Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
PRIMA O POI USCIRANNO I DATI DI QUANTI (IM)PRENDITORI CHE HANNO INCASSATO I PRESTITI COVID GARANTITI DALLO STATO NON HANNO RESTITUITO I QUATTRINI? O LA NOTIZIA E’ STATA SEGRETATA?
In poco meno di cinque anni di vita il reddito di cittadinanza ha raggiunto in media – considerati anche i picchi post Covid – 3,3 milioni di persone e ha evitato che 1 milione di individui precipitassero nella povertà assoluta.
Nello stesso periodo i controlli mirati della Guardia di Finanza hanno fatto individuare poco più di 60mila irregolarità: sono stati 62.215 i beneficiari segnalati alle procure e ammontano a 665 milioni di euro le cifre percepite senza averne diritto.
A fare errori o tentare di truffare lo Stato è stato, a spanne, l’1,8% dei beneficiari (o il 4% dei nuclei coinvolti).
Quanto ai soldi sottratti, considerato che la misura anti indigenza è costata nel complesso circa 34,5 miliardi le frodi hanno sottratto solo l’1,9% delle cifre stanziate. Il fenomeno di quelli che una parte della stampa e la destra di governo hanno descritto come una torma di “furbetti del reddito” è stato insomma percentualmente limitatissimo.
La Gdf come detto ha appena diffuso i dati di consuntivo post abolizione della misura, sostituita con il più avaro Assegno di inclusione e il Supporto formazione lavoro riservato ai presunti “occupabili”.
Le verifiche non sono state fatte a tappeto ma si sono concentrate su “soggetti per i quali emergano warning, ossia elevati indici di rischio” legati a diversi aspetti: assenza dei requisiti di residenza (per ottenere il reddito bisognava aver risieduto in Italia per 10 anni), presenza di condanne per uno dei reati che erano causa di esclusione dal sussidio, mancata dichiarazione di redditi, patrimoni o lavori in nero, falsità sulla composizione della famiglia.
Dal 2019 al novembre 2024 sono stati fatti su quella base 75.910 controlli mirati, accertando “contributi fraudolentemente percepiti e/o indebitamente richiesti” nel 79,5% dei casi, poco più di 60mila. L’aneddotica è suggestiva: ci sono i due che prendevano il reddito nonostante avessero vinto 1 milione giocando online, quello che l’ha chiesto nonostante una condanna per riduzione in schiavitù, il “sistema strutturato” che lo faceva percepire a quasi 300 cittadini extra Ue senza i requisiti.
Ma i 62mila denunciati sono tanti o pochi? L’incidenza percentuale vista prima dice già molto. Può aiutare anche qualche confronto con le altre frodi che impattano sulle casse pubbliche.
L’ultimo bilancio operativo della Gdf, sulle attività svolte nel 2023 e tra gennaio e maggio del 2024, dice che solo in quei diciassette mesi sono stati scoperti 8.743 evasori totali e 19.928 persone sono state denunciate per reati tributari.
Tra profitti di frodi fiscali e crediti di imposta inesistenti o ad alto rischio sono stati sequestrati oltre 8,3 miliardi. Le poco meno di 20mila indagini in materia di spesa pubblica hanno portato alla denuncia di 31mila persone e alla segnalazione di 6.345 alla Corte dei Conti.
Sono stati accertati danni erariali per oltre 3 miliardi, più di quattro volte i contributi “fraudolentemente percepiti” dai percettori del rdc nel corso di cinque anni. Guardando alle imprese, nel solo 2023 l’Inps ha recuperato contributi e premi evasi per 1,2 miliardi, il doppio rispetto al valore delle frodi sul rdc. Per non parlare delle truffe sulla cassa integrazione, per cui è imputata tra gli altri la ministra del Turismo Daniela Santanché.
Sul concetto di “frode sul reddito”, poi, bisogna intendersi. Le denunce scaturite dai controlli della Finanza non equivalgono come è ovvio a condanne. Anzi. In moltissimi casi, come raccontato dal Fatto, i processi hanno accertato che i presunti truffatori erano persone che hanno semplicemente sbagliato a compilare i moduli, a volte perché indotti in errore – o non corretti – dai Caf. Che in alcuni casi sono risultati “registi”, scrive la Gdf, della presentazione di istanze per la concessione del rdc a chi era privo di residenza.
