Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
DONNA DI POTERE CON IL VIZIO DEGLI AFFARI, DONNA ALFA CHE CAMBIA GLI UOMINI – DAL CHIRURGO PAOLO SANTANCHÈ A CANIO MAZZARO, DA SALLUSTI AL FALSO PRINCIPE DIMITRI KUNZ D’ASBURGO-LORENA – MA POI SPESSO SE LI TIENE INTORNO COME SOCI NEI SUOI CONSIGLI D’AMMINISTRAZIONE… PAOLO CIRINO POMICINO SULLA SUA EX ALLIEVA: “LA FRASE CHE MEGLIO LA DESCRIVE? NON CONOSCE LA VERGOGNA”
Daniela Santanchè, rinviata a giudizio per falso in bilancio, potrebbe essere arrivata
alla fine della sua lunga corsa politica. Fratelli d’Italia, il partito che l’ha fatta eleggere e l’ha portata al governo, si prepara a scaricarla. E del resto non si comprende come Giorgia Meloni possa ancora mantenerla in un ministero in pendenza di accuse così gravi.
Ma se il futuro immediato pare segnato, non è detto che la “Pitonessa” non riesca a sfangarla anche questa volta, cambiando un’altra pelle come i veri serpenti.
Imprenditrice anzitutto di se stessa, Daniela Garnero in Santanché, ragazza di Cuneo, ha preso la rincorsa dalla provincia italiana per finire protagonista — nel bene e anche nel male — della politica italiana del ventennio berlusconiano
Da una che rispose con il dito medio ai contestatori davanti a Montecitorio, forse ci si poteva aspettare di più che un imbarazzato silenzio. Donna di potere con il vizio degli affari, donna alfa che cambia gli uomini — dal chirurgo Paolo Santanchè a Canio Mazzaro, da Sallusti al falso principe Dimitri Kunz d’Asburgo-Lorena — ma poi spesso se li tiene intorno come soci nei suoi consigli d’amministrazione.
Donna che, oltre agli uomini, cambia anche molti partiti. Con il rischio di dimenticarne qualcuno, nell’ordine sono: Alleanza nazionale, la Destra di Storace (che la candida addirittura a premier nel 2008) e poi il Pdl con Berlusconi, ma prima aveva fondato un partitino-taxi chiamato Movimento per l’Italia, tenuto a battesimo da Denis Verdini, e quindi Forza Italia, per poi fondare un altro partitino-taxi chiamato Noi Repubblicani/Popolo Sovrano, per confluire nel 2017 in Fratelli d’Italia.
E ogni volta è una palingenesi, ogni volta è una tiritera contro il «traditore» per eccellenza, Gianfranco Fini. «Sono qui — sottolinea passando alla Destra — perché non potevo più subire le posizioni di chi per legittimarsi agli occhi della comunità finanziaria-mediatica arriva a giudicare il fascismo come il male assoluto». Trascorrono dieci anni e, accolta in FdI, riattacca la stessa canzone: «Sono tornata a casa, nella mia famiglia, dove Fini non mi ha permesso di stare, lui che ha distrutto un sogno»
Generatrice di molta invidia, molti pettegolezzi. E come evitarli se si passano le estati sullo yacht di Briatore, del quale la “Santa” diventa socia nel Billionaire, o a villa Certosa con Berlusconi. E poi la Versilia e il tendone arabo fisso al Twiga, di cui pure è socia. Con il look che fa impazzire i paparazzi: ray-ban a specchio da vera fascia, cappellone da cow-girl, copricostume animalier.
Se non sono le spiagge della Versilia, sono le strade del lusso a Milano, dove gira per boutique con outfit da sfilata. Minigonne e tacchi altissimi. Ne ha una collezione che farebbe invidia a Imelda Marcos. «Tacco 12: filosofia di vita», è uno dei suo tweet più famosi.
Scala i giri che contano con una determinazione d’acciaio. Da quando, nel lontano 1983, l’anno dopo aver sposato appena 21enne il chirurgo Santanchè, finì in tv in un programma Fininvest e dichiarò spavalda: «Mi piacerebbe fare il ministro».
Come Tarzan passa da una liana all’altra, sempre verso l’alto. Conosce Cirino Pomicino e si aggrappa. Sarà lui a presentarla ad Andreotti e poi a Berlusconi. Nei salotti della Milano di destra inizia a frequentare quello che diventerà il suo vero sponsor politico: Ignazio La Russa.
In attesa delle memorie di La Russa, bisogna raccogliere quelle di Pomicino. Che proprio a Repubblica fece della Pitonessa un ritratto agro. «L’episodio che meglio la racconta non c’entra con la politica. Negli anni Novanta organizzò un concorso di cucina e mi invitò a far parte della giuria, di cui lei era presidente. Mi trovai ad assaggiare un piatto e dissi: che schifezza. Santanchè mi diede un cazzotto dietro la schiena: stai zitto che è il mio piatto. Chi vinse la gara? Lei. Fece consegnare il premio al compagno Mazzaro, il quale dopo la cerimonia mi disse: la tua amica non conosce la vergogna. Mi pare la frase che meglio la descrive».
