo anche sul taglio del cuneo fiscale: “Servono altre informazioni per una valutazione più compiuta”.
L’Istituto guidato da Fabio Panetta, che ormai non batte più moneta e la cui è vigilanza è limitata ai piccoli istituti (quelli più grandi sono sotto la lente della Banca centrale europea) ormai si è trasformato sostanzialmente in un centro studi.
Ma quando Bankitalia, che è un po’ la Cassazione in tema economico, tira fuori i dati, allora c’è poco da discutere. E non c’è governo che possa “imbrigliare” i tecnici di Palazzo Koch.
(da Dagoreport)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
“L’INFAMIA DI POCHI ALLA FINE MI COSTRINGE A NON AVERE PIÙ RAPPORTI CON I GRUPPI”
Silenzio totale. Nessuno scrive più niente. Da sabato pomeriggio nella chat dei parlamentari di Fratelli d’Italia tutti tacciono. Dopo lo sfogo della premier Giorgia Meloni che minacciava le dimissioni contro le “infamie” dei suoi compagni di partito, la minaccia di fare un esposto per la fuga di notizie da parte del ministero della Difesa Guido Crosetto e il fallito blitz per eleggere il giudice della Corte Costituzionale, i meloniani preferiscono non scrivere più niente per evitare che i messaggi finiscano sui giornali.
La chat è quella dei deputati della precedente legislatura ed è composta da 34 deputati e 32 tra ex parlamentari, dirigenti di partito e componenti degli staff. È li che venerdì pomeriggio, come rivelato dal Fatto, Meloni si era sfogata minacciando di “mollare” per “sta gente” e per le “infamie” di chi, in Fratelli d’Italia, aveva fatto trapelare la notizia della convocazione per martedì (cioè ieri) del voto per eleggere Francesco Saverio Marini alla Corte Costituzionale.
La conversazione è stata riportata integralmente dal nostro giornale, insieme a quella del giorno successivo quando il ministro Crosetto aveva minacciato un esposto in procura sulla fuga di notizie. Dell’esposto, però, non si è saputo più niente e lo stesso Crosetto ha fatto capire che si trattava di una boutade per mandare un messaggio interno al partito.
Così nella chat di Fratelli d’Italia tutto tace da sabato pomeriggio. I componenti sono rimasti gli stessi – compresa la presidente del Consiglio Meloni – ma hanno preferito evitare di scrivere qualsiasi cosa, anche per commentare quello che stava uscendo sui giornali. È probabile che la chat continuerà a rimanere silente, ma c’è anche chi ipotizza che sarà chiusa definitivamente.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
NON FARA’ ALTRO CHE INTASARE I TRIBUNALE E RISCIA DI ESSERE PURE BOCCIATO DALLA CORTE COSTITUZIONALE
È stata una maratona di audizioni. Ben dodici giuristi esperti ascoltati in quattro ore e
mezza dalle commissioni Giustizia e Affari costituzionali del Senato. Ma il risultato è stato chiaro: una netta bocciatura per il ddl Sicurezza, già approvato dalla Camera e che sta sollevando le forti proteste delle opposizioni, dei sindacati e di ampi tratti della società civile. Si tratta di norme “inutili”, secondo molti, che rischiano anche di essere incostituzionali. E il cui effetto principale sarà di ingolfare ancora di più i tribunali, peggiorando (paradossalmente) il funzionamento della giustizia penale in Italia.
I nuovi reati del ddl Sicurezza sono inutili
Ciascuno degli interpellati ha parlato per circa venti minuti, per restare nei tempi della “urgenza assoluta” dettata dal ministro Salvini alla maggioranza. Tra gli esperti a disposizione dei senatori c’era l’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, ad esempio, che ha criticato alcuni articoli in particolare: quello sull’occupazione delle case, ad esempio, è “scritto in una maniera tale che io non lo capisco, francamente”, ha commentato.
E non è un dato da poco: in tribunale, se in una legge ci sono delle “imprecisioni”, il rischio è che l’intera norma “non potrà essere applicata”. Anche l’esperto di diritto penale Gian Luigi Gatta ha parlato delle occupazioni, dicendo che la pena prevista (da 2 a 7 anni di carcere) è “francamente sproporzionata”.