Risultato: fioccano le assoluzioni per tenuità del fatto o perché dimostrare il dolo è impossibile, soprattutto se si tiene conto delle difficoltà linguistiche dei richiedenti stranieri denunciati proprio perché non residenti in Italia da più di dieci anni. Requisito peraltro dichiarato illegittimo dalla Corte di giustizia Ue. Tanto che il governo Meloni, quando ha varato l’assegno di inclusione, ha deciso di abbassare l’asticella a cinque anni.
(da il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
NON E’ CRONACA DA UNA CASA DI CURA PER TOSSICI O DI UN MANICOMIO PER PSICOLABILI, E’ LA FESTA DELL’INSEDIAMENTO DI UN PRESIDENTE
Che fosse un piano preordinato o un caso fortuito, Elon Musk si è ritrovato a seguire il
discorso d’insediamento di Donald Trump al Campidoglio al fianco del figlio minore del neo-presidente, Barron.
Sui social non è sfuggita l’abissale distanza di caratteri e modi di reagire alle parole del leader dei due: algido il 18enne, che ha appena iniziato gli studi universitari alla Stern School of Business della New York University, istrionico e a tratti incontenibile l’imprenditore.
Più di una volta, durante il discorso, Musk ha riso, applaudito, ammiccato. Ma c’è stato un momento in cui ha perso letteralmente le staffe. Per l’euforia, s’intende (o forse per altro)
È stato quando Trump ha annunciato, in purissimo stile americano, di puntare ad atterrare su Marte: di più, a «piantarci la bandiera americana». Musk, che con la sua SpaceX non nasconde di puntare proprio a quell’obiettivo, s’è lasciato andare a una grossa risata e ha mostrato i due pollici verso l’alto. Come a dire: «Avanti tutta, ci penso io»
Il comizio dal palco e il braccio teso
Come già successo in molti dei recenti eventi e comizi legati alla cavalcata di Trump, Musk ha poi preso egli stesso la parola alla grande festa del popolo MAGA organizzata dopo la cerimonia di giuramento alla Capital One Arena di Washington.
«Ecco cosa vuol dire vittoria!», ha esultato Musk salendo sul palco. «Questa non è una vittoria ordinaria, questa è una svolta per la civiltà umana. Grazie a voi per averlo reso possibile. Grazie a voi il futuro della civiltà è assicurato».
A quel punto Musk in preda a scatti poco umani si è prodotto in un altro gesto plateale di gioia, portandosi la mano prima sul cuore e poi improvvisamente verso l’alto, a destra.
Tanto che sui social molti si sono chiesti se non avesse fatto davanti alla folla trumpiana un saluto romano in pieno stile nazista.
Di certo c’è che a condividere l’impressione è stato anche il referente italiano di Musk, Andrea Stroppa. Che per qualche minuto ha addirittura “formalizzato” il saluto romano del suo idolo americano. «L’Impero Romano è tornato, a cominciare dal saluto romano», ha scritto Stroppa su X condividendo il video dell’intervento. Poco dopo però il giovane imprenditore italiano deve aver pensato di averla sparata un po’ troppo grossa. E ha eliminato il post politicamente imbarazzante.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
I MILIARDARI SANCISCONO LA FINE DELLA DEMOCRAZIA E DEL LIBERISMO, USA COME LE PEGGIORI REPUBBLICHE SUDAMERICANE
C’è tutto quello che aveva annunciato: la guerra agli immigrati e il loro rimpatrio con la forza, i dazi ai Paesi stranieri, il ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi sul clima e una capriola all’indietro sulla transizione green.
Ma c’è anche la conquista del canale di Panama e la battaglia per ripristinare due soli generi: maschile e femminile. Il discorso di Donald Trump cancella con un colpo di spugna tutti i risultati dell’amministrazione Biden e le misure di «quell’establishment corrotto che ha portato il Paese in rovina».