I camerati, La Russa a parte, mal la sopportano. Per dirne una, quando nel 2010 si presenta per la prima volta in aula fresca di nomina a sottosegretaria da parte del Cavaliere, i deputati del centrodestra l’accolgono con una salva di fischi. Per Alessandra Mussolini era «una “super patata ogm”’ geneticamente modificata».
Ma forse a questo punto vale la pena riferire come nacque quel soprannome di cui lei in fondo è sempre andata fiera: la Pitonessa. Fu il primo marito a svelare che tutto partì da una vecchia barzelletta sporca che lei amava raccontare («l’unica che sapeva»). Quella del coniglietto che va in un bordello per perdere la verginità e viene indirizzato nella stanza della pitonessa. La prostituta lo ingoia intero, ma poi viene costretta a risputarlo fuori. Il malcapitato, tutto bagnato e inebetito, esclama soddisfatto: «Bestia che p…!».
(da la Repubblica”)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
“MI HA ROVINATO LA POLITICA, MA IO SONO UNO TOSTO”… LA DESTRA SI È DIMENTICATA DI LUI. HA RICEVUTO LE VISITE SOLO DEL DEPUTATO DI FDI MARCO CERRETO E DEL GOVERNATORE DEL LAZIO FRANCESCO ROCCA, OLTRE CHE DEL RENZIANO ROBERTO GIACHETTI
“Sai, la politica, mi ha rovinato la politica”. Nel reparto G8 del carcere di Rebibbia, Gianni Alemanno è abbattuto, ma non rassegnato. Lo aiuta la conoscenza delle arti marziali, dice, in particolare del kendo.
Tuttavia sa che potrebbe passare in carcere almeno un anno. Scontando per intero o quasi la pena – 1 anno e 10 mesi per finanziamento illecito e traffico di influenze – che gli era stata alleggerita con un percorso in affidamento ai servizi sociali nella struttura di “Solidarietà e Speranza” di suor Paola
Invece dalla notte di Capodanno l’ex sindaco di Roma – già ministro dell’Agricoltura dei governi Berlusconi, storia della destra romana finito a capo di un movimento mezzo vannacciano chiamato Indipendenza – si trova in una cella con cinque detenuti (in tutto sono in sei, sarebbe per tre: a Rebibbia c’è un sovraffollamento del 140 per cento, e non è nemmeno una delle case circondariali messe peggio, citofonare a Regina Coeli).
La politica finora sembra ricordarsi molto poco di lui. Chi lo ha incontrato lo descrive comunque “su di morale, nonostante tutto”.
In giorni diversi e per occasioni diverse Alemanno ha ricevuto la visita del deputato di Fratelli d’Italia Marco Cerreto (di cui è stato anche testimone di nozze), del governatore del Lazio Francesco Rocca (a Rebibbia i primi dell’anno per un progetto legato alle case della salute) e del deputato di Italia viva Roberto Giachetti, sensibilissimo da sempre a questo buco nero della nostra società.
Alemanno si trova in un braccio dove i detenuti possono trascorrere molte ore fuori dalla cella partecipando ai laboratori: teatro, pizzeria, falegnameria, palestra, sala lettura. Laureato in ingegneria ambientale, ha chiesto di iscriversi alla facoltà di Scienze della comunicazione dell’università di Tor Vergata. “Mi stanno trattando bene”, ha confessato a Cerreto con un orgoglio e un ghigno molto alemanniano.
Possibile che la sedicente “comunità di destino” della destra italiana si sia dimenticata di Alemanno, tormentato leader di corrente ai tempi di An, finito ormai da dieci anni nel magma dell’inchiesta Mondo di mezzo e da quel momento, tra mille inchieste, condanne e assoluzioni, mai più rientrato nel giro che conta?
L’ex moglie è Isabella Rauti, figlia di Pino e sottosegretario alla Difesa. La sorella è Gabriella Alemanno, che è andata a fargli visita in questi giorni, attuale commissario della Consob.
L’ex sindaco che voleva chiamare l’esercito davanti a una nevicata che paralizzò Roma è finito a Rebibbia perché avrebbe prodotto documenti falsi per partecipare agli impegni politici del suo nuovo partito, inventandosi, secondo il tribunale di Sorveglianza, riunioni di condominio e quindi di lavoro per via delle consulenze in giro per l’Italia.
Non poteva lasciare la propria abitazione prima delle 7 del mattino e doveva rincasare alle 21. In più è stato intercettato mentre parlava al cellulare con un pregiudicato coinvolto in un’inchiesta per riciclaggio.
Il 24 gennaio il tribunale di Sorveglianza deciderà se confermare il carcere o ripristinare l’affidamento ai servizi sociali. Nessuno si fa molte illusioni. “Ma io sono uno tosto”, dice ai pochi che gli fanno visita, prima di ritornare in cella.
