Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
HA DIFESO MAFIOSI, MA NON RISULTA CHE PER UN AVVOCATO SIA UN REATO, O QUALCUNO VUOLE SCREDITARLO? PERCHE’ MELONI NON DICE CHE HA ASSISTITO I FAMILIARI DI TANTI POLIZIOTTI VITTIME DELLE BR E LA FAMIGLIA DEL COMISSARIO CALABRESI?
“Adesso su questa vicenda mi aspetto chiarezza, quello che non c’è stato finora”. Dopo
l’avviso di garanzia alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per il caso Almasri, parla l’avvocato Luigi Li Gotti. Il legale ha presentato l’esposto alla procura di Roma che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati della premier Meloni, dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano.
“Nel mio esposto ho ipotizzato i reati di favoreggiamento e peculato, ma ora sarà la magistratura a indagare e fare accertamenti”, dice Li Gotti all’Adnkronos. “L’iscrizione è un atto dovuto per legge, la procura non ha potuto iscrivere contro ignoti perché la denuncia è nominativa, ma è un atto consequenziale, scontato”, aggiunge Li Gotti.
Chi è Li Gotti
L’avvocato e politico crotonese 78enne, noto tra l’altro per essere stato difensore di diversi pentiti tra i quali Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo, nel documento chiede “che vengano svolte indagini sulle decisioni adottate e favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia”.
Sono molti i processi di primo piano da lui seguiti negli anni. Avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, Li Gotti ha anche assistito i familiari di due uomini della scorta di Aldo Moro, il maresciallo Oreste Leonardi e l’appuntato Domenico Ricci, assassinati dalle Br nella strage di via Fani del 16 marzo 1978. Ha inoltre rappresentato la famiglia del commissario Luigi Calabresi in un lungo iter processuale. Il legale ha partecipato anche al processo per i fatti della Diaz a Genova e ai processi di strage di Capaci, via D’Amelio e degli Uffizi. Più recentemente, ha assistito i familiari delle vittime del naufragio di Cutro, in Calabria.
Li Gotti ha ricoperto anche diversi incarichi politici. Dopo una militanza a destra che lo ha portato negli anni ’70 in consiglio comunale a Crotone nel Msi, nel 2002 è entrato nell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, assumendo l’incarico di responsabile del Dipartimento Giustizia. Dal 18 maggio del 2006 alla caduta del secondo governo Prodi è stato sottosegretario alla Giustizia. Alle elezioni politiche del 2008 è stato eletto senatore nelle file dell’Italia dei Valori in Emilia-Romagna.
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
ALLA FINE DI QUESTO PERIODO LE STRADE SONO SOLO DUE: LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE (INAPPELLABILE) E L’INVIO ALLA PROCURA PERCHÉ CHIEDA ALLE CAMERE L’AUTORIZZAZIONE AI PROCEDERE…GIORGIA MELONI STAREBBE VALUTANDO L’IPOTESI DI RIFERIRE DOMANI IN PARLAMENTO. MA È UN PASSAGGIO DELICATO ANCHE DAL PUNTO DI VISTA GIUDIZIARIO
Il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, ha scelto di iscrivere la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in relazione al caso del trafficante di migranti Almasri, decidendo al contempo di muoversi con tempistiche molto rapide.
E, allo stesso tempo, ha preso una strada che evita ogni valutazione preliminare, che invece era in suo potere fare. Tutto parte, come ha spiegato la stessa premier nel video diffuso oggi pomeriggio, dalla denuncia presentata alla procura di Roma, dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex esponente del Msi, poi in An e quindi nel partito di Di Pietro e sottosegretario nel governo Prodi.
Le accuse sono di favoreggiamento, per aver lasciato andare il militare ricercato, e di peculato per averlo rimpatriato con un aereo della presidenza del Consiglio, il 21 gennaio.
Una volta ricevuta la denuncia, la procura di Roma aveva quindici giorni di tempo per inviare gli atti al tribunale dei ministri. Avrebbe però potuto fare una prima valutazione informale, senza atti di indagine ma con “accertamenti preliminari” e inviare il fascicolo chiedendo contestualmente l’archiviazione.