Dopo un breve saluto di cortesia all’ex presidente e vicepresidente, il tycoon ha elencato punto per punto la sua rivoluzione conservatrice, accolta con applausi da quasi tutta la sala, eccezion fatta per Joe Biden, Kamala Harris e gli ex presidenti. Più che un discorso d’insediamento, quello di Trump è stato un proclama di conquista dell’America che punta a smontare pezzo per pezzo il Paese liberal, verde e accogliente dei democratici.
Gli immigrati innanzitutto. Il presidente ha annunciato che dichiarerà emergenza nazionale al confine con il Messico. Una mossa che nel 2019 gli ha permesso di finanziare la costruzione del muro e che oggi potrebbe aiutarlo a usare l’esercito ai confini. Tra le varie misure, Trump ha annunciato la fine della politica “Catch and Release”, che prevede il rilascio dei migranti in attesa dei processi per l’espulsione, e il ripristino della politica “Remain in Mexico”, che li obbliga appunta a restare in Messico in attesa della decisione.
Il Messico sembra essere uno degli obiettivi del secondo mandato da presidente. Dopo averlo citato infaustamente per la questione dei migranti irregolari, ha aggiunto che cambierà il nome del Golfo del Messico in Golfo D’America. Il presidente ha poi ribadito l’intenzione di riprendere il controllo del canale di Panama «in mano ai cinesi».
Il passo indietro sulla transizione verde
Per quanto riguarda il clima, anche qui nessuna sorpresa. Le minacce degli scorsi mesi sono diventate programmi: gli Usa usciranno dagli Accordi di Parigi, e verrà dichiarata un’«emergenza energetica nazionale» che farà ripartire le tanto controverse trivellazioni in mare (vietate da Biden) e l’estrazione di idrocarburi. Il neo presidente ha promesso di allentare subito le normative sulle auto a combustibili fossili e di annullare tutti gli incentivi sui veicoli elettrici promosse dall’amministrazione Biden.
Il gender e la razza
Nel discorso durato 20 minuti c’è stato spazio anche per le politiche identitarie e qui Trump ha fatto quello che la sua base conservatrice gli chiede: affermare che intende mettere fine alle azioni che cercano «di manipolare genere e razza». «Da oggi, la politica ufficiale del governo degli Stati Uniti sarà che ci sono solo due generi: uomini e donne», ha affermato.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
L’ARBITRO FINGE “DI NON AVER SENTITO”… L’ALLENATORE DEL GIOVANE SPORGE DENUNCIA… GLI INSULTI PROVENIVANO DALLA PANCHINA DELLA SQUADRA AVVERSARIA… BASTA BUONISMO, LEGITTIMA DIFESA CONTRO LA FECCIA
Un altro vergognoso episodio di razzismo in un campo di calcio. Un giocatore di 18 anni
ha chiesto in lacrime al suo allenatore di essere sostituito a metà del secondo tempo perché non riusciva più a sopportare gli insulti razzisti – “scimmia”, quello più utilizzato – che gli giungevano dalla panchina della squadra avversaria.
L’episodio di razzismo, come riporta il Gazzettino di Padova, è avvenuto sabato scorso durante la partita di calcio tra Real Padova e San Giorgio in Bosco, valida per il campionato provinciale juniores.
Marco Varrotto, l’allenatore del Real Padova che ha in squadra altri due giocatori neri, la sera stessa su un portale calcistico ha poi letto un commento di un sostenitore della squadra avversaria: “Al Real Padova giocano più scimmie che persone, in campo sembrava di stare in una giungla”.