(da agenzie)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LE ATTIVISTE DI EXTINCTION REBELLION
“Procederemo con la denuncia. Mi sono sentita in trappola, ma non smetterò di lottare
per le cause in cui credo. Lo dobbiamo a tutte quelle persone che vivono in luoghi di guerra o in condizioni di povertà estrema”.
A parlare, a Fanpage.it, è Laura, una delle attiviste di Extinction Rebellion che lunedì 13 gennaio è stata portata in questura dopo in sit in alla sede della Leonardo a Brescia. Insieme ad altre ragazze è stata costretta a spogliarsi di fronte a un’agente di polizia e a effettuare dei piegamenti. Dalla Questura hanno spiegato che si tratta di una prassi, ma le attiviste si chiedono: se è davvero una prassi, come mai i militanti di sesso maschile non sono stati sottoposti alla stessa pratica?
Oggi, sabato 18 gennaio, è stato organizzato un presidio in solidarietà con le attiviste sotto la questura di Brescia: tutte vogliono andare in fondo all’accaduto e hanno presentato una denuncia per quanto accaduto loro in seguito al fermo.
Quel giorno, in ventitré sono stati portati in commissariato in seguito a un’azione pacifica alla sede della Leonardo, azienda produttrice di armi che vengono poi inviate nei paesi in guerra. Solo ad alcune di loro però, è stato chiesto di spogliarsi. Un atto che è risuonato più come un’intimidazione che una prassi.
La manifestazione, lanciata da Diritti per tutti, Collettivo Onda Studentesca e Magazzino 47, ha visto la partecipazione di centinaia di persone. Tra queste, anche Umberto Gobbi, presidente dell’associazione ‘Diritti per tutti’, che ha dichiarato: “Siamo qui, davanti alla questura di Brescia, perché in questo luogo qualche giorno fa sono avvenute intimidazioni nei confronti di alcune attiviste, costrette a spogliarsi in maniera del tutto non necessaria e discriminatoria. Le parole di Piantedosi, che ha definito tale trattamento prassi, confermano quanto ci aspettavamo già dal nuovo disegno di legge sulla sicurezza: il governo va verso la legittimazione delle intimidazioni da parte delle forze dell’ordine e verso la soppressione di qualsiasi forma, anche pacifica, di dissenso”.
(da Fanpage)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
COSÌ I COLLEGIO DEI QUESTORI HA INVIATO UN LETTERA AGLI ELETTI: “SI RAMMENTA CHE L’ACCESSO AL SELF SERVICE E ALLA CAFFETTERIA È CONSENTITO ESCLUSIVAMENTE AI PARLAMENTARI E AGLI EX PARLAMENTARI, AI MEMBRI DEL GOVERNO IN CARICA E AI PIÙ STRETTI COLLABORATORI CHE ACCOMPAGNANO I MINISTRI”
Code al buffet che serve lo sfollagente. Interminabili attese per agguantare un panino o
un caffè al bancone dove si è costretti a sgomitare: dura è la vita a Palazzo Madama dove gli ‘imbucati” al seguito dei senatori hanno trasformato buvette e ristorante in un suq.
Una situazione che “lede l’immagine e in qualche modo anche la funzionalità dell’Istituzione parlamentare” si legge nella lettera del collegio dei questori che ha raccolto le lamentele di altri senatori costretti a perdere minuti preziosi
“Cara Collega/Caro Collega, numerosi Senatori lamentano il sovraffollamento del Self service e della Caffetteria del primo piano di Palazzo Madama a causa della presenza di persone non autorizzate. A tal riguardo si rammenta che l’accesso è consentito esclusivamente ai Parlamentari (anche europei) e agli ex Parlamentari, ai Membri del Governo in carica (e ai più stretti collaboratori che accompagnano i Ministri)…” si legge nella missiva che fa riferimento anche agli altri aventi diritto come prescritto dalle regole che sono lettera morta anche per quel che riguarda la mensa.
“I Senatori – viene ricordato – potranno essere accompagnati da non più di due ospiti il martedì e il giovedì. Non è consentito l’accesso di ospiti nella giornata del mercoledì”. Ora starà ai commessi vigilare con scrupolo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA SARÀ L’UNICA LEADER EUROPEA PRESENTE ALLA CERIMONIA. E LA SUA SCELTA SEGNA UNA DISTANZA DAGLI ALLEATI DEL CONTINENTE… IL “WALL STREET JOURNAL” SVELA CHE IL GIORNO DOPO L’INSEDIAMENTO TRUMP DARÀ IL VIA AL PIANO DI ESPULSIONI DI MASSA DI IMMIGRATI CON UN RAID A CHICAGO
Dopo le carezze di Joe Biden e la cena con Donald Trump a Mar-a-Lago, il pingpong
istituzionale della premier Giorgia Meloni è arrivato a un punto di svolta: li vedrà insieme lunedì alla Rotonda del Campidoglio, la sala monumentale che si trova nel cuore del Congresso, sotto la cupola. E subito il giorno dopo, martedì, svela il Wall Street Journal, il presidente darà il via il piano di espulsioni di massa di immigrati con un raid a Chicago.