Lo Voi ha invece scelto di lasciare aperta ogni ipotesi. Starà ora al tribunale dei ministri valutare la situazione e decidere il da farsi: ha novanta giorni di tempo per fare le indagini. Alla fine di questo periodo le strade sono solo due: la richiesta di archiviazione, non impugnabile (è invece impugnabile per i reati non ministeriali) e l’invio alla procura perché chieda alle Camere l’autorizzazione ai procedere.
Giusto domani, 28 gennaio, i ministri Nordio e Piantedosi erano attesi prima alla Camera e poi al Senato per riferire sul caso Almasri. Dopo la dichiarazione affidata ai social e anche per mantenere una linea unitaria di tutto il governo, Meloni starebbe valutando di essere lei a prendere la parola in parlamento. Ma è un passaggio delicato, a questo punto, anche dal punto di vista giudiziario.
(da Open)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
IN CRESCITA I PROOGRESSISTI DI “AREA” E DI “MAGISTRATURA DEMOCRATICA”…BOOM DELL’AFFLUENZA GRAZIE ALLA BATTAGLIA CONTRO LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE
La battaglia contro la separazione delle carriere non solo compatta le correnti, ma
galvanizza le urne. Elezioni chiuse all’Anm e il responso è quello previsto. Del sindacato delle toghe del dopo-Santalucia vince Magistratura indipendente.
La corrente di centrodestra dei magistrati sale sul podio con 2065 voti. È seguita da Area, la componente progressista con 1803 preferenze, terza la lista di Unicost, i centristi di Unità per la Costituzione, con 1560. Il più votato è Giuseppe Tango di Mi, con circa 700 voti.
Arriva quarta la sinistra di Magistratura democratica, Md, con 1081, infine la lista di Articolo 101, gli outsider del dibattito interno, che si attestano comunque a quota 304.
Ma forse la notizia è nell’affluenza molto più importante di quattro anni fa: 6855 votanti, l’81 per cento, segno della partecipazione suscitata dalle settimane incandescenti della battaglia contro la riforma targata Nordio.
E, più di tutto, spicca un dato, la crescita di entrambe le componenti di sinistra: sia Area, sia Md, quest’ultima costantemente finita nel mirino delle polemiche della destra di governo, negli ultimi mesi, con un’escalation di toni assai poco istituzionali rivolti in particolare a pm e giudici appartenenti a quell’ambito politico-culturale. Basti ricordare gli attacchi contro Silvia Albano, giudice della sezione migranti e presidente nazionale di Md e Stefano Musolino, procuratore aggiunto a Reggio Calabria e aderente alla stessa corrente.
Ebbene, “per Md è stato un exploit”, è il primo commento a caldo Albano a Repubblica, “il segno di una continuità e coerenza nella tutela della giurisdizione”.
A Magistratura Indipendente, dunque, andranno 11 seggi nel ‘parlamentino’ delle toghe, mentre ad Area ne saranno assegnati 9, otto seggi per Unicost, 6 per MD, e 2 per Articolo 101 (che hanno ottenuto 304 voti). I 36 rappresentanti del direttivo eletti oggi rimarranno in carica 4 anni e, dopo il loro insediamento, saranno chiamati a nominare i nuovi vertici dell’Anm, in una riunione che dovrebbe essere convocata per l’8 febbraio prossimo.
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
FAVOREGGIAMENTO E PECULATO I REATI CONTESTATI… INDAGATI ANCHE NORDIO, PIANTEDOSI E MANTOVANO
Giorgia Meloni è indagata per favoreggiamento personale e peculato, a seguito della vicenda del generale libico Almasri. L’uomo, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, era stato arrestato dalle autorità italiane il 19 gennaio ma poi liberato il 21 e, per decisione del governo, rimpatriato subito in Libia su un volo di Stato.
