Ottobre 15th, 2024 Riccardo Fucile
INTERVISTA A GIORGIA LINARDI, PORTAVOCE DELLA ONG CHE SALVATO MIGLIAIA DI VITE UMANE
Sono ufficialmente aperti i campi migranti che il governo Meloni aveva annunciato quasi un anno fa, costruiti in Albania tra moltissimi dubbi e polemiche su come effettivamente funzioneranno, quale utilità avranno e come garantiranno i diritti di chi vi risiede. Il via alle operazioni in Albania è stato accompagnato anche da una polemica insolita: dopo che la Ong Sea Watch Italia ha criticato la scelta del governo di spendere centinaia di milioni di euro nelle due strutture, la presidente del Consiglio Meloni ha risposto direttamente su X (ex Twitter).
È stata forse la prima volta, da quando siede a palazzo Chigi, che la premier ha risposto a un tweet. E lo ha fatto per respingere con tono sarcastico le accuse di Sea Watch. Fanpage.it ha contattato Giorgia Linardi, portavoce della Ong, per commentare la replica della leader di Fratelli d’Italia.
Vi aspettavate che Meloni rispondesse al vostro tweet?
È stato allucinante. La premier dovrebbe rispondere nelle sedi istituzionali, quando per esempio le vengono rivolte interrogazioni parlamentari, oppure ai giornalisti. Invece reagisce in maniera non richiesta, su X, alle undici di una domenica notte. Che modo è di comunicare? È puro populismo: usa le piattaforme social come unico unico canale di posizionamento, evitando le sedi ufficiali.
Come Sea Watch ci aspetteremmo piuttosto risposte quando documentiamo le politiche italiane nel Mediterraneo e loro conseguenze in termini di costi umani. In questi casi invece invece l’unica reazione è cercare di tapparci la bocca e chiuderci gli occhi.
Partiamo dall’inizio: Meloni rivendica che i campi in Albania siano il frutto di un “mandato chiaro ricevuto dai cittadini”. Al di là del fatto che tecnicamente il governo non riceve un ‘mandato’ dagli elettori, e che i centri in Albania non erano nel programma del centrodestra, la sua linea sembra essere che il governo sta cercando di limitare l’immigrazione come aveva promesso.
Mi sembra evidente che i cittadini italiani abbiano bisogno di altro, piuttosto che vedere sparire centinaia di milioni delle loro tasse in una spesa incontrollata, senza limiti e scellerata per costruire muri di ferro in un altro Paese – in un momento in cui peraltro si annunciano tagli sulle altre spese. È una considerazione che potrebbe fare qualsiasi cittadino o cittadina italiana, è logica e trascende da qualsiasi orientamento politico. Forse sono altre le prerogative che gli italiani sceglierebbero, o comunque si aspetterebbero da un governo eletto.
Il governo lavora per “difendere i confini italiani”, dice la premier. È davvero questo che faranno i centri albanesi?
Si fa sempre questo giochetto di insistere a parlare di migrazione come di un atto bellico. La difesa dei confini da un’invasione. Si usa questa terminologia in maniera del tutto faziosa: i confini vanno difesi dagli eserciti, dalle escalation di guerre (che invece stiamo indirettamente fomentando), e non da chi fugge in cerca di libertà, protezione e nuove opportunità di vita.
E per quanto riguarda il “fermare la tratta di esseri umani”?
È il grande cavallo di battaglia della propaganda di questo governo. Peccato che la tratta di esseri umani non si ferma con politiche come quelle dell’attuale esecutivo.
Perché?
Perché di fatto rimettono le persone in mano ai trafficanti che si dice di combattere.
In che senso?
Da una parte condanniamo con pene fino a 30 anni chi si è ritrovato, magari per necessità o disperazione, alla guida di un barcone. Che evidentemente non è chi gestisce l’enorme business della tratta di persone. Dall’altra, i veri trafficanti li arricchiamo. Consentiamo loro di lucrare sulle stessa persone più e più volte, con un altissimo costo in termini di vite umane e di sofferenza. Permettiamo che queste persone vengano catturate in mare da guardacoste libici o tunisini, che sono indirettamente finanziati dalle tasse degli italiani tramite gli accordi di esternalizzazione.