La presenza della presidente del Consiglio italiana all’Inauguration Day in programma a Washington è stata confermata nella tarda serata di venerdì. La notizia è rimbalzata subito negli Stati Uniti. I media americani vedono questo gesto come un segnale chiaro sulla strategia del governo italiano di diventare un alleato speciale per Trump, ma anche di distanza dagli alleati europei.
Meloni troverà il suo amico Elon Musk e il presidente argentino Javier Milei, oltre a una serie di miliardari e populisti. Tutti a distanza ravvicinata e in uno spazio più ridotto dopo la decisione di celebrare l’inaugurazione al chiuso vista l’ondata artica che si abbatterà su Washington.
Meloni avrà la possibilità di approfondire con Musk il discorso su Starlink, che ha creato tensioni nell’Unione europea. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen non è stata invitata. Trump aveva definito la premier italiana una “donna fantastica” ed è certo che troverà un momento per stare con lei e Musk.
Tra gli invitati alla cerimonia ci saranno i tre uomini più ricchi al mondo: il proprietario di X, SpaceX e Tesla Elon Musk, il fondatore di Amazon Jeff Bezos e quello di Meta, a cui fanno capo Facebook, Whatsapp e Instagram, Mark Zuckerberg. E poi il ceo della piattaforma social TikTok, Shou Zi Chew, che ha ringraziato Trump per aver promesso un intervento contro l’oscuramento del social in Usa, dopo la messa al bando decisa dal Congresso; Sundar Pichai, ceo di Google; Sam Altman, ceo e co-fondatore di OpenAI, la app che ha creato il ChatGpt.
Atteso Tino Chrupalla, leader del partito tedesco di estrema destra AfD sostenuto da Musk. Il premier ungherese Viktor Orban, invitato, non andrà. Ci saranno i principi di Galles William e Kate, in rappresentanza di Re Carlo, il populista britannico Nigel Farage, ma non il premier laburista Keir Starmer, non invitato.
Subito dopo l’insediamento, Donald Trump inizierà il suo piano di espulsioni di massa di migranti martedì con un raid a Chicago che durerà una settimana. Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali il presidente-eletto invierà 200 agenti per condurre l’operazione.
Il raid di Chicago servirà per inviare un messaggio alle ‘città santuario’, quelle città democratiche che proteggono i migranti non aiutando le autorità federali a far rispettare le leggi sull’immigrazione.
(da Dagoreport)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
GIÀ A DICEMBRE IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ERA STATO AVVISATO DAL CSM CHE NON C’ERANO LE CONDIZIONI PER PASSARE SUBITO DAL SISTEMA CARTACEO A QUELLO TELEMATICO… SI RISCHIA UN ALTRO CAOS DAL 1° APRILE
Sono ben 87 i tribunali di maggiori dimensioni che hanno dovuto sospendere App – il sistema del processo penale telematico – perché, a quanto pare, nulla funziona. È il dato impressionante e per di più parziale che si ricava dalla relazione della Settima commissione del Csm.
Già in dicembre il ministero della Giustizia era stato avvisato che non c’erano le condizioni per avviare il processo telematico dal 1º gennaio. Ora, con una seconda relazione, il Csm auspica che il dicastero guidato da Carlo Nordio faccia i conti con la realtà: App non funziona perché nulla è stato fatto prima dell’obbligo del processo telematico, motivo per il quale la stessa commissione chiede al ministero che decreti il doppio binario cartaceo-telematico fino a quando non saranno risolte le problematiche che causano la paralisi delle attività processuali.
Nel documento, a firma dei consiglieri togati Maria Vittoria Marchianò e Marco Bisogni, che sarà votato mercoledì dal plenum, si legge che il monitoraggio di App “consente di individuare effetti decisamente preoccupanti che erano peraltro stati ampiamente previsti” dal Csm.
Viene ricordato che dal 1º gennaio tutte le parti processuali “sono obbligate a utilizzare lo strumento telematico per depositare, anche nelle udienze predibattimentali e dibattimentali, oltre che nell’udienza preliminare, ‘atti documenti, richieste e memorie’”.
Una norma che “presuppone la generalizzata disponibilità, presso tutte le aule giudiziarie, di strumenti telematici a disposizione” delle parti.
Ma per ora è fantascienza: “Allo stato attuale – scrivono Bisogni e Marchianò – tale disponibilità non sussiste ed è di fatto impossibile lo svolgimento dei giudizi secondo la modalità telematica in assenza di un’idonea infrastruttura tecnologica”.
Persino la Direzione generale sistemi informativi automatizzati (DGSIA) del ministero ha dovuto riconoscere “l’attuale e concreta esistenza di problematiche riguardanti il malfunzionamento” di App e che “bisogna ricorrere al cartaceo” se non si vuole paralizzare l’attività giurisdizionale.
La paralisi non riguarda solo i tribunali, il Csm mette in guardia il ministero anche per altri uffici: “Non meno preoccupanti si profilano fin da ora le prospettive del processo telematico per gli Uffici di Procura e del G.I.P”. Si evidenzia che “per tre riti speciali (applicazione della pena su richiesta delle parti, procedimento per decreto penale, sospensione del procedimento con messa alla prova), oltre che per l’udienza preliminare” tutte le parti processuali dal 1º gennaio sono obbligate al deposito telematico di atti “in un fascicolo processuale che non è composto da documenti telematici interamente gestibili in App”.
