Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
MORSOLIN, ESPERTO DI DIRITTI UMANI IN AMERICA LATINA, RIVELA I CONTENUTI DI UNA CONFERENZA STAMPA DEL MINISTRO CABELLO… PER IL GOVERNO TUTTI GLI STRANIERI SONO SOSPETTI
Alcune notizie, dal Sudamerica, portano qualche ulteriore elemento per cercare di
comprendere le motivazioni dell’arresto del cooperatore veneziano Alberto Trentini, detenuto in Venezuela senza alcun capo d’imputazione conosciuto.
Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, riferisce al Sir di importanti parole pronunciate dal ministro dell’Interno del Venezuela Diosdado Cabello (qualcosa di più di un semplice “numero due”, nello scacchiere di potere di Caracas): “Durante una conferenza stampa, il 20 gennaio, il Ministro degli Interni Diosdato Cabello ha affermato che il Venezuela ‘esige il rispetto della Repubblica bolivariana del Venezuela da parte della comunità internazionale; per questo abbiamo dato un segnale preciso: abbiamo ridotto il personale delle Ambasciate di Francia e di altri Paesi (Italia e Olanda, ndr). In un contesto di grave destabilizzazione, abbiamo scovato 195 mercenari stranieri, che abbiamo arrestato qui in Venezuela, anche se, mettono davanti il nome delle ong per fare rumore”.
Parole, forse, “illuminanti”, nella logica interna delle autorità del Paese, mentre fonti consultate a Caracas e a Bogotá, capitale della Colombia, portano a possibili collegamenti fra Alberto Trentini e l’ong danese “Danish refugee council” (Drc – Consiglio danese per i rifugiati).
Secondo Morsolin “il caso Trentini potrebbe essere collegato a quello dell’ingegnere colombiano Manuel Alejandro Tique Chaves, anch’egli cooperante della Drc, in carcere da quattro mesi come sospetto ‘reclutatore di paramilitari’, come, del resto, è stato riportato anche da altre testate; la sua cattura pare ricalcare in pieno lo schema seguito per l’arresto di Trentini.
A unire i due cooperanti è, appunto, l’ong per cui entrambi hanno lavorato, in Colombia: da febbraio del 2023 ad aprile del 2024 Trentini ha operato direttamente con Drc, mentre, da due anni a questa parte, vi lavorava Tique Chaves”. Lo scorso 14 settembre, quest’ultimo è stato bloccato mentre si stava recando a Guasdualito. È la medesima città del Venezuela, situata in prossimità del confine, in cui, il 15 novembre 2024, sarebbe stato fermato Trentini.
Víctor Tique Chaves, padre di Manuel Alejandro, parlando all’emittente colombiana W Radio, ha affermato: “Alla frontiera, quando ha presentato il suo passaporto, è stato arrestato dalla Direzione generale del controspionaggio militare”. Cioè da quello stesso organismo (Dgcim) che due mesi dopo avrebbe preso in consegna pure il cooperante veneto. Per ambedue non è stato mai comunicato il luogo di detenzione.
Sempre Cabello, il 17 ottobre 2024, aveva citato Tique Chaves fra i 19 cittadini stranieri catturati in aggiunta a 13 venezuelani, in quanto asseritamente coinvolti in “una grande cospirazione contro il Venezuela”. E aveva aggiunto: “A tutti questi cittadini stranieri vengono garantiti i loro diritti, ma i loro Governi devono assumersi la responsabilità del fatto che vengono in Venezuela per cospirare contro un Paese, per attaccare obiettivi civili e militari, obiettivi di servizio pubblico, per danneggiare il nostro Paese”
Insinuazioni fermamente respinte dal padre del cooperante colombiano: “Mio figlio è un ingegnere industriale che si occupa di questioni ambientali ed è entrato a far parte dell’ong per lavorare su base umanitaria. Questa organizzazione assiste i venezuelani in Colombia con un po’ di soldi, cibo, quel genere di cose”.
Conclude Morsolin: “L’arresto del cooperante Trentini sembra intrecciarsi con il complesso conflitto armato e sociale oggi molto attivo alla frontiera tra Colombia e Venezuela, seguendo la pista dei ‘mercenari stranieri’. Considerando che il cooperante Trentini ha lavorato sia per la ong danese Drc in Colombia sia per la ong francese Humanity e Inclusion, che era in Venezuela dal 17 ottobre 2024, che il governo del Venezuela ha deciso di ridurre il personale delle ambasciate sia della Francia che dell’Italia, le recenti affermazioni del ministro degli interni Cabello offrono inquietanti chiavi interpretative”.
