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NEL DISCORSO DI FINE ANNO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA RANDELLA I MALDESTRI MELONI-SALVINI PARLANDO DEI “PATRIOTI VERI”: I MEDICI DEI PRONTO SOCCORSO, GLI INSEGNANTI E “CHI È NATO ALTROVE MA AMA L’ITALIA”

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

IL PASSAGGIO SULLA “DISUGUALE DISPONIBILITÀ DI SERVIZI TRA NORD E SUD” È UN SILURO CONTRO LA LEGGE SULL’AUTONOMIA… POI PARLA DELLA SITUAZIONE CARCERARIA: “I DETENUTI DEVONO RESPIRARE UN’ARIA DIVERSA DA QUELLA CHE LI HA CONDOTTI AL CRIMINE” (AVVISATE IL SOTTOSEGRETARIO MELONIANO DELMASTRO CHE AVEVA DETTO: “È UN’INTIMA GIOIA NON LASCIARE RESPIRARE CHI STA DIETRO QUEL VETRO OSCURATO”) – L’AFFONDO SULLA SANITA’ E IL CASO DELLE LUNGHE LISTE D’ATTESA PER GLI ESAMI

Tra le immagini alle quali la gente associa la figura del capo dello Stato, ogni tanto ricorre quella del «difensore civico», cui ci si affida nei momenti difficili. Un destino che riguardò Sandro Pertini, quasi mezzo secolo fa, e che oggi tocca a Sergio Mattarella. Lo si è percepito, quel sentimento diffuso fra gli italiani, dal modo nel quale è stato accolto il suo messaggio di fine anno, alla vigilia dell’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo.
Un testo che il presidente voleva fosse, ed è stato, una raffigurazione veridica e non compiacente dei problemi del Paese. Un bilancio asciutto e molto esplicito, tagliato su un doppio registro.
Da un lato Mattarella cita i motivi di fiducia, che definisce «incoraggianti» quando accenna ai dati sull’occupazione e «positivi» quando allude a export e turismo. E, per non fermarsi ai pur importanti ma aridi dati dell’economia, ci aggiunge i numerosi esempi di «valori e comportamenti coraggiosi» che racconta di aver colto «nei volti, nei gesti e nelle testimonianze» di tante persone impegnate per il bene comune. Una su tutte, Sammy Basso, che nomina perché ci ha «insegnato a vivere una vita piena, oltre ogni difficoltà».
Queste alcune luci che Mattarella descrive con sollievo. Dall’altro lato, però, usa accenti di crudo realismo quando affronta altre questioni aperte, che i cittadini soffrono sulla propria pelle. E’ il caso della sanità, penalizzata da «lunghe liste d’attesa per esami che, se tempestivi, possono salvare la vita»: una denuncia che diventa aspra nel ricordo di chi «rinuncia a cure e medicine perché prive dei mezzi necessari».
Altro nodo: la sicurezza nel lavoro. E qui ribadisce che «non possono più bastare parole di sdegno…», perché se ne sono pronunciate troppe. «Occorre agire con responsabilità e severità», sillaba. Analoga durezza senza sconti fa emergere sui problemi delle carceri, dove il numero dei suicidi è «indice di condizioni inammissibili», sui femminicidi, sulla «disuguale disponibilità di servizi tra Nord e Sud», sul fenomeno della violenza giovanile che si esprime anche attraverso «comportamenti alimentati dal web», sul ciclico ripetersi delle alluvioni che «non possono più esser considerate fenomeni straordinari e vanno pertanto prevenute».
Sono, questi, alcuni capitoli dell’infinito «cahier de doleance» che spinge la gente comune a considerare appunto l’inquilino del Quirinale una sorta di «difensore civico», al quale appellarsi per sterilizzare ansie e paure. Come i timori provocati dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente, sulle quali Mattarella non ha mai risparmiato gli interventi, a partire dalla censura per «la spirale record di crescita degli armamenti». O come altri motivi d’allarme che «lacerano le pubbliche opinioni» e che lo inducono a sollecitare il bisogno di «riorientare la convivenza» e il nostro stesso «modo di stare insieme».
Da ultimo, va segnalato un insistito cambio di declinazione del concetto di patriottismo. Per il presidente, il patriottismo ha infinite facce, non necessariamente legate all’eroismo di maniera evocato a sproposito e men che meno a un certo modo d’intendere il sovranismo. I patrioti, secondo lui, sono cittadini normali, che fanno cose che dovrebbero essere appunto normali, quando le si svolgono bene e con senso di responsabilità. Sono, per esempio, i medici del pronto soccorso, gli insegnanti, gli imprenditori responsabili, i volontari che vediamo spesso all’opera e anche chi è nato altrove ma ama l’Italia.
(da agenzie)

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NAUFRAGIO DAVANTI A LAMPEDUSA: SENZA ESITO LA RICERCA DEI 20 DISPERSI

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

SOLO SETTE I SOVRAVVISSUTI… GLI SBARCHI CONTINUANO ANCHE SE IL GOVERNO NON LO DICE (400 NEL CENTRO DI ACCOGLIENZA DELL’ISOLA)