È agli accordi con Tunisia e Libia che si riferisce Meloni quando parla di “accordi internazionali”?
Gli accordi internazionali non possono reggersi su basi razziste, che coprono gli interessi italiani e europei legati allo sfruttamento predatorio delle risorse dei Paesi nordafricani, senza garantire nessuna reciprocità nelle relazioni Nord-Sud del Mediterraneo.
Tornando ai centri migranti in Albania, è un fatto che il progetto abbia ricevuto delle opinioni positive anche da parte di altri Paesi europei: il cancelliere tedesco Scholz e il premier britannico Starmer, ad esempio. L’Ue sta andando nella stessa direzione dell’Italia?
L’Italia non è sola, fa da capofila di una tendenza isolazionista conservatrice in Europa, che vediamo nella gran parte degli Stati membri. La direzione è quella di continuare sempre di più a trattare l’Unione europea come una fortezza, anche se nessuna di queste iniziative bloccherà il naturale mischiarsi di popoli che avviene da sempre. E che avverrà sempre di più, soprattutto per motivi legati all’inesorabile cambiamento climatico. Purtroppo non sorprende che iniziative come questa, come cercano di evadere la legge, siano viste con simpatia.
In che senso, “evadere la legge”?
Il piano Italia-Albania nato al fatto perché la legge Cutro è stata cassata da diversi tribunali italiani. Dopo diverse sentenze che colpivano l’applicabilità della legge, si è deciso di costruire questi centri all’estero.
Ma lì si applicherà comunque la legge e la giustizia italiana.
Teoricamente sì. Ma non è chiaro: come sarà possibile assicurarsi che le persone non siano trattate in maniera disumana, che le loro esigenze legate alle richieste di asilo vengano prese in dovuta considerazione? Questo è preoccupante. Anche perché il sistema (nei centri albanesi saranno ospitati solo uomini e solo provenienti da Paesi considerati sicuri, ndr) presuppone una selezione arbitraria, già in mare, sulla base del Paese di provenienza. Peraltro nella lista dei Paesi dell’Italia ci sono diversi Paesi che sicuri non sono, tra tutti la Tunisia, dove dal 6 ottobre si è formalmente riconfermata una dittatura. Tutto questo va di pari passo con il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo che prevede procedure accelerate alla frontiera (con maggiori possibilità di detenzione amministrativa in vista della deportazione o il rimpatrio).
(da Fanpage)
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Ottobre 15th, 2024 Riccardo Fucile
QUANDO LE SENTENZE DARANNO TORTO AL GOVERNO MELONI, I SOVRANISTI SCARICHERANNO IL FLOP ALBANESE DA UN MILIARDO SULLE SOLITE “TOGHE ROSSE”
Una puntata da 700 milioni di euro di soldi pubblici sulla ruota dell’Albania. Così, nel giorno
dell’inaugurazione dei famigerati centri rimpatri italiani in terra straniera, il governo Meloni sfida la sentenza della Corte Ue che rischia di trasformare il fantomatico piano per la difesa dei confini nazionali nell’ennesimo flop sovranista.
Il 4 ottobre i 15 giudici del Lussemburgo hanno stabilito che per essere considerato “sicuro”, un Paese deve esserlo in ogni sua parte e per qualsiasi categoria di persone, senza eccezioni.
Una decisione che rischia di stroncare sul nascere l’operazione Albania messa in moto, insieme alla macchina della propaganda, da Meloni & C. Stando alle conclusioni della Corte Ue, in altre parole, per poter sottoporre un richiedente asilo alle procedure accelerate, è necessario che la persona provenga da un Paese sicuro.
