Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
RACCONTA COME DA ANNI LAVORA CON LA PA: “HO PAGATO FINO A QUALCHE ANNO FA, HO PROVATO A USCIRNE E HO DENUNCIATO. HO VISTO IL LAVORO RIDURSI DRASTICAMENTE”
Alla fine, dopo una serie di messaggi, ha accettato l’incontro di fronte a un bar di Trastevere. E’ un imprenditore edile romano, che da anni lavora con la Pubblica amministrazione. Con le notizie dell’inchiesta a Roma e l’arresto del direttore generale di Sogei Paolino Iorio in primo piano, il suo racconto può aiutare a capire come può essere vissuta la corruzione dalla parte di chi la conosce direttamente, per la propria attività.
Ha chiesto di lasciare in macchina i telefoni, il suo e anche il mio, e poi ha iniziato a parlare.
Di getto, come se avesse bisogno di una confessione: “Ho pagato tangenti fino a qualche anno fa, ho provato a uscirne e ho denunciato. Ho visto il lavoro ridursi drasticamente. Ho provato a fare a meno di qualsiasi commessa pubblica ma stavo fallendo. Oggi faccio quello che posso, fino a quando non arriva la solita richiesta: c’è da sistemare questo passaggio… Le mazzette sono diventate per tanti imprenditori un costo fisso, con una contabilità dedicata. Tanti pagano per lavorare, non per arricchirsi…”.
Mi chiede più volte se può essere sicuro che non uscirà il suo nome. Io, invece, chiedo perché abbia deciso di parlare con un giornalista. “Perché vedo e leggo tante ricostruzioni che mettono sullo stesso piano il corrotto e il corruttore e invece c’è una differenza sostanziale: uno prende soldi che si aggiungono ai tanti che già guadagna, l’altro spesso paga perché non vede altra strada per arrivare all’appalto che gli serve per mandare avanti l’impresa”.
La tangente, dice, diventa “un rischio calcolato, in un contesto che prevede la mazzetta come un effetto collaterale”. Usa queste parole, ‘rischio calcolato’ e ‘effetto collaterale’, e su queste parole provo a costruire un contraddittorio. Cosa vuol dire un rischio calcolato? “Vuol dire che sono evidentemente più le volte che ti va bene di quelle in cui ti può andare male e che chi paga lo fa perché quasi sempre gli conviene farlo”. Quando parla di effetto collaterale, invece, a cosa si riferisce? “Al fatto che lo stesso calcolo, mi faccio pagare e rischio poco, lo fa chi chiede la tangente, che considera quasi come un atto dovuto, perché così funziona…”.
E’ una ricostruzione che tende ad assolvere gli imprenditori e a condannare la mano pubblica, come è comprensibile che sia quando a parlare è un imprenditore. Ma c’è un aspetto che più degli altri vale la pena sottolineare. Quello che viene descritto è un sistema che “alla fine premia chi si adegua, da una parte e dall’altra”. Perché, “rispetto a quando ho denunciato, qualche anno fa, incrocio sempre le stesse imprese e le stesse persone”.
Quando chiedo se può fare nomi o casi concreti, però, la conversazione si interrompe bruscamente. “Non serve a niente”, dice, allungando la mano che mi stringe con forza, prima di ritrarsi con un’ultima richiesta: “Vado a lavorare, lei però scriva esattamente quello che le ho detto…”.
(da Adnkronos)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
“BASTA ESSERE PRESI IN GIRO”
È arrivato alla commissione europea il Documento programmatico di bilancio (Dbp) dell’Italia. Il piano strutturale di bilancio a medio termine (Psb) italiano non risulta invece ancora tra i documenti ricevuti e pubblicati. .
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, spiega le misure della manovra in una conferenza stampa. Secondo quanto riportato dal Mef, per il prossimo triennio il governo “garantirà l’impegno a mantenere la spesa netta sul sentiero di crescita programmato”.
Ma è scontro sulla sanità. Secondo i sindacati dei medici il governo mette sul piatto dei medici solo 900 milioni per il 2025. Gimbe attacca: “La Salute è ormai un ministero senza portafoglio”. La segretaria pd Elly Schlein: “Solo propaganda”. Il sindacato Anaao-Assomed rilancia: “Siamo pronti a forti azioni di protesta”.
