Destra di Popolo.net

MENTRE GIORGIA MELONI ALLA CAMERA DECLAMAVA LA “COMPATTEZZA” DEL GOVERNO, I BANCHI DEL CARROCCIO ERANO DESERTI. UN MESSAGGIO ALLA DUCETTA DOPO GLI SCAZZI SULLA MANOVRA

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

MA LA GIUSTIFICAZIONE IMPROBABILE SUL RITARDO DEI TRENI CHE AVREBBE IMPEDITO LA PRESENZA DI ALCUNI DEPUTATI (CON LA SMENTITA DI FERROVIE) È SEMBRATA UNA FRECCIATA AL SEGRETARIO SALVINI, MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE…. IL CAPITONE FURIOSO PER L’USCITA DI STEFANO CANDIANI: “AI MIEI COLLEGHI NON IMPORTA UN CAZZO”

Un’Aula semideserta, una battuta infelice, il tentativo goffo di dare una spiegazione (treni in ritardo) che si rivela controproducente, un gruppo parlamentare di maggioranza (quello di Fratelli d’Italia) diligente e zelante che non fa mancare un solo componente.
E così finisce che più che dalla relazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo larga parte della giornata politica sia occupata da quel «pasticciaccio di Montecitorio». Cioè, il thriller sulle ampie e vistose assenze della Lega sui banchi del centrodestra nell’esatto istante in cui la leader della coalizione ne vantava la straordinaria compattezza e stabilità
Sciatteria o manovra politica, scarso rispetto dei doveri di un parlamentare o fronda per «punire» qualche sgarbo patito nella stesura della manovra di Bilancio? Parrebbe più la prima, se si prende per buona la dichiarazione del deputato leghista Stefano Candiani che, pur essendo abituato a scherzare, stavolta se ne esce con un «ai miei colleghi non importa un c…» che desta un certo sconcerto (e una solenne arrabbiatura postuma di Matteo Salvini).
E a rinforzo, visto che negli scranni della Lega sono presenti in 3 su 65, qualcun altro pensa di cavarsela chiamando in causa un presunto ritardo dei treni. Un boomerang perfetto. Un parlar di corda in casa dell’impiccato (il ministro dei Trasporti chi è?) che spinge Trenitalia a far sapere precipitosamente che i convogli hanno viaggiato tutti in perfetto orario.
È lì che, toccato il fondo delle spiegazioni improbabili, scatta la controffensiva per tentare di scongiurare le letture maliziose e gli attacchi, già pesanti, delle opposizioni. La Lega diffonde una nota per chiarire che voterà compatta la risoluzione del centrodestra (cosa poi avvenuta) e tiene a sottolineare che ciò che conta, più che quelli presenti durante gli interventi, sono i deputati che pigiano il tasto in sede di votazione.
Sarà, ma sotto traccia in casa leghista e forzista circola anche una certa insofferenza per l’obbediente diligenza dei colleghi di FdI che, invece, sono presenti a ranghi compatti. «Sembrano pinguini ammaestrati» distilla velenosamente un deputato nordista che non vuole fare la brutta figura di quello arrivato fuori tempo massimo.
Meloni, capita l’aria, cerca di sdrammatizzare, spiegando di essere arrivata in ritardo pur usando l’auto (e non i treni) in una città non guidata da un sindaco leghista. E Salvini, di rinforzo, dal suo ministero dove sta attendendo ad altri impegni, fa sapere che si sta montando una «polemica inesistente».
Ma a più di qualcuno resta il sospetto che la superficialità, l’aver fissato in agenda l’orario del voto e non quello del discorso della premier, non spieghi tutto. Tra i banchi (non solo quelli leghisti) e i corridoi di Montecitorio c’è chi fa filtrare un sentimento misto di insofferenza-irritazione per «quel piglio decisionista della premier che ci fa apparire come scolaretti». E allora, come a scuola, può essere utile un’assenza strategica.
(da agenzie)

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“GIORGIA, SCENDI DAL RING”: ELLY SCHLEIN DEMOLISCE IL “FAVOLOSO MONDO DI AMELONI” E ATTACCA SUL FLOP DEI LAGER PER MIGRANTI IN ALBANIA: “AVETE BUTTATO 800 MILIONI DI EURO, I SOLDI SI POTEVANO USARE PER PAGARE PER 5 ANNI SEIMILA INFERMIERI O INSEGNANTI”