Un problema difficilmente superabile, diritto e sentenze alla mano, per il nostro governo dal momento che 15 dei 22 Paesi considerati “sicuri” dall’Italia – e che ricomprendono peraltro le Nazioni di provenienza della maggior parte dei migranti diretti sulle nostre coste e che ora si vorrebbero dirottare in Albania – non soddisferebbero le condizioni dettate dai giudici Ue.
Un ostacolo con il quale Meloni, che nel giorno dell’inaugurazione in pompa magna dei centri albanesi si è ben guardata dal citare la sentenza della Corte europea tra una frecciata e l’altra indirizzata via Social alle ong, potrebbe trovarsi a fare i conti già nei prossimi giorni.
Anche nei centri albanesi, infatti, i giudici italiani dovranno convalidare entro 48 ore il trattenimento dei richiedenti asilo ai fini delle procedure in frontiera. E difficilmente potranno evitare di tener conto della recente sentenza della Corte europea. Un rischio che evidentemente il governo Meloni ha già messo in conto. E se le sentenze dovessero dargli torto potrà sempre scaricare l’eventuale flop albanese da 700 milioni di euro sulle solite toghe rosse.
(da lanotiziagiornale.it)
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Ottobre 15th, 2024 Riccardo Fucile
IORIO BECCATO A INTASCARE UNA MAZZETTA DA 15MILA EURO DA UN IMPRENDITORE… LE FIAMME GIALLE PARLANO DI “UN ARTICOLATO SISTEMA CORRUTTIVO CON RAMIFICAZIONI SIA ALL’INTERNO DEL MINISTERO DELLA DIFESA, SIA IN SOGEI E SIA INFINE AL MINISTERO DELL’INTERNO”
E’ l’attuale direttore generale di Sogei, Paolino Iorio, il dirigente della società in house del Mef, arrestato in flagranza di reato dalla Guardia di Finanza mentre intascava una mazzetta da 15 mila euro da un imprenditore ieri sera a Roma. L’attività rientra nell’indagine dei pm capitolini che vede indagate 18 persone e 14 società e in cui si ipotizzano i reati di corruzione e turbativa d’asta.
A Iorio, che si trova agli arresti domiciliari, viene contestato il reato di corruzione perché con “più azioni del medesimo disegno criminoso – è detto nel capo di imputazione – in qualità prima di direttore ingegneria infrastrutture e data center e successivamente Dg della società a partecipazione pubblica indebitamente riceveva in più occasioni, per l’esercizio delle sue funzioni, somme di denaro” da un imprenditore.
In particolare “a fronte di una serie di contratti stipulati con Sogei” per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro, il manager “riceveva somme di denaro non quantificate, ma da intendersi nell’ordine di decine di migliaia di euro – continua il capo di imputazione – con frequenza di circa due volte al mese dal novembre del 2023”. Incontri “monitorati” anche attraverso intercettazioni.
C’è anche Andrea Stroppa, classe ’94, ritenuto, secondo quanto scrive la Gdf, il “referente di Elon Musk in Italia”, tra le persone indagate dalla Procura di Roma nel procedimento che ha portato all’arresto del dg di Sogei, Paolino Iorio, e in cui si procede per corruzione e turbativa d’asta.
In particolare, secondo quanto scrive la Gdf in una informativa citata nel decreto di perquisizione, il militare della Marina indagato, “nell’apprendere del progetto volto all’acquisizione da parte del Governo del sistema satellitare (Starlink ndr) realizzato e fornito da un noto gruppo statunitense, approfitta dello svolgimento presso il VI reparto di cui fa parte di una riunione sul tema per agganciare e contattare successivamente il referente italiano del Gruppo, Andrea Stroppa”.
“Un articolato sistema corruttivo con diversi protagonisti e con ramificazioni sia all’interno del ministero della Difesa, sia in Sogei e sia infine al ministero dell’Interno”.
