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LOLLOBRIGIDA ORA COMBATTE I TARLI AL MINISTERO: “EMERGENZA SANITARIA”

Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile

ILCREA INFESTATO SECONDO IL PRESIDENTE SCELTO DAL MINISTRO

Dopo le api e i calabroni tocca ai tarli. Non c’è pace per il ministero dell’Agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida. Un flagello, fa sapere Il Foglio, si è infatti abbattuto sul Crea, ovvero il consiglio per la ricerca in agricoltura. Andrea Rocchi, presidente incaricato dall’ex compagno di Arianna Meloni, ha lanciato l’allarme dopo aver convocato i sindacati: i tarli hanno infestato la sede.
E adesso si studia una strategia. I dipendenti di via della Navicella dicono che l’emergenza è scoppiata questa estate. E che sotto ci sarebbe una storia che riguarda gli assistenti del presidente, che è anche professore universitario a La Sapienza.
Emergenza sanitaria e trasferimenti
Rocchi vorrebbe il suo gruppo di studio fisicamente vicino al suo ufficio. Ma quelle stanze sono occupate dai dipendenti. Allora convoca il direttore generale Laura Proietti con una riunione che ha all’ordine del giorno “Emergenza sanitaria e conseguenti trasferimenti”. E parla dei tarli nei mobili. Anche se non attiva le procedure per la chiusura della sede. I lavori necessitano traslochi temporanei a via Archimede e a via Manziana. La Fir Cisl tende la mano al ministero. L’Anief invece parla di misure sproporzionate e adombra il sospetto della necessità di una riorganizzazione di posti per favorire gli allievi del professore. E intanto Lollobrigida sta per nominare una nuova direttrice al Crea. Si chiama Maria Chiara Zaganelli.
(da agenzie)

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PROCESSO OPEN ARMS, ARRIVA LO SHOW DELLA LEGA CONTRO I MAGISTRATI

Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile

VENERDI IN PIAZZA A PALERMO PER L’IMPUNITA’ DEL SEQUESTRATORE DI PERSONE, PRECETTATI TUTTI I PARLAMENTARI

Nessun palco, ma gazebo e volantini. E forse un evento a sorpresa, un flash mob non ancora annunciato. La Lega si prepara alla trasferta di venerdì, quando colonnelli e soldati semplici del partito saranno a Palermo per sostenere Matteo Salvini nel giorno dell’arringa della sua avvocata, la senatrice Giulia Bongiorno, al processo Open Arms.
La Procura ha chiesto 6 anni di reclusione per il vicepremier, il quale ha deciso di sfruttare il processo come meglio può. Ovvero rendendolo un’adunata leghista – con tanto di ministri e sottosegretari – contro la magistratura politicizzata che lo accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. La sentenza non è prevista per venerdì, ma in via Bellerio si studiano i dettagli di una giornata ritenuta comunque fondamentale.
Come anticipato ieri dal Fatto, il corpaccione dei parlamentari (pur con fisiologiche defezioni, gli sherpa stimano ben oltre le cinquanta presenze) arriverà a Palermo domani sera, mentre altri, soprattutto chi ha incarichi di governo, raggiungeranno la Sicilia venerdì mattina. Il ritrovo è per le 10 di fronte al Teatro Politeama, dove gli eletti troveranno anche un gruppo di attivisti siciliani coordinato dal senatore Nino Germanà, attivissimo in queste ore.
Ma come funzionerà la piazza leghista? Non è previsto un palco, dunque non sarà un classico comizio con scaletta di interventi. Piuttosto, ci saranno dei gazebo dove verranno distribuiti i volantini già apparsi a Pontida: manifesti che ricordano i film western (i famosi “wanted” dei ricercati) con la faccia di Salvini e la scritta “Colpevole di aver difeso l’Italia”.
È lo stesso slogan che la Lega ripete da giorni e che ieri è stato rievocato dai social del Carroccio con un post che enfatizza la vicinanza appena espressa da Giorgia Meloni al vicepremier (“Solidarietà a Salvini? Sempre”): “Difendere i confini non è un reato. Avanti, insieme”, è la didascalia sotto a una foto di Salvini insieme alla presidente del Consiglio.
La location del ritrovo è piuttosto lontana, almeno a piedi, dall’aula bunker in cui parlerà Giulia Bongiorno. Questo dovrebbe scongiurare migrazioni di massa verso il carcere Pagliarelli, ma fonti leghiste di primo piano danno conto di un “possibile flash mob”. Essendo tale, sarebbe un “fuori programma” rispetto ai gazebo e dovrebbe apparire come una mobilitazione spontanea.
Dall’assemblea siciliana non escludono che una delegazione possa muoversi verso l’esterno del carcere, dove si trova l’aula bunker, circostanza su cui invece da Roma non arrivano conferme. Anche perché la piazza Politeama è stata scelta proprio per evitare una manifestazione organizzata sotto un’aula di giustizia, fotografia plastica dello scontro istituzionale come fu per la missione dei 150 parlamentari Pdl fuori dal Tribunale di Milano durante l’udienza del processo Ruby, anno 2013, tardo impero berlusconiano. Si vedrà.
In via ufficiale, il programma della Lega ha semmai aggiunto un appuntamento per domani, legando alle iniziative palermitane la campagna elettorale per le regionali in Emilia-Romagna, dove si vota tra un mese. All’Hotel Savoia Regency di Bologna la Lega ha infatti promosso un convegno sulla giustizia dal titolo che lascia intendere molto dell’atteggiamento del Carroccio: “Quali sono i confini della giustizia?”. La risposta, oltre che dalla piazza di Palermo, arriverà dagli interventi – tra gli altri – del vicesegretario Alberto Stefani e del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, il cui ruolo istituzionale non impedisce intemerate.
Ottime premesse per rialzare i decibel degli attacchi alla magistratura, già bersagliata nel momento della richiesta di condanna da parte della Procura. La Lega fa sapere che Bongiorno non rilascerà interviste nel giorno dell’udienza, limitandosi a parlare in aula, anche considerato che l’arringa durerà diverse ore. A far le veci sue e di Salvini saranno perciò parlamentari e ministri in piazza. Con un obiettivo: trasformare le accuse in ottima propaganda.
(da Il Fatto Quotidiano)