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

LA SEGRETARIA DEM RIAVVICINA CONTE DOPO GLI ULTIMI ATTRITI, CONTE SA BENE CHE, SENZA UN ACCORDO COL PD, IL M5S NON VA DA NESSUNA PARTE

Prima un nuovo duello con Giorgia Meloni nell’Aula della Camera, poi il colloquio con Giuseppe Conte al Quirinale, a margine dello scambio degli auguri natalizi con il presidente della Repubblica.
Elly Schlein non devia dalla sua linea: critiche senza sconti alla premier e al governo e mano sempre tesa anche verso l’alleato più irrequieto. Con il presidente del Movimento 5 stelle si ferma a chiacchierare per pochi minuti, presente anche il capogruppo M5s al Senato Stefano Patuanelli.
Si confrontano sullo scontro appena consumatosi con Meloni in Parlamento («La premier ha un profilo istituzionale solo quando legge», concordano) e sui tempi della legge di bilancio.
Ma, soprattutto, tornano a parlarsi dopo le frizioni delle ultime settimane, quando dal Movimento e dallo stesso Conte sono ricominciati a piovere giudizi taglienti sul posizionamento europeo del Pd e sulla genuinità della sua azione progressista. Schlein ha incassato senza reazioni scomposte e, anche di persona al Quirinale, mostra di voler sopire le tensioni.
Postura ben diversa da quella che adotta a Montecitorio, intervenendo sulle comunicazioni di Meloni in viste del Consiglio europeo.
Durante la replica della premier, la segretaria dem reagisce con smorfie piuttosto eloquenti alle accuse scagliate contro il suo partito, in particolare quando la presidente del Consiglio, rivolta verso i banchi del Pd, ha consigliato agli avversari «un corso di riti voodoo, perché le vostre macumbe non stanno funzionando. ..».
Quando arriva il suo turno, Schlein invita Meloni a «scendere dal ring», a smettere di attaccare sempre le opposizioni. Poi, però, sul ring ci sale lei e risponde colpo su colpo alla premier.
Riparte dal «favoloso mondo di Ameloni», come già da qualche giorno ha iniziato a definire, anche con post ironici sui social, il racconto del Paese (in cui «va tutto bene») fatto dalla leader di Fratelli d’Italia.
Ma «dall’altra parte c’è la realtà, quella fotografata dai numeri – avverte la leader dem –. E i numeri non funzionano, sono il clamoroso fallimento della sua propaganda».
L’esempio più immediato di questo fallimento sono i centri per i migranti realizzati in Albania: «Lei ha detto che funzioneranno. Grazie, ci ha messo un po’, ma ha ammesso che non funzionano», la stoccata della segretaria, che ha stampato e portato alla premier alcune foto scattate venerdì scorso, durante la sua trasferta albanese, quando ha visitati i centri deserti.
Magari le «porta a vedere ai suoi colleghi europei», la punge. Il punto è che quei centri «sono vuoti e lo rimarranno. Avete buttato 800 milioni di euro – ribadisce Schlein –. Mentre portavate otto migranti in Albania, a Lampedusa ne sono arrivati duemila».
Poi affonda la lama, ricordando gli agenti di polizia lasciati lì, «anche a Natale, a sorvegliare una prigione vuota», mentre i soldi si potevano usare «per 50 mila nuovi posti di asili nido, per pagare per 5 anni seimila infermieri o insegnanti, anziché tagliarli come avete fatto nella vostra manovra».
(da agenzie)

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È STATA MONICA CIABURRO, DEPUTATA DI FRATELLI D’ITALIA, A PRESENTARE L’EMENDAMENTO CHE EQUIPARAVA LO STIPENDIO DEI MINISTRI NON ELETTI A QUELLO DEI COLLEGHI CHE SONO ANCHE PARLAMENTARI

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

LEI NEGA CHE CI SIA STATA PRESSIONE DA PARTE DEI MEMBRI DEL GOVERNO: “SI ERA FATTO IL NOME DI CROSETTO? IN REALTÀ PENSAVO PIÙ AI SOTTOSEGRETARI CHE HANNO UNA PENALIZZAZIONE ANCORA PIÙ PESANTE DOVENDOSI SPOSTARE A LORO SPESE”