Il commento è poi stato rimosso, ma l’allenatore ha fatto in tempo a fotografarlo e ha deciso questa volta di sporgere denuncia, anche perché si dice stanco di dover sostituire forzatamente i suoi ragazzi “dopo 70 minuti di insulti ai quali sono bravi a non rispondere, a non cadere in provocazioni e a non reagire, sopportando in silenzio, ma a un certo punto mi chiedono in lacrime di uscire dal campo di gioco. E sabato si è passato il limite”. L’arbitro, alle rimostranze dell’allenatore perché intervenisse e prendesse qualche provvedimento, ha detto di non aver sentito nulla.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
UN SOSPIRO DI SOLLIEVO PER LA MELONI, LA QUALE SPERAVA CHE LA CORTE BOCCIASSE IL REFERENDUM: SE AVESSE VINTO IL SÌ ALL’ABROGAZIONE, PER IL GOVERNO SAREBBERO STATI CAZZI
Non si terrà il referendum che puntava all’abrogazione totale dell’Autonomia
differenziata, la legge firmata Calderoli, bandiera della Lega sulla prima legislatura della destra.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, decretando l’inammissibilità per quel quesito, dopo una camera di consiglio durata circa sette ore. Mentre gli stessi giudici della Consulta hanno dato il via libera agli altri cinque quesiti referendari: quello che mira al dimezzamento di residenza in Italia, da dieci a cinque anni, per l’acquisizione della cittadinanza; e gli altri quattro che puntano a ripristinare tutele e garanzie sul lavoro cancellando le norme del Jobs act
Tutti e sei i quesiti erano stati comunque approvati dalla Corte di Cassazione, lo scorso dicembre : sia in relazione alla regolarità della raccolta firme, sia sulla congruità del quesito, nonostante la sentenza che era intervenuta pesantemente sulla legge Calderoli. L’ultima parola, sul fronte dell’ammissibilità, spettava comunque alla Consulta.
E’ una pronuncia che, ancora una volta, divide politica e tecnici. Sulla quale ha pesato senz’altro la sentenza 192 del 14 novembre scorso, con la quale la Corte ha letteralmente demolito l’impianto dell’Autonomia così come disegnata dal governo Meloni, rilevando sette profili di illegittimità e indicando per altri cinque ambiti della normativa delle direzioni costituzionalmente orientate.
La Consulta ha deciso nell’ultimo giorno utile ed in formazione ridotta al minimo – solo 11 giudici su 15 – dopo aver invano atteso che il Parlamento compisse il suo dovere nell’elezione dei quattro membri, per i quali ci si attendeva l’accordo tra maggioranza ed opposizione entro martedì scorso. Il patto invece era saltato, e deputati e senatori ci riproveranno giovedì prossimo.
Intanto domani mattina la Corte si riunirà nuovamente in camera di consiglio per eleggere il suo nuovo presidente, dopo che il predecessore Augusto Barbera aveva concluso il mandato lo scorso dicembre, lasciando l’interim al vicepresidente Giovanni Amoroso.
Dopo l’elezione, il nuovo presidente della Corte – che con ogni probabilità sarà appunto Amoroso, come di prassi il più anziano tra loro – incontrerà come di consueto i giornalisti.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
NON E’ “A DIFESA DELLE DONNE”, STRUMENTALIZZA I LORO CORPI PER CRIINALIZZARE UN’INTERA COMUNITA’
Sgomberiamo il campo da ogni equivoco: la proposta di legge presentata dalla Lega alla
Camera per vietare ‘il velo’ nei luoghi pubblici non è amica delle donne. È nient’altro che un provvedimento inutile (quante donne vedete ogni giorno passeggiare col burqa in Italia?), il cui unico scopo è strumentalizzare la condizione femminile per criminalizzare un’intera comunità.
Perché diciamocelo chiaramente: un progetto di legge di questo tipo non otterrà nessun effetto, se non quello di alimentare gli stereotipi sulle persone musulmane, come quello che vuole la donna sottomessa al volere dei membri maschili della propria famiglia.
Non è la prima volta che il corpo delle donne viene usato come terreno di scontro per condurre un attacco su più larga scala: pensiamo a quando, nel 2016, alcuni sindaci di località balneari francesi sul Mediterraneo vietarono il burkini.
Quest’ultimo è un indumento da spiaggia usato soprattutto dalle donne musulmane (ma non solo) che copre tutto il corpo, come fosse una muta da sub: il surreale dibattito su questo tipo di costume arrivò dopo gli attentati di Parigi del 2015, in un periodo in cui la comunità araba e islamica era fortemente sotto attacco in Francia.
In questo caso si usò strumentalmente il discorso sull’emancipazione femminile per colpire un’intera fetta di popolazione, facendola apparire come ‘retrograda’ e ‘incapace di integrarsi’.