Sono andate avanti tutta la notte le ricerche dei 20 dispersi, fra cui 5 donne e 3 bambini, nelle acque antistanti a Lampedusa. Nessun cadavere è stato, al momento, ritrovato. I sette naufraghi, fra cui il bimbo siriano di 8 anni, sono in corso di trasferimento dall’hotspot di contrada Imbriacola al porto di Lampedusa.
Sono complessivamente 237, sui 397 ospiti della struttura d’accoglienza, i migranti che verranno imbarcati sul traghetto di linea per Porto Empedocle. A disporre l’immediato spostamento del piccino sopravvissuto al naufragio del barchino partito da Zuwara in Libia è stata la procura presso il tribunale dei minorenni di Palermo. Il piccolo, ieri sera, dopo l’arrivo in hotspot, è stato messo in contatto, con una video chiamata, con il papà che vive e lavora in Germania.
Sono 278, fra cui i 7 sopravvissuti al naufragio di ieri, i migranti arrivati nelle ultime ore a Lampedusa.
A loro si aggiungono i 46 bengalesi, egiziani e pakistani sbarcati nel tardo pomeriggio di ieri a Linosa e già trasferiti sulla maggiore delle isole Pelagie dalle motovedette della guardia di finanza e dei carabinieri.
Quattro natanti – con a bordo 36 (3 donne), 63, 39 e 61 egiziani, pakistani, siriani, palestinesi, sudanesi ed etiopi – sono stati agganciati e soccorsi al largo dalle motovedette della guardia costiera e della guardia di finanza. Settantadue bengalesi, marocchini ed egiziani sono invece riusciti ad arrivare direttamente sulla spiaggia dell’Isola dei Conigli e sono stati bloccati dai militari delle Fiamme gialle.
(da agenzie)

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I VASSALLI DI PUTIN AL SERVIZIO DELLA GUERRA: GLI IMPIANTI CHIMICI DI PROPRIETÀ DI ALCUNI TRA GLI UOMINI PIÙ RICCHI DELLA RUSSIA FORNISCONO “INGREDIENTI” ALLE FABBRICHE DI ESPLOSIVI UTILIZZATI DALL’ESERCITO DI MOSCA IN UCRAINA

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA ARRIVA DALL’AGENZIA DI STAMPA REUTERS CHE DIMOSTRA, PER LA PRIMA VOLTA, QUANTO LE FABBRICHE CHE FANNO PARTE DELLA MACCHINA BELLICA RUSSA FACCIANO AFFIDAMENTO SUGLI OLIGARCHI … TRA QUESTI CI SONO ROMAN ABRAMOVICH, EX PROPRIETARIO DEL CHELSEA, E VAGIT ALEKPEROV, L’UOMO PIÙ RICCO DELLA RUSSIA CON UNA FORTUNA STIMATA IN 28,6 MILIARDI DI DOLLARI

Gli impianti chimici fondati o di proprietà di alcuni tra gli uomini più ricchi della Russia forniscono ‘ingredienti’ alle fabbriche degli esplosivi che vengono utilizzati dall’esercito di Mosca nella guerra contro l’Ucraina: è quanto risulta da un’analisi dell’agenzia di stampa Reuters sulla base di dati ferroviari e finanziari.
La Reuters ha individuato cinque aziende chimiche, partecipate da altrettanti miliardari russi sanzionati dall’Occidente, che hanno fornito oltre il 75% dei principali prodotti chimici spediti su rotaia ad alcune delle più grandi fabbriche di esplosivi del Paese dall’inizio della guerra fino allo scorso settembre. L’analisi dell’agenzia di stampa dimostra per la prima volta quanto le fabbriche che fanno parte della macchina bellica russa facciano affidamento su questi uomini e sulle loro aziende.
Tra i miliardari coinvolti ci sono Roman Abramovich, ex proprietario del Chelsea Football Club, e Vagit Alekperov, classificato da Forbes in aprile come l’uomo più ricco della Russia con una fortuna stimata in 28,6 miliardi di dollari. Abramovich e Alekperov non hanno risposto alle richieste di commento inviate tramite le loro società o avvocati. Evraz, società quotata a Londra, di cui Ambramovich detiene una quota del 28%, ha dichiarato solo di aver fornito i prodotti chimici per “solo uso civile”. La Lukoil, una raffineria di cui Alekperov detiene una partecipazione, ha affermato che “non produce esplosivi o componenti correlati”.
(da Reuters)

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SONDAGGIO IPSOS DI FINE ANNO: ITALIANI TRA SFIDUCIA E INCERTEZZE, UN PAESE SEMPRE PIU’ INQUIETO E INSODDISFATTO

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

LE PREOCCUPAZIONI? ECONOMIA, LAVORO, SANITA’ E CONFLITTI GLOBALI… AGLI ULTIMI POSTI IMMIGRAZIONE E SICUREZZA, OVVERO LE PALLE ALIMENTATE DAI SOVRANISTI… IL 54% CONDANNA ISRAELE CONTRO IL 20% CHE APPROVA I MASSACRI A GAZA