(da Agenzia d’informazione SIR)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DI UN VENEZUELANO CHE LAVORA ALL’HELICOIDE, IL CARCERE DI CARACAS
Sì è pregato anche ieri, durante le messe domenicali, così come era stato fatto nei giorni scorsi, al Lido di Venezia, per la liberazione del cooperante Alberto Trentini, 45 anni, da due mesi detenuto in Venezuela, e per sostenere la sua famiglia.
Il parroco di Sant’Antonio, don Renato Mazzuia, ha espresso in vari modi la sua vicinanza ai genitori del cooperante, di cui dal 13 dicembre non si sa nulla: nessun capo d’imputazione, nessuna possibilità d’incontro con l’ambasciatore, nessuna notizia sul luogo di detenzione. Giulia Palazzo, amica di lunga data di Alberto, ha promosso, attraverso Change,org, una petizione che ha raggiunto decine di migliaia di firme. L’appello è chiaro: “Assicurare ad Alberto assistenza consolare, legale e medica”, ma, soprattutto, “permettere contatti regolari con i suoi familiari e avvocati – spiega al Sir –. Siamo pronti a fare pressione mediatica per Alberto”.
Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, commenta al Sir: “Alberto Trentini, lavora per l’Ong francese Humanity e Inclusion, era in Venezuela dal 17 ottobre 2024, ed era conosciuto come un cooperatore esperto, faceva il suo lavoro senza occuparsi di faccende politiche. Secondo la Ong Foro Penal, oggi in Venezuela ci sarebbero 1.687 detenuti politici; di questi, 26 sarebbero stranieri e 31 sono cittadini venezuelani, ma anche con il passaporto di un’altra nazione”.
È in questo contesto che arriva, al Sir, la testimonianza di un venezuelano che chiede di mantenere segreta la sua identità, perché lavora all’Helicoide, l’enorme “piramide” che a Caracas ospita il maggiore carcere del Paese, tra cui i detenuti politici, ma anche la sede del Sebin il servizio di intelligence.
Non porta notizie certe, ma la sua conoscenza del “sistema” lo porta a formulare alcune ipotesi, tre in particolare. “Io non so dove stia ora – spiega –, ma conosco come funziona il sistema qui in Venezuela, faccio delle ipotesi. Prima di tutto dico che i cittadini stranieri arrestati vengono rispettati, godono di una posizione di riguardo, di tutela, sicuramente migliore di un cittadino venezuelano, ma questa situazione appare molto anomala e strana, perché ai cittadini stranieri detenuti viene sempre permessa la visita dell’ambasciata del loro Stato di provenienza. Il cittadino italiano potrebbe essere detenuto dal Directorio general de Contro-insurgencia militar (il controspionaggio militare, ndr) che ha l’obiettivo di combattere lo spionaggio interno ed esterno. Ha sede a Petare, nell’hinterland di Caracas, nello Stato di Miranda”.
Oppure, ed è questa la seconda ipotesi, “il cittadino italiano potrebbe essere detenuto nella sede dei servizi segreti, del Servicio bolivariano di inteligencia nacional (Sebin), nel sottoterra dell’Helicoide dove è molto difficile l’accesso dei familiari dei detenuti, le celle sono di massima sicurezza, non si vede la luce del sole”.
Infine, “il cittadino italiano potrebbe essere sotto la custodia delle squadre speciali del Faes e se fosse, ipoteticamente, in mano al Faes, allora di potrebbe complicare tutto, perché si tratta, di fatto, di forze paramilitari, anche si ufficialmente sono forze speciali di polizia, create nel 2016”.
La fonte confidenziale conclude affermando che “per difendere la sovranità nazionale, qualsiasi persona con cittadinanza straniera, sia un turista, un imprenditore o un operatore umanitario, se diffonde sulle reti sociali, come Facebook o Whatsapp, messaggi contro il Governo, viene considerato ‘sospechoso’, degno di sospetto, dall’apparato statale di sicurezza, che inizia a investigare sul cittadino straniero”.