E i guai non sono finiti: “Analoghe criticità riguardano i riti speciali rispetto ai quali il deposito telematico diverrà obbligatorio dal 1º aprile prossimo (giudizio abbreviato, direttissimo e immediato). Vista la gravità delle carenze dell’applicativo, appare peraltro improbabile che queste possano venire risolte nel breve spazio di meno di tre mesi, pur augurandoci il contrario”.
Chissà se Nordio, di fronte a questa débâcle, si porrà delle domande sulle priorità per far funzionare la Giustizia.
(da il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA SVOLTA A DESTRA SAREBBE CAUSATA DAL PEGGIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DEL LAVORO A CAUSA DELLA GLOBALIZZAZIONE, DALL’AUMENTO DELLE POLITICHE IDENTITARIE SFRUTTATE CON PIÙ SUCCESSO DAI POPULISTI, E DA UNA TENDENZA GENERALE TRA LE FORZE “PROGRESSISTE” A FRAMMENTARSI… IL RISULTATO È CHE SE LA DESTRA HA OTTENUTO IL 55.7% DEI VOTI, I PARTITI DI SINISTRA HANNO INCHIODATO AL 42.3%
I partiti di sinistra sono più impopolari ora che in qualsiasi altro momento dalla fine
della Guerra Fredda. L’analisi di “The Telegraph” arriva dopo un anno di trionfi elettorali per i conservatori in tutto il mondo, coronati dall’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti
I gruppi di destra sono emersi come vincitori mondiali dopo che più di 1,5 miliardi di persone hanno votato in più di 70 paesi nel 2024, il numero più alto mai registrato in un solo anno. I partiti di sinistra hanno subito una media di voti di appena il 45,4 percento nelle ultime elezioni di ogni paese democratico al voto, secondo l’analisi del Telegraph sulle elezioni in 73 democrazie.
Nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, i partiti di sinistra hanno ottenuto solo il 42,3 percento dei voti, mentre la destra ha ottenuto il 55,7 percento, il che rappresenta il divario più ampio nella quota di voti dal 1990.
Nel frattempo, l’estrema destra ha ottenuto una quota di voti record del 14,7 percento dopo che i politici radicali hanno ottenuto buoni risultati nelle elezioni dalla Francia a Panama.
La fine della sinistra può essere persino tracciata in America Latina, una roccaforte del socialismo dopo anni di brutali dittature fasciste.
Dopo l’insediamento di Trump questo mese, si prevede che ulteriori sconfitte saranno inflitte alla sinistra in Canada, Australia e Germania, la più grande economia dell’UE.
«La tendenza è in ascesa. Non c’è una vera ragione per aspettarsi che si fermerà presto» ha affermato il professor Matthijs Rooduijn, uno scienziato politico dell’Università di Amsterdam.
Jeremy Cliffe, direttore editoriale e senior policy fellow presso il think tank del Consiglio europeo per le relazioni estere, ha affermato che la svolta globale a destra è stata il risultato di tre tendenze interconnesse: «Il declino del lavoro organizzato dovuto alla globalizzazione, l’aumento delle politiche identitarie sfruttate con più successo dalla destra rispetto alla sinistra e una tendenza generale tra le forze di sinistra a frammentarsi piuttosto che a unirsi»
Trump ha vinto il voto popolare alle elezioni statunitensi di novembre, ottenendo 77 milioni di voti rispetto ai 75 milioni della democratica Kamala Harris. I sondaggi mostrano che Pierre Poilievre, un populista soprannominato il Trump canadese, è il favorito per sostituire Justin Trudeau come primo ministro dopo che il rubacuori liberale si è dimesso all’inizio di questo mese.
In Australia, i conservatori hanno superato il governo laburista nei sondaggi prima delle elezioni di quest’anno.
I partiti di destra in Europa hanno aperto un divario quasi storico con i rivali di sinistra di quasi il 14 percento nelle elezioni più recenti. La schiacciante vittoria del Labour nel Regno Unito è stata l’unica consolazione per la sinistra in 12 mesi di duri insuccessi.
Il suo successo potrebbe essere di breve durata. Il primo sondaggio sulle intenzioni di voto di YouGov/Times dalle elezioni generali del 2024 mostra una corsa testa a testa tra Labour (26%) e Reform UK (25%). Il partito conservatore è al terzo posto con il 22%.
Il partito di Nigel Farage ha ottenuto il 14% dei voti alle elezioni, la terza quota più grande, tuttavia, l’equivalente di 4,1 milioni di voti si è tradotto solo in cinque seggi a Westminster.
Nel 2024, il partito laburista ha ottenuto solo 1,6 punti percentuali in più di voti rispetto al 2019.