La fine del 2024 ha portato alla luce nuove preoccupazioni tra gli italiani, segnando un netto cambiamento rispetto al cauto ottimismo che si respirava tre anni fa, quando il Paese usciva dalla crisi pandemica.
Le tensioni globali e nazionali, rilevate da un sondaggio Ipsos condotto da Nando Pagnoncelli, stanno ridisegnando un panorama sempre più incerto. A livello internazionale, il protrarsi delle guerre e il moltiplicarsi di situazioni critiche pesano sugli equilibri geopolitici: l’Europa continua a faticare nel trovare una posizione comune sulla difesa continentale, mentre l’ormai prossimo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca alimenta interrogativi su possibili cambiamenti nelle dinamiche globali, dai dazi alla NATO, alla protezione dell’Ucraina, fino al crescente bilateralismo che, come sostiene l’Ispi, potrebbe sostituire il multilateralismo con rivalità e minore collaborazione.
Anche sul fronte nazionale il clima è dominato dall’incertezza. Gli indicatori economici mostrano segnali di difficoltà: la produzione industriale è in calo, le stime di crescita del PIL vengono ridimensionate e alcuni settori mostrano evidenti segnali di crisi.
Nonostante ciò, come rileva l’Istat, i consumi non ne risultano ancora penalizzati, un dato che offre un po’ di sollievo ma non è sufficiente a dissipare le nubi che si addensano all’orizzonte.
Le priorità indicate dagli italiani nel sondaggio, emerse in maniera spontanea, vedono ancora una volta al primo posto i temi legati all’economia e al lavoro, segnalati dal 54% degli intervistati, in linea con quanto registrato negli anni precedenti.
Subito dopo si posiziona la sanità, indicata dal 35%, un dato in continua crescita rispetto al periodo pre-pandemia. La crisi del sistema sanitario pubblico, con difficoltà sempre più evidenti nella diagnostica e nell’accesso ai medici di base, spiega l’aumento di preoccupazione. Seguono altre tematiche che coinvolgono almeno un quinto degli italiani, come la perdita del potere d’acquisto e le questioni ambientali.
Temi spesso centrali nel dibattito politico, come immigrazione e sicurezza, non sono invece in cima alle priorità, ma si inseriscono in un secondo gruppo di preoccupazioni che comprende anche il malfunzionamento delle istituzioni e il welfare.
A livello locale, le priorità si modificano leggermente. Se i temi occupazionali ed economici rimangono rilevanti, si aggiungono quelli legati alla mobilità e alle infrastrutture, che guadagnano il secondo posto. Le questioni ambientali risultano più sentite rispetto al livello nazionale, mentre immigrazione e sicurezza si collocano tra le ultime preoccupazioni dei cittadini nelle proprie aree di residenza.
Le aspettative economiche
Per quanto riguarda le aspettative economiche, si registra un aumento del pessimismo rispetto al futuro prossimo. Il 35% degli intervistati ritiene che la situazione peggiorerà nei prossimi sei mesi, mentre solo il 20% prevede un miglioramento.
Il saldo negativo di 15 punti è leggermente peggiore rispetto ai due anni precedenti, quando si registrava un divario di 12 punti. Tuttavia, il dato che colpisce maggiormente è il netto calo di ottimismo nel medio periodo: alla domanda sull’andamento dell’economia italiana nei prossimi tre anni, il 32% si dichiara ottimista e il 31% pessimista.
Si tratta di un equilibrio che non si registrava da almeno cinque anni. Anche nel 2020, durante la fase più critica della pandemia, gli ottimisti superavano i pessimisti di 11 punti.
Conflitti internazionali
Un altro tema centrale del sondaggio riguarda i conflitti internazionali, che continuano a generare apprensione. La guerra nella Striscia di Gaza coinvolge il 70% degli italiani, una percentuale in lieve calo rispetto agli anni precedenti. Le principali preoccupazioni riguardano le conseguenze umanitarie per la popolazione civile e il rischio di un allargamento del conflitto ad altri Paesi. La maggioranza degli intervistati (54%) ritiene che la reazione di Israele sia sproporzionata rispetto agli attacchi subiti, mentre un quinto la considera comprensibile
.Gli elettori di centrodestra si mostrano leggermente più inclini a giustificare l’operato di Israele rispetto agli elettori di altre aree politiche. Per quanto riguarda il ruolo dell’Italia, il 44% degli intervistati sostiene che il nostro Paese dovrebbe lavorare come mediatore per evitare un’ulteriore escalation, mentre una quota minore ritiene che sia opportuno schierarsi a favore della causa palestinese, con posizioni differenziate sull’eventuale condanna di Hamas.
Anche la guerra in Ucraina resta un tema di forte preoccupazione per il 77% degli italiani. Se inizialmente l’attenzione si concentrava sugli effetti economici del conflitto, come l’aumento del costo dell’energia, oggi prevale la paura di un’estensione della guerra ad altri Paesi.
Questo sentimento potrebbe spiegare il calo della solidarietà verso Kiev, con il 35% degli italiani che si schiera a favore dell’Ucraina, rispetto al 45% di inizio conflitto, e il 57% che adotta una posizione di neutralità. Cresce anche la contrarietà all’invio di armi a Kiev, che raggiunge per la prima volta la maggioranza assoluta con il 52%, mentre solo il 27% ritiene giusto continuare a sostenere l’Ucraina militarmente. Gli elettori del Partito Democratico sono i più favorevoli al sostegno a Kiev, mentre Lega e Movimento 5 Stelle si mostrano i più contrari.
(da Fanpage)

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ACCISE, SANITA’ E ALBANIA: IL 2024 E’ L’ANNO DELLE PROMESSE MACATE DEL GOVERNO MELONI

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

DAL MANCATO TAGLIO DELLE ACCISE AL FALLIMENTO CEI CENTRI IN ALBANIA, DALLA CANCELLAZIONE DELLE LISTE DI ATTESA NELLA SANITA’ ALLA FINTA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI DELLE BANCHE