(da Agenzia d’informazione SIR)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
È L’EFFETTO DELLA TRASFORMAZIONE DEL TAGLIO DEL CUNEO DA CONTRIBUTIVO A FISCALE… I SINDACATI: “È ROBIN HOOD AL CONTRARIO”
Beffa per i lavoratori poveri, con reddito tra 8.500 e 9 mila euro lordi all’anno.
Quest’anno perderanno 1.200 euro netti, in pratica addio all’ex bonus Renzi-Conte, per effetto della trasformazione del taglio del cuneo da contributivo a fiscale. I meccanismi di garanzia, inseriti dal governo Meloni nella sua terza manovra, non bastano. E chi si ritrova in questa fascia finisce per perdere due mensilità.
La denuncia arriva dalla Cgil. «La maggior parte dei redditi sotto i 35 mila euro perde qualcosa, ma tra 8.500 e 9 mila euro viene a mancare l’intero trattamento integrativo da 1.200 euro», dice Christian Ferrari, segretario confederale. «Un’ingiustizia intollerabile. Chiediamo al governo che si ponga immediatamente rimedio. Stiamo parlando di quasi due mesi di salario in meno per lavoratori e, soprattutto, lavoratrici poveri, che già vivono in una condizione di precarietà che il governo non solo non vede, ma contribuisce ad aggravare».
A conclusioni analoghe arriva pure uno studio del Caf Acli: «È il Robin Hood al contrario», visto che a guadagnare fino a mille euro in più sono solo i redditi sopra 35 mila euro. Quelli che l’anno scorso erano esclusi dal taglio del cuneo.
Dalla tabella, elaborata dal sindacato, si capisce cosa si inceppa in questo meccanismo. Prendiamo un reddito da 8.500 euro lordi. Mentre nel 2024 il taglio dei contributi agiva a monte aumentando di 549 euro l’imponibile fiscale, il nuovo bonus da 548 euro agisce invece a valle perché è esentasse. E dunque nel 2025 questo contribuente ha un imponibile fiscale più basso (scende da 8.268 a 7.719 euro). Di conseguenza la sua imposta lorda vale meno della detrazione (1.775 euro contro 1.880). Tecnicamente è diventato incapiente. E in quanto incapiente, per legge, non gli spetta l’ex bonus Renzi-Conte da 100 euro al mese, diventato un “trattamento integrativo” da 1.200 euro all’anno
La perdita secca
A perderci in modo così clamoroso sono i redditi più poveri, fino a 9 mila euro lordi. La perdita è pari a 1.200 euro netti fino a 8.700 euro di reddito annuo. Poi scende leggermente a 1.188 euro per i redditi da 8.800 euro, 1.165 euro per redditi da 8.900 euro e 1.142 euro per redditi da 9 mila euro.
C’è poi un altro aspetto che la Cgil torna a sottolineare. Il “nuovo” taglio del cuneo non agisce più sul reddito da lavoro dipendente, come fino all’anno scorso. Ma sul “reddito complessivo”. Al momento della dichiarazione dei redditi del prossimo anno saranno possibili conguagli. Quel taglio del cuneo potrebbe dunque essere restituito in tutto o in parte, perché al reddito da lavoro si sommeranno altri redditi: terreni e fabbricati, da pensione, da lavoro autonomo, redditi diversi. I conti si faranno davvero tra un anno e mezzo.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“PRESENTAVA UN PROFILO DI PERICOLOSITÀ SOCIALE”. DUNQUE UN SOGGETTO PERICOLOSO NON SI TIENE IN PRIGIONE NÉ SI PROCESSA, MA SI LIBERA E SI RIMPATRIA CON UN AEREO DI STATO?
«A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma, considerato che» il generale Almasri «era “a piede libero’” in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte penale internazionale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del Testo unico in materia di immigrazione».
Lo ha detto in question time al Senato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rispondendo ad una interrogazione del Pd. «Il provvedimento – ha aggiunto il ministro – è stato notificato all’interessato al momento della scarcerazione e, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale. Evidenzio che l’espulsione che la legge attribuisce al ministro dell’Interno e’ stata individuata quale misura in quel momento più appropriata, anche per la durata del divieto di reingresso, a salvaguardare la sicurezza dello Stato e la tutela dell’ordine pubblico che il Governo pone sempre al centro della sua azione».