Il paradosso: con le nuove norme si intasano i tribunali e la giustizia peggiora
Molti dei giuristi hanno concordato che un problema sia anche l’eccesso di nuove norme: “Non si possono sovraccaricare le strutture giudiziarie continuamente”, ha riassunto Salvi. “Il modo per avere un Paese sicuro è far funzionare la giustizia penale anche nelle piccole cose. Attualmente i reati minori non sono perseguibili in Italia”.
L’ex procuratore di Perugia Fausto Cardella ha parlato di un “proliferare di norme penali inutili”, che “intasano il lavoro delle procure e dei tribunali”. E ha criticato in particolare l’aggravante per i reati commessi nelle stazioni: “Tutto questo c’è già. Le circostanze di tempo e di luogo sono già cose di cui il giudice deve tenere conto. Certamente questa norma non porta nulla di nuovo”.
Le punizioni eccessive a migranti e detenuti
L’ex procuratore di Torino, Armando Spataro, ha sottolineato che molti dei nuovi reati introdotti sono un effetto della “risonanza mediatica di qualche episodio, di una reazione popolare magari amplificata dagli stessi media”, ma non hanno una vera efficacia o necessità di esistere. Addirittura è “al limite del ridicolo” l’obbligo di avere un permesso di soggiorno per ottenere una Sim telefonica: “Mi meraviglio che in quest’ottica non sia stata prevista la punizione di chi presta la carta Sim a un immigrato senza permesso di soggiorno”.
Salvi ha parlato anche della norma che vieta la resistenza passiva in carcere, che si estende anche a Cpr e centri accoglienza per persone migranti: “È un messaggio di stigmatizzazione, e come tale deve essere respinto dal processo penale. Non si può usare la stessa normativa per le persone detenute e per le persone migranti”. Gatta ha salvato l’utilizzo delle bodycam per gli agenti di polizia (“l’unico provvedimento capace di produrre sicurezza”) e ha condannato il resto del provvedimento, perché si concentra sul punire “persone che vivono in contesti di marginalità sociale”.
L’ex garante dei detenuti, Mauro Palma, ha sottolineato che il “rischio” è di creare nuovi reati solo perché svolgano una “funzione simbolica di rafforzamento della sicurezza”, ma senza che abbiano poi una vera efficacia. Marco Ruotolo ha chiesto se chi ha scritto la norma abbia condotto uno studio per capire che impatto potrebbe avere sulle carceri (senza avere risposta)
Perché il ddl rischia di essere bocciato dalla Consulta
Sono stati ben quattro gli esperti di diritto costituzionale chiamati a parlare. Tra questi, Alfonso Celotto ha parlato di un “provvedimento che contiene tanti piccoli tasselli”, senza una “visione d’insieme”. E ha ricordato che “l’immigrazione va gestita più che con i reati con l’inclusione”.
Se il penalista Gatta aveva sottolineato il rischio della “bocciatura in Consulta” per il ddl, la costituzionalista Alessandra Algostino ha invitato a non seguire la “logica identitaria della dicotomia amico-nemico”: le norme potrebbero non essere costituzionali, ha detto, perché “non hanno carattere di generalità e astrattezza” ma sembrano pensate per colpire gruppi specifici.
(da Fanpage)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL DANNUNZIANO GIORDANO BRUNO GUERRI, PRESIDENTE DEL VITTORIALE, INFILZA I MAL-DESTRI: “SONO AMMALATI DI RISENTIMENTO. HANNO ANCORA NELLE ORECCHIE IL GRIDO ‘CAROGNE TORNATE NELLE FOGNE’, E ORA CHE COMANDANO SE NE RICORDANO. QUESTO RANCORE NON PORTA A NIENTE DI BUONO”
Giordano Bruno Guerri, storico, ma come parla la destra?
«A chi si riferisce?»
Giorgia Meloni ha chiamato infame la talpa della chat di Fratelli d’Italia.
«Io ho fatto un libro su Patrizio Peci, il brigatista pentito, che si chiamava Io l’infame».