La manovra 2025 certifica ancora una volta il tradimento del patto che la premier Meloni ha stretto con i cittadini. Il 2024 sta per chiudersi, e quest’anno è lunga la lista di promesse fatte dall’esecutivo e poi non mantenute. Misure annunciate, e in alcuni casi contenute anche nel programma di governo, e poi saltate dalla legge di Bilancio e dai provvedimenti messi a punto dalla maggioranza: dal taglio delle accise sui carburanti, alle tasse sugli extraprofitti, poi trasformate in un semplice prestito chiesto agli istituti bancari. Dalle pensioni minime a 1000 euro – che il ministro Tajani si era impegnato a introdurre già da gennaio 2025 – ai centri in Albania, pensati in origine per ospitare addirittura 3mila migranti al mese, per un totale di 36mila persone l’anno, e che sono oggi del tutto inutilizzati. E si potrebbe citare ancora il Ponte sullo Stretto di Messina, i cui cantieri avrebbero dovuto partire svariate volte nel 2024, secondo il cronoprogramma di Salvini, rimasto solo un’opera sulla carta. Vediamo su cosa la presidente del Consiglio non ha mantenuto la parola quest’anno, e quali sono le promesse irrealizzate.
“Irpef al 33% fino a 60mila euro”: la beffa sul taglio delle tasse per i ceti medi
Una delle priorità del governo per il 2025 saranno i ceti medi. L’aveva ribadito il viceministro dell’Economia Maurizio Leo e l’aveva sostenuto a gran voce anche Giorgia Meloni, illustrando la riforma fiscale attuata in manovra. A tal proposito la premier aveva detto di voler “abbassare le tasse a tutti, partendo da chi ha più bisogno e poi arrivando anche al ceto medio”. Come? Intervenendo sulle aliquote Irpef, in particolare sulla seconda fascia, ovvero quella di chi guadagna tra i 28mila e i 50mila euro e che attualmente paga il 35%.
Dalla maggioranza – soprattutto dagli azzurri – più volte si era detto di essere a lavoro per ridurre l’aliquota di due punti e addirittura di estendere il secondo scaglione ai redditi fino a 60mila euro. “Se il concordato preventivo darà buoni risultati – aveva detto Tajani – “porteremo l’Irpef al 33%”, era la promessa.
Peccato che i soldi per finanziare la misura non ci sono e il taglio è slittato così a data da destinarsi. Quindi il modello che la legge di bilancio ha reso strutturale per il 2025 sarà lo stesso approvato lo scorso anno (23% fino a 28mila euro; 35% tra 28mila e 50mila e 43% dai 50mila in su).
Non solo, a rimetterci il prossimo anno potrebbe essere proprio una parte di quel ceto medio caro al governo. Questo perché alla rimodulazione dell’Irpef si affianca anche il nuovo taglio del cuneo fiscale, che prevede per i redditi superiori ai 32mila euro una detrazione decrescente (che si azzera per chi raggiunge i 40mila euro). Con il risultato, secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che chi sta tra i 32mila e 40mila euro potrebbe arrivare a dover pagare un’aliquota marginale del 56% una volta superata una certa soglia di guadagno
Rimandate le pensioni minime a 1000 euro e il superamento della legge Fornero
L’obiettivo di superare la legge Fornero, uno dei punti del programma del governo Meloni da portare a termine entro la fine della legislatura, non è stato centrato neanche questa volta. Anche nel 2024, così come avvenuto l’anno scorso, la riforma organica del sistema pensionistico è saltata: resta quindi in vigore la legge varata nel 2011, che prevede che la pensione di vecchiaia scatti a 67 anni di età, con almeno 20 anni di contributi. Nel testo della manovra 2025 non si registrano particolari novità: si confermano Quota 103 (che permette di andare in pensione con 62 anni di età e almeno 41 anni di contributi), Opzione Donna (le donne possono uscire dal lavoro con 58 anni di età, o 59 se lavoratrici autonome, e almeno 35 anni di contributi) e Ape Sociale.
Anche nel 2024, così come nel 2023, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, dopo la conferenza stampa di presentazione del Documento di Economia e Finanze (DEF) 2024, aveva annunciato che il governo avrebbe fatto il possibile per portare le pensioni minime da 614,77 euro netti a 1000 euro al mese, già dal 1 gennaio 2025. Ma le cose sono andate in tutt’altro modo, e l’aumento degli assegni minimi è stato molto più contenuto: sebbene il governo abbia previsto un aumento aggiuntivo del 2,2%, l’importo finale delle pensioni minime dovrebbe aumentare da 614,77 euro a 616,67 euro (appena 1,90 euro al mese).
Mentre per quanto riguarda il nuovo canale di pensionamento anticipato, introdotto dalla nuova legge di Bilancio, ovvero la possibilità di uscire dal lavoro a 64 anni, cumulando gli importi del fondo complementare (ma solo se si hanno già 20 anni di contributi e se si è pienamente nel contributivo), questo avrà un impatto molto limitato. Secondo la relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato, che accompagna il testo della manovra, la misura potrebbe riguardare inizialmente solo un centinaio di persone.
Che fine ha fatto la tassa sugli extraprofitti delle banche?
Alla fine, nemmeno quest’anno il governo Meloni ha approvato una tassa sugli extraprofitti delle banche. Dopo la giravolta dello scorso anno, nel 2024 l’ipotesi di recuperare risorse da un’imposta sui profitti guadagnati dagli istituti finanziari era ritornata sul tavolo una volta cominciati i lavori per la nuova legge di bilancio. Attorno al tema si era consumato uno scontro interno alla maggioranza, con Forza Italia nettamente contraria alla misura e la Lega pronta a “far pagare i banchieri”. Anche da Fratelli d’Italia era emersa l’apertura a ragionare su un qualche “prelievo”.
La questione pareva essersi risolta con l’intervento del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che in occasione della presentazione della manovra, aveva chiaramente parlato di una legge che avrebbe richiesto “sacrifici a tutti” (banche incluse).
Eppure nel ddl bilancio approvato pochi giorni fa, della più volte annunciata tassa non c’è traccia. Al suo posto, una sorta di prestito richiesto a banche e assicurazioni che consisterà in uno sconto sulle deduzioni pagate per perdite e svalutazioni sui crediti e che dovrebbe portare nelle casse dello Stato circa 6 miliardi di euro. Un intervento che Giorgia Meloni ha rivendicato recentemente, sul palco di Atreju, ma che altro non è che un anticipo di denaro da restituire agli istituti nel 2027, quando questa legislatura avrà ormai esaurito la sua corsa.
Il fallimento dei centri per migranti in Albania
Tra le promesse non mantenute dal governo, c’è quella che riguarda la gestione dell’immigrazione. Un esempio lampante è la creazione degli hotspot in territori extraeuropei. Nel mese di ottobre, l’Italia ha inaugurato due centri per migranti in Albania, Shengjin e Gjader, ma questi hanno subito incontrato problemi legali: il Tribunale di Roma ha infatti deciso di non convalidare il trattenimento delle prime persone migranti trasferite in questi centri, ritenendo che tale trattenimento fosse contrario alle normative europee. Nonostante ciò, il governo italiano ha annunciato ricorso e, il 21 ottobre, ha presentato un nuovo decreto-legge per cercare di mantenere operativi i centri in Albania.
A metà ottobre, quando si attendevano i primi migranti, erano attivi meno del 50% dei moduli: meno della metà dei 880 posti previsti nel centro di accoglienza per richiedenti asilo, meno della metà dei 144 posti previsti per il Cpr, e solo 12 dei 20 posti previsti per il penitenziario erano pronti.