Nella conferenza stampa il ministro Giorgetti è stato costretto a dire la cruda verità: nella prossima legge di bilancio per il 2025 ci sono appena 900 milioni di euro aggiuntivi per la sanità. Altro che 3 miliardi e mezzo, come hanno cercato di far scrivere sui giornali. Si fanno piani e promesse molto ambiziosi – trentamila assunzioni, rinnovo dei contratti e detassazione delle indennità di specificità, revisione delle tariffe delle prestazioni, adeguamento della spesa farmaceutica, solo per citare le voci principali – e poi non si trovano le risorse necessarie per realizzare tutto questo.
“Con questa cifra irrisoria nel 2025 non vi sarà alcun potenziamento della sanità pubblica – afferma il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta – con ulteriore aumento della spesa privata e della rinuncia alle cure da parte di milioni di persone”. “È fondamentale che, nel corso dei lavori parlamentari sulla manovra – sottolinea ancora – almeno parte dei 3 miliardi previsti per il 2026 vengano resi disponibili già sul prossimo anno. Un rilancio significativo e costante del finanziamento pubblico non è solo essenziale, ma estremamente urgente per evitare che l’accesso alle cure diventi un privilegio riservato a chi può permetterselo, invece – conclude – di essere un diritto garantito per tutti”. “L’incremento di soli 900 milioni di euro per il 2025 – rileva – è del tutto insufficiente per affrontare le urgenti necessità di un Sistema sanitario nazionale in codice rosso, oltre che per sostenere le riforme avviate, in particolare quella sulle liste di attesa”.
Il sindacato dei medici Cimo-Fesmed attaccano: “le dichiarazioni del ministro Giorgetti che confermano il mantenimento della percentuale della spesa sanitaria rispetto al Pil, fanno ritenere che solo 900 milioni sarebbero disponibili per la sanità nel 2025, oltre al miliardo previsto dalla legge di bilancio dello scorso anno, rimandando dunque al 2026 la disponibilità di quasi 3 miliardi”
“Se dovesse essere confermato che per il 2025 sarebbero destinati alla Sanità solo 880 milioni e i restanti 3 miliardi a valere sul 2026, saremmo di fronte a una scandalosa mistificazione che vanifica tutti i proclami che sono stati fatti fino a oggi”. Lo afferma Pierino Di Silverio, segretario del maggiore sindacato dei medici ospedalieri, l’Anaao Assomed. “Siamo pronti – ha aggiunto – a forti azioni di protesta”.
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
L’ANZIANO, GIA’ CONDANNATO PER ESTORSIONE E SPACCIO, ERA RICERCATO DAL 2023…IL 75ENNE NON ERA LATITANTE, MA REGOLARMENTE ISCRITTO ALL’ANAGRAFE DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO MA NESSUNO LO HA RINTRACCIATO PRIMA
Va in commissariato per rinnovare il passaporto ma viene arrestato e portato direttamente in carcere dai poliziotti. Motivo? L’uomo, Enrico C., 75 anni, portiere d’albergo in pensione, era ricercato per la violazione degli obblighi familiari ma lui che nel frattempo si era trasferito all’estero nemmeno lo sapeva.
Quando, però, gli agenti del commissariato Rai di piazza Mazzini hanno effettuato con puntiglio tutti i controlli di rito relativi al rilascio del documento, si sono accorti del procedimento pendente nei suoi confronti. E non hanno potuto fare altro che dare seguito alla nota di rintraccio emessa dalla Procura di Civitavecchia nel corso del 2023.
In pratica, l’anziano che annovera precedenti di polizia per estorsione (una denuncia nel 2006) e spaccio (circostanza risalente al lontano 1979), non pagava gli alimenti all’ex moglie e per questo, al termine di una travagliata e dolorosa storia di separazione, era arrivata la misura del Tribunale.
Alla fine della scorsa settimana, con regolare appuntamento, si era presentato negli uffici del commissariato Rai diretto da Elisabetta Accardo con le fototessere, i versamenti e tutta la documentazione necessaria per richiedere il titolo valido per l’espatrio.