Non vorrà dire che…?
«Ma no, non scherziamo. Diciamo che Giorgia Meloni parla un linguaggio da Garbatella».
E il capogruppo Foti che ha detto che le talpe a volte rimangono sottoterra per sempre…
«Il linguaggio rozzo non è mai bello, ma leggerlo come una minaccia è sbagliato»
Questo linguaggio non cela anche un risentimento?
«Che la destra sia ammalata di risentimento mi pare evidente. Hanno ancora nelle orecchie il grido “carogne tornate nelle fogne”, e ora che comandano se ne ricordano».
Non è un freno ad un’evoluzione?
«Non è positivo, non è utile soprattutto a loro. Ma è umanamente comprensibile».
Sì, ma dove porta questo eterno rancore?
«Non porta a niente di buono, dopo c’è solo la rivalsa. Tutta la questione sull’egemonia culturale è l’effetto del rancore. Ci avete tolto il pane di bocca, e adesso noi ci mettiamo un cocchiere senza braccia a guidare la carrozza.Questo è lo spirito».
Lei ha votato Forza Italia alle Europee.
«Ci sono molte destre, e questa al momento mi sembra la più moderna».
Bocchino sostiene che l’Italia è di destra.
«Mah! L’Italia attraversa una fase di destra, come prima era stata di sinistra, e prima ancora democristiana. Oggi è in cerca di un punto di riferimento, che ha momentaneamente trovato in Meloni».
(da La Repubblica)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DELL’EURODEPUTATA AL PARLAMENTO EUROPEO DI FRONTE AL DITTATORELLO DI BUDAPEST
Alla fine è arrivato il giorno della resa dei conti anche per Ilaria Salis. L’eurodeputata della
Sinistra proprio grazie all’elezione a Strasburgo a giugno ha potuto vedere scritta la parola fine all’incubo della detenzione in Ungheria.
Aveva trascorso oltre un anno in carcere in attesa di processo per le accuse di presunto pestaggio ai danni di militanti di estrema destra a Budapest nel febbraio 2023.
Il suo caso rimase sotto traccia per mesi, poi esplose quando le tv di mezza Europa ripresero il suo ingresso in Aula con ceppi e catene.
Oggi, nella nuova veste, Salis ha visto in faccia in Aula a Strasburgo il suo più acerrimo nemico: Viktor Orbán, leader di quel Paese che l’ha fatta finire per oltre un anno in un «buco nero» di una carcerazione preventiva umiliante.
La 40enne monzese ha preso la parola nel corso delle repliche all’intervento di Orbán in occasione del semestre di presidenza ungherese del Consiglio Ue.
E non ha potuto fare a meno di rinfacciargli tutte le sofferenze patite: «Conosco l’Ungheria dal suo luogo più oscuro: il carcere. Sono stata detenuta preventivamente in dure condizioni per 15 mesi. Sono qui oggi come donna libera solo grazie alla solidarietà di migliaia di cittadini antifascisti», ha ricostruito Salis.
Per poi dedurre le lezioni di quell’esperienza. «L’Europa unita è nata sulle ceneri della sconfitta del nazifascismo come progetto di cooperazione internazionale. È un amaro paradosso che oggi sia guidata da chi vuole smantellarla nel nome del nazionalismo. Sotto Viktor Orbán l’Ungheria è diventata un regime illiberale e oligarchico, uno Stato etnico autoritario, secondo alcuni addirittura una tirannia moderna», ha ricordato Salis prima di enumerare tutti i mali del Paese – dal razzismo alla repressione delle minoranze e del dissenso. Un modello politico che per l’eurodeputata di Sinistra è «una nuova pericolosa forma di fascismo, la variante autoritaria del capitalismo globale odierno».
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
PRIMA IN CONFERENZA STAMPA UN GIOVANE EUROPEISTA TENTA DI AGGREDIRLO, POI IN AULA PIOVONO INSULTI, CONTESTAZIONI E ACCUSE
Più che un dibattito, è una resa dei conti. A tre mesi di distanza dall’inizio della presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, il premier ungherese Viktor Orbán si presenta infine in Aula al Parlamento europeo di Strasburgo. In programma ufficialmente c’è la presentazione del programma di lavoro della presidenza ungherese. Di fatto, come previsto, la visita di Orbán nella tana del lupo diventa l’occasione per uno scontro infuocato: con i capigruppo dei partiti europeisti, e pure con la stessa Ursula von der Leyen.