L’indagine della Procura di Roma notificata oggi coinvolge oltre alla premier anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario con delega ai servizi segreti Alfredo Mantovano, per gli stessi reati. Si tratta delle tre figure che nel governo hanno dovuto gestire direttamente il caso Almasri: Nordio in quanto competente per i rapporti con la Corte penale internazionale e per l’arresto del libico, Piantedosi perché responsabile dell’espulsione e rimpatrio, e Mantovano perché il volo che ha riportato il generale in Libia era dei servizi.
Il fascicolo ora è stato trasmesso al Tribunale dei ministri. Entro 90 giorni, questo dovrà decidere se rinviare il caso alla Procura e chiedere al Parlamento l’autorizzazione ad andare a processo, oppure se archiviare la vicenda.
La prima accusa è di favoreggiamento personale. In questo caso, l’articolo 378 del Codice penale afferma che “chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione (…) aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Insomma, l’ipotesi della Procura di Roma è che Meloni, con gli altri esponenti, del suo governo, abbia letteralmente aiutato Almasri a fuggire dalle indagini della Corte penale internazionale.
Il secondo reato di cui la premier e gli altri sono accusati è di peculato. Si tratta di un illecito che riguarda in particolare i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio, previsto dall’articolo 314 del Codice penale. Se uno di loro, “avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi”. In questo caso bisognerà aspettare eventuali chiarimenti dalla Procura, ma la cosa più probabile sembra essere che l’accusa riguardi l’utilizzo di un volo di Stato per portare immediatamente Almasri in Libia dopo la sua scarcerazione.
Cosa rischia Meloni e cosa succede ora
Sulla carta, il favoreggiamento penale è punti con il carcere fino a quattro anni e il peculato fino a dieci anni e sei mesi. Nel complesso, quindi, lo scenario a cui vanno incontro Meloni e i suoi ministri sarebbe quello di fino a quattordici anni di carcere, con un minimo di quattro nel caso del peculato. Al momento, però, è necessario ricordare che le indagini sono nella primissima fase.
Lo ha sottolineato Luigi Li Gotti, l’avvocato che ha depositato la denuncia da cui gli inquirenti della Procura di Roma sono partiti per le indagini: “Io ho fatto una denuncia ipotizzando dei reati e ora come atto dovuto, non è certo un fatto anomalo, la Procura di Roma ha iscritto nel registro la premier e i ministri”. Insomma, visto che si sono aperte delle indagini, Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano sono stati iscritti nel registro degli indagati perché questo prevede la prassi.
“Ora la Procura dovrà fare le sue valutazioni e decidere come proseguire, se individuare altre fattispecie o inviare tutto al Tribunale dei ministri”, ha chiarito Li Gotti ad Ansa. E infatti, nell’avviso di garanzia si legge che “gli atti sono stati inoltrati” proprio al Tribunale dei ministri. Sarà questo a procedere con le indagini preliminari, e decidere entro 90 giorni (quindi entro fine aprile) se archiviare il caso o trasmettere nuovamente gli atti alla Procura per chiedere al Parlamento l’autorizzazione a procedere. Così avvenne per Matteo Salvini nel caso Open Arms, quando il Senato votò per mandarlo a processo.
Ricapitolando, al momento risulta che Giorgia Meloni, con i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, siano accusati di favoreggiamento e peculato. Ma questa è solo la fase iniziale della procedura. Nelle prossime settimane il Tribunale dei ministri si occuperà di fare propri accertamenti, e prima di maggio si saprà se la palla passerà al Parlamento o se l’intero fascicolo sarà archiviato.
(da Fanpage)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
QUATTRO SONO MINORENNI E UN ADULTO HA PROBLEMI DI SALUTE, NON SE NE ERANO ACCORTI… : ALTRO VIAGGIO A SPESE DEGLI ITALIANI
A Shengjin, in Albania, è in corso lo screening dei 49 migranti sbarcati dalla nave della
Marina militare Cassiopea. In un primo momento si pensava che solo uno di loro avesse condizioni di salute non compatibili con il trattenimento e potesse essere così trasferito in Italia. Il numero sarebbe però salito a cinque: si tratta di quattro minorenni e un adulto vulnerabile, che saranno trasferiti quindi in Italia questa sera. La valutazione sull’adulto è stata possibile grazie al monitoraggio svolto dall’Unhcr.