Dalle intercettazioni delle utenze in uso all’imprenditore arrestato ieri assieme al Dg di Sogei, Paolino Iorio sono “emersi i contatti e gli incontri avuti con tale ‘Antonio della Difesa’ “successivamente identificato come un Capitano di fregata della Marina Militare”. Già “dai primi incontri emergeva che il militare, al fine di svolgere il proprio ruolo nell’ambito di una fornitura, ha avanzato richieste di compensi nonché – è detto nell’informativa – l’assunzione di una persona da parte di una delle imprese gestite dall’imprenditore”.
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2024 Riccardo Fucile
PRATICHE ILLEGALI E INUMANE CONFERMATE ANCHE DA TESTIMONIANZE ISRAELIANE
C’è chi è stato costretto a entrare ammanettato in edifici dove potevano nascondersi trappole
esplosive, chi ha dovuto aprire botole o spostare oggetti per scovare i tunnel di Hamas, col pericolo di saltare in aria, chi è stato usato come scudo per permettere l’avanzata dei soldati israeliani. L’ultima inchiesta del New York Times, che ha raccolto le testimonianze di diversi prigionieri palestinesi e le ammissioni anche di militari israeliani, svela pratiche illegali e inumane condotte dai soldati dello Stato ebraico, spesso in concerto con agenti dell’intelligence, nei confronti della popolazione di Gaza. Accuse, quelle del quotidiano americano, che molto assomigliano a quelle che il governo di Tel Aviv ha mosso fin dal 7 ottobre 2023 nei confronti di Hamas, accusato di utilizzare i civili come protezione dagli attacchi delle Forze di Difesa Israeliane.
Non è la prima volta che l’esercito di Tel Aviv ricorre a pratiche del genere, assolutamente vietate dal diritto internazionale. Lo aveva già fatto in Cisgiordania e a Gaza negli Anni 2000. E la metodologia è simile: prendere prigionieri palestinesi e costringerli a dirigersi in presunti nascondigli di Hamas, scovare trappole esplosive esponendosi al rischio di saltare in aria, introdursi nei tunnel del partito armato palestinese o vagare per le città con in dosso le mimetiche israeliane per scovare i rifugi del Movimento Islamico di Resistenza una volta che i miliziani aprono il fuoco per ucciderli. Tutto questo indipendentemente dal presunto coinvolgimento delle cavie in attività legate a Hamas.
Gli ufficiali impegnati sul terreno hanno tentato di convincere i soldati semplici a utilizzare questo metodo di ricognizione sostenendo che gli uomini impiegati fossero dei terroristi e che quindi le loro vite valessero meno di quelle di un israeliano. Affermazioni false e che, comunque, non hanno convinto alcuni militari della bontà di tali pratiche, tanto che sette di essi le hanno ritenute talmente barbare da parlarne con l’associazione di ex militari che denuncia i crimini delle Idf, Breaking the Silence, e poi con i giornalisti americani.
Oltre a loro, a parlare sono anche le vittime di questi soprusi. E le storie raccolte sono impressionanti. Come quella di Shubeir, che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto 18 anni. Per mesi si è nascosto con la famiglia, ma quando è stato catturato e trattenuto per dieci giorni è stato costretto a camminare ammanettato tra le rovine vuote della sua città, Khan Younis, alla ricerca di esplosivi. Per evitare di farsi saltare in aria, i soldati lo hanno fatto andare avanti, ha raccontato. “I soldati mi hanno mandato come un cane in un appartamento pieno di trappole esplosive – ha detto al Nyt – Pensavo che questi sarebbero stati gli ultimi momenti della mia vita”. Shubeir è stato catturato dopo che l’esercito ha invaso il suo quartiere ai margini di Khan Younis dopo aver ordinato ai residenti di evacuare. Ma la famiglia Shubeir aveva deciso di aspettare l’incombente avanzata israeliana nel suo appartamento al quarto piano, così si sono presto trovati nel bel mezzo di una battaglia. Le granate hanno colpito il loro edificio, uccidendo suo padre, mentre sua sorella, 15 anni, è stata colpita e uccisa dopo che i soldati israeliani sono entrati in casa, mentre lui è stato catturato e separato dai suoi parenti sopravvissuti. Fino al suo rilascio senza accuse, circa dieci giorni dopo, è stato spesso mandato dai soldati a vagare per le strade di Khan Younis accompagnato solo da un piccolo drone sopraelevato noto come quadricottero. Il drone ha monitorato i suoi movimenti e gli ha dato istruzioni dal suo altoparlante. Pochi giorni prima del suo rilascio, i soldati gli hanno slegato le mani e gli hanno fatto indossare un’uniforme militare israeliana. Poi lo hanno liberato dicendogli di vagare per le strade in modo che i combattenti di Hamas potessero sparargli e rivelare le loro posizioni.