L’operazione ha avuto quindi fin da subito più un impatto mediatico che pratico, visto che a Shengjin e Gjader sono stati trasferiti meno di 20 migranti dalla nave della Marina Militare Libra. Persone che sono poi state rimpatriate immediatamente in Italia, a seguito delle decisioni dei tribunali italiani che hanno respinto il trattenimento, basandosi su una sentenza della Corte di Giustizia Europea. Una sentenza che ha di fatto ristretto le possibilità di considerare un paese come “sicuro” ai fini del rimpatrio.Sebbene gli hotspot siano rimasti per lo più vuoti e inutilizzati, i costi per i contribuenti italiani continuano a salire a causa dell’accordo stipulato con l’Albania, fortemente voluto dal governo Meloni.
Il costo complessivo per la realizzazione e per la gestione di questi centri è di circa 680 milioni di euro, suddivisi tra il 2024 e il 2028. Per il 2024 erano stati previsti costi pari a 144 milioni di euro, per il 2025 127,3 milioni e per il 2026 127,5 milioni. Alcune voci di spesa si ripetono negli anni successivi, mentre altre sono specifiche solo per il 2024. Ad esempio, le spese per il vitto e l’alloggio delle forze dell’ordine impegnate nelle strutture sono distribuite su tutti i cinque anni, così come quelle per la gestione dei centri e il noleggio delle navi. Tuttavia, per il 2024 è stata prevista una spesa una tantum di 39,2 milioni di euro per la realizzazione delle strutture per i migranti.
Ad aprile 2024, questa cifra è stata aumentata a 65 milioni di euro con un decreto-legge: 4,5 milioni per la struttura di Shengjin e 60,5 milioni per quella di Gjader. Lo stesso decreto aveva previsto inoltre l’assegnazione di altri 2,5 milioni di euro per coprire le spese di missione del personale italiano.
Quindi, a seguito di questi aumenti, la spesa complessiva, stimata 144 milioni di euro, solo per il 2024, è salita a quasi 172 milioni di euro, mentre la spesa complessiva per il quinquennio è arrivata invece quindi a circa 680 milioni di euro.
La stima delle spese attuali necessita tuttavia di una revisione al ribasso, poiché i costi sostenuti quest’anno sono stati inferiori rispetto alle previsioni, a causa del ritardo nell’apertura dei centri.
Sanità: liste d’attesa infinite, il governo introduce misure senza risorse adeguate
Nel 2023, circa 4,5 milioni di italiani, secondo i dati ISTAT, hanno rinunciato a visite mediche o accertamenti sanitari per “difficoltà economiche, lunghe liste d’attesa o difficoltà nell’accesso ai servizi”, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente.
Secondo il Rapporto sul benessere equo e sostenibile dell’ISTAT, sono le lunghe liste d’attesa la principale causa della rinuncia alle cure, colpendo il 7,6% della popolazione, ovvero 4,5 milioni di persone, con un incremento di 372mila unità rispetto al 2022. Questo fenomeno interessa maggiormente le donne (9% contro 6% degli uomini), il Centro-Sud Italia (8,8% contro 7,1% del Nord) e gli over 55, con il 10% della popolazione coinvolta.
Nel luglio 2024, la Camera ha approvato la legge di conversione del decreto “Liste d’attesa”. Tra le principali misure, il decreto prevede il potenziamento del ruolo del Centro Unico di Prenotazione (CUP), sia a livello regionale che infra-regionale, con l’introduzione di un sistema che permette la gestione delle prenotazioni (conferma, cancellazione o disdetta), anche da remoto, e la creazione di una piattaforma nazionale per monitorare le liste d’attesa, destinata a verificare che le regioni rispettino le priorità indicate dai medici sulle ricette. Questa piattaforma era già prevista a livello regionale dal 2019, ma non aveva avuto un grande impatto, principalmente a causa della mancanza di uniformità tra le regioni.
La novità principale ora è che i dati saranno centralizzati e gestiti dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), che avrà il compito di monitorare le situazioni critiche.
Secondo l’analisi effettuata da Fondazione Gimbe, se non si risponde però all’aumento della domanda di prestazioni con quello del personale disponibile e dei finanziamenti, è impossibile affrontare il problema. Le risorse stanziate non bastano, e serviranno principalmente a finanziare una detassazione sugli straordinari per incentivare gli operatori sanitari a lavorare di più. “Il decreto legge sulle liste di attesa non prevede risorse aggiuntive e potrà essere pienamente operativo solo previa approvazione di almeno sette decreti attuativi – aveva dichiarato allora Nino Cartabellotta, presidente della fondazione – con scadenze non sempre definite e tempi di attuazione che rischiano di diventare biblici”.
Il ministro della Salute, Oreste Schillaci, aveva chiesto 3-4 miliardi di euro in più per il 2025, ma il governo ha stanziato solo 1,2 miliardi lordi, che corrispondono a circa 900 milioni netti. Questo aumento non modifica significativamente il rapporto tra spesa sanitaria e PIL, che resta tra i più bassi tra i paesi occidentali, al 6,2-6,3%.
Meloni ha dimenticato il taglio delle accise sui carburanti
In un famoso video del 2019 Giorgia Meloni (prima di lei lo aveva già fatto Salvini) chiedeva l’abolizione progressiva delle accise sul carburante, facendo finta di fare rifornimento a una stazione di servizio e spiegando che su 50 euro di benzina, solo 15 andavano al benzinaio mentre la restante parte, 35 su 50, va allo Stato. Una volta a Palazzo Chigi però Meloni aveva dovuto fare i conti con la realtà e rivedere i suoi piani, riducendo prima ed eliminando poi il taglio alle accise voluto dal governo Draghi per fronteggiare i rincari dei prezzi dell’energia dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Eppure nel programma di Fratelli d’Italia del 2022, con cui il partito di Meloni si è presentato alle elezioni politiche, si faceva chiaramente riferimento alla “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”.
Quest’anno il dibattito si è concentrato ancora sulle accise sui carburanti, visto che nel piano strutturale di bilancio, il documento che traccia il percorso di aggiustamento dei conti pubblici per i prossimi sette anni (che è stato la base della manovra) è spuntato l’allineamento tra le accise su diesel e benzina, che gravano complessivamente per il 35% e il 38% sul costo complessivo: di fatto è stata prevista una diminuzione delle accise sulla benzina e un aumento di quelle sul gasolio. Il ministro Giorgetti ha minimizzato l’intervento, spiegando che “Nella manovra 2025 non è quotata nessuna copertura e nessuna entrata a fronte di accise e catasto. Peraltro sulle accise avevamo detto che è un allineamento, quindi ci sarà una riduzione della benzina e un aumento del gasolio. La cosa non riguarderà gli autotrasportatori”.
Il ministro dell’Economia ha anche voluto sottolineare che l’aumento per chi guida una macchina a gasolio sarà minimo: solo un centesimo in più a litro. Il Codacons però ha la lanciato l’allarme, spiegando che l’incremento per il gasolio equivale a una maggiore spesa da +0,61 euro su un pieno da 50 litri, se si tiene conto anche dell’Iva applicata sulle accise. Significa in un anno un aggravio di spesa complessivo a carico dei proprietari di auto a gasolio di +245,6 milioni di euro. Quindi non solo non c’è stata l’abolizione delle accise promesso da Meloni e Salvini, ma la tassa sul diesel salirà.
(da Fanpage)