Il pattugliatore Cassiopea della Marina Militare italiana che trasporta i 49 migranti salvati nel weekend in acque internazionali a sud di Lampedusa, è arrivato questa mattina al porto di Shengjin. Anche nelle precedenti due occasioni – a ottobre e novembre – per alcuni dei migranti portati in Albania erano emerse delle vulnerabilità, che avevano determinato il rientro in Italia.
La nave, secondo quanto risulta, è entrata questa mattina nel porto alle ore 07.30. A bordo si trovano i richiedenti asilo, provenienti principalmente da Egitto, Bangladesh, Costa d’Avorio e Gambia. I migranti saranno trasferiti in centri speciali per verifiche sanitarie e accertamenti. La prima tappa infatti, sarà quella dello screening sanitario all’interno dell’hotspot italiano allestito nel porto albanese.
Se verranno riscontrate condizioni di vulnerabilità, scatterà il trasferimento in Italia per i soggetti individuati, come è avvenuto in qualche caso nei due precedenti trasferimenti in Albania, in ottobre e novembre scorsi. Per i non vulnerabili invece, saranno avviate le operazioni di identificazione. Questi saranno sottoposti alle procedure accelerate di frontiera previste per chi proviene da Paesi sicuri e non ha consegnato documenti di identità.
Cosa succede ora: la Corte d’appello di Roma deciderà sui trattenimenti
In attesa della sentenza della Corte di giustizia europea, che il 25 febbraio scioglierà – è l’auspicio – tutti i nodi, Palazzo Chigi ha deciso di ripartire.
E questo anche seguito del pronunciamento della Cassazione, che nell’interpretazione della maggioranza aveva dato ragione all’esecutivo riconoscendo la competenza esclusiva della valutazione dei Paesi sicuri ai ministri. Lo ricordiamo, la Corte ha comunque precisato che i giudici hanno il potere di verificare la legittimità del decreto, se questo contrasta con la normativa europea vigente.
Nel frattempo, il governo è ricorso a diversi interventi, tra cui la decisione di sottrarre la competenza sui trattenimenti alle sezioni Immigrazioni dei tribunali per assegnarle alle Corti d’appello attraverso un apposito decreto. Nelle prossime ore quindi i giudici dovranno esprimersi sulle procedure, ma al momento non si può prevedere se convalideranno o meno i trattenimenti.
(da Fanpage)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
REVOCATO L’AFFIDAMENTO AI SERVIZI SOCIALI: TRA LE VIOLAZIONI CONTESTATE, LA FREQUENTAZIONE DI PERSONE CON PRECEDENTI PENALI, COME L’EX AVVOCATO PAOLO COLOSIMO, E LA PARTECIPAZIONE A INCONTRI POLITICI NON AUTORIZZATI, ACCOMPAGNATI DA DOCUMENTAZIONE FALSA PER GIUSTIFICARSI
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, dovrà scontare un anno e dieci mesi di pena in carcere. Il Tribunale di Sorveglianza ha infatti depositato questa mattina un’ordinanza con cui revoca in via definitiva l’affidamento in prova ai servizi sociali, a seguito delle violazioni delle prescrizioni imposte dalla misura alternativa.
L’ex primo cittadino era stato arrestato il 31 dicembre 2024 per aver trasgredito alle regole dell’affidamento. Tra le violazioni, la frequentazione di persone con precedenti penali, come l’ex avvocato Paolo Colosimo, e la partecipazione a incontri politici non autorizzati, accompagnati da documentazione falsa per giustificarsi. Queste irregolarità sono emerse nel corso di un’indagine per riciclaggio, nella quale Alemanno risulta coinvolto.
La condanna per traffico di influenze illecite prevedeva inizialmente l’affidamento ai servizi sociali presso la comunità So.Spe di Suor Paola. Tuttavia, le ripetute trasgressioni delle condizioni imposte hanno spinto il Tribunale di Sorveglianza a intervenire con questa ordinanza, disponendo il carcere come unica soluzione.