«Giorgia Meloni deve venire a rispondere in Aula perché non è possibile che in questa pessima vicenda non ci fosse un coinvolgimento diretto di Palazzo Chigi», ha ribadito la segretaria Dem Elly Schlein sul caso Almasri conversando con i cronisti alla Camera. «La smetta di nascondersi dietro ai suoi ministri – ha aggiunto – e si prenda la responsabilità di venire a chiarire ciò che è accaduto e perché lei che aveva dichiarato guerra contro i trafficanti di esseri umani ha lasciato che ne fosse liberato uno in Italia e fosse rimandato direttamente in Libia su aereo italiano».
«Da Tajani parole sconsiderate contro la corte penale internazionale. Che un ministro degli esteri possa affermare che la Corte dell’Aja non è la bocca della verità evidenzia chi abbiamo al governo: dei bulli che non rispettano il diritto internazionale. Piantedosi, durante il question time in Senato, è stato surreale e imbarazzante: se Almasri era così pericoloso, perché è stato rimpatriato addirittura su aereo di Stato?N Piantedosi non prenda in giro gli italiani e le istituzioni», ha affermato Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato Avs.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
CRESCIUTO SOTTO L’ALA DI KARA, CAPO DELLA MILIZIA CHE CONTROLLA L’AEROPORTO E LE PRIGIONI DI TRIPOLI, HA COMBATTUTO CONTRO GHEDDAFI, ISIS E HAFTAR… ALL’ITALIA SERVE PER IL CONTROLLO DEI FLUSSI DEI MIGRANTI: SONO LE MILIZIE A OFFRIRSI (NON GRATIS) COME GARANTI DELLA SICUREZZA
Ci sono due momenti della storia libica post-Gheddafi che aiutano a inquadrare il
personaggio Osama Almasri Najeem, il suo peso in Libia, e anche per l’Italia. La prima è la battaglia di Sirte nel 2016, quando le milizie fedeli al Governo di unità nazionale, che controllava allora come oggi la parte occidentale del Paese, espugnano la capitale dell’Isis sul Mediterraneo, a 500 chilometri dalle coste italiane.
Tra quelle milizie, sorte nella guerra civile del 2011 contro il Colonnello, c’è anche la “Rada”, cioè “risposta”, nel senso di Forza di risposta rapida.
È una delle più potenti in Tripolitania, controlla l’unico aeroporto funzionante nella capitale, Mitiga. Ed è guidato da uno dei signori della guerra più spietati, Abdel Raouf Kara, padrone del quartiere Souk al-Jouma e protagonista dell’insurrezione contro il dittatore.
Lo stesso Kara che ieri è andato ad accogliere al suo ritorno Almasri, suo fedelissimo, tra il giubilo della folla.
È nell’estate del 2016 che si forgia il rapporto privilegiato tra Roma e la Rada, oltre che con altre milizie che controllano le coste da Misurata, a Est di Tripoli, fino a Zawija, a Ovest.
L’esercito italiano costruisce un ospedale militare nella stessa Misurata e si ritaglia uno spazio strategico in Tripolitania, mentre la Cirenaica scivola nelle mani di egiziani, emiratini e russi. La spaccatura diventa guerra aperta nel 2019.
Secondo episodio decisivo.
All’inizio di aprile il generale Khalifa Haftar, con mercenari sudanesi, droni dagli Emirati e consiglieri russi, lancia l’assalto a Tripoli, arriva alla periferia sud-orientale. Le milizie, in testa la Rada, mobilitano tutte le loro forze, ricevono blindati turchi, resistono. E anche questa volta l’Italia sta con il Governo di unità nazionale, allora guidato da Fayez al-Serraj.
La Libia è devastata, con due esecutivi, tre parlamenti, cento gruppi armati. La Cirenaica è controllata dalle milizie, una per ogni città costiera. I problemi di sicurezza sono enormi.
Su due fronti. Il controllo delle cellule dell’Isis, e delle centinaia di terroristi catturati a Sirte.
E i flussi dei migranti.