Inutile dire che l’effetto di questi divieti non fu che le donne musulmane iniziarono a comprare costumi graditi a Manuel Valls, ma che semplicemente non misero più piede in spiaggia. Bella mossa, non c’è che dire.
La comunità musulmana è sempre stata il capro espiatorio per eccellenza. Per questo iniziative come quella della Lega suscitano reazioni avverse molto timide, anche da parte dei partiti della sinistra.
Eppure dovrebbe essere ormai chiaro che la campagna di forzatura laica serve solo strumentalmente alle destre sovraniste per compattare il proprio elettorato contro l’Islam e recuperare il voto femminile bianco in termini reazionari.
Le donne musulmane non sono soggetti passivi da salvare, e anche volessero la nostra solidarietà non sarebbe certo attraverso norme che le inferiorizzano su un piano culturale.
Pensare che non siano in grado di autodeterminarsi è un retaggio nemmeno velatamente razzista e colonialista, oltre che paternalista e patriarcale. Imporre, soprattutto da parte di un’autorità statale, un determinato codice di abbigliamento, è un atto violento che nulla ha a che vedere con la liberazione e la dignità delle donne. Che devono essere libere di scegliere se coprirsi o scoprirsi.
Senza contare che, nei casi in cui un certo tipo di indumento sia effettivamente imposto, queste donne non è che smetteranno di indossarlo ‘grazie’ alla legge della Lega. Semplicemente smetteranno di uscire.
Ma poi, guardiamoci in faccia: viviamo in un Paese che su questo argomento può davvero mettersi in cattedra e dare lezioni agli altri?
(da Fanpage)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
ACCUSATO DI CRIMINI DI GUERRA, VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI E TORTURE.., UN ALTRO DEI TANTI CRIMINALI LIBICI NELLE ISTITUZIONI CHE L’ITALIA TRATTA DA STATISTI
Le autorità italiane hanno arrestato, a Torino, Njeem Osama Elmasry, noto anche come Almasri o Osama al Najim, capo della Polizia giudiziaria libica e affiliato alla Forza di deterrenza speciale (Radaa). L’operazione, scattata in seguito a una segnalazione dell’Interpol, è avvenuta su mandato della Corte penale internazionale (CPI), che lo accusa di gravi violazioni dei diritti umani e crimini di guerra.
La notizia è stata diffusa dalla Fondazione per la riforma e la riabilitazione di Ain Zara, una struttura carceraria di Tripoli, che su Facebook ha definito l’arresto “arbitrario”. Il direttore della struttura, Abdel Moaz Nouri Bouaraqoub, ha lodato Elmasry come “un generale di brigata rigoroso e professionale” e chiedendo al governo libico di intervenire immediatamente per ottenere il suo rilascio.
La prigione di Mitiga
Secondo il giornalista Nello Scavo, che ha riportato i dettagli per il quotidiano “Avvenire”, Elmasry è accusato di essere il responsabile delle violenze della prigione di Mitiga, a Tripoli, un luogo tristemente noto per torture, detenzioni arbitrarie e abusi sessuali sistemtici.
La struttura, che ospita detenuti politici, presunti terroristi e persone migranti, intercettate in mare, è infatti parte integrante del sistema repressivo libico ed è gestita dalla Forza Radaa, un gruppo armato islamista guidato dal comandante Abdul Rauf Kara. Mitiga, che comprende un aeroporto civile, una base militare e una prigione, è strategicamente cruciale per il controllo di Tripoli.
Elmasry è balzato agli onori della cronaca anche nel 2022, durante gli scontri armati nella zona di Sabaa, a est di Tripoli, tra la Polizia giudiziaria da lui guidata e la Guardia presidenziale.
Le accuse contro Elmasry potrebbero inoltre riguardare i crimini legati alle fosse comuni scoperte a Tarhuna dopo il cessate il fuoco del 2020, su cui la CPI sta conducendo ora indagini approfondite. L’arresto rappresenta un passo importante nella lotta contro l’impunità per i crimini di guerra, gettando nuove ombre sul sistema di detenzione libico e sul ruolo della comunità internazionale.