Nel corso di un’udienza recente, Alemanno ha ammesso gli errori, attribuendoli alla sua dedizione alla politica. Nonostante le dichiarazioni, il Tribunale ha giudicato le sue violazioni incompatibili con l’affidamento in prova
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
L’ONDATA DI MIGRANTI DI QUESTI GIORNI E’ UN SEGNALE INVIATO DAI CRIMINALI DEL GOVERNO LIBICO… E SI SCOPRE CHE UN MIGRANTE DEPORTATO IN ALBANIA CI COSTA 340 EURO AL GIORNO, NOVE VOLTE DI PIU’ CHE SE VENISSE ACCOLTO IN ITALIA
Duemilaseicento nell’ultima settimana, 1.400 solo nel weekend proprio nei giorni in
cui il pattugliatore Cassiopea stazionava appena fuori dalle acque territoriali italiane sulla rotta dalla Libia alla Lampedusa. Gennaio non è ancora finito e gli sbarchi di migranti hanno già superato quota 3.000, un’impennata inattesa che ha fatto scattare l’allerta al Viminale.
Soprattutto perché l’improvviso +135% negli sbarchi arriva d’inverno e dopo un 2024 che ha fatto segnare un consolidato — 58%, medaglia al petto del governo Meloni sempre più convinto dell’efficacia della sua strategia a due punte: i patti con Libia e Tunisia e l’apertura dei centri in Albania.
E però i tremila migranti approdati a gennaio sono partiti tutti dalla Libia, mentre dalla Tunisia gli sbarchi sono quasi azzerati. Ed è difficile spiegarlo solo con il bel tempo. È la dimostrazione, coincisa con il caso del comandante libico Almasri arrestato e subito liberato, di quanto l’Italia sia ricattabile da parte della Libia da sempre in grado di aprire e chiudere i rubinetti dei flussi migratori?
Di più: il terzo viaggio verso l’hotspot di Shenjin, dove la Cassiopea approda stamattina con 49 migranti a bordo, è la dimostrazione plastica di quanto il protocollo Albania sia solo una costosissima operazione di facciata del tutto irrilevante rispetto alla consistenza dei flussi migratori verso l’Italia. E questo indipendentemente dalle decisioni dei giudici.
I numeri dell’ultimo viaggio sono eloquenti: il 24 e 25 maggio, giorni in cui la Cassiopea stazionava di fronte a Lampedusa, sono stati ben 945 i migranti intercettati dalle motovedette di guardia costiera e guardia di finanza. Di questi, poco meno della metà (421) sembravano avere le caratteristiche richieste per essere sottoposti alle procedure accelerate di frontiera, ma alla fine dello screening solo 49 sono rimasti a bordo della Cassiopea, gli altri 896 sono stati portati a Lampedusa.
Il 5 %, tanto — alla fine — incide il protocollo Albania sugli sbarchi dei migranti in Italia. Una percentuale irrisoria dall’effetto deterrenza praticamente nullo ma capace di moltiplicare i costi già abnormi.
«Se anche andasse tutto come vorrebbe il governo — calcola Matteo Villa, direttore del Data-Lab dell’Ispi — e dunque a centri a capienza piena per tutto l’anno spenderemmo 340 euro al giorno per migrante, oltre nove volte di quello che costa l’accoglienza in Italia, per ottenere un effetto dissuasivo nullo. E questo a prescindere dal diritto».
Già questa mattina, allo sbarco, si vedrà se tutti e 49 i migranti sbarcati, provenienti da Bangladesh, Egitto, Costa d’Avorio e Gambia passeranno lo screening o se qualcuno di loro verrà dichiarato soggetto fragile o minore e rispedito subito in Italia. A monitorare questo primo passaggio, in assenza degli operatori specializzati Oim (che non ha rinnovato in tempo la convenzione con il Viminale), arriverà una delegazione di parlamentari dell’opposizione e del Tavolo asilo e immigrazione.
