Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
LA DISPERAZIONE AMARA DELLA MAMMA DI ALBERTO TRENTINI, IN CARCERE A CARACAS DA NOVEMBRE: “NESSUN RAPPRESENTATE DEL GOVERNO CI HA MAI CONTATTATI. CONFIDIAMO CHE LA PRESIDENTE MELONI E I MINISTRI SI ADOPERINO CON LO STESSO IMPEGNO E DEDIZIONE CHE HANNO DIMOSTRATO A TUTELA DI UN’ALTRA ITALIANA”
La signora Armanda da due mesi guarda un telefono che non squilla. «Il 15 novembre
mi ha inviato l’ultimo messaggio su Whatsapp, era arrivato appena in aeroporto. Da allora più niente».
Alberto è sparito nel nulla. Inghiottito in una prigione venezuelana, senza poter dare notizie sulle sue condizioni di salute. «Ho così paura a pensare cosa gli possa essere accaduto, che non lo faccio. Chiamava ogni giorno perché voleva essere informato sulla salute del suo papà».
La signora ha più di ottant’anni. Vive a Venezia con suo marito, Alberto è il loro unico figlio e per la prima volta, quest’anno, aveva passato più tempo a casa da loro in estate proprio perché la salute dei genitori non era eccezionale.
Alberto è da due mesi in un carcere venezuelano, solo. Senza riuscire a parlare con nessuno. Eppure l’Italia sembra averlo scoperto oggi.
Chi è Alberto, signora?
«Un uomo speciale di 45 anni. E non lo dico soltanto perché sono sua madre. Aveva cominciato con il servizio civile, come volontario, nell’ottobre del 2006. E da quel momento quel mondo è diventato il suo».
Da quanto lavora per una Ong?
«Dal 2009. È stato in Ecuador, Bosnia, Etiopia, Paraguay, Nepal, Perù, Grecia, Libano e Colombia sempre in supporto dei più deboli. In Venezuela era la prima volta».
Quando è partito per il Venezuela?
«Il 9 ottobre con sosta a Bogotà nella sede centrale della Ong e poi a Caracas, il 17».
Quando l’ha sentito per l’ultima volta?
«Ci siamo scritti su Whatsapp il 15 novembre 2024 dall’aeroporto, era solito darci notizie dei suoi spostamenti per farci stare tranquilli. Ci sentivamo ogni giorno con messaggi o videochiamate perché voleva essere informato sulla salute del papà. Nella scorsa estate si era trattenuto a casa per un periodo più lungo, proprio per farci compagnia».
Era preoccupato?
«Non mi sembrava».
Conoscete le accuse per cui è stato arrestato?
«Noi non sappiamo nulla. Non sento Alberto da quel 15 novembre. Non so dov’è, come sta, come lo trattano: Alberto ha problemi di salute e non ha con sé le medicine. In ogni caso, non ci risulta che siano state formalizzate accuse. Nostro figlio è sempre stato rispettoso delle regole e delle culture dei paesi in cui si trovava: lavorata per aiutare le popolazioni locali».
Che tipo di interlocuzioni ci sono state con il governo italiano?
«La nostra avvocata parla quotidianamente con la Farnesina ma nessun rappresentate del governo ci ha mai contattati. Ora confidiamo che la presidente Meloni e i ministri si adoperino con lo stesso impegno e dedizione che hanno dimostrato a tutela di un’altra italiana, per riportare presto, incolume, Alberto in Italia».
Ha paura?
«Tanta».
Teme gli possa essere accaduto qualcosa?
«Un silenzio di due mesi genera un’angoscia che non è immaginabile. Toglie il fiato e il sonno. Non so nemmeno descriverla”
(da La Repubblica)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
IL 45ENNE È STATO SEGUITO PER GIORNI DAGLI SGHERRI DEL REGIME, FERMATO A UN POSTO DI BLOCCO E ARRESTATO PERCHÉ SUL TELEFONO C’ERANO ALCUNI POST CONTRO IL GOVERNO DI CARACAS… PERCHÉ IL GOVERNO, CHE SUL CASO CECILIA SALA SI È MOSSO SUBITO, NON HA MOSSO UN DITO PER DUE MESI? FORSE PERCHÉ TRENTINI NON HA MEZZO MILIONE DI FOLLOWER E NON È FIGLIO DI DUE RICCHI MANAGER CON IMPORTANTI ENTRATURE?