Monica Ciaburro non vuole essere ricordata come la parlamentare (FdI) che ha presentato l’emendamento che equipara lo stipendio dei ministri non parlamentari a quello dei loro colleghi eletti.
Perché?
«Ho anche presentato un altro emendamento cui tengo tanto e che riguarda il dissesto dei piccoli Comuni» si difende la vicepresidente della commissione Difesa, secondo fonti qualificate del palazzo la parlamentare a cui è stato affidato il dossier sull’aumento di stipendio dei ministri.
Racconta che «l’idea è nata nella scorsa legislatura parlandone con Roberto Cingolani». Giura che non c’è stata alcuna spinta da parte dei membri del governo. Neanche di Giorgia Meloni. «Secondo voi il presidente del Consiglio dei ministri si occupa dei miei emendamenti?».
E Crosetto?
«Il ministro non ha bisogno di un mio emendamento».
La domanda, allora, rimane: perché l’ha presentato?
«Sono anni che esiste questa disparità. In realtà pensavo più ai sottosegretari che hanno una penalizzazione ancora più pesante dovendosi spostare a loro spese».
E lo ripresenterebbe?
«Se dovessi agire secondo ciò che è giusto, sinceramente, sì».
(da Corriere della Sera)

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AGLI ODIATORI SERIALI CHE ACCUSANO OTTAVIA DI AVER FATTO SPENDERE PER I SOCCORSI I “SOLDI DEI CITTADINI”: PAGA L’ASSICURAZIONE, INFORMATEVI PRIMA DI SPARARE CAZZATE

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

PS. SONO GLI STESSI CHE TACCIONO SUI SOLDI SPUTTANATI DAL GOVERNO IN ALBANIA E PER IL PONTE SULLO STRETTO

«Inostri soci hanno un’assicurazione che copre i costi di soccorso in caso diinfortunio». In molti negli ultimi giorni si sono chiesti sui social: chi paga l’intervento per il recupero di Ottavia Piana? «Non i cittadini» conferma a La Stampa il presidente della Società Speleologica Italiana Sergio Orsini.
La ragazza è stata salvata questa mattina (18 dicembre) dopo essere rimasta intrappolata per 80 ore sottoterra nell’Abisso Bueno di Fonteno nel Bergamasco.
Più di 150 tecnici del Soccorso Alpino hanno lavorato in questi giorni con turni di 14-15 ore per portare la barella dal punto dove la speleologa era rimasta bloccata. La ragazza era caduta, ferendosi, durante l’esplorazione di un tratto ancora sconosciuto della grotta.
Le assicurazioni per gli speleologi
Passata la paura è scattata la polemica. In poco tempo si sono sollevate domande sui costi delle operazioni di recupero. Ma subito Orsini ha fatto chiarezza: «Abbiamo un accordo con Axa – specifica –. Gli speleologi sono coperti sia per l’autosoccorso sia per l’utilizzo delle strutture del Corpo nazionale di soccorso alpino (come nel caso di Ottavia ndr.). In parole povere: sono assicurati da quando escono dalla macchina per andare verso la grotta fino a quando ripartono per tornare a casa».
(da La Stampa)

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L’INFERMIERA CHE HA SOCCORSO OTTAVIA PIANA: “SPERIAMO CHE TORNI PRESTO NELLE GROTTE”

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

”NON SI E’ MAI LAMENTATA, ANCHE DURANTE GLI SCOSSONI, SPRONAVA I SOCCORRITORI A NON PERDERE TEMPO IN ALTRO”