Il 31enne Jehad Siam ha raccontato invece di aver fatto parte di un gruppo di civili sfollati costretto a camminare avanti alle truppe d’Israele verso un nascondiglio di combattenti di Hamas. “I soldati ci hanno chiesto di andare avanti in modo che l’altra parte non rispondesse al fuoco”, ha spiegato. Una volta che la folla ha raggiunto il nascondiglio, i soldati sono spuntati da dietro i civili e si sono riversati all’interno della struttura uccidendo tutti i miliziani. Solo allora le persone sono state liberate.
Una delle storie più dure è quella raccontata da Basheer al-Dalou, farmacista di Gaza City che era fuggito dal proprio quartiere con la moglie e i quattro figli settimane prima, ma il 13 novembre era tornato per prendere alcuni generi di prima necessità ed è quel giorno che è stato catturato senza alcuna accusa dai soldati israeliani. I militari lo hanno fatto denudare, rimanendo solo con le mutande, ammanettato e bendato prima di interrogarlo e condurlo nel cortile di una vicina casa di cinque piani. Il piazzale era disseminato di detriti, tra cui gabbie per uccelli, serbatoi d’acqua, attrezzi da giardinaggio, sedie rotte, vetri in frantumi e un grande generatore: “Dietro di me, tre soldati mi hanno spinto in avanti con violenza – ha ricordato – Avevano paura di potenziali tunnel sotterranei o di esplosivi nascosti sotto qualsiasi oggetto”. Camminando a piedi nudi, si è tagliato i piedi sui frammenti di vetro, mentre sette o otto soldati lo dirigevano con un megafono nascondendosi dietro a dei ripari per paura che l’uomo si imbattesse in una trappola esplosiva e saltasse in aria. Con le mani legate dietro la schiena, ad al-Dalou è stato ordinato di camminare per il cortile prendendo a calci mattoni, pezzi di metallo e scatole vuote. Poi qualcosa si è mosso all’improvviso da dietro un generatore, i soldati hanno iniziato a sparare, ma si trattava solo di un gatto. Successivamente, i soldati gli hanno ordinato di provare a spostare il generatore, sospettando che nascondesse l’ingresso di un tunnel. Dopo che al-Dalou ha esitato, temendo che i combattenti di Hamas potessero emergere dall’interno, un soldato lo ha colpito alla schiena con il calcio del fucile
Soldati dello Stato ebraico hanno invece raccontato di un’operazione all’interno di un ospedale Unrwa nel quale si trovavano alcuni tunnel di Hamas. Gli ingegneri militari hanno perforato il terreno per creare nuovi punti di accesso e calato una telecamera nei tunnel usando una corda, in modo da poter vedere più chiaramente cosa c’era dentro. Così hanno visto un uomo all’interno del tunnel, probabilmente un operativo di Hamas. Per poter esplorare meglio il passaggio, però, hanno ben pensato di inviare un palestinese con una bodycam, esponendolo al rischio di essere ucciso dai miliziani.
Le pratiche rivelate dall’inchiesta del New York Times, sono illegali sia per il diritto israeliano sia per quello internazionale. Le Idf, sentite dal quotidiano, hanno specificato che “direttive e linee guida vietano rigorosamente l’uso di civili detenuti a Gaza per operazioni militari”, aggiungendo che i resoconti dei detenuti e dei soldati palestinesi intervistati dal Times saranno “esaminati dalle autorità competenti”.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 15th, 2024 Riccardo Fucile
DAL 7 OTTOBRE SONO STATI BLOCCATI TUTTI I NUOVI CONTRATTI, MA NON È ESCLUSO CHE IN QUESTI MESI SIANO STATE CONSEGNATE ARMI
«Il Libano non deve diventare una seconda Gaza e per questo non dobbiamo abbandonarlo» avverte l’Alto Rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, al termine del Consiglio Affari Esteri dell’Unione europea.