Alberto Trentini è stato seguito probabilmente per giorni. Fermato a un posto di blocco, mentre era in auto con l’autista dell’Ong per la quale lavorava. E arrestato per alcuni messaggi che conservava nel telefono: erano innocue condivisioni di post critici sul governo di Maduro. E invece sono stati raccontati dalla polizia venezuelana come contatti con opposizioni e rivoltosi.
Trentini starebbe bene, detenuto in un carcere “politico” nella zona di Caracas, hanno assicurato fonti informali alla nostra intelligence e diplomazia. Che sperano già nelle prossime ore di poter ottenere un incontro tra Alberto e il nostro ambasciatore per verificare le condizioni di salute, di detenzione. E conoscere ufficialmente le accuse che gli vengono mosse.
«Strumentali» spiega una fonte italiana vicina al dossier. «Perché non c’era niente di anomalo nel lavoro che il nostro connazionale svolgeva con la sua Ong. Né risulta che il nostro connazionale avesse contatti particolari in Venezuela, paese che tra l’altro visitava per la prima volta nella sua vita».
L’affaire Trentini è da due mesi oggetto di discussioni e lavoro della diplomazia e l’intelligence. L’arresto del cooperante è arrivato infatti improvviso ma in qualche modo non inaspettato. Nel senso che da mesi il governo di Maduro stava fermando cittadini stranieri, per lo più con il doppio passaporto però, accusandoli di fare parte delle opposizioni che lavoravano per fare cadere il governo.
Governo che l’Italia non ha mai riconosciuto e che è stato oggetto anche nei giorni scorsi, con Trentini detenuto, di dichiarazioni durissime della premier Giorgia Meloni e dello stesso Tajani.
Per questo, in questi due mesi, nonostante le richieste informali arrivate dal Sud America, non c’è stata mai un’interlocuzione a livello politico tra i due paesi: anche soltanto una telefonata tra i due governi significherebbe offrire un riconoscimento che il governo Meloni non vuole concedere.
Da qui il messaggio ieri dei genitori di Alberto, insieme con la loro avvocata Alessandra Ballerini, in cui chiedono la liberazione di Alberto «nel pieno rispetto della sovranità territoriale del governo bolivariano e senza voler interferire nella diplomazia delle relazioni tra Italia e Venezuela».Come a dire: avrete tempo per discutere, ora per favore liberate nostro figlio.
(da La Repubblica)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
IL SECONDO CAZZOTTO ALLA DUCETTA È SULLA VILLA APPENA COMPRATA CON UN MUTUO: “GRAZIE AI BONUS FISCALI SU CUI È INTERVENUTO IL GOVERNO”… IL SOSPETTO CHE RENZI ABBIA IN MANO QUALCOSA
Matteo Renzi ci si è messo d’impegno ad attaccare Giorgia Meloni e ancor di più a
cercare di farle saltare i nervi. E così ieri, per festeggiare a modo suo il quarantottesimo compleanno della premier, nel giorno in cui era ad Abu Dhabi, accolta dal premier Edi Rama in ginocchio e con un foulard in regalo, ha fatto presentare dal fido Francesco Bonifazi due interrogazioni alla Camera, rivolte alla presidenza del Consiglio dei ministri.
Riguardano i regali ricevuti dalla premier in questi anni e l’abitazione da lei recentemente acquistata. Il sospetto dell’ex premier, più o meno esplicitato, è che Meloni non sia stata trasparente.
Nella prima interrogazione, Bonifazi “chiede di verificare l’elenco dei regali superiori a 300 euro l’anno ricevuti dalla premier negli ultimi due anni e mezzo e di avere accesso agli atti per capire se abbia restituito la differenza dei regali superiori a 300 euro che ha tenuto nella sua disponibilità”, riferendosi alle norme che regolano la materia.
La richiesta è che sia reso noto l’elenco dei doni inferiori ai 300 euro, ma anche quello di quelli superiori, sia che la premier abbia deciso di tenerli, sia di darli invece in beneficenza.
