Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
NELLO SCAVO SU “AVVENIRE” RIVELA GLI INTRECCI CRIMINALI TRA MILIZIE LIBICHE, GOVERNO E TRAFFICANTI: “ALMASRI E’ UN INTERLOCUTORE DEL GOVERNO ITALIANO”… EVITARGLI IL PROCESSO ALL’AJA VUOL DIRE IMPEDIRE CHE PARLI DEGLI ACCORDI CON IL GOVERNO ITALIANO
Il 19 febbraio 2022 i membri di un gruppo armato guidato da Mohammed Bahroun –
detto al-Far, “il topo” – sbarrano la strada costiera che scorre tra le dune verso la Tunisia, nel tratto tra Tripoli e Zawiyah. Cumuli di terra e macerie impediscono l’accesso a pedoni e veicoli. I miliziani protestano per l’arresto di un loro affiliato: Rabee Halila, trattenuto dalla Special Deterrence Force (Rada) e dalla polizia giudiziaria guidate da Jeem Osama Elmasry Habish, il futuro generale “Almasri”. Poco dopo Almasri ordina la scarcerazione di Halila.
La chiusura della via di comunicazione costiera sarebbe stato un grosso problema. La strada è attraversata giornalmente da decine di autocisterne cariche di carburante dirette in Tunisia. Tripoli e Tunisi non hanno siglato accordi di import-export nel settore degli idrocarburi, ma alla luce del sole la merce attraversa ugualmente la dogana. A controllare l’uscita dei veicoli verso il confine tunisino è un’altra milizia. Secondo gli investigatori Onu il clan è guidato dal rampante Emad Trabelsi, uno che aveva cominciato da piccolo trasportatore, poi messosi a taglieggiare furgoncini di passaggio, infine ha allargato il business imponendo il pizzo alle autocisterne: fino a 10mila dollari per carico da 40mila litri. Già nel 2018 il dipartimento di Stato Usa (presidenza Trump) nel rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani nel mondo confermava la ricostruzione del gruppo di esperti Onu sulla Libia. Emad Trabelsi in breve tempo diventerà vicecapo dei servizi segreti libici e oggi ministro degli Interni a Tripoli. Anche per gli Usa Trabelsi è stato «beneficiario di fondi ottenuti illegalmente».
Emad Trabelsi, ministro dell’interno di Tripoli è accusato di guidare una milizia di doganieri – undefined
Bahroun e Trabelsi sono nomi che torneranno ancora. Se il secondo diventerà la faccia della “sicurezza” interna, il primo dopo essere stato in ombra per qualche tempo (anche per questo lo chiamano “il topo”) salta fuori quando davanti all’accademia navale militare di Tripoli il 2 settembre dello scorso anno un colpo di mortaio uccide il direttore. Crivellato dalle schegge che sfondano la sua auto blindata, muore sul colpo il maggiore Abdurahman al-Milad, il famigerato comandante Bija che con Bahroun aveva costruito una carriera parallela. Bija nel 2017 era stato invitato segretamente in Italia per affrontare alcune scottanti questioni sulla gestione dei flussi migratori. Con la sua potente gang comandava il porto di Zawyah (da dove salpano petrolio di contrabbando, stupefacenti dai narcos sudamericani, armi, esseri umani). Bahroun si assicurava che la via fosse sempre libera per gli affari di quelli di Zawyah e per la facile circolazione delle autocisterne dirette in Tunisia. Sempre a Zawyah ci sono i principali centri di detenzione statale per migranti, quelli nei quali l’Onu ha documentato «orrori indicibili». Il direttore delle prigioni, Osama al-Khuni Ibrahim, dopo essere stato identificato da “Avvenire” è stato sottoposto a sanzioni internazionali dal Consiglio di sicurezza Onu; e con lui suo cugino Bija. Entrambi risulteranno poi indagati per crimini contro i diritti umani dalla procura di Palermo e dalla Corte penale internazionale.
Il comandante al-Khoja è accusato di traffico di esseri umani. Guida il Dipartimento contro l’immigrazione – undefined
Secondo il consueto canovaccio mafioso, le strade tra Bija e “il topo” a un certo punto si dividono. Barhoun viene accusato di avere ordinato l’uccisione del vecchio amico Abdurhaman. A Tripoli capiscono che sta per saltare la regione di Zawyah, dove si trova la più grande raffineria del Paese, data in concessione all’Italia. Bahroun viene arrestato dalla polizia giudiziaria e dagli uomini della Rada, guidati dal generale Jeem Osama Elmasry Habish, per tutti “Almasri”, che con il suo esercito garantisce protezione al primo ministro Dbeibah. Il rispetto della legge, però, non è la vocazione né l’obiettivo dell’operazione. In ballo ci sono altri e lontani interessi. Pochi giorni dopo l’arresto, Bahroun lascia la cella prima ancora di venire processato. Salirà su un jet privato che lo accompagnerà per un volo di sola andata diretto in Turchia, Paese che sulla Libia ha scommesso buona parte della sua influenza nel Nordafrica. Per Almasri vuol dire che in un solo colpo potrà riempire con i suoi battaglioni il vuoto lasciato da “Bija” e dal “topo”, spadroneggiando lungo tutta la ricca fascia costiera.