«Servo di Putin», «dilapidatore di risorse dei cittadini», «autocrate», «leader debole»: sono solo alcuni degli epiteti che gli eurodeputati più in vista dell’emiciclo affibbiano sul leader magiaro, mentre la presidente della Commissione lo attacca frontalmente su migranti e conflitto in Ucraina. Orbán ascolta contrito, mastica amaro
«Bella Ciao» e fuoco amico
Ad aver preparato un’accoglienza di fuoco a Orbán sono in tanti però, ciascuno a modo suo. E lo si capisce subito. Non appena terminato il suo discorso dai banchi della Sinistra gli eurodeputati si alzano e intonano o a gran voce Bella Ciao. Partono gli applausi, l’Aula si scalda.
La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola invita gli eurodeputati a mettere fine alla protesta .
Ma è solo l’inizio: perché ad infilzare Orbán pensa subito dopo la presidente della Commissione von der Leyen, arrivata appositamente a Strasburgo per affrontarlo. «Lei dice che l’Ungheria sta proteggendo i suoi confini e che i criminali vengono rinchiusi. Mi chiedo solo come questa affermazione si concili con il fatto che l’anno scorso le vostre autorità hanno fatto uscire di prigione contrabbandieri e trafficanti condannati prima che scontassero la pena. Questa non è lotta all’immigrazione clandestina in Europa. Questo non è proteggere la nostra Unione. Questo è solo gettare problemi oltre il recinto del vicino». Applausi a scena aperta.
L’altro principale affondo di von der Leyen è sulla politica estera: «Il mondo è stato testimone delle atrocità russe in Ucraina. Ma c’è ancora chi dà la colpa della guerra non all’invasore ma all’invaso, non alla voglia di potere di Putin ma di libertà del popolo ucraino. Mi domando: sarebbe stata data la colpa agli ungheresi per l’invasione sovietica del 1956? O ai cechi per l’oppressione nel 1968? O ai lituani per il giro di vite del 1991? Possiamo avere storie e lingue diverse In Europa, ma non c’è lingua in cui pace è sinonimo di resa». E accusa il governo ungherese pure di aprire la porta (d’Europa) a russi e cinesi, incluse spie e agenti.
Ma la lista di chi non vedeva l’ora di cogliere l’occasione per rinfacciargli tutte le sue malefatte è ancora lunga. Gli attacchi sono impietosi.
Valerie Hayer, capogruppo dei liberai di Renew e fedelissima di Emmanuel Macron, lo accusa di aver costruito un «sistema basato sulle bufale» a discapito dell’Ue, un regime che dilapida ogni giorno milioni di fondi europei per stare in piedi, dunque di soldi dei contribuenti degli altri Paesi: «L’unica cosa che non rigettate dell’Ue sono i suoi assegni, sapendo che ungheresi se no non vi seguirebbero.
Quanto all’immigrazione, è l’affondo, «altro che bus di migranti spediti a Bruxelles (come Orbán ha minacciato più volte, ndr), i bus dall’Ungheria partono già, ma di cittadini che se ne vogliono andare» da un Paese corrotto e invivibile.
Conclusione a nome di Renew: «È tempo di sospendere il diritto di voto del’Ungheria al Consiglio Ue».