L’escalation dello scontro tra Renzi e Meloni, dopo la norma da lei voluta contro di lui è evidente
L’interrogazione relativa alla casa si basa su “organi di stampa”. È stato il Fatto Quotidiano a dare notizia dell’acquisto. Bonifazi cita “una villa da 18 vani e 433 mq, con piscina, box e una rendita catastale che, dopo i lavori di ristrutturazione, è passata da 3,762 a 4.369 euro, acquistata per un valore di 1,254 milioni di euro senza mutuo ipotecario”. In realtà il mutuo, a differenza di quanto scritto dal nostro giornale, al quale si riferisce il senatore Renzi, esiste ma è stato depositato il 9 gennaio, una settimana dopo la notizia uscita sul Fatto
L’interrogazione affronta anche la questione dei bonus: “Si ricaverebbe che, anche grazie ai bonus fiscali su cui è intervenuto il governo, l’interrogata ha beneficiato di diverse migliaia di euro di detrazioni per lavori edilizi e bonus mobili”.
Bonifazi chiede “se per i lavori della casa della presidente del Consiglio sia stato impiegato denaro pubblico e stanziamenti del ministero dell’interno o della Presidenza del Consiglio”, più una serie di dettagli sui fornitori e “sulla inerenza e coerenza tra le detrazioni e bonus goduti ai mq e ai vani delle abitazioni oggetto di ristrutturazione”.
Renzi, attraverso Bonifazi, evidentemente vuole sapere se – come accaduto in passato nella storia italiana – siano stati utilizzati fondi pubblici con la giustificazione della sicurezza del presidente del Consiglio
(da agenzie)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
CI SAREBBERO ALMENO 20MILA UOMINI PRONTI AD ARRUOLARSI PER VENDICARE FAMILIARI E AMICI AMMAZZATI…AL NETTO DEI QUASI 50MILA MORTI PALESTINESI, LA STRISCIA È ANCORA NELLE MANI DI HAMAS
Se l’obiettivo della guerra di aza era cancellare Hamas, allora Israele non ha ottenuto una vittoria. Di sicuro, il movimento jihadista ha subìto un colpo durissimo: ha perso i suoi dirigenti, gran parte dei suoi combattenti più addestrati, l’arsenale di armi a lungo raggio. Ma quindici mesi di bombardamenti dell’aviazione e di rastrellamenti dell’esercito non hanno scalfito l’architrave della sua forza: il radicamento nella società palestinese. Anzi, l’orrore e la devastazione inflitti alla popolazione hanno creato un serbatoio di odio che alimenta rapidamente i suoi ranghi.
Secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken «Hamas ha già arruolato tanti militanti quanti ne ha persi». C’è persino chi, come l’ex generale Amir Avivi, ritiene che il numero di nuove reclute sia superiore a quello dei caduti. Il movimento che ha scatenato i massacri del 7 ottobre oggi potrebbe contare su almeno 20 mila uomini, giovanissimi e con una formazione scarsa ma addirittura più determinati di quelli che hanno rimpiazzato. Scelgono di votarsi al jihad perché vogliono vendicare familiari e amici morti in questi 15 mesi di guerra o perché sanno così di potere ricevere cibo e medicine, che i miliziani sottraggono dai convogli di aiuti umanitari.
Il rischio è che quindici mesi di attacchi e stragi non siano stati solo inutili, ma persino controproducenti perché hanno permesso ad Hamas di affermare la sua resilienza.
Un successo che non si limita alla dimensione militare. Gli analisti sono convinti che anche se sarà l’Autorità Palestinese ad avere la responsabilità della ricostruzione, dei valichi e dell’amministrazione civile, loro resteranno il soggetto più potente e influente all’interno della Striscia. In pratica, anche se verranno esclusi dalla futura gestione, continueranno a esserne i protagonisti.
Gli abitanti infatti non vedono alternative: le strutture di Fatah sono deboli e la recente operazione di polizia dell’Anp contro i gruppi jihadisti a Jenin – in Cisgiordania – fa percepire i suoi vertici come “collaboratori” del nemico.
Il fatto che siano stati i massacri del 7 ottobre a provocare la reazione israeliana e la distruzione di Gaza non sembra avere intaccato il sostegno al movimento. In più, fattore fondamentale, adesso è emerso un nuovo leader: Mohammed Sinwar, detto “l’Ombra”.