Il generale Almasri
La mano pesante sui migranti è affidata anche a un altro capobanda che dopo aver combattuto nella difesa di Tripoli, aggredita dalla soldataglia del generale di Bengasi Haftar, si è conquistato i galloni di fedelissimo del premier Dbeibah. E’ Mohammed al-Khoja, accusato da varie organizzazioni internazionali e dalle agenzie Onu d’essere legato al business del traffico di persone. Ora guida il Dipartimento contro l’immigrazione illegale (Dcim) che gestisce i campi di prigionia statali nei quali anche nell’ultima relazione del segretario generale Onu Antonio Guterres, firmata il 9 dicembre scorso, migranti e profughi «continuano a essere detenuti arbitrariamente in condizioni disumane».
Abdurhaman al-Milad detto “Bija” è stato ucciso nel settembre 2024 – undefined
Il governo del premier Dbeibah ha confermato a capo del Dipartimento contro l’immigrazione illegale (Dcim) il capomilizia filoturco Mohammed al-Khoja, accusato da varie organizzazioni internazionali e dalle agenzie Onu di essere legato al business del traffico di persone. Se il generale “Almasri” fosse stato portato davanti alla Corte penale internazionale, all’Aja si sarebbe finalmente potuto aprire il primo processo sulla Libia, che per regolamento può essere celebrato solo in presenza dell’imputato. Ma, oltre al terremoto internazionale per una simile eventualità, a Tripoli ci sarebbe stato un altro vuoto di potere da riempire in fretta.
E non è detto che Paesi come l’Italia abbiano pronto un nome per il dopo Almasri. Che con Roma sarà in debito per sempre.
(da Avvenire)
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
“HO ASSISTITO A DUE OMICIDI IN CARCERE AD OPERA DI ALMASRI, HO TESTIMONIATO DAVANTI ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE”
“Sono indignato per la scarcerazione di Almasri, io fui torturato da lui”. Lo afferma Giulio Lolli, attraverso un comunicato, diffuso dal suo avvocato, Claudia Serafini. Lolli, soprannominato ‘il Pirata’, è l’imprenditore condannato per le vicende della Rimini Yacht, fuggito in Libia ed estradato in Italia nel 2019, attualmente in carcere a Bologna”. Ora commenta il caso del generale libico Najeem Osema Almasri Habish, espulso dall’Italia e trasferito a Tripoli con un volo italiano”.
Lolli nella lettera racconta le torture subite e quelle a cui dice di aver assistito nella prigione Mitiga “dove sono stato rinchiuso, nell’indifferenza mediatica, consolare e delle associazioni dei diritti umani – scrive. Lolli era stato arrestato in Libia, dove aveva preso parte alle rivolte contro Gheddafi, con l’accusa di terrorismo (accusa per cui in Italia è stato assolto in via definitiva). Nella nota spiega di aver già testimoniato nel 2023 davanti alla Procura della Corte penale internazionale e di essere stato, in carcere, testimone oculare di due omicidi commessi dai comandanti della milizia Al-Rada, uno effettuato da Almasri “per rappresaglia su un prigioniero appena catturato dopo un tentativo di assalto alla prigione”, il secondo durante interrogatori.
In un’altra occasione ci furono colpi d’arma da fuoco sparati alle ginocchia dei prigionieri, in due casi da Almasri, “per dare esempio”.
“Ho assistito a innumerevoli e brutali pestaggi – aggiunge – avvenuti sia con il bastone di gomma che Osama e tutti i miliziani si portavano appresso sia con il calcio dell’AK47″.
Tra le torture subite, Lolli racconta di essere stato ripetutamente inserito in una bara di ferro verticale per ore “quando non rispondevo adeguatamente a Osama Najeen, Abdulraouf Karah, il fondatore di Al-Rada e a un altro ufficiale”.