Quando, però, il poliziotto incaricato di istruire la pratica ha consultato le banche dati in uso alle forze dell’ordine, è scattato immediatamente l’alert: a carico del 75enne, pendeva infatti la nota di rintraccio di Civitavecchia per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Enrico C. è stato fermato e, al termine degli accertamenti di rito, è stato accompagnato presso il carcere romano di Rebibbia dove dovrà espiare cinque mesi di reclusione, oltre al pagamento di una multa di 500 euro. Il 75enne viveva ormai stabilmente in Spagna ed era iscritto all’anagrafe degli italiani all’estero di Tenerife.
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
LA QUESTURA HA INVIATO I PROVVEDIMENTI DI “AMMONIMENTO” A TRE RAGAZZI TRA I 12 E I 14 ANNI… E POI CI SI STUPISCE SE QUALCHE GENITORE SI FA GIUSTIZIA DA SOLO
Un ragazzo di 13 anni, affetto da autismo e ritardo cognitivo, è stato preso di mira dai compagni di classe. La vittima degli atti di bullismo ha subito episodi così violenti da essere stata costretta a ricorrere a trattamenti farmacologici antidepressivi. I tre autori delle aggressioni, di età compresa tra i 12 e i 14 anni, sono stati raggiunti oggi – 16 ottobre – dai provvedimenti di ammonimento emessi dal questore di Caserta, Andrea Grassi. L’Ansa, riportando la notizia, parla di «insulti, atti denigratori, aggressioni fisiche e violenze verbali»
Gli episodi di violenza
In un’occasione, il 13enne «fu accerchiato dai bulli, che lo spinsero insultandolo con espressioni volgari». È presto diventato protagonista, suo malgrado, di un gruppo di messaggistica fondato allo scopo di offenderlo. Il ragazzo è stato anche obbligato a registrare messaggi audio a sfondo sessuale. Poi, in un’altra occasione, la vittima è stata forzata a spogliarsi e a mostrarsi nudo in pubblico. «Due dei minori hanno 12 e 13 anni, dunque non sono imputabili penalmente, e per loro l’ammonimento è arrivato grazie al decreto Caivano», ripota l’agenzia di stampa. «Anche il terzo minore raggiunto dal provvedimento al momento dei fatti aveva meno di 14 anni, età che però ha nel frattempo compiuto, per cui potrebbe essere denunciato».
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
IL SUO SISTEMA PER AZZECCARE IL VINCITORE SI BASA SU 13 DOMANDE DA PORRE AGLI ELETTORI
Vincerà Kamala Harris. Ne è certo lo storico Allan Lichtman, considerato il «Nostradamus delle elezioni americane».
Dal 1984 ha indovinato il risultato di tutte le presidenziali tranne una, nel 2000, quando chiamò la vittoria di Al Gore: il candidato democratico vinse il voto popolare, ma George W. Bush divenne presidente grazie a 537 voti in Florida e all’intervento della Corte Suprema.
Nel 2016 però fu fra i pochi a predire che Donald Trump avrebbe vinto le elezioni, ricevendo poi un biglietto di ringraziamento dal presidente eletto.
«Quella chiamata non mi rese molto popolare a Washington, dove insegno all’American University: mi provocò parecchi problemi, ma mai come l’ondata d’odio e violenza verbale che ho ricevuto quest’anno, indicativa del clima tossico che Trump ha creato in America», racconta al Corriere Lichtman, 77 anni, che basa i suoi pronostici su un sistema di tredici domande vero/falso elaborato nel 1981 insieme allo scienziato russo Vladimir Keilis-Borok, uno dei massimi esperti mondiali nella predizione di terremoti.
«Le 13 chiavi per la Casa Bianca hanno risposte oggettive: se almeno sei sono false si verifica un terremoto», spiega. «Contro il partito alla Casa Bianca, i democratici e la loro candidata Harris, quest’anno conto però soltanto quattro risposte false: hanno perso seggi alle elezioni di metà mandato; il presidente in carica non è in corsa; la candidata non ha il carisma di personaggi epocali come Franklin Roosevelt o Ronald Reagan; l’amministrazione ha subito fallimenti militari o in politica estera, visto che il Medio Oriente è un disastro, una catastrofe umanitaria, e l’America è profondamente coinvolta in quello che succede laggiù. Ne mancano due per poter assegnare la vittoria di Trump».
Nel modello del professor Lichtman, Harris è quasi irrilevante — anzi, costa un punto per quanto riguarda il carisma — ma il ritiro di Biden rischiava di trasformarsi in una catastrofe.