La speleologa Ottavia Piana non vedeva l’ora di uscire dalla grotta Abisso Bueno Fonteno (Bergamo), dove si trovava bloccata da sabato scorso quando è caduta durante una spedizione con altri sette colleghi. La 32enne, esperta nel settore, era la seconda volta che era stata soccorsa tra quelle vie strette e buie. A differenza del luglio 2023 questa volta però l’infortunio si era verificato dopo aver scoperto due chilometri di grotta fino ad allora inesplorata.
Come sta Ottavia Piana dopo l’uscita dalla grotta
Ottavia Piana alle 2.59 di oggi mercoledì 18 dicembre è uscita finalmente dalla grotta: sta bene ed è stata subito trasferita in elicottero in ospedale a Bergamo. “La paziente è sveglia e orientata, con fratture multiple. Attualmente rimane ricoverata ed è sottoposta ad accertamenti”, fanno sapere a Fanpage.it dall’ospedale.
Tanti i soccorritori che in questi giorni si sono dati il cambio per portare a termine l’operazione di successo: in tutto sono state coinvolte 130 persone. C’era sempre una squadra in grotta con 10-12 tecnici, un medico e infermiere, oltre che a tecnici per aprire e allargare il passaggio per la barella. Ottavia Piana non è mai stata sola neanche un minuto.
L’incontro con il fidanzato fuori dalla grotta
All’uscita la speleologa ha visto immediatamente il fidanzato: si sono detti qualcosa da sotto il casco e i soccorritori si sono spostati per lasciarli da soli.
L’infermiere 28enne Sara Trasciatti che è uscita con Ottavia a Fanpage.it ha detto che quel momento è stato emozionate. Poi ha aggiunto: “Avere più o meno la stessa età con Ottavia ha aiutato, perché c’era empatia. Di lei conoscevo le sue missioni speleologiche e sono stata contenta di averla aiutata. Tutti noi qui speriamo che torni presto nelle grotte”.
A commentare questi giorni di soccorso è stato anche l’assessore di Fonteno: “Noi di Fonteno siamo in 500 ma tutti hanno partecipato come atto doveroso perché se fosse successo a uno dei nostri ragazzi avremmo voluto così. È legge della montagna e non si lascia indietro nessuno”.
A spiegare nel dettaglio quanto accaduto in questi giorni è stato Corrado Camerini, responsabile del Soccorso Speleologico Lombardo: “L’intervento ci è stato comunicato alle 21 di sabato e già nei presupposti comportava criticità considerevoli per le condizioni della paziente ma anche perché si trovava in un ramo inesplorato privo delle normali correzioni tali da renderlo agevole e lungo circa 2 chilometri”.
Precisa poi cosa avrebbe detto Ottavia Piana ai soccorsi pochi minuti prima di uscire dalla grotta: “Mi hanno riportato che era lei stessa che spronava i soccorritori a uscire. Non vedeva l’ora. Li spronava a non perdere tempo in altro. Non si è mai lamentata anche durante gli scossoni. Fortunatamente l’ultimo tratto di grotta prima di uscire era impegnativo ma era stato fatto già altre volte. Quindi anche Ottavia sapeva i punti di ancoraggio, quindi è stato più veloce”.
E ancora: “All’uscita c’era il fidanzato. Gli abbiamo poi consigliato di andare all’ospedale di Bergamo, dove l’avrebbero trasportata in elicottero”. Infine conclude: “Non c’era mai capitato di soccorrere la stessa persona due volte nella stessa grotta”.
(da Fanpage)

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TRATTA IN SALVO LA SPELEOLOGA OTTAVIA PIANA, DOPO 80 ORE SOTTOTERRA NELL’ABISSO BUENO DI FONTENO

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

IL SALVATAGGIO NELLA NOTTE, POI IL RICOVERO IN OSPEDALE

Gli ultimi istanti di tensione, chiusi nel reparto operativo mobile del soccorso alpino, l’elicottero che sorvola il campo base, poi lo sportello che si apre e l’annuncio più atteso: «Si, ora lo possiamo dire: Ottavia è salva». Fuori dall’Abisso Bueno di Fonteno, dopo 80 ore sottoterra, alle 2,59 di mercoledì.
L’accelerata inaspettata all’ultimo chilometro. Otto ore senza mai fermarsi. Solo un piccolo momento di sconforto: «Ottavia non ce la faceva più, voleva uscire», racconta il medico Luca Pilo, arrivato nella Bergamasca dalla Sardegna: «Le ho detto di fidarsi di noi, che l’avremmo portata fuori». Ad aspettarla c’era il fidanzato, «un momento di gioia» mentre la famiglia – fino all’ultimo al campo base – era già diretta all’ospedale di Bergamo, dove la 32enne è stata ricoverata, dopo il trasporto con l’elisoccorso partito da Sondrio.
(da agenzie)

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TRAGEDIA AL PORTO DI GENOVA: MUORE OPERAIO DI 52 ANNI, FERITO UN COLLEGA