(da Fanpage)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
RIPRISTINATO IL DIRITTO: NESSUNO DEVE PENSARE DI RESTARE IMPUNITO DALLE INFAMIE CHE SCRIVE
La querela per gli insulti social ricevuti da Cristina Seymandi non deve essere archiviata.
Secondo la giudice del tribunale di Torino Lucia Minutella, bisogna indagare per fare chiarezza sui presunti diffamatori dell’imprenditrice torinese.
Venerdì 17 gennaio 2025 è stata rigettata la richiesta di archiviazione che il pubblico ministero Roberto Furlan aveva presentato per questa vicenda, creando scalpore.
Seymandi è la donna che, nell’estate 2023, era finita al centro di uno scandalo per la movimentata fine della sua relazione sentimentale con l’ex convivente Massimo Segre. Lui aveva annunciato di volerla lasciare durante la festa di compleanno di lei. Qualcuno aveva filmato la scena, poco prima del taglio della torta al party, e aveva pubblicato tutto sui social network. Risultato: il video è diventato virale e ha fatto il giro del mondo.
Gli insulti social
Nei giorni dopo quella vicenda, Seymandi aveva notato moltissimi commenti a suo dire diffamatori nei tanti post sui social che riguardavano la vicenda che la coinvolge. Recitavano, per esempio, “zocc*la”, “tro*a”, “mign*tta” e tanti altri insulti, che la donna ha elencato in una querela nei confronti di ignoti datata 3 novembre 2023.
Le indagini
Nelle scorse settimane, il pubblico ministero Furlan aveva chiesto di archiviare la querela, rinunciando così a identificare gli autori dei commenti ed, eventualmente, a processarli.
Tramite il suo avvocato Claudio Strata, l’imprenditrice si era opposta a questa richiesta. Scrive la giudice Minutella: “I commenti stigmatizzano la parte lesa (Seymandi, ndr) in funzione del suo genere e appaiono marcatamente discriminatori. Non sono espressione di un giudizio meramente critico, ma appaiono basati su stereotipi, animati in via esclusiva da finalità offensive”. Per questo, vanno approfonditi con altre indagini, che potrebbero anche identificare gli autori.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
L’EX SOTTOSEGRETARIO BRUNO TABACCI: “MARIO DRAGHI NON SAREBBE MAI ANDATO ALLA CERIMONIA DI TRUMP, DOPO IL MANCATO INVITO A URSULA VON DER LEYEN”
«Effettivamente ho l’equidistanza nel destino», ci dice Bruno Tabacci, nato nel ’46, anno in cui si votò tra monarchia a Repubblica, a Quistello, bassa mantovana, terra lambita al Sud dal 45° parallelo, appunto equidistante tra Polo Nord ed Equatore. A due passi, a proposito di segni, c’è San Benedetto Po, paese natale del cardinale Ruffini, zio del padre di Ernesto Maria, l’uomo nuovo che i centristi sognano “federatore”, di cui Tabacci è gran consigliere: «Ci confrontiamo, ma è solido di suo, ha respirato la politica sin da ragazzo».
Vicesindaco del suo paese, consigliere regionale, presidente della Regione Lombardia nell’87, in Parlamento è entrato nel ’92 col Ppi: «Allora gli eletti di prima nomina, anche se esperti, non potevano andare in commissione Esteri e Bilancio. Per parlare in Aula dovevi chiedere il permesso. Che scuola i partiti!». Da allora, dal Palazzo non è più uscito, se non per un breve periodo in cui ha avuto incarichi a Eni, Snam, Efibanca e presidente e ad di Autostrade della Cisa.
L’ultima volta è stato eletto grazie a una lista con Luigi Di Maio. Poi si sono persi di vista. Le danno del Tarzan: al momento giusto, la liana per rientrare.
«Ma no, ho solo una grande passione politica. E, come diceva Ciriaco De Mita, dalla passione politica ci si dimette solo con la morte».
Con l’Udc nel centrodestra, poi alla ricerca del centro nel centrosinistra: Rosa Bianca, Centro democratico, ora quel che si muove attorno a Ernesto Maria Ruffini.