A decidere, per la prima volta, saranno sei giudici della Corte d’appello a cui il governo ha passato la competenza togliendola alle sezioni immigrazione, ma a valutare saranno alcuni degli stessi giudici che si sono espressi in passato. E difficilmente, in assenza del verdetto della Corte di giustizia europea sulla lista dei Paesi sicuri atteso per il 25 febbraio, arriveranno a una decisione diversa.
(da La Repubblica)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
TUTTE LE GIRAVOLTE DI GIORGIA MELONI: INSULTAVA L’ARABIA CON CUI ORA SIGLA ACCORDI, DICEVA NO A URSULA E GRIDAVA CONTRO LE “FOLLI SANZIONI” ALLA RUSSIA
O Giorgia Meloni cambia spesso idea oppure, ora che è al governo si morde parecchio la lingua.
Nei lunghi anni di opposizione, la leader di FdI criticava leader con cui ora va a braccetto, chiedeva dimissioni a raffica per casi analoghi (se non meno gravi) a quello di Daniela Santanchè, prometteva misure che oggi sono ancora un miraggio. Breve rassegna, per forza di cose incompleta, delle giravolte meloniane.
Bin Salman.
Meloni oggi sostiene che “l’Italia e l’Arabia saudita sono due Nazioni che hanno interesse a stringere accordi strategici”. Il principio però valeva anche prima, quando Meloni gridava contro Bin Salman e l’Arabia. Nel 2019: “Scandalosa la decisione per la partita Juve-Milan in Arabia Saudita. La Federcalcio blocchi subito questa vergogna assoluta e porti la Supercoppa Italiana in una Nazione che non discrimina le donne e i nostri valori!”. E ancora: “In Arabia Saudita c’è la pena di morte per apostasia, per adulterio, per omosessualità e zero diritti per le donne. È una Nazione fondamentalista, e noi vogliamo permettere che finanzino i nostri luoghi culturali? Follia! Per me possono metterci i miliardi, non passano ” Nel 2021: “FdI è da sempre l’unica forza politica a denunciare i metodi usati da Stati fondamentalisti come l’Arabia Saudita”.
Dimissioni.
Oggi Meloni non caccia Santanchè. In passato ha chiesto dimissioni un po’ per qualunque ministro di qualunque governo non di centrodestra, sia per motivi politici che giudiziari. Nel 2013: “Sono certa della buona fede della Idem ma le dimissioni sarebbero auspicabili. Serve atto di responsabilità: politica deve dare l’esempio”. Sempre nel 2013: “Cancellieri non aspetti la conta in Parlamento, si dimetta”. Nel 2016: “La ministra Guidi si è dimessa. Boschi cosa aspetta?”. Nel 2022: “I numeri degli sbarchi certificano il fallimento di Lamorgese. Basta tentennamenti: si dimetta”.
Trivelle.
Nell’aprile 2016 Meloni faceva campagna per il referendum contro le trivelle (abrogava una legge che estendeva alcune concessioni per l’estrazione fino all’esaurimento della vita utile dei giacimenti): “Non andare a votare, come invita a fare Renzi, sarebbe un aiuto ad alcune grandi lobby che sono legate a questo governo”. Nel 2022, il decreto Aiuti ter ha esteso le concessioni per le trivellazioni nel Mar Adriatico anche a partire dalle 9 miglia dalla costa.
Accise.
Memorabile un video in cui, nel 2019, Meloni andava dal benzinaio lamentandosi delle accise e promettendo di tagliarle. Nel 2022 ribadiva: “Costi diventati insostenibili per i cittadini: il governo riduca subito accise e iva e colpisca chi specula sul caro benzina”. Non risultano, finora, abolizioni di accise. Anzi, la destra ha dato l’ok all’aumento del prezzo del gasolio.
Superbonus.
Negli anni, FdI ha presentato diversi emendamenti per correggere il Superbonus. Durante il governo Draghi però i toni non erano certo catastrofici. In campagna elettorale, Meloni diceva: “Pronti a tutelare i diritti del superbonus e a migliorare le agevolazioni edilizie. Sempre dalla parte delle imprese e dei cittadini onesti che si danno da fare per far crescere e migliorare l’Italia”. Oggi il Superbonus è “una misura irresponsabile”, “la più grande truffa ai danni dello Stato”.