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

SCIOPERO IMMEDIATO DI 24 ORE, CITTA’ IN TILT… L’UOMO E’ MORTO SCHIACCIATO CONTRO UN CONTANIER

Una morte bianca nella notte buia del porto di Prà. Una tragedia che si consuma sui moli genovesi poco lontani dal bacino storico di Genova, nel terminal dove il colosso globale Psa carica e scaricata i container su navi grandi come muraglie galleggianti.Un incidente mortale in una normale notte di lavoro. Sono da poco passate le tre, sulle banchine soffia un vento freddo, cade qualche goccia, gli uomini della Compagnia Unica Merci Varie, i «camalli» della Culmv, sono al lavoro come sempre.Una ralla, un «trattore» usato nei porti per trasportare i container, fa inversione di marcia, prosegue in direzione opposta. Tutto sembra filare liscio, come al solito. Poi all’improvviso il trattore scivola sempre di più a sinistra e va a colpire un altro mezzo sulla banchina.Come un proiettile impazzito.Entrami stanno caricando i container. In quel momento la seconda ralla è ferma, immobile. Al volante un altro lavoratore della Culmv. Dietro il mezzo, un terzo «camallo» sta controllando che i sigilli sul container siano a posto.
È lui la vittima, ha 52 anni, si chiamava Giovanni Battista Macciò. Quando i soccorritori arrivano sulla banchina purtroppo non c’è più nulla da fare. Il conducente del mezzo colpito viene trasportato in ospedale, in «codice giallo», l’urto è stato violentissimo, ma la sua vita non è in pericolo. Sul luogo dell’incidente arrivano il magistrato di turno e la polizia. Il conducente della «ralla» impazzita è sotto choc, forse è anche per questo che rifiuta di sottoporsi ai test per capire se alcool o altre sostanze hanno alterato il suo stato. Al rifiuto viene portato dagli agenti nell’ospedale più vicino ed è qui che dovrà necessariamente sottoporsi ai test.I primi testimoni raccontano che il suo stato non sembrava alterato. Intanto gli inquirenti hanno già acquisito il filmato di sorveglianza, racconterebbe con estrema chiarezza la dinamica di un incidente al momento inspiegabile.
Una morte sul lavoro che colpisce uno dei simboli di Genova e del suo porto e lo sciopero dei «camalli» è immediato. Intanto anche Psa alle prime luci dell’alba scrive un comunicato, si stringe alla famiglia della vittima.Il porto chiude per sciopero. Si blocca il lavoro sulle banchine. E per alcune ore è pressoché paralizzato anche il traffico in città e al casello di Genova Ovest e Genova Prà, le uscite che portano i camion e i loro container in porto. È probabile che lo sciopero continui per l’intera giornata: Antonio Benvenuti, storico console della Compagnia, è in assemblea con i suoi camalli. Nessuno vuole dimenticare un’altra morte bianca nella notte nera del porto di Genova. La procura ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo, le indagini sono affidate al gruppo Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro di Asl3.
(da agenzie)

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“ANIMA DELLA MIA ANIMA”: ISRAELE HA UCCISO IL NONNO DI GAZA CHE AVEVA COMMOSSO IL MONDO

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

DOPO AVER PERSO I SUOI NIPOTI, KHALED NABHAN SI ERA DEDICATO AD AIUTARE SOCCORRITORI E MEDICI, PRENDENDOSI CURA DEI BAMBINI DI GAZA