Ad attaccare Orbán sono pure la capogruppo dei Socialisti e Democratici, la spagnola Iratxe García Pérez, e l’esponente della Sinistra Martin Schirdewan. Ma la requisitoria più dura di tutte è quella della co-leader dei Verdi Ue Terry Reintke: «Lei non è il benvenuto qui. Questa è la casa della democrazia europea, non delle bugie e della propaganda. Lei – è l’affondo – ha costruito un regime ibrido di autocrazia elettorale, è il servo di un regime sanguinario, quello di Putin. Lei ruba il denaro dei cittadini Ue: non è un leader forte, non finga neppure di esserlo, è un debole». Alla fine a difendere Orbán resta solo il gruppo dei Patrioti di cui fa parte anche la Lega, e con maggior tiepidezza l’Ecr di Giorgia Meloni rappresentato in Aula da Nicola Procaccini.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
TRA I FRANCHI TIRATORI, SI CONTANO 3-4 PARLAMENTARI DI FORZA ITALIA DEL TUTTO CONTRARI A VOTARE MARINI,.. ALTRI MALPANCISTI ERANO ANCHE DENTRO FRATELLI D’ITALIA MA IL GROSSO SAREBBE NELLE FILA DELLA LEGA
Come mai Giorgia Meloni ha dato ordine alla sua maggioranza di votare scheda bianca
all’ottavo scrutinio per l’elezione del giudice della Corte Costituzionale? Per evitare una doppia, brutta, figura: intanto, grazie alla mossa smart di Elly Schlein, che ha portato le opposizioni sull’Aventino (una scelta che in mancanza del fatidico campo largo, evita possibili inciucioni di Renzi, Calenda e Conte con la destra), il voto avrebbe certificato l’assenza dei numeri necessari alla maggioranza per l’elezione di Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico della Ducetta, alla Consulta.
Ma l’ordine di votare scheda bianca della premier ha un altro e più importante motivo: e Giorgia Meloni avesse ordinato il voto della maggioranza per Marini, si sarebbe ritrovata in quel posto molte schede bianche da parte di deputati e senatori della sua stessa maggioranza, trasformatosi in franchi tiratori, quelli che ormai vengono bollati come “infami” dalla Fiamma Tragica di Palazzo Chigi.
Fossero stati presenti in Aula tutti i partiti, magari 25-30 voti dall’opposizione sarebbero arrivati in soccorso alla maggioranza, compensando i franchi tiratori della maggioranza. Si contano 3-4 parlamentari di Forza Italia del tutto contrari a votare Marini, alcuni malpancisti erano anche dentro Fratelli d’Italia, ma il grosso degli “infami” sarebbe nelle fila della Lega, manovrati ovviamente da Salvini, che continua la sua “guerra d’attrito” per destabilizzare l’“autocrazia” della “nana malefica” (copy Crosetto).
Che la Lega non fosse così favorevole al voto per Marini è dimostrato dal fatto che dal Carroccio hanno traccheggiato in vista della convocazione tassativa in aula di ieri, a differenza di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il partito azzurro e quello della Meloni, infatti, venerdì scorso hanno imposto, via chat, ai loro parlamentari di non mancare alla delicatissima prova dell’aula.
Proprio da quelle chat è partito lo spiffero che ha fatto saltare il blitz che Giorgia Meloni aveva in mente per “fregare” le opposizioni, prendendole di sorpresa. Non ci sono dubbi che la “talpa” che la Ducetta ha chiamato “infame”, a differenza di quanto sussurrato ieri da Monica Guerzoni sul “Corriere della Sera” (forse imbeccata da Palazzo Chigi), non arrivi da Forza Italia, ma dal partito della Meloni: è stato un “fratellino” d’Italia a far uscire la chat sul “Fatto quotidiano”.
Dalla Lega, invece, niente. Salvini e compagnia si sono giustificati con l’impegno gravoso del raduno di Pontida, annunciando che avrebbero convocato i loro parlamentari lunedì per martedì.
Un preavviso talmente minimo che rende palese lo scarso entusiasmo per il voto a favore di Marini, che si trova in un innegabile conflitto di interessi, essendo il consigliere giuridico di Giorgia Meloni nonché, soprattutto, l’estensore del premierato, su cui la Corte avrà l’ultima parola. Un conflitto di interessi grosso come Palazzo Chigi.
Ma il voto su Marini è solo la prima tappa di un percorso a ostacoli: perché a dicembre il parlamento riunito dovrà nominare altri tre giudici della Corte Costituzionale. Si tratta di incarichi su cui, di solito, viene siglato un accordo tra maggioranza e opposizione, ma su cui, invece, il Governo dimostra un’attitudine padronale, “Qui comando io!”, mossa da un alto e altro interesse.