Nell’Europa occidentale, l’estrema destra era in marcia, registrando una quota media record di voti del 16,9% dopo le votazioni tenutesi in Francia, Austria, Germania e altrove.
Gli elettori di tutta l’UE hanno consegnato la vittoria generale ai partiti di centro-destra alle elezioni del Parlamento europeo di giugno, ma anche l’Alternative for Germany (AfD), il National Rally francese e il Freedom Party austriaco hanno festeggiato grandi guadagni.
La decisione di Emmanuel Macron di indire elezioni anticipate per l’assemblea, dopo che il National Rally di Marine Le Pen ha vinto il voto dell’UE in Francia, ha lasciato la politica francese nel caos e Macron un presidente zoppo.
In Austria, il Freedom Party di estrema destra pro-Putin ha vinto le elezioni generali per la prima volta e ora si prevede che formerà un governo di coalizione.
In Germania, si prevede che la CDU vinca le elezioni generali di febbraio. L’estrema destra AfD è al secondo posto nei sondaggi, davanti al Partito Socialdemocratico del cancelliere di sinistra Olaf Scholz.
Il 2024 è stato l’anno peggiore per i partiti di sinistra nell’Europa centrale e orientale da dopo la caduta della cortina di ferro. Il centro-destra ha vinto in Croazia e Bulgaria. L’estrema destra ha vinto le elezioni ora parzialmente annullate in Romania.
Nella Repubblica Ceca, Andrej Babiš, un imprenditore populista di estrema destra che ha cercato di emulare Trump, dovrebbe vincere le elezioni quest’anno. L’ultimo sondaggio mostra che il suo partito ha preso il 33 percento dei voti rispetto al secondo classificato di sinistra al 19 percento.
Gli esperti hanno affermato che il successo della destra populista è dovuto all’inasprimento degli atteggiamenti contro l’immigrazione in Europa. Hanno affermato che anche le politiche radicali sono state sempre più normalizzate dopo essere state rubate dai conservatori dell’establishment.
Il prof. Rooduijn ha affermato che i partiti di estrema destra si stanno sempre più professionalizzando. I social media hanno anche reso molto più facile per i politici comunicare direttamente con i cittadini.
La morsa della sinistra sulla politica latinoamericana dalla fine degli anni 2000 si è indebolita dopo le vittorie di leader come l’argentino Javier Milei. Dopo le elezioni del 2024, la quota di voti della sinistra si è attestata al 51,6 percento, la più bassa in oltre 30 anni. Il voto medio della destra si è attestato al 40 percento dal 2018.
Nel 2023, il Paraguay ha eletto il conservatore Santiago Peña e l’Ecuador ha scelto il candidato di centrodestra Daniel Noboa.
Nello stesso anno, Milei, alleato del signor Trump e armato di motosega, è diventato presidente dell’Argentina con la promessa di tagliare il settore pubblico. Affronterà le elezioni di medio termine nel 2025, ma finora il suo partito sta ottenendo buoni risultati nei sondaggi.
Secondo Christopher Sabatini, ricercatore senior per il programma America Latina, Stati Uniti e Americhe presso Chatham House, i partiti di sinistra hanno visto la loro quota di voti diminuire a causa dell’inettitudine del governo, delle promesse eccessive e della corruzione: «Negli ultimi due decenni, le preoccupazioni degli elettori per la criminalità e la violenza sono aumentate vertiginosamente… È un’area in cui la sinistra non è riuscita a produrre molti risultati o una risposta praticabile».
Jair Bolsonaro, il “Trump dei tropici”, ha perso le elezioni nel 2022, ma il suo partito rimane il più grande nel parlamento brasiliano. L’America Latina è stata tradizionalmente avvicinata dagli Stati Uniti con un atteggiamento interventista pratico, ma la presenza di più leader di destra e populisti cambierà le cose. «Sarà una politica molto più partigiana che favorirà, se vogliamo, i ‘Mini Trump’», ha affermato Sabatini.
La destra ha mantenuto la sua presa sulla politica in Asia e Australia, con una quota di voti del 55,6 percento, la media più alta dal 2017.
Jacinda Ardern, primo ministro di sinistra della Nuova Zelanda, si è dimessa nel 2023 ed è stata sostituita da Christopher Luxon, leader del National Party di centro-destra. In Australia, la coalizione di destra Liberal-National è in vantaggio nei sondaggi prima delle elezioni di quest’anno.
L’anno scorso, il Partito Liberal Democratico di destra del Giappone ha perso la maggioranza, ma l’ascesa di nuovi e più piccoli partiti di estrema destra ha contribuito a spingere la quota di voti di destra del paese al 63,87 percento.
In India, la più grande democrazia del mondo, Narendra Modi e il Bharatiya Janata Party (BJP) sono stati eletti per la terza volta a giugno. Tuttavia, la coalizione di centrosinistra dell’opposizione e del Congresso nazionale indiano ha registrato un aumento della quota di voti.
La quota di seggi del BJP è diminuita, ma a seguito di accordi pre-elettorali con i partner della coalizione, la sua quota di voti complessiva è scesa di meno dell’1%. Alcuni critici descrivono il BJP come di estrema destra a causa della sua retorica nazionalista indù.