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L’AUTOCRITICA DI MACRON: “SBAGLIAI A SCIOGLIERE IL PARLAMENTO”. FRANCE INSOUMISE: “ALLORA DIMETTITI”

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

NEL DISCORSO DI FINE ANNO MACRON AMMETTE CHE LE ELZIONI ANTICIPATE HANNO PRODOTTO “PIU’ DIVISIONI CHE SOLUZIONI” MA CONTINUA A NON RISPETTARE L’ESITO DELLE ELEZIONI VINTE DALLA COALIZIONE DI CENTROSINISTRA

Lo scioglimento dell’Assemblea nazionale lo scorso giugno «ha provocato più divisioni che soluzioni per i francesi». A nove mesi dalla mossa che ha scioccato la Francia, precipitandola verso improvvise elezioni anticipate la scorsa estate, Emmanuel Macron riconosce di aver sbagliato. O quasi.
Il mea culpa arriva nel discorso di fine anno che, così come Sergio Mattarella in Italia, il presidente della Repubblica ha rivolto questa sera ai francesi. La scelta di sciogliere il Parlamento la sera stessa delle elezioni europee, che Macron aveva annunciato al Paese come mossa indispensabile a portare un chiarimento nella volontà politica dei francesi, ha prodotto «per il momento» il risultato opposto, riconosce ora il capo dello Stato.
Sul pian morale, prima ancora che politico, quell’iniziativa «ha prodotto più instabilità che serenità. Mi prendo tutta la mia parte di responsabilità», ha chinato il capo per una volta Macron.
Difficile pensarla diversamente, considerato il panorama politico: un nuovo Parlamento bloccato, spaccato in tre fronti indisponibili a collaborare – sinistre, centristi, estrema destra; un governo formato dopo mille travagli e affidato a un vecchio lupo della politica come Michel Barnier naufragato dopo appena due mesi; un nuovo esecutivo, affidato all’altro veterano François Bayrou, che rischia di non avere la fiducia del Parlamento neppure per iniziare il lavoro. Sullo sfondo, livelli di deficit e debito pubblico fuori controllo, e nessuna manovra economica per occuparsene. Un incubo insomma, senza soluzione evidente per nessuno.
Le speranze di Macron e la censura della France Insoumise
In questo scenario, Macron si è comunque rivolto ai francesi con parole di fiducia. Il 2025, ha detto, sia l’anno della riunificazione che consenta la stabilità. Nello stallo politico, spetterà a loro, i francesi, «decidere» su una serie di questioni chiave, un riferimento parrebbe all’indizioni di possibili referendum o convenzioni civiche. Macron ha promesso in ogni caso di vigilare sulla competitività del Paese, ossia sul fatto che la Francia continui ad essere attrattiva, che lavori e innovi di più, continuando a creare posti di lavoro e a crescere. Ma gli oppositori più acerrimi del capo dell’Eliseo, quelli della France Insoumise, non hanno atteso un minuto per cogliere al balzo i rimorsi di Macron: «Non basta riconoscere la propria responsabilità, deve trarre le conclusioni politiche: dimettersi», ha sentenziato il coordinatore della formazione di estrema sinistra Manuel Bompard.
(da Open)