La Consulta è chiamata a dare il bollino di costituzionalità all’Autonomia differenziata. Arrivasse l’ok, la riforma cara alla Lega finirebbe sotto la mannaia del referendum, che Giorgia Meloni teme essere l’inizio della fine del suo Governo. Una sconfitta nella consultazione popolare potrebbe terremotare gli equilibri nella Lega e di rimbalzo nella maggioranza.
L’elezione di Marini serve alla Ducetta per avere un uomo fidato all’interno della Corte Costituzionale che prenda possesso di dossier delicati, esprima o orienti voti cruciali. Partendo proprio dalla bocciatura dell’Autonomia spazzando via l’incubo della Statista della Garbatella: il referendum sull’Autonomia…
(da Dagoreport)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL PRESSING DEI REPUBBLICANI PERCHE’ TRUMP ABBASSI I TONI (È IL MOMENTO DI PARLARE AGLI ELETTORI MODERATI, NON AL POPOLO MAGA, CHE LO VOTA COMUNQUE)
A poco meno di un mese dal voto per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, democratici e repubblicani si affannano a commissionare sondaggi sempre più dettagliati per cogliere gli umori dell’elettorato. L’obiettivo è registrare qualunque mutamento nell’orientamento di voto, per comprendere cosa “funzioni” per pompare i consensi.
L’ultima rilevazione è stata commissionata dai repubblicani per capire quanto abbia inciso sulle convinzioni popolari la presenza di Elon Musk sul palco di Butler, in Pennsylvania, accanto a Donald Trump.
Il fondatore di Tesla, survoltato e probabilmente carico di ketamina, è diventato un meme vivente con il suo saltello imbarazzante e per lo sguardo inquietante rivolto al suo “padroncino” politico. Tanto fumo, ma poca ciccia: al punto da non riuscire a spostare un solo voto nell’opinione pubblica, anzi.
A livello nazionale Kamala Harris gode, secondo le ultime rilevazioni di un margine di 4-5 punti.
Questi dati vanno presi con le molle, visto che l’arzigogolato sistema elettorale americano non premia, come sarebbe logico, chi prende più voti, ma chi porta a casa il maggior numero di grandi elettori (nel 2016, Hillary Clinton perse nonostante un vantaggio nel voto popolare di quasi 3 milioni di voti).
I repubblicani stanno facendo pressione su Donald Trump affinché moderi i suoi toni a un mese dal voto: non c’è bisogno di esacerbare le tensioni, anche perché gli “estremisti” Maga sono già con lui. Per catturare l’elettorato moderato servono altri argomenti.
L’ultima bacchettata al tycoon per le sue intemperanze è arrivata dal Governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis: ha dovuto smentire pubblicamente Trump, che accusava Biden di non far nulla per aiutare lo Stato colpito dall’uragano Milton.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL 13 OTTOBRE SARA’ SVELATO IL SIMBOLO
Gli ex leghisti Paolo Grimoldi, recentemente espulso dal Carroccio, Roberto Castelli e
Roberto Bernardelli danno vita a ‘Patto per il Nord’, una “nuova realtà federalista”.
Un’associazione che “ha già ottenuto un grande risultato – si legge in un comunicato stampa -, ossia federare quasi tutte le realtà politiche, associative e civiche di ispirazione autonomista e federalista in un’unica entità associativa confederata con comune denominatore una riforma costituzionale in senso federale alla Gianfranco Miglio”.
Il 13 ottobre ‘Patto per il Nord’ svelerà il simbolo dell’associazione confederale: “Noi crediamo che il Nord possa e debba ripartire.
Vogliano ridare dignità e coraggio – si legge nella nota – Crediamo che con impegno si possa ripartire dai nostri Comuni, dalle nostre Province riaffermando quei valori di federalismo e di libertà contraddistinsero gli ideali di Miglio, di Bossi, passando da Carlo Cattaneo a Don Sturzo e ai milioni di amici del Nord che credettero allora e credono ancora oggi in questo grande sogno”.
(da agenzie)
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