«Sono stato molto critico sull’operazione dei democratici, hanno demolito in modo aperto e brutale il loro presidente», afferma. «Studio la politica americana fin dal principio, e non avevo mai visto una cosa del genere. Pensavo che sarebbe stato un disastro, perché spingendolo al ritiro avrebbero perso sia la chiave del presidente in carica che quella delle primarie contese».
A differenza del 2016 — che considera tuttora la sua «chiamata più difficile» e gli causò molta ansia, oltre agli insulti — stavolta Lichtman non ha dubbi. «La sorpresa di ottobre è uno dei grandi miti dell’analisi politica americana», sostiene. «Io ho sempre fatto il mio pronostico prima e non l’ho mai cambiato basandomi sugli eventi della campagna elettorale: non ho mai sbagliato, nemmeno nel 2016 quando uscirono gli audio in cui Trump si vantava di assaltare sessualmente le donne e tutti lo davano per spacciato».
(da Corriere della Sera)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX HACKER ORA EVOCA COMPLOTTI, IN PURO STILE MELONIANO: “ABBIAMO TOCCATO DEI BUSINESS. CI SI SCOTTA”… CON CHI HA AVUTO CONTATTI STROPPA? . LA SUA RETE COMPRENDE I MINISTERI DEGLI ESTERI, DELLA DIFESA, DELL’INTERNO E DEL MADE IN ITALY
Un’adolescenza da hacker di Anonymous, con condanna e successivo perdono del Tribunale dei minori. Una carriera da autodidatta, senza laurea, nella sicurezza informatica. I rapporti con la politica, fin da quando fece da consulente a Matteo Renzi. E poi l’ingresso nel cerchio magico di Elon Musk, l’imprenditore più visionario e potente del mondo. A soli trent’anni il romano Andrea Stroppa è già stato tutto questo.
Ora recita “tecnico” di SpaceX, l’azienda dei razzi e dei satelliti di Musk, ma dovrebbe raccontare di più: uno dei pochissimi che Elon – come lo chiama lui – rilancia su X; uno che vuole accanto quando arriva in Europa per lavoro o vacanza, come l’estate scorsa in Francia; il suo uomo in Italia, quello che negli ultimi mesi – «da amico» dice lui, o da lobbista – ha organizzato i ripetuti e calorosi incontri con Meloni.
«Se ho corrotto qualcuno voglio essere condannato e andare in carcere con il massimo della pena», replica Stroppa alla notizia dell’indagine. Puro stile Musk: sicurezza che sconfina in sfida all’autorità. «Non posso parlarne. Abbiamo toccato dei business. Ci si scotta», scrive via messaggio, aggiungendo l’emoticon che piange dalle risate. Stile Musk è anche l’appello ai follower su X a far sentire la voce contro chi, «anche nei palazzi, prova a fermarci». Chi? Promette che lo racconterà in un libro, e qui l’emoticon si lecca i baffi. Aggiunge, da appassionato di storia romana, l’immagine di un soldato a spada sguainata.
I “palazzi” da cui ora si dice attaccato, in realtà, li frequenta fin da giovanissimo. Fu l’imprenditore della cybersicurezza Marco Carrai, che lo aveva reclutato per una delle sue aziende, a introdurlo a Renzi. E per l’ex premier produsse un lavoro sulla disinformazione che inchiodava una rete di profili legati a 5Stelle e Lega.
Il primo contatto con Musk è stato invece su X, dopo che Stroppa aveva realizzato uno studio sugli utenti falsi della piattaforma. Il legame si è consolidato a colpi di tweet, è diventato rapporto di lavoro e amicizia. Quasi totale sintonia sul fatto che la libertà di parola in Occidente sia sotto attacco, o che l’immigrazione illegale ne metta in pericolo il futuro.
Mentre Musk si schierava con Trump, Stroppa si avvicinava al sovranismo di governo. Dove c’è Musk, c’è Stroppa, quando il tycoon incontra Meloni non manca mai. C’era nel primo incontro a Palazzo Chigi, giugno 2023. Sedeva con loro nel retropalco di Atreju. Ed è stato presenza costante nell’ultima missione della premier negli Stati Uniti. Stroppa, riferiscono fonti di governo, incrocia Meloni in una stanza riservata dell’hotel Peninsula. Ed è seduto a un tavolo dell’Atlantic Council, la sera in cui Musk le consegna il premio del think tank. Di più: quando Meloni e il miliardario si appartano nel backstage lui — ancora — è lì.