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IL SISTEMA DEI CENTRI PER MIGRANTI IN ALBANIA E’ DESTINATO A FALLIRE E SI CONFIGURA IL REATO DI SEQUESTRO DI PERSONA SE NON LI RIPORTANO IN ITALIA

Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile

LUCA MASERA, DOCENTE DI DIRITTO PENALE: “I MAGISTRATI ITALIANI DOVRANNO CONFORMARSI ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA DEL 4 OTTOBRE, ANDRANNO RIPORTATI IN ITALIA PER LA PROCEDURA NORMALE E NON ACCELERATA, ESAMINANDO CASO PER CASO. SE LI FANNO RESTARE IN ALBANIA SCATTA IL REATO DI SEQUESTRO DI PERSONA”

Rischia di rivelarsi un castello di carte il progetto dei centri per migranti in Albania, a Shengjin e Gjader, nati nell’ambito del protocollo che la premier Giorgia Meloni ha firmato a novembre scorso con l’omologo albanese Edi Rama.
In teoria, secondo quanto specificato dal Viminale con decreto ministeriale, Bangladesh ed Egitto sarebbero considerati Paesi ‘sicuri’. Ma non lo sono in base alla sentenza della Corte di Giustizia europea, la quale ha stabilito che la designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro deve estendersi a tutto il suo territorio, cioè non deve esserci da nessuna pare il rischio di persecuzioni o violazioni dei diritti fondamentali.
La sentenza aggiunge che “Il giudice nazionale che esamina la legittimità di una decisione amministrativa con cui si nega la concessione della protezione internazionale deve rilevare la violazione delle norme del diritto dell’Unione relative alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro”.
In pratica si riconosce il diritto-dovere del giudice nazionale di applicare i criteri di valutazione imposti dalla normativa europea, anche in contrasto con provvedimenti o decreti di natura amministrativa emanati a livello nazionale.
Sulla base di questo, anche alcune procedure di rimpatrio nei confronti di cittadini stranieri che a breve arriveranno nei centri di detenzione in Albania potrebbero essere annullate dall’autorità giudiziaria competente, in questo caso dal giudice del tribunale di Roma.
Secondo Luca Masera (Asgi), professore di diritto penale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Brescia, la sentenza della Corte di Giustizia europea inciderà sulle procedure previste dal protocollo Italia-Albania, perché nella definizione di un Paese terzo come sicuro “non è più possibile distinguere le diverse parti di un territorio, come avveniva in passato. Significa che molti Paesi che sono inseriti dal governo nella lista dei Paesi terzi sicuri, non potranno più essere ritenuti tali, se ci sono al loro interno porzioni di territorio non sicure”, ha detto a Fanpage.it.
“La Corte Ue ribadisce inoltre che il giudice non è vincolato all’elenco fornito dal governo, ma è chiamato a fare una valutazione caso per caso, aggiornata sulla situazione del Paese. È evidente che in questo modo verrà meno il sistema Albania, perché se un Paese non è più considerato sicuro non si può andare avanti con la procedura accelerata di frontiera, e viene meno tutto il presupposto del trattenimento in Albania. Se i giudici italiani, come sono tenuti a fare, adottano l’interpretazione della Corte della Corte di Giustizia Ue, i migranti che potranno rientrare nella procedura accelerata di frontiera saranno pochissimi. E lo si è visto già in Sicilia, dove i giudici di Palermo e Catania stanno già dando applicazione alla sentenza rispetto ai trattenimenti nelle zone di frontiera in Italia. I giudici hanno sostanzialmente detto che la procedura accelerata non è applicabile, per esempio nei confronti di migranti provenienti dalla Tunisia”.
Nel caso dei 16 migranti in arrivo nelle prossime ore in Albania, i Paesi di origine come dicevamo sono Egitto e Bangladesh, considerati ‘sicuri’, secondo la lista del governo. “Ora saranno i giudici di Roma a decidere se convalidare o meno il provvedimento di trattenimento. Per farlo i giudici del tribunale di Roma hanno 48 ore di tempo”, ha ricordato Masera. “Credo che non potranno fare altro che dare una risposta negativa, perché dire che tutto l’Egitto o tutto il Bangladesh sono Paesi terzi sicuri è sostanzialmente impossibile. Significa che quei migranti provenienti da quei Paesi dovranno tornare immediatamente in Italia, perché se dovessero rimanere detenuti in Albania, nonostante la decisione del giudice che non convalida il provvedimento di trattenimento, sarebbe considerato sequestro di persona”, ha spiegato Masera a Fanpage.it.
Quando poi le persone dovranno essere riportate in Italia, il governo dovrà spendere altri soldi per il viaggio. Con la conseguenza che i 160 milioni l’anno stimati dal Viminale potrebbero aumentare: “Il governo sembra non essersi posto questo problema dei ritorni in Italia, e invece il problema si porrà urgentemente”, ha sottolineato Masera.
(da Fanpage)