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IL MELONISMO COME UNA MALATTIA: COSI’ SI SMANTELLANO LE ISTITUZIONI

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

SERVE UNA CORAGGIOSA PRESA D’ATTO DELLO STATO DELLA DEMOCRAZIA

Dopo il forte messaggio di papa Francesco all’apertura dell’anno giubilare dedicato alla speranza, stasera aspettiamo i convenzionali saluti di fine anno, e in primis il discorso del nostro Capo dello stato.
Non sappiamo da quali riflessioni muoverà, abbiamo ascoltato in tutto questo anno la sua quotidiana pedagogia costituzionale. Eppure, alla fine di questo anno 2024, il ragionamento sulle attuali condizioni del paese deve fare, ci sembra, di un salto di qualità, deve abbandonare le letture ordinarie della dialettica politica, pena non riuscire a seguire il salto logico che è in corso nel dibattito politico italiano.
Il salto è una presa d’atto necessaria alla fine del secondo anno di governo della presidente del consiglio nonché presidente di Fratelli d’Italia: il melonismo non è un movimento politico, è la malattia di una società in decomposizione.
Questa valutazione grave, ne siamo consapevoli, cambia i termini del dibattito e, vedremo, anche del necessario atteggiamento delle opposizioni: perché tutto il sistema dei partiti politici e delle istituzioni nazionali e delle entità sovranazionali, dall’Italia all’Unione dunque, è incardinato sul fatto che in Italia è al governo un movimento politico, che ha un suo estremismo, ma anche una sua storia e una sua evoluzione, e che dunque ha la legittimità di appartenere a un sistema politico tradizionale e ordinato.
Aggiungiamo che da decenni il populismo gonfia partiti diversi, dal Movimento Cinque stelle alla Lega a – oggi – Fratelli d’Italia. Dunque siamo tentati di considerare ormai questo fenomeno come fisiologico alle società occidentali moderne e in particolare della nostra.
Ma non è così: questa parte in Italia oggi assume proporzioni enormi perché sommando la destra di governo agli astenuti raggiunge e supera il 50 per cento del paese. Non si tratta di un partito che si è gonfiato e dunque si sgonfierà, lasciando il posto al prossimo movimento populista.
II ragionamento parte da lontano. Non aver affrontato trent’anni fa la crisi degli stati democratici in Occidente, ha prodotto la decomposizione della capacità di guida delle forze politiche dell’epoca. Questo, principalmente, ha portato alla nascita dei populismi. Ma ora il populismo senza controllo ha prodotto la malattia.
Il melonismo nasce da un salto populistico di Fratelli d’Italia, ma oggi non è un movimento populista, è piuttosto la malattia di un movimento populista che a suo tempo non è stato sufficientemente valutato e combattuto.
La non coscienza di questo processo è un errore e una rimozione. In Italia nasce da un clima generale di decomposizione del sistema politico ordinato. Un clima che in Italia oggi è aggravato dal fatto che a essere intaccate sono le istituzioni centrali di governo. Mentre in altri paesi europei le destre populiste non sono al potere, per ora, in Italia invece dalla posizione di governo e di potere, questa destra rischia di portare modifiche irreversibili alle istituzioni perché assume il carattere di agente del nuovo ordine.
La sinistra non si illuda
C’è una responsabilità delle opposizioni. Ed è lo sfuggire alla responsabilità di un coraggioso atto di denuncia di quello che si va diffondendo all’interno dello Stato. Inutile convincersi che si tratti di una forza, sebbene della destra radicale, appartenente alla dialettica politica ordinaria. Sfuggire a questa responsabilità è rinviare una resa dei conti: che si sta realizzando per conto suo.
Aspettiamo il messaggio al paese del presidente della Repubblica. Ma siamo convinti che chiunque voglia fare una valutazione di ciò che è avvenuto in quest’anno che finisce deve partire dalla denuncia dello stato di salute attuale delle nostre istituzioni. Altrimenti il rischio è che i richiami agli ordinamenti in disgregazione diventino solo l’espressione di ultimi desideri.
Le stesse esortazioni alla Costituzione rischiano di essere fuori tempo quando ormai la Costituzione di fatto è stata intaccata da questa malattia. Il Capo dello Stato nei suoi messaggi precedenti ci ha parlato delle virtù a cui bisogna tendere, e dei principi della Costituzione a cui tornare: ma non è con un’esortazione che possono essere modificati i rapporti strutturali delle istituzioni indebolite. Il cui stato di salute è grave. La decadenza delle istituzioni porta alla decadenza dello stato democratico.
La politica nazionale non è più in condizioni di autosanarsi. Serve un appello sul piano sovranazionale. Anche le istituzioni europee non se la passano bene, ma la differenza rispetto all’Italia è che in altri paesi le destre populiste non sono alla guida dei governi. In Italia siamo, al momento, il modello alla rovescia delle democrazie occidentali. E questo ci trasforma, anziché nel governo leader di un bilanciamento del trumpismo, nel suo apripista.
Il modello alla rovescia
§Anche perché, al netto delle diverse dimensioni, fra il melonismo e il trumpismo ci sono molte similitudini. Entrambi non sono un movimento politico, ma malattie delle democrazie già indebolite dal populismo.
Tutto questo in un quadro internazionale sempre più grave: divampano nuovi focolai di guerra, si estendono quelli esistenti. Nel Medio Oriente si stanno ponendo le basi al prolungamento della nuova fase dell’età della guerra. Il 2024 è stato l’anno dell’annuncio definitivo che si è aperta una nuova età della guerra nel mondo.
L’opposizione non si illuda di imboccare la semplice via della critica, né di blandire la premier chiedendole di mediare al suo interno: il morbo per sua natura non tratta, la guarigione non arriverà con un miracoloso e pietoso intervento di Padre Pio. Fratelli d’Italia non ha imboccato la via sbagliata della demolizione della Costituzione: ha imboccato la via per cui è nato. Il tema non è chi è il segretario del Pd, o la segretaria, né e se è più o meno efficace per una fase ordinaria della vita democratica del paese: la verità è che l’opposizione più importante, più organizzata, più presente nel territorio, quella che ha una classe dirigente diffusa nel paese, continua a non vedere il salto di qualità in corso. Il melonismo sta intaccando i poteri di controllo interno delle democrazie, dall’informazione ai bilanciamenti costituzionali. Tutto si affievolisce. Quando finirà, non ci restituirà la Repubblica italiana, non potrebbe farlo: se riuscisse nell’intento, l’intento è quello demolirla.
(da editorialedomani.it)

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LA VERGOGNOSA VICENDA DEL CALCIATORE PICCHIATO DALLA POLIZIA ITALIANA PER CONTO DI ISRAELE

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

TRASCINATO GIU’ DALL’AEREO A ROMA E POI RILASCIATO DOPO DIVERSE ORE… ERA NELLA BLACK LIST DI ISRAELE: PIANTEDOSI INFORMI GLI ITALIANI SE SIAMO DIVENTATI UNA COLONIA DI TEL AVIV