È il ponte tra Palazzo Chigi e il fondatore di Tesla. L’uomo utile a incrociare le agende. Capace se necessario — ricostruiscono adesso — di consultare la premier con un sms o una chiamata, autorizzato ad ascoltare gli scambi su alcuni dossier delicati: dati, satelliti, investimenti. Ecco perché la notizia dell’indagine non passa inosservata, ai vertici del governo. Dove non tutti tifavano per questa relazione privilegiata con il tycoon.
Resistenze, riferiscono, erano state riscontrate da parte di un paio di ministri, ma anche di alcuni tra i massimi dirigenti del gabinetto. «Parlerò con calma con l’avvocato, ora devo lavorare e non perdere il focus», è l’ultimo messaggio di Stroppa prima del silenzio.
I palazzi. I poteri forti. Meloni tirata in ballo come vittima predestinata di un complotto. Trame evocate, ma senza nessun nome. Sembra il calco di uno dei tanti discorsi della premier in questi primi due anni di governo, sempre prontamente rilanciati nelle batterie delle dichiarazioni dei parlamentari di FdI, nei quali Meloni ha adombrato cospirazioni e intrighi ai suoi danni, senza mai portare una prova.
Meloni è in Senato quando la notizia dell’inchiesta Sogei diventa pubblica. Le girano i primi articoli. A Palazzo Chigi scatta l’allarme per verificare ingressi e contatti con Stroppa, l’uomo che sta trattando l’accordo con il governo per integrare il sistema satellitare di Musk, Starlink, alla rete della banda ultralarga.
Stroppa è a Palazzo Chigi con il guru sudafricano quando Mister Tesla incontra la premier. È con lui quando viene accolto tra gli applausi come ospite d’onore ad Atreju, la festa annuale di FdI. È con lui alla serata di gala del 23 settembre all’American Council di New York, mentre l’uomo più ricco del mondo siede al tavolo con Meloni dopo averle consegnato il Global Citizenship Award.
Quando c’è Musk, c’è Stroppa, colpito come per osmosi dall’infatuazione politica del miliardario per Meloni e per Donald Trump. A Palazzo Chigi si minimizza l’imbarazzo ma non si negano le verifiche. La rete di Stroppa si allarga ai ministeri Esteri, Difesa, Interno, Imprese e Made in Italy.
La premier chiede che sia il sottosegretario con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano, a occuparsene. Anche perché dalle carte spunta un documento della Farnesina – definito «segreto» dai pm – che un indagato, l’ufficiale della Marina Militare Antonio Masala, ha passato a Stroppa.
Il ministero guidato da Antonio Tajani conferma, con una precisazione, però: non si tratta di un documento riservato ma a uso interno. Ed è un elenco di ambasciate e consolati da collegare a Starlink per «migliorare il livello delle comunicazioni di installazioni della presidenza del Consiglio, degli Esteri, della Difesa in aree problematiche, soprattutto nel Mediterraneo».
È solo una piccola parte del grande affare che Stroppa esalta quasi quotidianamente su X, e di cui si fa vanto con gli indagati, interessati a entrarci con la società Olidata. Un accordo pubblico-privato che il governo sovranista di Meloni sta accarezzando per colmare i ritardi nei progetti del Pnrr sulla rete ultraveloce, che valgono 6 miliardi di euro. Lo conferma il sottosegretario all’Innovazione tecnologica Alessio Butti che ha ammesso una prima sperimentazione per portare il servizio “space-based” in aree remote, difficilmente raggiungibili dalle infrastrutture terrestri.
Le resistenze di Telecom e Open Fiber, gli operatori che gestiscono la rete e che temono l’avanzata di Musk, sembrano ormai superate dalla volontà politica dell’esecutivo. Meloni è decisa ad andare avanti, nonostante i rischi evidenziati dal Pd con un’interrogazione alla premier e al ministro del Made in Italy Adolfo Urso, e con le dichiarazioni rilasciate da Lorenzo Guerini. L’ex ministro della Difesa e presidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui Servizi, a fine settembre, durante gli Stati generali sullo Spazio, ha invitato il governo a riflettere su cosa comporti per la sicurezza dell’Italia affidare a un privato, proprietario di satelliti a bassa quota, i dati dei cittadini.