Sono le milizie a offrirsi come garanti della sicurezza. Ma non gratis. È il tempo degli accordi inconfessabili. Come quello con Abd al-Rahman Milad, da tutti conosciuto come Bidja, cugino di Mohammed Koshalaf, capo della brigata di Al-Nasr, ai vertici della cosiddetta Guardia costiera libica.
L’altro nodo strategico, ma più per il controllo dei movimenti dei jihadisti, è l’aeroporto di Mitiga.
E qui, sotto l’ala protettrice di Kara, è cresciuto Almasri. Almasri è il nome di battaglia, vale a dire “l’egiziano”, su quello vero c’è confusione, anche se sarebbe Osama al-Najeem. In ogni caso Almasri si è fatto le ossa prima contro i gheddafiani, poi l’Isis, infine i mercenari di Haftar. E ora Kara gli ha affidato il controllo delle prigioni.
In particolare, del famigerato centro di detenzione di Mitiga, a ridosso dello scalo, oltre a quello di Ain Zara. Dentro ci sono jihadisti dell’Isis ma anche oppositori politici, migranti, donne e minori.
Con il nuovo premier del Governo di unità nazionale, Abdul Hamid Dbeibah, Almasri ottiene un’investitura ufficiale, come capo della polizia investigativa. Ma in realtà, e l’abbraccio di Kara all’aeroporto lo dimostra, resta il luogotenente del suo signore della guerra, e i metodi non sono cambiati.
Un rapporto del 2018 redatto dallo Human Rights Office dell’Onu include la prigione di Mitiga tra i “lager”, con «2600 uomini, donne e bambini» ammassati in spazi ristretti e senza accesso ad avvocati o tribunali.
In questi centri, è la denuncia, «torture e altre violazioni dei diritti umani sono endemiche». Da qui nasce l’indagine della Corte penale internazionale, con accuse di stupri di guerra, violenze sessuali, un omicidio. I giudici specificano che «lui personalmente», o con l’aiuto dei suoi uomini, ha commesso gli abusi, in particolare su detenuti accusati di crimini religiosi, per essere atei o cristiani, o perché omosessuali.
Accuse che possono essere estese a gran parte degli uomini della milizia guidata da Kara, come gli stupri sistematici su donne migranti.
Kara è però anche la porta di accesso a Tripoli, con l’aeroporto nelle sue mani, la gestione dell’hotel Radisson, tappa obbligata per diplomatici, uomini d’affari, servizi occidentali.
Ha a disposizione quattromila combattenti, ben equipaggiati. Ed è uno degli azionisti di maggioranza del Governo di unità nazionale.
(da La Stampa)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
MELONI NON PUÒ PERMETTERSI DI ANDARE CONTRO MATTARELLA E TAJANI LA SPALLEGGIA… IL TESTO SARÀ MODIFICATO: SPARIRÀ LA NORMA SUL CARCERE PER LE MADRI CON FIGLI MINORI DI UN ANNO, QUELLA CHE TRASFORMA IN REATO LA PROTESTA NON VIOLENTA DEI DETENUTI, E I MIGRANTI POTRANNO AVERE UNA SIM PER IL CELLULARE SENZA MOSTRARE UN PERMESSO DI SOGGIORNO. UNA DISFATTA SU TUTTA LA LINEA PER IL LEADER DEL CARROCCIO
Si rende probabilmente conto, Giorgia Meloni, che tra le mani inizia ad avere troppe questioni di peso aperte. E l’apprensione aumenta se pensa a quei dossier sui quali il Quirinale ha posato lo sguardo: il ddl Sicurezza e l’elezione dei quattro giudici mancanti della Corte costituzionale.
La questione più pressante riguarda l’elezione dei giudici della Consulta. FdI ha il suo candidato, Francesco Saverio Marini, il consigliere giuridico della premier a Palazzo Chigi, mentre il Pd l’accademico dei Lincei, Massimo Luciani. Per la prima volta, anche Tajani mette sul tavolo il nome scelto da Forza Italia, premurandosi poi con gli alleati di mantenere il massimo riserbo. Tra le indiscrezioni serali, continua a circolare il nome di Valeria Mastroiacovo, tributarista e segretaria dell’Unione giuristi cattolici italiani.
Manca solo il quarto giudice, che negli accordi con le opposizioni deve essere un indipendente, non ascrivibile a nessuna forza politica. E qui il gioco si impantana. La rosa di tre nomi proposta dal Pd viene rispedita al mittente da Palazzo Chigi: chi non ha i requisiti, chi è troppo schierato.