Una riunione durante la quale «tutti i ministri hanno condannato in maniera unanime» gli attacchi di Israele ai militari della missione Onu Unifil e hanno ribadito la necessità di mantenere i caschi blu sul terreno, nonostante la richiesta di ritiro da parte di Tel Aviv.
In occasione dell’incontro in Lussemburgo ha fatto capolino anche la questione dell’embargo sulle armi, ma su questo punto – ha ammesso Borrell – «gli Stati sono estremamente divisi: alcuni sono a favore, altri invece sono proprio nella situazione opposta e chiedono di consegnare più armi».
Estremamente significativa la divisione emersa all’interno del governo tedesco, dove i Verdi hanno bloccato per sette mesi la consegna di armi, fino a quando Israele ha garantito per iscritto che «non le userà per commettere genocidi».
A guidare il campo dei Paesi favorevoli all’embargo è la Francia, che insiste sulla linea dettata dal presidente Emmanuel Macron. Il ministro degli Esteri Jean-Noel Barrot ha provato a convincere i suoi colleghi spiegando che si tratterebbe di una decisione “coerente” con la richiesta di cessate il fuoco avanzata anche dall’Unione europea
Sul fronte diametralmente opposto, invece, la Repubblica Ceca con il ministro Jan Lipavsky che ha replicato al collega francese dicendo che «Israele ha il diritto all’autodifesa e questo include anche la consegna di armi». Secondo l’esponente del governo guidato dal primo ministro Petr Fiala, tra i più vicini a Tel Aviv, «spetta ai singoli Paesi decidere se e quali armi fornire ed è meglio che resti così».
A sostenere la proposta di Parigi ci sono, tra gli altri, anche il governo irlandese e quello spagnolo.
Anche l’Italia, ha ricordato ieri il ministro Antonio Tajani, «dal 7 ottobre dello scorso anno ha bloccato tutti i contratti che riguardano la vendita di armi ad Israele»: non sono stati firmati nuovi accordi, anche se non è escluso che in questi mesi siano state consegnate armi sulla base di accordi precedenti. Il governo Meloni, però, resta cauto sull’idea di un embargo europeo.
Il capo della Farnesina non era presente al vertice dei ministri Ue in Lussemburgo perché impegnato alla conferenza di Berlino sui Balcani occidentali. E alla riunione del Consiglio Affari Esteri mancava anche la sua collega tedesca, Annalena Baerbock, che avrebbe frenato l’invio di armi in Israele da parte del governo di Berlino.
Secondo la Bild, la Germania avrebbe di fatto sospeso le forniture da marzo proprio a causa del veto imposto dalla ministra degli Esteri e dal suo compagno di partito Robert Habeck, titolare dell’Economia.
La situazione si sarebbe sbloccata soltanto poche settimane fa quando il governo tedesco – su richiesta dei due ministri dei Verdi – avrebbe ottenuto da Israele rassicurazioni “per iscritto” sul fatto che le armi esportate dalla Germania non sarebbero state usate per commettere un genocidio.
I ministri Ue hanno inoltre espresso il loro sostegno alla missione Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi (Unrwa) e che ora, secondo Borrell, è colpita da «da una minaccia potenzialmente letale»
L’Alto Rappresentante ha anche annunciato che il prossimo Consiglio Affari Esteri sarà chiamato a valutare il rispetto del diritto internazionale da parte di Israele. In caso contrario, l’Ue potrebbe prendere misure per sospendere gli accordi commerciali, come stanno chiedendo in particolare la Spagna e l’Irlanda.
(da agenzie)
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