La superpotenza emergente Cina, un attore significativo nella regione, non è una democrazia e quindi il paese comunista non faceva parte dell’analisi. Nelle otto democrazie dell’Africa e del Medio Oriente, la quota di voti di sinistra è scesa a un minimo storico del 54,2 percento nel 2024.
Per gran parte degli ultimi 30 anni, la quota media dei partiti di sinistra è sempre stata superiore al 60 percento, ma è scesa dopo anni di cattiva gestione economica.
In Sudafrica, la più grande economia del continente, il partito di centro-sinistra African National Congress non è riuscito a ottenere la maggioranza parlamentare che deteneva dalle prime elezioni post-apartheid del 1994.
Il partito di destra Likud di Benjamin Netanyahu è al potere in Israele dal 2020. Le prossime elezioni non sono previste prima di altri due anni, ma il Likud, che è in coalizione con quattro partiti di estrema destra, continua a guidare i sondaggi, nonostante la gestione di Gaza da parte di Netanyahu e la crisi degli ostaggi in seguito all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023
Meike Eijsberg e James Crisp
per Telegraf
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
ELON MUSK HA 11 FIGLI, RAMPOLLI AVUTI DA DONNE DIVERSE, MA NON TUTTI USCITI DALLE LORO VULVE
464 miliardi di dollari, 100 volte il patrimonio di Trump, e miliardi condannati a salire: questo è il salvadanaio di Elon Musk, l’uomo più ricco e “influencer” al mondo, una vagonata di miliardi che un giorno dovranno esser spartiti tra 11 figli, rampolli avuti da donne diverse, ma non tutti attesi nei loro uteri, o usciti dalle loro vulve.
Chi critica Elon Musk per la sua scombinata vita sentimentale e le scelte procreative alternative, sappia che non ci può fare nulla: Musk è l’esagerata prova vivente che sulla terra non siamo tutti uguali, mai lo siamo stati, e mai lo saremo. Musk dall’alto dei suoi miliardi può far quel che caz*o gli pare, totalmente quel che caz*o gli pare, a cominciare proprio dal suo pene.
Pene ch’ha inaugurato il suo mandato stallonistico in modo ultra tradizionale: Musk a 29 anni ha sposato e messo tradizionalmente incinta Justine Wilson, scrittrice conosciuta all’università. I due hanno tradizionalmente messo al mondo Nevada, a 10 mesi morto in culla: dopo tentativi di rianimarlo, a Nevada, in respirazione artificiale, i genitori Elon e Justine, passati alcuni giorni, hanno deciso di staccare la spina.
Elon e Justine hanno voluto subito un altro figlio: 2 mesi dopo la morte di Nevada, Justine rimane incinta da fecondazione in vitro dello sperma di Musk. Nascono 2 gemelli, Xavier e Griffin. Dopo 24 mesi, e sempre da fecondazione in vitro con lo sperma di Musk, nascono altri 3 gemelli, Kai, Saxon e Damian.
La famiglia non è felice per niente: meno di 2 anni dal lieto evento trigemellare, Elon e Justine divorziano. Non c’è conferma, ma i figli di Musk hanno frequentato (e i più piccoli frequentano) la scuola privata fondata dal padre. Damian sarebbe un portento della musica classica, con talenti non trascurabili in fisica e in matematica.
Dopo Justine, Musk sposa Talulah Riley, attrice inglese. Meno male che non l’ha messa incinta né tradizionalmente né in vitro, perché i due divorziano dopo 2 anni, nel 2012, si risposano l’anno dopo, ri-divorziano nel 2016.
Musk lo ha smentito ma sia Talulah che Johnny Depp ne sono sicurissimi: la causa di uno dei divorzi tra Musk e Talulah (e quindi delle corna di Deep) sta nella tresca di Musk e Amber Heard, attrice e ai tempi moglie di Johnny Deep
La missione procreatrice di Elon Musk mica termina qui. Nel 2020 si fidanza con la cantante canadese Grimes, non la sposa ma la mette incinta naturalmente di un figlio battezzato X AE A-12, per la legge californiana registrato all’anagrafe X AE A-Xii. Figlio in famiglia chiamato X. X è appassionato di missili spaziali (e X ha sofferto di “acuto stress post traumatico” quando il razzo Starship di Space X, cioè di Musk, è esploso in volo: lo dice mamma Grimes).
Elon e Grimes non sono stati una coppia tradizionale, bensì aperta a differenti vulve e/o inseminazioni. Dopo X hanno una figlia però da madre surrogata, la chiamano Exa Dark Sidereal, in famiglia detta Y. Mamma Grimes, orgogliosa, ci fa sapere che Y “è già un piccolo ingegnere”. Y ha un fratello e una sorella, coetanei, nati un mese o due prima di lei, e sono i gemelli Strider e Azure, partoriti da una vulva inseminata da Musk ma non fisicamente, quella di Shivon Zilis, direttrice di una delle aziende di Musk (e sua attuale compagna…?).