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COLPEVOLE DI AVER SALVATO 58 ESSERI UMANI PROSSIMI ALLA MORTE CERTA: LA “MARE JONIO” VIENE NUOVAMENTE FERMATA DAL GOVERNO DELLA VERGOGNA E MULTATA DI 4.000 EURO

Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile

L’ONG MEDITERRANEA: “NON CI IMPEDIRETE DI RESTARE UMANI”

I militari della Capitaneria di Porto Empedocle, dopo lo sbarco dei 58 migranti salvati dall’equipaggio della Mare Jonio in acque internazionali, hanno sottoposto nuovamente a fermo amministrativo l’imbarcazione di Mediterranea Saving Humans e a una sanzione amministrativa di 4mila euro.
Tutto è iniziato oggi, martedì 15 ottobre, quando la nave di monitoraggio e soccorso di Mediterranea Saving Humans approda a Porto Empedocle, in Sicilia, e sbarca 58 persone recuperate nei giorni scorsi nel corso della sua diciannovesima missione, partita da Trapani il 9 ottobre senza le attrezzature per il soccorso, come imposto dal Ministero delle Infrastrutture a seguito del fermo amministrativo di settembre.
“Nel giorno in cui il governo inaugura l’infamia delle deportazioni in Albania – scrive l’Ong sulle proprie pagine social – la nostra nave Mare Jonio sbarca 58 persone soccorse nel luogo sicuro di Porto Empedocle”, dopo aver rifiutato il porto lontano di Napoli. La soddisfazione per essere riusciti a portare in salvo 58 migranti in pericolo di vita è tuttavia durata poco e nel tardo pomeriggio di martedì l’imbarcazione di Mediterranea Saving Humans subisce l’ennesimo fermo (dopo l’ennesima perquisizione). Secondo le autorità l’imbarcazione sarebbe risultata “priva di autorizzazioni dello Stato di bandiera”, ovvero l’Italia, e avrebbe violato il decreto Piantedosi che limita i soccorsi in mare.
Un nuovo tentativo di criminalizzazione delle Ong. Sono sempre più frequenti, infatti, gli attacchi diretti del Governo Meloni a chi salva vite in mare. Tutto questo mentre la situazione di chi cerca di attraversare il Mediterraneo si fa sempre più drammatica.
«Voglio dirlo chiaro – prosegue – al ministro Piantedosi e alla presidente del Consiglio Meloni: salvare vite umane in mare è un dovere etico e un obbligo giuridico. Non ci impedirete di restare umani».
(da agenzie)