(da La Repubblica/La Stampa)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
LE BANCHE, COMPRESA LA MEDIOLANUM DELLA FAMIGLIA BERLUSCONI, NON PAGHERANNO TECNICAMENTE PIÙ TASSE, MA DOVRANNO RINUNCIARE (TEMPORANEAMENTE) A 3,5 MILIARDI DI DEDUZIONI
Quando – sono già le ventuno – a Palazzo Chigi inizia il Consiglio dei ministri, dei dettagli della legge di Bilancio si sa ancora molto poco. A quell’ora sia Antonio Tajani che Matteo Salvini avevano però espresso entrambi soddisfazione sull’esito della trattativa con le banche.
Le banche non pagheranno tecnicamente più tasse, bensì dovranno rinunciare temporaneamente a 3,5 miliardi di crediti d’imposta.
«Si tratta solo di liquidità», minimizza un banchiere che chiede di non essere citato. La Lega avrebbe voluto ben altro, ovvero un aumento di Ires e Irap a loro carico. E però anche Forza Italia non è soddisfattissima: se avesse potuto, avrebbe evitato un sacrificio agli interessi di Mediolanum e della famiglia Berlusconi.
L’accelerazione mediatica di ieri e l’annuncio del via libera del governo serviva a far prevalere la sintesi di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, per giorni impegnati nella parte del poliziotto buono e cattivo. Il sistema finanziario darà un contributo alla causa, anche grazie alla mediazione del numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina.
Il contributo del settore bancario alla manovra finanziaria avrà un impatto di circa 3,5 miliardi su due annualità, il 2025 e il 2026, con un impatto in media attorno a 1,75 miliardi per ogni anno.
Il contributo delle banche che, va ricordato, si configura come un anticipo di cassa e quindi dovrà essere recuperato, prevede il rinvio delle deduzioni su svalutazioni di crediti, avviamernti e svalutazioni legate all’introduzione dei principi Ifrs9.
Rinvio che sarà fatto per due annualità: il 2025 e il 2026. I valori delle quote di deduzioni annue non sono semplicissimi da calcolare, soprattutto perché il ministero dell’economia e le banche usano modelli differenti.
È per questo motivo che per giorni i numeri avanzati dalle due parti non coincidevano: ieri si è arrivati a un intervallo di valore complessivo per le due annualità fra 3 e 3,35 miliardi. La restante quota per arrivare ai 3,5 miliardi sarebbe colmata con il rinvio delle deduzioni legate alle stock options.
In ogni caso i numeri individuati dal ministero ai fini della definizione della manovra andranno al vaglio del comitato esecutivo dell’Associazione bancaria che si riunirà oggi sotto la presidenza di Antonio Patuelli.
Il contributo trattenuto con il rinvio delle deduzioni verrà recuperato gradualmente dalle banche nell’arco del triennio successivo alle due annualità, dunque tra il 2027 e il 2029. Va detto che se anche oggi il ministero per l’Economia fisserà un valore finale per le entrate derivanti dal contributo delle banche, i numeri potrebbero cambiare al momento della monetizzazione di quelle somme.
Questo potrebbe accadere perché le quote annuali derivanti dal rinvio delle deduzioni sulle tre diverse voci delle Dta sono calcolate utilizzando i dati relativi a fine 2022, perché quelli relativi al 2023 e al 2024 oggi ancora non sono disponibili.
(da il Sole24ore)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
3,5 MILIARDI DALL’ANTICIPO DELLE TASSE DEL PROSSIMO ANNO DELLE BANCHE (CHE SI RIFARANNO SUI CORRENTISTI),. 9 MILIARDI DI COPERTURE IN DEFICIT (COSI’ AUMENTERA’ ANCORA), TAGLI AI MINISTERI (CHE LI RENDERANNO ANCOR MENO EFFICIENTI)
Il Consiglio dei ministri ha approvato la legge di Bilancio, la terza del governo di centrodestra. Anche quest’anno, prima di votare, i ministri si sono limitati ad ascoltare la relazione del collega dell’Economia Giancarlo Giorgetti perché l’articolato vero e proprio della manovra ancora non c’è.
Palazzo Chigi e il Tesoro contano di trasmettere la legge di bilancio al Parlamento entro il 20 ottobre, l’anno scorso però ci vollero un paio di settimane per vederla pubblicata in Gazzetta ufficiale.