Passa un anno e è Grimes che è di nuovo madre (in surrogato) dell’11esimo figlio di Musk, Tau, all’anagrafe Techno Mechanicus. Shivon risponde a Grimes dando a Musk il 12esimo figlio, un erede di cui (al momento) si ignora il nome, il sesso, e se è stato concepito alla vecchia maniera, o in vitro, e/o in surrogato.
Il primogenito di Musk, il gemello Xavier, è da qualche anno una primogenita: è una trans, si chiama Vivian Jenna, e ha preso il cognome della madre, Wilson, perché non vuole avere niente a che fare con “un padre assente”, che l’ha “sempre attaccata per la mia assenza di virilità”. Vivian Jenna subito dopo la vittoria di Trump ha annunciato il suo proposito di andarsene dagli USA. Non si sa se, oltre il cognome, la ragazza abbia rinunciato anche alla parte di miliardi di Musk che le spettano.
Tra un pargolo e l’altro, e una moglie, e no, a Musk sono state attribuite amanti, tra cui Nicole, moglie del cofondatore di Google. Ma Musk nettamente smentisce. I 3 figli avuti da Shivon e Shivon stessa abitano in Texas, nella nuovissima superba magione di Musk. Lui vorrebbe che tutti e 11 figli abitassero lì. I più grandi si dice abbiano altri programmi, e i 3 figli avuti da Grimes in surrogato e no e in contemporanea con Shivon, sono oggetto di presente e duro contenzioso legale
(da Dagospia)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA POLITICA NON E’ UNA RETE IN FRANCHISING DOVE CIASCUNO APRE E GESTISCE IL PROPRIO NEGOZIO
Ancora una volta Giorgia Meloni ed Elly Schlein nella stessa battaglia. È la battaglia di
resistenza all’assalto dei loro sodali, alleati, azionisti di minoranza, contro il divieto di terzo mandato in nome di sindacature o governatorati potenzialmente eterni.
Nelle ultime ore al coro no-limitista si sono aggiunti il sindaco di Milano Giuseppe Sala e quello di Napoli Gaetano Manfredi, pure loro come Luca Zaia e Vincenzo De Luca convinti che la legge vada cambiata, che debbano essere i cittadini a decidere quanto dura il capo di un governo locale.
L’offensiva di questi super-personaggi, ben al di là delle convenienze personali di ciascuno, insidia uno dei dichiarati caposaldi dell’azione di entrambe le leader: l’idea cioè che la politica sia azione collettiva in nome di idee e programmi, non una rete in franchising dove ciascuno apre e gestisce per se’ il suo negozio, col diritto di chiuderlo quando non ha più un interesse personale a mantenerlo in vita.
Lo scontro sui limiti di mandato è stato raccontato come una questione di bassa cucina, di cacicchi furiosi all’idea di perdere un ruolo di enorme potere, di contro-cacicchi interessati a toglierglielo, ma in realtà è molto di più. L’elezione diretta dei sindaci e poi dei governatori fu il vero punto di passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, quello che azzerò ogni precedente rendita di posizione e mise fine a certi infiniti padrinaggi locali. L’immobilismo del potere era, all’epoca, qualcosa di palpabile ed evidente a tutti. Fu scardinato dalle nuove norme. La barriera dei due mandati ai prescelti dal popolo costituì non solo un ovvio contrappeso all’assegnazione di enormi poteri esecutivi per via diretta, ma anche una scelta di fondo della Repubblica e un preciso messaggio ai cittadini: il ricambio delle classi dirigenti, così come l’alternanza, sono elementi essenziali della democrazia. Dove i partiti non arrivano o non vogliono arrivare, ci penseranno le regole.
Il fronte no-limitista, adesso, si propone apertamente di archiviare quella scelta, quel messaggio, quelle regole che pure hanno agito con successo generando mobilità politica, facendo emergere nuove classi dirigenti, promuovendo energie nuove e anche obbligando le forze politiche a interessarsi del tema del ricambio, a coltivare elementi in grado di sostenerlo. Ovvio che questo tipo di discontinuità costituisca spesso un rischio. I candidati talvolta si sbagliano, e si perde. Ma altre volte – vedi il Lazio per la destra, vedi l’Umbria per la sinistra – lo sforzo di rinnovamento premia chi ci prova e realizza la promessa della democrazia, che non è quella di intronare baronie senza scadenza, svuotando di ogni senso la presenza dei partiti.
Il silenzioso asse sul tema tra le due leader di maggioranza e opposizione è interessante anche per questo. Entrambe sono cresciute in mondi politici dove un certo feudalesimo interno era la regola, entrambe lo hanno sfidato e adesso tengono il punto rispetto ai più potenti ed esperti tra i Lord di territorio, capaci di mobilitare come si è visto voci autorevoli a sostegno delle loro richieste. Sanno che in questa partita si misura la loro autorità all’interno della coalizione (nel caso di Meloni) o della quasi-coalizione (nel caso di Schlein), ma la loro resistenza al coro no-limitista è un bene per motivi ben più generali.
(da La Stampa)
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