Sanzioni.
Nel 2015: “Le sanzioni alla Russia sono inutili e masochiste. Nel 2018: “Le sanzioni sono una follia per le nostre imprese”. Maggio 2023: “L’Italia continuerà a sostenere un’applicazione rigorosa delle sanzioni che sono uno dei principali strumenti nei confronti dell’aggressore”.
Migranti.
A marzo 2023, Meloni prometteva che avrebbe dato la caccia ai trafficanti di migranti “in tutto il globo terracqueo”. A gennaio 2025, viene riconsegnato alla Libia il comandante libico Almasri, torturatore di migranti.
Cina.
Nel 2019 Meloni chiedeva dazi Ue nei confronti della Cina: “Vogliamo chiedere l’introduzione di dazi per le merci di quelle Nazioni che non rispettano gli stessi standard delle nostre regole. Basta con l’invasione delle merci tarocche dalla Cina”. Negli stessi mesi criticava la Via della Seta siglata tra il governo Conte e Xi Jinping, accordi poi cancellati dal governo Meloni. Il quale però, pochi mesi più tardi, ha siglato nuove intese commerciali con Pechino.
Ursula.
Nel 2020: “Sono indignata perché Von der Leyen è stata eletta alla guida della commissione Ue con i voti decisivi dei 5 Stelle”. Nel 2024: “Tutti sanno, in Italia e all’estero, che se c’è una che non ha mai governato e non governerà mai con la sinistra si chiama Giorgia Meloni.” A novembre FdI ha invece dato il via libera alla nuova commissione Von der Leyen, insieme ai socialisti.
Ucraina.
Qui la giravolta è solo privata. In pubblico, Meloni ha tenuto sempre la stessa linea: “L’unica possibilità di favorire un negoziato è che ci sia un equilibrio tra le forze in campo”. Essendo la Russia una potenza nucleare, va da sé quale sia l’equilibrio. Sempre nel 2022, rivolta ai 5S: “Cosa intendete per ‘avviare negoziati’? L’Ucraina deve arrendersi per ottenere la pace? O convincete voi i russi a ritirarsi dall’Ucraina offrendogli il reddito di cittadinanza?”. Poi, nel 2023, due comici russi si spacciano per diplomatici africani e la registrano mentre parla al telefono: “La controffensiva dell’Ucraina non sta andando come ci si aspettava”, “la guerra potrebbe durare anni”, “c’è stanchezza da tutte le parti”, “serve una via d’uscita accettabile per entrambe le parti, ma aspetto il momento giusto”.
Rendite catastali.
A ottobre 2024, quando si diffonde la notizia di una revisione delle rendite catastali per le case che hanno usufruito dei bonus, Meloni nega: “Leggo in queste ore dichiarazioni fantasiose secondo cui il governo vorrebbe aumentare le tasse che gravano sui cittadini: è falso”. Un tweet forse abbastanza generico per scaricare il lavoro sporco sul ministro Giorgetti e poi, qualche giorno dopo, allargare le braccia: “è una misura giusta, il valore è aumentato grazie ai soldi di tutti gli italiani”.
Extra-profitti.
Agosto 2023: “Il sistema bancario si comporti in modo corretto. Le banche hanno registrato utili record, agiamo sui margini ingiusti”. La tassa finirà pressoché nel nulla, con un accordone mediato da Forza Italia per il quale le banche possono non pagare, purché utilizzino quei soldi per ricapitalizzare. Un anno più tardi il governo sbandiera una nuovo contributo chiesto alle banche, ma non è altro che l’anticipo di alcune tasse.
Regioni.
Il governo Meloni è quello che ha approvato l’autonomia differenziata del ministro Calderoli. Strano per chi, come la premier, nel 2014 voleva abolire le Regioni: “Vogliamo intestarci la battaglia per l’abolizione delle Regioni. Il regionalismo ha fallito, le Regioni sono centri di spesa formidabili per moltiplicare carrozzoni e consulenze. L’identità italiana non si basa sulle Regioni”.