(da La Repubblica)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA, CHE RECLAMA IL VENETO, PER SBLOCCARE L’IMPASSE PENSA A OFFRIRE A ZAIA LA CANDIDATURA A SINDACO DI VENEZIA… FLAVIO TOSI, COORDINATORE REGIONALE DI FORZA ITALIA, AFFONDA IL COLPO: “ZAIA, ANZICHÉ PARLARE DI TERZO MANDATO (PER LUI QUARTO), SAREBBE MEGLIO AFFRONTASSE LE QUESTIONI VERE. LA SUA GIUNTA TAGLIA IL BUDGET ALLE CASE DI RIPOSO”
Il «day after» di Luca Zaia è punteggiato da un diluvio di messaggi e telefonate,
assicurano i suoi, un’impennata di orgoglio veneto che ha travolto il presidente.
I meno teneri spiegano l’esplosione di entusiasmo per Zaia come un prevedibile effetto «rimbalzo» dopo anni in cui l’accusa, sempre meno velata, era di non prendere posizione contro una deriva salviniana mal tollerata a Nordest. Tant’è, l’uomo forte, il leghista atipico, persino «progressista», con un colpo di reni esce dall’angolo in cui lo stop al Terzo mandato l’aveva confinato.
E pazienza se le ricadute a cascata rischiano di essere dirompenti sia all’interno del Carroccio che nella compagine di governo. Le dichiarazioni in diretta social di martedì che avallano la minaccia di una corsa solitaria della «Liga» (la Lega veneta che sta rispolverando con un certo gusto l’antica definizione) hanno galvanizzato molti.
In primis l’assessore regionale Roberto Marcato che rivendica, trionfante, di aver parlato per primo di una corsa solitaria contro tutti già un anno fa. Si sprecano, chiaramente, le note di sostegno a Zaia dei suoi consiglieri regionali.
L’uomo del giorno, ieri, ha mantenuto un prevedibile e strettissimo silenzio stampa.
Ai suoi collaboratori Zaia ha detto d’essere stupito soprattutto dal numero di sindaci che si sono fatti vivi per chiedere come potessero dare una mano alla corsa della Lega in solitaria, come fosse cosa fatta. Al punto che Zaia, a quel punto pompiere, ha ringraziato spiegando, però, che «serve molto equilibrio, siamo all’interno di una coalizione».
E poi ci sono loro, i «militanti» che, dice il cerchio vicino al presidente, si sono fatti vivi (il numero del «pres» come lo chiamano, ce l’hanno tutti) ringalluzziti da quel «Veneto first» che, almeno nell’agone strettamente politico, non sentivano da un po’.
La speranza, nella Lega veneta, è che molti delusi al punto da aver votato FdI alle ultime Politiche ed Europee, abbiano ritrovato la fede. Sono ore in cui l’eco di Zaia in versione gladiatore riecheggia ancora e confonde gli alleati-avversari.
Non tutti, certo. La nemesi di Luca, Flavio Tosi, ora coordinatore regionale di FI, insiste che non ci sarà alcuna corsa solitaria della Lega in Veneto e non lesina legnate: «Zaia, anziché parlare di terzo mandato (per lui quarto), sarebbe meglio affrontasse le questioni vere.
Mentre lui è impegnato in un dibattito stucchevole su un’ipotesi che non esiste, appunto il terzo mandato, la sua giunta taglia il budget alle case di riposo». I social dei Fratelli veneti, invece, sono caratterizzati da una cappa di silenzio militare sulla vicenda e fioriti solo di auguri calorosi alla premier per il suo compleanno. Parla, però, Alberto Stefani, il vero regista di questa operazione a dir poco audace se davvero Salvini non è stato coinvolto: «Con Matteo che è e resta il nostro segretario, mi sono confrontato tempo fa rispetto alle Regionali ma solo in termini generali. Ci riparleremo senz’altro prossimamente. Da segretario regionale la mia priorità è dare ascolto alle istanze del territorio che chiede continuità».§Matteo Salvini continua a fare la sfinge
Ma sul tema che sta rendendo la Lega incandescente, la candidatura di coalizione in Veneto, il segretario continua a non dire una sillaba. Anche per questo, grande attesa si è spostata sul consiglio federale della Lega che il segretario ha convocato per oggi a Roma.