Un raid aereo condotto dall’esercito israeliano sul campo profughi palestinese di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, ha ucciso Khaled Nabhan, un uomo diventato noto lo scorso anno per il suo commovente saluto alla nipote, anche lei assassinata da un bombardamento dello Stato Ebraico. In un toccante video circolato sui social network di tutto il mondo Khaled, in lacrime, definiva la piccola Reem, appena 3 anni, “anima della mia anima”. La bimba venne uccisa insieme al fratellino Tarek, di 5 anni, nel novembre del 2023.
Il filmato virale che ritraeva Nabhan mentre cullava il corpo senza vita della nipotina aveva raccolto centinaia di migliaia di visualizzazioni sui social network ed era stato ripreso dai media internazionali. Lo straziante dolore dell’uomo era diventato un simbolo della sofferenza causata dai bombardamenti israeliani sulla popolazione civile assediata di Gaza.
Come spiega Al Jazeera Khaled Nabhan è morto in un raid aereo dell’IDF che ha colpito la casa della famiglia Abu Hajar. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, almeno altre quattro persone, tra cui un bimbo, sono state uccise nell’attacco. Dopo aver perso i suoi nipoti, Nabhan aveva dedicato il suo tempo ad aiutare soccorritori e medici, prendendosi cura in particolare di bambini feriti. Anche per questo attivisti per i diritti dei palestinesi e organizzazioni per i diritti umani hanno reso omaggio alla sua figura ricordando il suo legame con Reem e le sue opere caritatevoli nei mesi successivi alla sua perdita.
Muhammad Shehada, scrittore di Gaza, ha scritto sui social media: “Hanno prima ucciso sua nipote, ‘l’anima della sua anima’, poi bombardato la casa della sua famiglia, e ora lo hanno assassinato in pieno giorno con totale impunità”. Omar Suleiman, attivista palestinese-americano, ha descritto Nabhan come una figura angelica che, nonostante i dolori personali, portava conforto a chi ne aveva bisogno: “Un uomo con una presenza angelica, sorrideva di fronte al genocidio, attraversando ospedali e campi per alleviare la sofferenza delle persone nonostante il suo dolore”.
(da Fanpage)