Trascinato giù dall’aereo con una presa al collo, spintonato in terra ammanettato e picchiato dagli agenti. È la denuncia pubblica del calciatore belga Stephane Omeonga in forze alla squadra di Serie B israeliana Bnei Sakhnin.
Il centrocampista, ex Avellino (2016-2017), Genoa (2017-2019) e Pescara (2020-2021), il giorno di Natale era salito su un volo di linea diretto da Bruxelles a Tel Aviv, con scalo a Roma, ma era stato inserito sulla black list di Israele e una volta arrivato a Fiumicino è stato fatto scendere: “Ho provato a spiegare che ero un calciatore, un cittadino belga – premette l’atleta – ma gli agenti non si sono fermati e mi hanno trascinato giù dal volo, picchiandomi”.
Secondo quanto apprende Repubblica il giorno di Natale la polizia di frontiera è intervenuta sul volo BZ 131 della compagnia Blue Bird Airways Bruxelles-Tel Aviv, che aveva fatto scalo all’aeroporto di Fiumicino per caricare altri passeggeri diretti in Israele. Gli agenti sono saliti a bordo sollecitati dal responsabile della compagnia aerea e dal comandante del volo: il centrocampista si sarebbe rifiutato di scendere dall’aereo per circa 20 minuti. Dopo l’intervento degli agenti Omeonga è stato denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni.
Eppure la versione del calciatore è diversa. Una volta scesi dall’aereo, denuncia Omeonga in un post su Instagram, “lontano dagli occhi di eventuali testimoni, la polizia mi ha buttato a terra e mi ha picchiato: uno dei poliziotti ha anche premuto il ginocchio contro la mia testa».
Dopodiché, racconta, “sono stato portato su una macchina della polizia e ammanettato come un criminale”. Quando è arrivata l’ambulanza “ero sotto choc – riprende – e non sono riuscito a rispondere alle domande dei sanitari. Dalla radio dell’auto della polizia ho sentito dire che andava tutto bene e che avevo rifiutato le cure mediche. Ma ciò è falso, ho chiesto loro di portarmi con loro in ambulanza. Ma sono stato messo in una stanza grigia senza né cibo né acqua e sono stato messo in uno stato di totale umiliazione per diverse ore”.
Il calciatore è stato poi rilasciato. Successivamente, prosegue, “ho saputo che un agente aveva presentato una denuncia contro di me per lesioni che gli avrei causato durante l’arresto, ma ero ammanettato. Finora non ho ricevuto alcuna spiegazione”.
Di qui la denuncia pubblica tramite i social.
Il post è corredato da un video girato da un passeggero del volo Roma- Tel Aviv. Il filmato mostra gli agenti salire a bordo, avventarsi sul centrocampista e trascinarlo via di forza.
“Come essere umano e come padre – insiste Omeonga – non tollero nessuna forma di discriminazione. Dobbiamo rimanere uniti e alzare la voce per educare coloro che ci circondano”, rimarcando come, secondo lui, l’intervento avrebbe avuto un che di razzista.
(da La Repubblica)

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FALSE SCUSE PER NON LAVORARE ALLA CASA PER MADRI MALTRATTATE E INCONTRI CON PREGIUDICATI: PERCHE’ ALEMANNO E’ STATO ARRESTATO

Gennaio 1st, 2025 Riccardo Fucile

AVREBBE DOVUTO RECARSI UNA VOLTA LA SETTIMANA NELLA STRUTTURA PER INSEGNARE L’ITALIANO E L’INGLESE A BIMBI E MADRI STRANIERI DOVE AVREBBE DOVUTO SVOLGERE LAVORI SOCIALMENTE UTILI

Nella serata di ieri l’ex sindaco di Roma e segretario nazionale del movimento ‘Indipendenza!’ Gianni Alemanno si è presentato dai carabinieri della stazione Monte Mario per essere condotto in carcere.
Il tribunale di sorveglianza di Roma aveva infatti emesso un provvedimento d’urgenza contestandogli il non rispetto delle prescrizioni per l’affidamento ai servizi sociali: secondo quanto emerso da accertamenti condotti dal nucleo speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza di Roma, Alemanno avrebbe violato il divieto di incontrare pregiudicati, e fornito false giustificazioni per assentarsi dalla comunità per madri maltrattate in cui avrebbe dovuto svolgere i lavori socialmente utili.
I lavori presso la comunità ‘ Solidarietà e speranza’
A novembre 2023, infatti, all’ex sindaco la pena da scontare è stata commutata nello svolgimento di lavori socialmente utili presso la struttura ‘Solidarietà e speranza’ gestita da suor Paola D’Auria, dove sono accolte donne vittime di violenza. L’ex sindaco avrebbe dovuto fare l’insegnate d’italiano per bimbi e madri straniere una volta a settimana. “Ci siamo sentiti come vecchi amici, mi ha chiesto se la notizia uscita sui giornali mi avesse creato problemi e gli ho risposto che lui qui viene a fare del bene e sono contenta di averlo”, aveva dichiarato suor Paola D’Auria in merito alla notizia che Alemanno avrebbe svolto lì i lavori socialmente utili. Secondo quanto emerso dalle indagini della Guardia di Finanza, Alemanno avrebbe accampato false scuse per non svolgere i lavori, motivo per il quale il Tribunale di sorveglianza ha emesso il provvedimento d’urgenza, revocando i benefici per la messa alla prova.
L’udienza nelle prossime settimane
L’avvocato di Gianni Alemanno, Edoardo Albertario, ha dichiarato che presenterà una nuova istanza ai magistrati per ottenere una misura alternativa al carcere, nel quale – almeno per ora – dovrà scontare il residuo di pena dopo la condanna definitiva per traffico d’influenze. L’udienza, nella quale si deciderà se dare nuovamente il beneficio, dovrà essere fissata entro trenta giorni.
L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è stato condannato a un anno e dieci mesi di reclusione nell’ambito dell’inchiesta ‘Mondo di mezzo’ per traffico d’influenze, mentre l’accusa di corruzione era caduta. L’accusa per Alemanno riguardava lo sblocco dei pagamenti dell’azienda comunale Eur Spa in favore di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, anche loro condannati.
(da Fanpage)

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