A leggere l’ordine del giorno, il tema non sarebbe previsto: «Tesseramento 2025, situazione amministrativa, analisi della situazione politica in vista delle Elezioni Amministrative 2025». Chi nella Lega raccoglie le scommesse, è convinto che oggi peraltro non sarà convocato il congresso federale in cui Salvini dovrebbe chiedere al partito un nuovo mandato. Eppure, molti pensano che il tema veneto — con la possibilità di una rottura del centrodestra qualora il candidato non fosse leghista — non possa oggettivamente essere ignorato.
La speranza dei leghisti meno barricaderi (e più lontani dal Veneto) è che Giorgia Meloni acconsenta a lasciare alla Lega i suoi territori d’elezione: «È anche suo interesse non rompere la coalizione».
Chissà. In Fratelli d’Italia, al cui interno comunque la situazione preoccupa, l’idea è che si possa offrire a Zaia, con tutti gli sfarzi, la candidatura di coalizione a sindaco di Venezia. Ammesso — e niente affatto concesso — che Zaia voglia accettare, non è certo che i leghisti veneti più fiammeggianti possano dirsi soddisfatti: «Sarebbe comunque la fine della Lega». E ipotizzano uno scarso impegno di Salvini nella partita sul terzo mandato come dovuto anche al fatto che Zaia si sia sottratto alla candidatura alle Europee chiesta dal segretario.
Unico raggio di sole per questa componente del partito, la dichiarazione di Augusta Montaruli (FdI) a Un giorno da pecora : «È giusto che FdI possa ambire ad avere un suo candidato ma comunque si sceglierà il migliore». E dunque, non con la sola forza dei numeri.
Fuori e dentro il partito in questi giorni si discute molto della registrazione dei simboli della Lega (con e senza la dicitura Salvini premier). Una nota spiega che «la procedura di registrazione dei simboli è stata avviata nel 2018, come atto dovuto di un partito che vuole ufficializzare la proprietà dei propri loghi e come infatti fanno tutti i soggetti politici». E solo «recentemente si è conclusa dopo passaggi tecnici e burocrazia. Tutte le ricostruzioni alternative sono fake news».
(da agenzie)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO DI STATO USA, BLINKEN, DURANTE LA VISITA A ROMA, AVREBBE “PROTESTATO”
Il 29 dicembre, prima del viaggio della premier Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, il giornalista del Post Daniele Raineri, fidanzato di Cecilia Sala, aveva mandato un messaggio a Elon Musk attraverso il suo contatto italiano Andrea Stroppa, per chiedergli aiuto, scrive il New York Times.
Raineri ha spiegato in un’intervista con il quotidiano newyorchese che aveva letto che Musk a novembre aveva avuto un incontro segreto con l’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, Amir Saied Iravani.
Dunque Musk avrebbe contribuito ad assicurare il rilascio di Cecilia Sala ricontattando l’ambasciatore, dicono due funzionari iraniani al New York Times, poiché avrebbe assicurato che gli Stati Uniti non avrebbero fatto pressione sull’Italia per l’estradizione dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi.
Dall’articolo emerge però anche un altro tassello della vicenda, che riguarda la triangolazione con gli Stati Uniti. Fonti del governo e dell’intelligence italiane citate per primo dal Post avevano dichiarato che, oltre che incontrare Donald Trump a Mar-a-Lago, la premier e l’intelligence italiane avevano «comunicato con lo staff di Biden» e Meloni aveva ottenuto «una specie di via libera a negoziare sia da Biden che da Trump».
Ma un funzionario dell’amministrazione Biden dice al New York Times che «il governo americano non era stato consultato sui negoziati, non era stato informato anticipatamente dei rilasci ed era contrario all’accordo».
Una disapprovazione che sarebbe stata espressa in modo diretto. Una fonte qualificata ha detto al Corriere che il segretario di Stato americano Antony Blinken, quand’era in visita a Roma il 9 e 10 gennaio, «ha protestato» per la decisione di rilasciare Abedini, ma l’accordo a quel punto era già avvenuto.
L’amministrazione Biden era contraria perché l’ingegnere iraniano Abedini Najafabadi è considerato responsabile della morte di cittadini americani.
Il disappunto era stato espresso ufficialmente nei giorni scorsi anche attraverso la risposta scritta di una portavoce del dipartimento della Giustizia che abbiamo raggiunto via email: «Il dipartimento della Giustizia americano è deluso dalla decisione di revocare l’arresto provvisorio di Mohammad Abedini Najafabadi, che ha avuto come risultato il suo ritorno in Iran — ha scritto la portavoce —. Abedini […] resta incriminato nel dipartimento del Massachusetts per aver tramato per ottenere tecnologia americana sensibile, al fine di usarla nel programma letale dei droni d’attacco e di fornire supporto materiale alle attività terroristiche dei Guardiani della rivoluzione, attività che hanno portato alla morte di tre soldati americani nel gennaio 2024».