Alla fine Meloni è costretta a congelare la partita. Annullata la seduta in Parlamento di questa mattina e rimandata di una settimana, al 30 gennaio. Un buco nell’acqua di cui centrodestra e centrosinistra si accusano vicendevolmente.
Anche il ddl Sicurezza avrà bisogno di tempo. La Lega chiedeva di fare in fretta e approvarlo definitivamente in Senato, senza apportare le correzioni chieste dal Quirinale. Per Meloni è impossibile: «Il testo va modificato».
Piuttosto, si supereranno le lentezze della commissione, ingolfata dagli emendamenti, e si andrà direttamente in Aula senza mandato al relatore. Una strategia, questa, per poter usufruire di alcune scorciatoie, come la “tagliola”, che il regolamento del Senato mette a disposizione della maggioranza per aggirare l’ostruzionismo.
Sparirà la norma sul carcere per le madri con figli minori di un anno, così come quella che trasforma in reato la protesta non violenta dei detenuti. I migranti poi potranno avere una sim per il cellulare senza dover mostrare un permesso di soggiorno, basterà un documento.
Tutto quello che Salvini non vuole. Anzi, fosse per lui, il testo verrebbe inasprito. E ci proverà, fa sapere ai suoi alleati. Ecco allora la prima doccia fredda di Meloni: la Lega potrà presentare tutti gli emendamenti che vuole, ma se non saranno previsti dall’accordo di maggioranza, non verranno approvati.
Salvini ingoia malvolentieri la decisione della premier e rilancia sul terzo mandato per i governatori: «Per noi è importante». Quasi un atto dovuto, visto il pressing che arriva dai governatori leghisti del Nord, ma il leader del Carroccio non riesce ad aprire una breccia. «Non se ne parla», gli rispondono, in estrema sintesi, Meloni e Tajani.
Sembra quasi una recita alla sua milionesima rappresentazione: Salvini pone il problema del terzo mandato, gli alleati alzano un muro. Il segretario della Lega può però mostrare tutto il suo risentimento per l’immagine offerta il giorno precedente alla Camera, quando durante la sua informativa sui ritardi dei treni, nonostante fosse sotto attacco delle opposizioni, ha trovato ai banchi del governo solo le sue truppe. Nessuno di FdI, né di FI. «Mi aspetto un sostegno maggiore», avrebbe fatto capire.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“GLI INTERESSI DELLA UE NON SONO ESPRESSI DA QUALCUNO MOLTO PIÙ VICINO IN TERMINI POLITICI A TRUMP DI ALTRI LEADER. MELONI CERCA ACCORDI PER L’TALIA? I TRATTATI MOSTRANO CHI HA LE RESPONSABILITÀ, CREDO SIA IMPORTANTE RISPETTARLI”
Teresa Ribera, ex vicepresidente del governo di Madrid, socialista, è la prima
vicepresidente della Commissione europea. Nelle sue mani, l’Antitrust e buona parte della vigilanza sui colossi digitali americani.
I leader del Big Tech chiedono a Donald Trump di spingere perché Bruxelles allenti regole o inchieste sui loro gruppi. Lei che farà?
«Siamo vincolati dalla legge a proteggere un piano di gioco equilibrato, mercati funzionanti e i consumatori contro eventuali abusi. Conta per i consumatori europei come americani. Vogliamo che i benefici siano disponibili a tutti. È importante essere in grado di impedire concentrazioni che possano diventare monopoli potenzialmente dannosi per consumatori e concorrenti. È un equilibrio delicato. Rispettare e far rispettare le regole non è contro nessuno. Non le applicheremo in modo diverso per alcuni. Abbiamo lavorato bene con l’Antitrust americana sin dai tempi del primo mandato di Trump. Aspettative diverse non hanno molto senso, al contrario».
All’inaugurazione di Trump, nessun invito ai rappresentanti dell’Unione europea. Ma c’era una lista di antieuropei…
«Sono una donna di pace e cooperazione. Credo che lo Stato di diritto, la diplomazia, la gentilezza, l’educazione contino. Tutti sono liberi di invitare chi vogliono a un evento di rilievo. È vero che siamo abituati a essere parte di questi riconoscimenti e credo sia un modo saggio e carino di rendere omaggio alle democrazie. Ma, ovvio, Trump ha diritto di invitare chi preferisce e non dovremmo farne chissà quale problema.