La manovra «lorda», fa sapere il Mef, sale a 30 miliardi nel 2025.
Il grosso delle coperture è garantito in deficit, ben 9 miliardi, per il resto l’impianto regge grazie a maggiori entrate e tagli.
Il lungo tira e molla con le banche e le assicurazioni permetterà alle casse dello Stato di beneficiare di una maggiore liquidità di 3,5 miliardi. C’è una stretta sui compensi dei manager di enti pubblici, fondazioni, società non quotate: non potranno guadagnare più del presidente del Consiglio, circa 80 mila euro netti l’anno.
Capitolo tagli. L’obiettivo è raccogliere 3 miliardi di euro dai dicasteri. Il Mef traccia un taglio lineare del 5%, ma sarà compito dei singoli ministri centrare il target. La sforbiciata verrà gestita in autonomia.
Cambiano le detrazioni. In vista di una successiva razionalizzazione delle tax expenditures, la strategia individuata è quella di introdurre un importo massimo da detrarre, che dovrebbe essere a sua volta modulato in base al nucleo familiare. Arriva la “Carta per i nuovi nati” che riconosce mille euro ai genitori entro la soglia Isee di 40 mila euro.
Resta la conferma del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35 mila euro lordi, in media 100 euro netti al mese. Tuttavia la norma potrebbe essere disegnata in modo diverso, un tecnicismo difficile da tradurre in assenza di una misura scritta.
Sparita la promessa di abbassare le tasse al ceto medio: difficile il calo dal 35 al 33% per lo scaglione dei redditi tra 28 e 50 mila euro. La nota del Tesoro non ne parla, così come non cita l’eventuale proroga per un altro anno del bonus sulle ristrutturazioni edilizie al 50% che però è confermato.
È completamente sparita dai radar l’estensione della flat tax da 85 mila a 100 mila euro di reddito, la Lega ha smesso di chiederla.
Fratelli d’Italia celebra il piglio decisionista della premier Giorgia Meloni, regista dell’intesa sulla legge di bilancio tra le varie anime del centrodestra. Brutale. La descrivono così, nella notte della manovra. Giorgia Meloni arriva in Consiglio dei ministri e chiude la partita della legge di bilancio senza fair play. «Signori – dice ai ministri, riuniti con il buio – questo è il massimo punto d’intesa possibile». Come a dire: giochi chiusi. Sa di deludere Antonio Tajani. E ancora peggio va a Matteo Salvini.
I due vicepremier entrano a Palazzo Chigi senza sapere che fine faranno le loro misure-bandiera. Quando Giancarlo Giorgetti inizia la lunga illustrazione delle misure, l’attesa si trasforma in stupore. Sguardi smarriti. Non c’è l’estensione della flat tax, rivendicata dal leghista. E neppure il taglio dell’Irpef per il ceto medio (si farà solo se lo permetterà il concordato) e l’aumento delle pensioni minime, che gli azzurri hanno spinto fino a poche ore prima a colpi di dichiarazioni.
Fa di più, la premier, per la “sua” Finanziaria. Personalizza la misura simbolo dei sacrifici: un tetto agli stipendi dei manager alla guida di enti e associazioni che beneficiano dei contributi statali. Non potranno guadagnare più di lei. Poi passa all’etichetta della manovra: famiglia e figli (in questo andando incontro alle richieste di Tajani).
E quindi riversa sul tavolo il ritorno del bonus bebé. Cambia il nome — Carta per i nuovi nati — ma non la sostanza. Ci sono soprattutto i mille euro da esibire, in salsa populista. Poco o nulla agli alleati. Neppure in Parlamento. Il lucchetto è pronto: il fondo per le modifiche, che l’anno scorso poteva contare su 400 milioni, viene azzerato.
Dai ministeri si pretendono sacrifici, con un taglio lineare. È la strategia scelta nelle ultime quarantott’ore, l’epilogo di un blitz che ha portato ad accelerare. «Chiudiamo in fretta, capiranno — confida al cerchio magico di Palazzo Chigi — E se non capiscono, va bene lo stesso».
È più stanca del solito. Provata. Sostiene che provino a sgambettarla, spiarla, colpirla. Non ha voglia di perdere troppo tempo con lo scontro di maggioranza sulla manovra, di conseguenza.