L’attuale amministrazione era tuttavia consapevole che le rimostranze non avrebbero pesato molto, dal momento che sarebbe uscita di scena nell’arco di pochi giorni.
(da Corriere della Sera)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
C’È IL TIMORE CHE, SUL TETTO DEL DOPPIO MANDATO, CONTE DECIDA DI OPTARE PER UNA SOLUZIONE CHE GLI CONSENTA DI GESTIRE DEROGHE E REGOLE PER LE DIFFERENTI ELEZIONI… LE VOCI CRITICHE: “IN BASE A QUALI PRINCIPI SI SCEGLIERANNO LE DEROGHE? VINCERÀ IL MERITO O LA PIAGGERIA?”
Tutti per uno (un nuovo mandato in più) e tutti contro tutti. Nel Movimento il tema
del superamento del tetto dei due mandati torna prepotentemente alla ribalta.
I Cinque Stelle sono in fibrillazione: dopo l’esito della Costituente (che ha defenestrato Beppe Grillo e aperto alle nuove regole), il pressing dei parlamentari e dei big della prima ora nei confronti dei vertici è cresciuto in modo esponenziale. Allo stato dell’arte gli stellati sembrano intrappolati in un labirinto di cui solo Giuseppe Conte conosce la via d’uscita.
I vertici Cinque Stelle ascoltano la proposta di Alfonso Colucci, notaio e deputato fedelissimo di Conte, che mette sul piatto l’idea di una moratoria in vista delle prossime Amministrative, un «liberi tutti» temporaneo — anche chi ha raggiunto il tetto dei due mandati potrebbe correre — che presuppone tempi più lunghi per la regola definitiva. Il piano non convince alcuni dei presenti, in primis le senatrici Sironi e Maiorino.
Proprio quest’ultima propone che il Movimento si rivolga al costituzionalista Michele Ainis, che ha partecipato come consulente al confronto della Costituente.
Anche questa idea cade, seppellita dei veti incrociati.
Tutto viene rimandato di una settimana. Circola insistente la voce che i vertici arriveranno al tavolo di lunedì prossimo con un maxi-pacchetto da proporre: questo dovrebbe contenere le norme sul terzo mandato, le novità relative al collegio dei probiviri — aumenterà il numero e gli attuali componenti, Danilo Toninelli in testa, decadranno —, al consiglio nazionale, al network giovani (c’è chi punge: «Secondo la proposta che ci è stata illustrata verrà disegnato come un partito dentro al partito, con tutti i problemi che questo comporterà»). Alcuni Cinque Stelle sperano che venga inserita nella discussione anche la nuova struttura dello Statuto per il post-garante.
L’idea di un maxi-pacchetto, però, ha gettato altra benzina sul fuoco all’interno del Movimento. Tra gli stellati c’è chi attacca: «Tutti quelli che stanno mettendo mano alla proposta sono in palese conflitto di interessi». «Anche chi fa parte del comitato d’appello non potrebbe esprimersi e suggellare l’intesa» (da regolamento, il tema dei mandati fa parte del codice etico e quindi la proposta dovrà passare per forza dai tre membri del comitato: Roberto Fico, Virginia Raggi e Laura Bottici).
In realtà dietro a veleni, veti e indiscrezioni, c’è il timore che Conte — secondo voci sempre più insistenti — decida di optare per una soluzione che gli consenta di gestire deroghe e regole per le differenti elezioni.
Una soluzione, questa, che però trova già alcune voci critiche: «In base a quali principi si sceglieranno le deroghe? Vincerà il merito o la piaggeria?». L’impressione è che la nuova norma sul tetto dei due mandati sia destinata a lasciare strascichi.