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MILIARDI DI SANGUE: DITTATORI CON IL MALLOPPO E VIE DI FUGA DORATE

Dicembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

LE TESTE SCOLPITE NEL MARMO ROTOLANO DAI PIEDISTALLI NEL RITO COLLETTIVO DELLE FOLLE ESULTANTI

Il macellaio siriano Bashar al-Assad in fuga a Mosca con il malloppo è solo l’ultimo scandalo, conficcato nella tetra tradizione dei tiranni in fuga. Perché al netto di tutte le atrocità compiute – i mattatoi, le carceri, le fosse comuni, gli esiliati, gli affamati, i torturati, gli scomparsi – i re e i dittatori, nel momento supremo della fuga diventano quello che sono, dei ladri sorpresi con la refurtiva.
Dei vigliacchi che corrono lontano dai palazzi con le mogli complici, qualche volte le amanti, le tasche piene di soldi e se potessero anche con la bocca spalancata a inghiottire l’ultimo oro, gli ultimi diamanti, per riempirsi lo stomaco e il cuore e l’anima, imprigionati per una volta anche loro dentro l’identico terrore che per megalomania, narcisismo maligno, crudeltà, si sono divertiti a infliggere ai rispettivi popoli perseguitati.
Non contano più le ideologie, la religione, i libretti rossi o verdi, le parole d’ordine nazionaliste che hanno segnato la loro ascesa nel sangue. Quando la Storia sbanda, si capovolge, evolve, il loro potere diventa una bolla d’aria. Le loro teste, scolpite nel marmo, fuse nel bronzo, rotolano dai piedistalli in quel rito collettivo e sempre identico delle folle che esultano.
Lo abbiamo visto nelle piazze di Teheran, Baghdad, Tripoli, Mogadiscio, prima che a Damasco. Un rito in definitiva magico. Nutrito insieme di furore e ingenuità perché pretende di cancellare il passato, strappandone una effige e di rifondare il futuro issandolo su quel piedistallo finalmente vuoto, quasi mai sospettando la frustrazione futura.
Tiranni con i rispettivi monumenti edificati e distrutti si alternano lungo tutto il Novecento, segnato dalle rivoluzioni, dalle guerre mondiali, dall’assalto occidentale alle foreste, alle miniere e alla manodopera dell’Africa fino ai giacimenti di petrolio nascosti nei deserti del Medio Oriente e del mondo arabo.
Il secondo dopoguerra cancella i tesori delle case reali di Belgrado, Bucarest, Sofia. Nascono gli imperi americano e sovietico che si scontrano prima in Corea, poi in Indocina. Poi in tutto il resto del mondo. I sovietici riempiono le loro piazze con le statue di Lenin e di Stalin, oltre a stendere il filo spinato intorno alla vita quotidiana dei loro popoli. Gli americani, istruiti dalla dottrina Kissinger, riempiono il Sud America di altrettanti uomini di marmo, per lo più generali, in Brasile, Paraguay, Bolivia, Nicaragua, Cile, Argentina. Gran parte di loro fuggiranno con le casse e gli aerei pieni di lingotti d’oro o i conti miliardari sepolti nelle banche off-shore, Pinochet a Londra, la famiglia Somoza a Miami, Fujimori in Giappone, Stroessner in Brasile.
Fino a quando, nell’Europa della Guerra Fredda, è stato il Muro di Berlino a crollare e a trascinare con sé altri marmi ridotti in polvere, con dittatori al seguito. Tra i primi quello del presidente della Romania Nicolae Ceausescu, detto “il genio dei Carpazi”. Le immagini dei rubinetti d’oro del suo castello hanno fatto il giro del mondo, emblema delle immense ricchezze che aveva accumulato in un paese ridotto alla fame. Lo fucilano la notte di Natale del 1989, portato davanti al plotone d’esecuzione mentre canta l’Internazionale e accanto a lui la moglie Elèna grida “Fottiti!” al soldato che la guarda ridendo.
La parabola di Assad non si discosta dalla comune vergogna dei tiranni, volato via da Damasco, destinazione Mosca, con le casse piene di lingotti e dollari estratti direttamente dal sangue dei siriani. Oltre al bottino messo via nel mezzo secolo di regno e di terrore ereditati dal padre che fu peggiore tagliagola di lui, un patrimonio stimato in 34 miliardi di dollari tra investimenti immobiliari, traffici di droga captagon, armi, finanziarie schermate, banche svizzere.
In altrettanti miliardi è contabilizzato il bottino di Ben Alì, il rais tunisino che nell’anno 2011 si lasciò alle spalle i fuochi libertari della Primavera per nascondersi nella sua villa in Arabia Saudita, portando con sé una tonnellata e mezzo in lingotti d’oro, più i tesori immobiliari accumulati da società anonime domiciliate in Qatar, Emirati, Argentina, Isole Vergini, Cayman.
Qualche volta la morte arriva prima del bottino. È capitato a Saddam Hussein, dopo una fuga durata sei mesi, catturato dagli americani dentro a un buco scavato sottoterra, dalle parti di Tikrit, il suo villaggio natale, processato da un tribunale speciale iracheno, impiccato alla fine dell’anno 2006. Destino più veloce e più crudele toccò a Gheddafi, in fuga da Tripoli dopo i bombardamenti occidentali e la rivolta delle milizie. Catturato e linciato il 20 ottobre 2011, in un canale di scolo, dove si nascondeva alle porte della città di Sirte. Mai contabilizzato il tesoro che aveva nascosto in giro per i forzieri del mondo nei quarant’anni di dittatura: migliaia di milioni di dollari, sicuramente, oltre ai 14 miliardi di euro depositati nelle banche del Belgio.
L’intera Africa è una sequenza di dittatori in fuga con il malloppo, al diavolo i rispettivi popoli condannati a guerre e guerriglie permanenti. Da Amin Dada al leggendario Bokassa, imperatore centroafricano, tutti riparati nei paesi arabi o in Svizzera, con sequenze di Rolls-Royce e Lamborghini al seguito e mogli cariche di gioielli e figli prepotenti allevati dentro a illimitati palazzi.
E noi? Non abbiamo sfigurato in questa gara della vergogna. Il nostro re Sciaboletta, Vittorio Emanuele III, il 9 settembre del ’43, se ne scappò verso Pescara con 5 automobili al seguito così piene di argenteria da abbandonare alla vendetta dei tedeschi non solo il popolo e l’esercito italiano, ma finanche i camerieri. E due anni dopo, il suo degno compare, Benito Mussolini, fu catturato tremebondo, travestito da soldato tedesco con le tasche piene di sterline inglesi e i sacchi di iuta gonfi d’oro. Un ladro senza onore che i furori della guerra si incaricarono di giustiziare all’alba del 28 aprile 1945 insieme con Claretta Petacci, e poi di esibire a Milano, in piazzale Loreto, nello stesso punto in cui, dieci mesi prima, le sue bande di fascisti avevano fucilato per rappresaglia 15 milanesi, i loro corpi lasciati sull’asfalto, presi a calci e sputi. Rito che si sarebbe ripetuto davanti alla folla di Milano liberata, accanto a quella identica macchia di sangue versato, che più dell’oro è lo scandalo dei dittatori, la loro radice, qualche volta il loro destino.
(da ilfattoquotidiano.it)

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