Ringhia in aula contro le banche e «la sinistra che ha avuto poco coraggio». Ma il messaggio rivolto ai banchi delle opposizioni parla anche ai suoi: «Vedremo con la legge di bilancio». Vedrete, da lì a un paio d’ore. Lei e nessun altro è titolata a chiudere la partita delle coperture. Si fa aggiornare costantemente dal ministro dell’Economia che intanto tratta con le banche. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, prova a resistere. Implora progressività, quindi un sacrificio poco doloroso e diluito nei prossimi anni. Manda il direttore generale Marco Rottigni al tavolo. A dire che le banche sono disposte a un contributo volontario. E a porre il quesito che prova a frenare l’arrembaggio della premier: non è meglio spalmare il “contributo” su più anni? Giorgetti stringe da tutt’altra parte: tutto e subito. Tajani prova a mediare, almeno potrà dire: non è una tassa. Ma la cifra è consistente: 3,5 miliardi. Il conto lo pagano anche le assicurazioni.
(da La Repubblica)
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Ottobre 16th, 2024 Riccardo Fucile
“TIPO IERI, QUANDO IN SENATO HA CHIESTO ALLE OPPOSIZIONI DI VOTARE PER FITTO COMMISSARIO EUROPEO, COME LEI CREDE DI AVER FATTO NEL 2019 CON GENTILONI, PECCATO CHE ABBIA VOTATO CONTRO”
Non so come gli studiosi della psiche umana chiamino lo strano fenomeno che attanaglia Giorgia Meloni. Non il vittimismo aggressivo, né la mania di persecuzione, né la sindrome di accerchiamento, né la “proiezione” che la porta a imputare alle opposizioni parole e toni troppo forti contro di lei, che in piena pandemia diede leggiadramente a Conte del “criminale”. Parliamo dell’inclinazione ad attribuire a se stessa cose mai fatte.
Tipo ieri, quando in Senato ha chiesto alle opposizioni di votare per Fitto commissario europeo, come lei crede di aver fatto nel 2019 con Gentiloni: “Mi auguro che tutte le forze politiche italiane si facciano parte attiva presso le proprie famiglie politiche europee affinché questo risultato per la nostra Nazione sia raggiunto rapidamente senza inciampi. Ci sono momenti in cui l’interesse nazionale deve prevalere su quello di parte. È quello che noi abbiamo fatto nella scorsa legislatura sulla nomina di Gentiloni, quando proprio Fitto – in rappresentanza di FdI – si espresse a favore del candidato italiano e conseguentemente il gruppo di Ecr votò in suo favore”.
Non si sa dove si sia sognata la circostanza, che negli atti non trova riscontri, ma solo smentite.
A meno che non si riferisca al suo post del 9 settembre 2019, prodigo di elogi per Gentiloni: “Un politico che gli italiani hanno bocciato, hanno mandato a casa e che il M5S ha fatto rientrare dalla finestra grazie al patto della poltrona con il Pd. Gentiloni è l’uomo perfetto per non cambiare nulla in Europa, difendere gli interessi della finanza speculativa e rafforzare l’egemonia franco-tedesca”.
E chiamò addirittura la gente in piazza. Cinque giorni prima anche Fitto, che allora sedeva proprio nel Parlamento europeo, aveva espresso tutta la sua fiducia e la sua stima al commissario italiano: la sua nomina – dichiarò magnanimo – costituiva un autentico “sovvertimento di ogni legittimità democratica. Chi perde governa, nomina ministri e commissari europei sonoramente bocciati dai cittadini”.
Un viatico beneaugurante che non poté non agevolare l’iter di nomina di Gentiloni, dimostrando la granitica e patriottica compattezza dei rappresentanti della Nazione italica, a prescindere dalle appartenenze. Patriottismo che emerse in tutto il suo fulgore anche al momento del voto del Parlamento europeo sulla nuova Commissione: il gruppo conservatore Ecr – il cui coordinatore, il belga Johan van Overtveldt, aveva votato in commissione pro Gentiloni – si spaccò: una parte disse Sì alla squadra di Ursula e un’altra No. E a dire No furono proprio i conservatori italiani di FdI. Casomai gli specialisti non avessero ancora dato un nome a questo strano fenomeno, ne avremmo da suggerire uno: paraculaggine.
Marco Travaglio
per il “Fatto quotidiano”
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