(da Corriere della Sera)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA CON CUI IL TRIBUNALE AVEVA ACCOLTO IL RICORSO DEI SINDACATI DI BASE CONTRO LA RIDUZUONE DELLO SCIOPERO
Per lo sciopero dei trasporti del 13 dicembre non c’era nessun urgenza di precettazione. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza con cui il Tar del Lazio aveva accolto il ricorso della Confederazione Sindacale Unione Sindacale di Base-Usb e dall’Unione Sindacale di Base Lavoro Privato-Usb Lavoro Privato contro l’ordinanza con la quale il 10 dicembre scorso il Mit aveva ordinato la riduzione a quattro ore dello sciopero generale proclamato il successivo 13 dicembre. Di fronte all’ipotesi di uno stop per l’intera giornata, il ministro Salvini aveva imposto una riduzione a 4 ore dello stop.
Secondo l’organo amministrativo, l’Autorità politica in tema di sciopero può intervenire con precettazione solo se riesce ad individuare quei profili di necessità e urgenza a provvedere necessariamente diversi e sopravvenuti rispetto al quadro già valutato dalla Commissione di Garanzia.
(da agenzie)
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Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile
PER EVITARE IL RISCHIO DI INCOSTITUZIONALITÀ, IL GUARDASIGILLI PENSA DI ALLARGARE LA NORMA A TUTTI I CITTADINI… LA FREDDEZZA DI PIANTEDOSI: “UNO SCUDO? IL PARLAMENTO È LIBERO E SOVRANO…”
L’ultima versione dello scudo per gli agenti di polizia è stata messa nero su bianco in
queste ore al ministero della Giustizia. Poche righe, dalla portata politica significativa. Non sgradite a Palazzo Chigi, dove Alfredo Mantovano segue il dossier per Giorgia Meloni.
L’idea è sostanzialmente questa: prevedere una corsia particolare, a disposizione del pm, per chiudere in sette giorni e senza indagati alcuni casi specifici. Quelli, ad esempio, in cui una notizia di reato interessi un esponente delle forze dell’ordine e presenti prove talmente “eclatanti” da escludere in modo palese la possibilità di aver commesso un illecito. La novità è stata pensata per garantire gli agenti in servizio, ma potrebbe essere allargata a tutti i cittadini.
L’esempio che viene ripetuto in queste ore è quello del carabiniere di Rimini che ha ucciso un uomo che aveva appena accoltellato quattro passanti. In situazioni del genere, verrebbe garantita al pubblico ministero la possibilità di compiere rapidissimi accertamenti – per restare al caso appena citato, sentire i testimoni che in piazza hanno osservato o documentato (magari con un video) la scena – e procedere con una richiesta di archiviazione.
Chi ha sparato non transiterebbe neanche per un minuto nella condizione di indagato. E sarebbe fuori dalla storia entro sette giorni: è questo il tempo massimo che verrebbe assicurato alla procura per attivare questa modalità “accelerata”.
I vantaggi per gli agenti di polizia sarebbero evidenti, nelle intenzioni dei meloniani: evitare che la condizione di indagato determini blocchi di carriera o sospensioni dal servizio o dello stipendio.
Ed evitare che un avviso di garanzia diventi stigma per chi lo riceve. Allargare questa previsione a tutti i cittadini avrebbe anche un altro potenziale effetto, in linea con la filosofia della destra: incidere su alcuni casi di legittima difesa. Ad esempio, quelli che coinvolgono cittadini che si difendono con le armi durante rapine o furti in casa.
L’opzione dei “sette giorni” non sembra però l’approccio seguito da Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia resta convinto che sia possibile dare vita a un registro speciale, per tutti i cittadini. Anche in questo caso, varrebbe soprattutto per casi che coinvolgono agenti. E in cui esistono ad avviso della procura evidenze eclatanti che non sia stato commesso un illecito, sia pure di fronte a una notizia di reato. La vicenda del carabiniere di Rimini, di nuovo.
L’obiettivo sarebbe quello di evitare l’iscrizione nel registro degli indagati, mantenendo il soggetto su cui si effettuano gli accertamenti in una condizione meno gravosa. Un impianto che capovolge il senso di un istituto (quello dell’avviso di garanzia) che nasce a tutela di chi è soggetto ad indagini.
È dunque evidente che esistono sensibilità diverse sulla soluzione migliore, nel governo. Il timore è incorrere in dubbi di costituzionalità e nella bocciatura del Quirinale. Chi ad esempio non sembra entusiasta delle novità — in linea con le perplessità dei sindacati di polizia — è il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. «Uno scudo? Il Parlamento è libero e sovrano».
(da agenzi
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