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L’INCHIESTA BOCCIA-SANGIULIANO TOCCA LE STANZE DEL GOVERNO

Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile

IERI I CARABINIERI SI SONO PRESENTATI DUE VOLTE AL MINISTERO, CHIEDENDO DI ACQUISIRE UN LUNGO ELENCO DI DOCUMENTI

Un pomeriggio intero trascorso in procura a Roma, seduto davanti ai magistrati, all’interno di una stanza, lontano da occhi indiscreti. A raccontare la sua verità sul caso Boccia—Sangiuliano. Francesco Gilioli, ormai ex capo di gabinetto del ministero della Cultura, è stato convocato dai pm. E con gli inquirenti ha parlato a lungo, e non solo dei presunti ricatti che l’ex ministro avrebbe subito da parte della manager.
Lo ha fatto prima di essere sostituito dal neo ministro Alessandro Giuli, e soprattutto prima che i carabinieri bussassero alla porta del dicastero di via del Collegio Romano, chiedendo di acquisire un lungo elenco di documenti.
Mai fino ad ora l’inchiesta Boccia-Sangiuliano aveva toccato così da vicino le stanze del governo. Questa settimana è emersa l’ennesima prova del fatto che il caso giudiziario è presto diventato politico.
Un caso da non archiviare come una vicenda di gossip di fine estate, tanto più che il 6 settembre è costato la poltrona al ministro Gennaro Sangiuliano.
A distanza di un mese, anche il braccio destro di Sangiuliano è saltato, cacciato da Giuli in fretta e furia venerdì scorso con una pec e un comunicato stampa in cui giustificava l’improvvisa rottura con la circostanza che sarebbe «venuto a mancare il rapporto fiduciario».
Una frase che ha generato una marea di speculazioni, senza che da via del Collegio Romano si precisasse in cosa consistesse il tradimento di Gilioli.
Ma riavvolgiamo il nastro di una storia divenuta all’improvviso complessa e i cui potenziali risvolti giudiziari terrorizzano i palazzi del potere. Partiamo dal faccia a faccia tra Gilioli e i magistrati romani di piazzale Clodio. Un lungo colloquio che ha toccato tutte le corde dell’affaire Boccia, la nomina mai ratificata dell’imprenditrice di Pompei come consigliere di Sangiuliano per i grandi eventi.
Gilioli nella vicenda ha avuto un ruolo da assoluto protagonista. Di fatto è stato lo stesso Sangiuliano a chiamarlo in causa citandolo diverse volte nel suo esposto. L’allora ministro ha raccontato di un messaggio WhatsApp che ha inviato a Gilioli: «Per quel consigliere da nominare ( Boccia, ndr) tieni fermo. Ne parliamo a fine agosto».
E ha ricordato «le perplessità che il capo di gabinetto mi aveva evidenziato circa alcune incongruenze del curriculum e l’eventualità di conflitti di interesse per pregresse attività della Boccia proprio nel campo dell’organizzazione dei grandi eventi».
Insomma, il capo di gabinetto sarebbe stato decisivo, secondo questa ricostruzione: il suo parere avrebbe fatto cambiare idea a Sangiuliano. Da quel momento in poi l’intera vicenda è precipitata, perché Boccia — questa la tesi dell’ex ministro — ha iniziato a ricattarlo. È su questo aspetto che i pm vogliono vederci chiaro. Ma non solo.
A Gilioli i magistrati hanno chiesto informazioni anche su altri incarichi, altre assegnazioni. Per verificare le sue parole, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma hanno cercato tra gli archivi del ministero.
Lo hanno fatto ieri mattina, dopo aver parlato con il neoministro. Hanno presentato un lungo elenco di documenti richiesti dai sostituti procuratori Barbara Trotta e Giulia Guccione, e dall’aggiunto Giuseppe Cascini. I pm coordinati dal capo Francesco Lo Voi vogliono leggere i contratti, le nomine abbozzate, firmate e non.
Forse è per questo che, sempre ieri, nel tardo pomeriggio i militari dell’Arma sono tornati in via del Collegio Romano. A caccia di mail, atti, rendiconti, comunicazioni, eventuali spese sostenute per l’imprenditrice. Un aspetto questo che, se riscontrato, interesserebbe anche alla Corte dei conti e ai magistrati del tribunale dei ministri che indagano su Sangiuliano.
Sono diversi, infatti, i filoni di inchiesta che mirano ad approfondire il caso. Uno di questi riguarda anche i profili social di Maria Rosaria Boccia. Ultimamente Instagram le ha limitato l’utilizzo. Una circostanza che l’imprenditrice ha pubblicamente denunciato.
(da La Repubblica)

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