LEGGE DI BILANCIO, FINE DELLE PROMESSE: “SIGNORI, QUESTO È IL MASSIMO PUNTO D’INTESA POSSIBILE”. SALVINI E TAJANI VEDONO SPARIRE LE LORO MISURE-BANDIERA: NON C’È L’ESTENSIONE DELLA FLAT TAX, RIVENDICATA DAL LEGHISTA. NEPPURE IL TAGLIO DELL’IRPEF PER IL CETO MEDIO E L’AUMENTO DELLE PENSIONI MINIME CHIESTI DA FI
3,5 MILIARDI DALL’ANTICIPO DELLE TASSE DEL PROSSIMO ANNO DELLE BANCHE (CHE SI RIFARANNO SUI CORRENTISTI),. 9 MILIARDI DI COPERTURE IN DEFICIT (COSI’ AUMENTERA’ ANCORA), TAGLI AI MINISTERI (CHE LI RENDERANNO ANCOR MENO EFFICIENTI)
Il Consiglio dei ministri ha approvato la legge di Bilancio, la terza del governo di centrodestra. Anche quest’anno, prima di votare, i ministri si sono limitati ad ascoltare la relazione del collega dell’Economia Giancarlo Giorgetti perché l’articolato vero e proprio della manovra ancora non c’è.
Palazzo Chigi e il Tesoro contano di trasmettere la legge di bilancio al Parlamento entro il 20 ottobre, l’anno scorso però ci vollero un paio di settimane per vederla pubblicata in Gazzetta ufficiale.
La manovra «lorda», fa sapere il Mef, sale a 30 miliardi nel 2025.
Il grosso delle coperture è garantito in deficit, ben 9 miliardi, per il resto l’impianto regge grazie a maggiori entrate e tagli.
Il lungo tira e molla con le banche e le assicurazioni permetterà alle casse dello Stato di beneficiare di una maggiore liquidità di 3,5 miliardi. C’è una stretta sui compensi dei manager di enti pubblici, fondazioni, società non quotate: non potranno guadagnare più del presidente del Consiglio, circa 80 mila euro netti l’anno.
Capitolo tagli. L’obiettivo è raccogliere 3 miliardi di euro dai dicasteri. Il Mef traccia un taglio lineare del 5%, ma sarà compito dei singoli ministri centrare il target. La sforbiciata verrà gestita in autonomia.
Cambiano le detrazioni. In vista di una successiva razionalizzazione delle tax expenditures, la strategia individuata è quella di introdurre un importo massimo da detrarre, che dovrebbe essere a sua volta modulato in base al nucleo familiare. Arriva la “Carta per i nuovi nati” che riconosce mille euro ai genitori entro la soglia Isee di 40 mila euro.
Resta la conferma del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35 mila euro lordi, in media 100 euro netti al mese. Tuttavia la norma potrebbe essere disegnata in modo diverso, un tecnicismo difficile da tradurre in assenza di una misura scritta.
Sparita la promessa di abbassare le tasse al ceto medio: difficile il calo dal 35 al 33% per lo scaglione dei redditi tra 28 e 50 mila euro. La nota del Tesoro non ne parla, così come non cita l’eventuale proroga per un altro anno del bonus sulle ristrutturazioni edilizie al 50% che però è confermato.
È completamente sparita dai radar l’estensione della flat tax da 85 mila a 100 mila euro di reddito, la Lega ha smesso di chiederla.
Fratelli d’Italia celebra il piglio decisionista della premier Giorgia Meloni, regista dell’intesa sulla legge di bilancio tra le varie anime del centrodestra. Brutale. La descrivono così, nella notte della manovra. Giorgia Meloni arriva in Consiglio dei ministri e chiude la partita della legge di bilancio senza fair play. «Signori – dice ai ministri, riuniti con il buio – questo è il massimo punto d’intesa possibile». Come a dire: giochi chiusi. Sa di deludere Antonio Tajani. E ancora peggio va a Matteo Salvini.
I due vicepremier entrano a Palazzo Chigi senza sapere che fine faranno le loro misure-bandiera. Quando Giancarlo Giorgetti inizia la lunga illustrazione delle misure, l’attesa si trasforma in stupore. Sguardi smarriti. Non c’è l’estensione della flat tax, rivendicata dal leghista. E neppure il taglio dell’Irpef per il ceto medio (si farà solo se lo permetterà il concordato) e l’aumento delle pensioni minime, che gli azzurri hanno spinto fino a poche ore prima a colpi di dichiarazioni.
Fa di più, la premier, per la “sua” Finanziaria. Personalizza la misura simbolo dei sacrifici: un tetto agli stipendi dei manager alla guida di enti e associazioni che beneficiano dei contributi statali. Non potranno guadagnare più di lei. Poi passa all’etichetta della manovra: famiglia e figli (in questo andando incontro alle richieste di Tajani).
E quindi riversa sul tavolo il ritorno del bonus bebé. Cambia il nome — Carta per i nuovi nati — ma non la sostanza. Ci sono soprattutto i mille euro da esibire, in salsa populista. Poco o nulla agli alleati. Neppure in Parlamento. Il lucchetto è pronto: il fondo per le modifiche, che l’anno scorso poteva contare su 400 milioni, viene azzerato.
Dai ministeri si pretendono sacrifici, con un taglio lineare. È la strategia scelta nelle ultime quarantott’ore, l’epilogo di un blitz che ha portato ad accelerare. «Chiudiamo in fretta, capiranno — confida al cerchio magico di Palazzo Chigi — E se non capiscono, va bene lo stesso».
È più stanca del solito. Provata. Sostiene che provino a sgambettarla, spiarla, colpirla. Non ha voglia di perdere troppo tempo con lo scontro di maggioranza sulla manovra, di conseguenza.
Ringhia in aula contro le banche e «la sinistra che ha avuto poco coraggio». Ma il messaggio rivolto ai banchi delle opposizioni parla anche ai suoi: «Vedremo con la legge di bilancio». Vedrete, da lì a un paio d’ore. Lei e nessun altro è titolata a chiudere la partita delle coperture. Si fa aggiornare costantemente dal ministro dell’Economia che intanto tratta con le banche. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, prova a resistere. Implora progressività, quindi un sacrificio poco doloroso e diluito nei prossimi anni. Manda il direttore generale Marco Rottigni al tavolo. A dire che le banche sono disposte a un contributo volontario. E a porre il quesito che prova a frenare l’arrembaggio della premier: non è meglio spalmare il “contributo” su più anni? Giorgetti stringe da tutt’altra parte: tutto e subito. Tajani prova a mediare, almeno potrà dire: non è una tassa. Ma la cifra è consistente: 3,5 miliardi. Il conto lo pagano anche le assicurazioni.
(da La Repubblica)
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