«Pensi che nel 2018 avevo deciso di non candidarmi e avevo già altri progetti. Poi mi chiamò Emma Bonino, perché aveva difficoltà nel raccogliere le firme e ci federammo col mio Centro democratico. Fui richiamato dalla politica».
Tutto questo dibattito sul centro sa di vecchio: il “laboratorio”, il “luogo di ascolto”.
«Non parlerei di centro, ma di area politica dove devono prevalere competenza, responsabilità, senso del dovere. Insomma, quelli che non parlano alle curve. Detto questo, è vero, questa area va presentata in chiave di novità, non con le solite formule».
Diciamoci la verità: si chiamano correnti, e servono alla nomenklatura per rientrare in Parlamento.
«Per ora la discussione è tutta interna al Pd, va portata fuori. Ruffini ha parlato a chi sta fuori, più che a chi sta dentro».
Ammetterà che uno che ha fatto “Mister fisco” non è molto popolare in Italia.
«E perché? Puoi immaginare lo Stato senza le tasse? Invece io penso che uno in grado di togliere il sommerso e scambiare ricchi con i poveri sia un bel messaggio».
Ma è vero che si sente il talent scout di Mario Draghi?
«Era bravo di suo, però sì, lo coinvolsi. Nell’82, Marcora doveva fare il premier, ma andò Fanfani, che chiamò Goria al Tesoro. E io andai a fare il capo della segreteria tecnica. Ci ritrovammo senza consulenti.
Goria chiamò Innocenzo Cipolletta. Romano Prodi e il professor Alberto Quadro Curzio mi parlarono di un giovane brillante che era poco salito in cattedra a Firenze, Draghi appunto. Si rese disponibile. Dopo un anno Goria lo indicò come vicepresidente esecutivo della Banca Mondiale».
Quarant’anni dopo è stato sottosegretario del suo governo.
«Esperienza bellissima. Non sarebbe mai andato alla cerimonia di Trump, dopo il mancato invito a Ursula Von der Leyen. Avrebbe fatto prevalere la solidarietà europea».
Ma la competenza serve ancora per conquistare il potere?
«Per conquistarlo non lo so, per governare sì. Ricordo un incontro con Fanfani. C’era da trasmettere al Parlamento, ogni trimestre, una relazione sulla gestione di cassa delle amministrazioni pubbliche. Andai a fargli vedere la presentazione. Passò in rassegna quelle quattro cartelle, proponendo con garbo dei cambiamenti. Conosceva lo Stato con una professionalità assoluta».
Dica la verità: lei è un nostalgico.
«Totalmente, Mamma Dc ti consentiva di crescere dentro regole di dovere e serietà Quando nell’85 entrai in direzione centrale, spesso mi sedevo accanto a Fanfani perché c’era da imparare. Aveva fogli di appunti scritti piccoli, a mano. Si studiava per qualunque cosa. E la politica guidava».
Esistono i poteri forti?
«Nel racconto più che nella realtà. Quando la politica era forte, erano forti anche i poteri, dai corpi intermedi al sistema economico. Confindustria di oggi non è quella di Agnelli o Pirelli e anche il sistema Mediobanca non ha più il peso di un tempo».
Quanto conta il Parlamento?
«Zero. Se nel’92 ti permettevi di porre il maxi emendamento sulla Finanziaria non ne uscivi vivo. Ora si governa per decreti. Il premierato c’è già, ed è stato costruito nel tempo: morte dei partiti, taglio dei parlamentari, criteri di elezione che premiano la fedeltà sulla rappresentanza. La settimana parlamentare dura ormai un giorno e mezzo…»
Consiglio democristiano a Giorgia Meloni.
«Mi ha colpito molto che, nell’arco di poche settimane, prima Ruffini, poi Elisabetta Belloni si siano dimessi, uno da capo dell’Agenzia dell’entrate l’altro da capo dei servizi.
Non erano a fine incarico. Non si governa avendo sfiducia negli apparati dello Stato».
La chiamano Brunobike. In bicicletta è più forte lei o Prodi?
«Prodi è forte ma forse in salita vado meglio io. I chili in più sono uno zaino pesante».
(da La Stampa)
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