Semmai possiamo ricordare a tutti, incluso il popolo americano, che noi europei siamo i più impegnati nella difesa della libertà, dei diritti e della cooperazione in questo mondo così piccolo che richiede che tutti uniscano le forze. Saremmo più che felici nel rispondere a messaggi che ci invitano a lavorare insieme».
La Ue è il tempio del multilateralismo. Trump invece vuole lavorare solo da governo e governo…
«Può essere parte delle sue preferenze, ma ci sono anche argomenti solidi per difendere un ordine internazionale basato sulla cooperazione. Sono serviti decenni per garantire migliori possibilità di pace e prosperità, lavorando agli stessi tavoli con regole comuni. Certo che non è perfetto. Ma il mondo non è fatto di uno, due o tre Paesi. Sono più numerosi i Paesi che credono nella cooperazione, di quelli che preferiscono lavorare su accordi bilaterali che potrebbero riflettere solo la posizione del più forte».
Giorgia Meloni è stata invitata all’inaugurazione di Trump. Parla a nome della Ue o cerca accordi per l’Italia?
«I Trattati mostrano chi ha le responsabilità, credo sia importante rispettarli per restare uniti. Poi ci sono le famiglie politiche, dunque un leader può sentirsi più a suo agio con un altro della sua stessa famiglia. Ma certo la voce e gli interessi della Ue non sono espressi da qualcuno che pure è piuttosto rispettato e probabilmente molto più vicino in termini politici a Trump di altri leader. Anche le procedure contano per la legittimità, altrimenti rischiamo di minare le nostre capacità e il nostro sistema».
Dunque per la Ue a livello di leader parlano solo Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio António Costa?
«Parleranno se l’altro, dall’altra parte, vuole parlare. Ma sì, sono loro. E l’Alto rappresentante per la politica estera per le sue questioni».
(da Corriere della Sera)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
MIGLIAIA DI MILIZIANI DI HAMAS RIPRENDONO LA STRISCIA, SPUNTA PURE UN COMANDANTE “ELIMINATO”… CON L’ODIO CHE ISRAELE HA FOMENTATO, NORMALE CHE I 20.000 MILIZIANI UCCISI VENGANO RIMPIAZZATI
Dopo 470 giorni di guerra, sono bastate 24 ore di tregua a Hamas per riprendersi la Striscia di Gaza. O per lo meno far mostra di essere pienamente in grado di poterlo fare. La dolorosa ammissione rimbalza in queste ore sui media israeliani.
Con accenti diversi, ma lo stesso tormento: com’è stato possibile? «Nonappena è stato annunciato il cessate il fuoco, sono spuntati agenti di polizia in uniforme blu lungo diverse delle principali strade della Striscia. Poco dopo, a loro si sono uniti convogli di forza dell’ala militare di Hamas», ricostruisce su Haaretz un osservatore esperto come Jack Khoury. Domenica, al momento di liberare le prime tre donne ostaggio secondo la roadmap dell’accordo, Hamas ha messo in scena il suo spettacolo di potere e controllo su Gaza in mondovisione.
Una scenografia ben studiata, con orde di miliziani mascherati, armati fino ai denti e con le tipiche bande verdi. Attorno una folla urlante contro le tre israeliane.
Qualcuno – tra cui Eran Lerman su queste colonne – ha poi fatto notare che quella folla non era poi così consistente, e che tra i palestinesi di Gaza crescerebbe il risentimento contro i terroristi per aver provocato la distruzione della Striscia. Resta il dato del riemergere prepotente di Hamas, con i relativi mal di testa. Lunedì, nel primo giorno di «consolidamento» del cessate il fuoco, la presenza dei miliziani e degli agenti di polizia del movimento era ulteriormente incrementata, ricorda ancora Khoury: riemersi, probabilmente dai tunnel, come se nulla fosse accaduto per 15 mesi.
Come Hamas è risorta dalle macerie (e dai tunnel)
«Non sono messi affatto male. È terribile per noi doverlo riconoscere perché volevamo vederli colpiti, a terra, smantellati», ha detto alla radio israeliana Michael Milshtein, esperto del Dayan Center della Tel Aviv University, come riporta il Jerusalem Post.