Pensioni.
Nel 2018: “Vanno aboliti gli effetti deleteri della legge Fornero”. Dal 1 gennaio, però, per decisione del governo è ripartito con 2 anni di anticipo il meccanismo di adeguamento dei requisiti pensionistici alla variazione della speranza di vita. Dunque, se la speranza di vita si allunga, in automatico scatta un aumento dell’età pensionabile. E non c’è traccia neanche della promessa “quota 41”.
Patto di stabilità.
Giugno 2019: “Basta austerità: le politiche imposte dall’Ue sono state un fallimento in Italia e in Europa”. A fine 2023, l’Italia sigla una riforma del Patto di stabilità che è un cappio al collo dei nostri conti pubblici.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL GIUDICE: “SCONCERTA CHE NON FURONO SENTITI TESTIMONI”… OMBRE SULL’INNOCENZA DEL SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA, FINITO A PROCESSO NEL 2004
“Gravemente anomala e stigmatizzabile l’evidenziata inerzia da parte degli organi di
polizia giudiziaria”: è con queste parole che il tribunale di Biella ha commentato le indagini a proposito di un caso di cronaca di 20 anni fa, quando l’attuale sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove (Fratelli d’Italia) era finito a processo con l’accusa di aver malmenato nel maggio 2024 un senzatetto che – durante un comizio elettorale di Alleanza Nazionale Ignazio La Russa – aveva manifestato innalzando immagini di Che Guevara.
Delmastro fu assolto in primo e secondo grado ma, come rivela oggi il quotidiano La Stampa, quell’assoluzione era stata la conseguenza di indagini condotte in modo approssimativo.
Nessun testimone fu sentito nell’immediatezza dei fatti, nonostante il ferito avesse riconosciuto il responsabile. Solo giorni dopo era arrivata in procura una stringata segnalazione. Il pm aveva chiesto la condanna a un anno e mezzo di carcere, ma i giudici avevano dovuto ammettere che non c’erano prove, poiché non erano state cercate in modo scrupoloso. E non era stata tenuta in troppa considerazione la testimonianza di un compagno di partito – poi allontanato – che aveva raccontato ai magistrati la confessione che Dalmastro aveva fatto a lui, di “aver picchiato un comunista con una stampella”.
“Sono stato assolto e ho rinunciando anche alla prescrizione – ha detto Delmastro ai cronisti – Cosa posso aggiungere più di questo?”.
Ora è impossibile trovare conferme o smentite a quelle accuse, dal momento che la vittima – Michele Cannarozzi, 35 giorni di prognosi, mandibola fratturata e sangue dall’orecchio, oltre a cronici problemi di alcolismo – è poi deceduta.
Lui sì che era finito in carcere, per resistenza. Ma dal testo della sentenza si possono cogliere diversi spunti: “Lo scrivente giudice non può che rilevare come risulti gravemente anomala e stigmatizzatile l’evidenziata inerzia da parte degli organi di polizia giudiziaria che ebbero diretta cognizione della notizia criminis… Senza trascurare poi la gravità oggettiva del fatto verificatosi in piena campagna elettorale, in esito a un comizio organizzato da una formazione politica… Francamente sconcerta che in senso tecnico nessun atto di polizia giudiziaria venne compiuto nell’immediatezza e nei giorni successivi e che nessuna persona venne assunta a sommarie informazioni”.
La vicenda è solo l’ultimo atto di una serie di grane giudiziarie in cui si è imbattuto il sottosegretario, a partire dal processo in corso per rivelazione del segreto d’ufficio sul caso Cospito.
Un anno fa era stato sfiorato invece dal caso dello “sparo di Capodanno” quando il genero del suo caposcorta venne ferito accidentalmente da un proiettile esploso dalla pistola del deputato Emanuele Pozzolo.
Fino a una presunta condanna – ventilata nell’aula del parlamento dal leader di Italia Viva Matteo Renzi – di cui Delmastro non parla e che voci non confermate riconducono a una vecchia accusa di guida in stato d’ebbrezza.
(da La Stampa)
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