E invece «ieri il sistema educativo di Gaza ha annunciato che le scuole riapriranno presto, anche se l’85% di esse non esiste più. E 6mila agenti di polizia di Hamas sono stati dispiegati lungo la Striscia, rendendo chiaro a tutti chi ora è in controllo e come ci sia ben poco da parlare di “era post-guerra”», prosegue Milshtein.
Certo il movimento è stato colpito duramente durante i 15 mesi di guerra: secondo Israele sarebbero circa 20mila i suoi miliziani eliminati, compresi i capi Yahya Sinwar e Mohammed Deif. Ma Hamas ha dimostrato una capacità sorprendente di attrarre e reclutare i necessari “rimpiazzi”: 4mila nuovi adepti solo nell’ultima manciata di mesi, secondo stime Usa riferite dall’ormai ex segretario di Stato Antony Blinken nel suo ultimo discorso su Gaza. Senza contare chi, rifugiato nei tunnel o chissà dove altro, è sopravvissuto agli assalti israeliani ed è rispuntato fuori dopo lo stop ai combattimenti come nulla fosse. Compreso un comandante di primo rango che Israele era convinta di aver eliminato.
I tormenti di Israele
L’esercito aveva annunciato di aver eliminato Hussein Fayad, comandante del battaglione di Hamas di Beit Hanoun, lo scorso maggio. Ma ieri sarebbe ricomparso vivo e vegeto in superficie. Sarebbe proprio lui il protagonista di un video rimbalzato su social e media arabi in cui si vede un uomo arringare una piccola folla ad un funerale nella Striscia: «Quando il forte non raggiunge i suoi obiettivi, vuol dire che ha perso. E il debole, che ha impedito al forte di raggiungere i suoi obiettivi è il vincitore. Queste sono le regole militari», dice il presunto Fayad nel video. Una sberla a Israele. Le macerie di Gaza, in quest’ottica, non fanno che servire la cinica agenda di Hamas, che fa breccia presso molti dei palestinesi stessi. «Nella loro conta, 50mila morti e la distruzione della Striscia sono il prezzo giustificato per il danno provocato a Israele e per il loro orgoglio nazionale. Questa è la loro narrazione», ricorda ancora l’esperto della Tel Aviv University.
Dunque Israele cos’avrebbe dovuto fare? Proseguire ad oltranza con la guerra? No, riconosce lo stesso Milshtein, quella strategia si è dimostrata fallimentare. Non avrebbe mai potuto condurre alla distruzione di Hamas. Quindi? «Nell’immediato dobbiamo investire nella liberazione degli ostaggi.
Al contempo, dobbiamo iniziare a preparare un piano di lungo termine, non di pochi giorni, per smantellare completamente Hamas». Senza escludere l’idea che per farlo serva «la conquista di tutta Gaza».
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
REPORT ANNUNCIA RIVELAZIONI SU CHI C’E’ DIETRO WIP FINANCE, LA SOCIETA’ ANONIMA SVIZZERA A CUI SANTANCHE’ HA VENDUTO VISIBILIA
Chi c’è dietro Wip Finance, la misteriosa società anonima svizzera a cui Daniela
Santanchè ha venduto Visibilia qualche settimana fa?
Report ha scoperto l’identità dei soggetti che, pochi mesi prima dell’accordo chiuso con la ministra del turismo, hanno rimesso in piedi in tutta fretta la finanziaria elvetica.
Si tratta di rivelazioni che allungano ombre sospette su tutta l’operazione: sullo sfondo c’è infatti una storia di un’evasione Iva da 40 milioni di euro, 98 società fantasma e soldi che da anni arrivano dalla Svizzera in Italia per fondare aziende che poi restano inattive.
Giorgio Mottola è riuscito a intervistare l’uomo chiave di Wip Finance, con cui Daniela Santanchè ha trattato la vendita di Visibilia: Altair D’Arcangelo, imprenditore con un passato e un presente molto controversi.
Indagato per associazione a delinquere, evasione fiscale, frode, riciclaggio e autoriciclaggio.
Ne parlerà Report domenica alle 20.30 su Rai3
(da agenzie)
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