Lolli si dice pronto a dare ulteriori chiarimenti e dice di essere indignato “ancor più a vedere che un criminale di tale caratura sia stato riaccompagnato in Libia con l’aereo Falcon dell’Aise (servizi segreti italiani, ndr)”, lo stesso velivolo con cui lui stesso venne condotto dagli agenti dell’Aise da Tripoli a Roma, “dopo essere stato consegnato da Osama Najeen ai servizi segreti italiani”.
(da Resto del Carlino)
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
L’UOMO, A CAPO DI UNA BANDA DI NARCOTRAFFICANTI E IN PASSATO CONDANNATO PER DUE OMICIDI, È RIUSCITO A EVADERE DAL PENITENZIARIO APPROFITTANDO DEL REGIME DI LAVORO ESTERNO E LA POLIZIA PENITENZIARIA SI È ACCORTA DELLA SUA ASSENZA SOLO QUALCHE ORA PIÙ TARDI
È caccia all’uomo ad Ancona dove un detenuto è evaso dal carcere di Barcaglione nelle
scorse ore in una fuga decisamente singolare. Il 44enne Xhevdet Plaku, alias “Achille”, è sparito nel nulla mentre andava buttare la spazzatura fuori dal carcere, una libertà di cui godeva grazie ad alcuni benefici di legge e alla buona condotta in cella.
L’evasione è avvenuta giovedì mattina in maniera così silenziosa e senza dare sospetti che solo alcune ore dopo in carcere si sono accorti della sua assenza. Immediato l’allarme e la conseguente caccia all’uomo, prima nei dintorni del carcere e poi estesa a tutta la città con la diffusione di nome e foto a tutte le forze dell’ordine.
Xhevdet Plaku, 44enne cittadino albanese, era in prigione da un anno e mezzo perché ritenuto a capo di una banda di traffico internazionale di droga, in particolare con i Paesi Bassi e il Belgio, ma in passato era stato accusato anche di due omicidi e condannato in Albania.
Nel carcere di Ancona beneficiava del regime detentivo dell’articolo 21 e godeva cioè della libertà di movimento all’esterno del carcere senza scorta.
Un’evasione decisamente anomala, visto che l’uomo tra alcuni mesi avrebbe finito di scontare la condanna, ma per gli inquirenti decisamente pianificata a tavolino. Probabilmente aveva qualche complice fuori pronto ad aiutarlo.
(da agenzie)
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
RICORDA “LA COLLEZIONE DI TWEET IN CUI CHIEDEVA LE DIMISSIONI DI QUESTO E QUELLO PER FESSERIE, INEZIE, OPINIONI E ATTI POLITICI SGRADITI. ORA CHE È RINVIATA A GIUDIZIO PER FALSO IN BILANCIO, IMPUTATA PER TRUFFA ALLO STATO SULLA CASSA COVID E INDAGATA PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA, È FACILE IMMAGINARE COSA DIREBBE SE SI TRATTASSE DI UN ALTRO”
Circola sul web una strepitosa collezione di tweet di Daniela Santanchè che chiede le dimissioni di questo e quello per fesserie, inezie, opinioni e atti politici sgraditi.
I destinatari sono sempre avversari politici, soprattutto 5 Stelle. Ma riuscì persino a chiedere la testa di Giuliomaria Terzi di Sant’Agata, che non è il cugino di Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, ma l’ex ministro degli Esteri di Monti che ora siede in Parlamento nei banchi di FdI con lei.
Il suo leader B. veniva condannato per una mega-frode fiscale, processato per prostituzione minorile, concussione e corruzione di testimoni, e definito dalla Cassazione un finanziatore di Cosa Nostra, ma lei voleva cacciare Josefa Idem per una mini-evasione dell’Imu e poi decine di politici fra premier (Conte), ministri, sottosegretari, parlamentari semplici, consiglieri comunali, addirittura l’intero Csm che non erano neppure indagati, ma avevano il grave torto e di fare o dire cose che non le garbavano.
Ora che è rinviata a giudizio per falso in bilancio sui conti di Visibilia (che il giudice ritiene truccati per ben sette anni durante la sua gestione), imputata per truffa allo Stato sulla cassa Covid e indagata per bancarotta fraudolenta, è facile immaginare cosa direbbe e twitterebbe se si trattasse di un altro.
C’è chi sostiene che presentare mozioni di sfiducia contro i ministri inquisiti è un boomerang che ricompatta sulla difensiva una maggioranza divisa fra chi li protegge e chi vuol cacciarli.
Ma non presentarle sarebbe peggio: significherebbe rimettersi al buon cuore di una maggioranza spudorata che, senza pressioni, farebbe finta di niente. Tantopiù se la miglior mozione di sfiducia per la Santanchè l’ha scritta decine di volte la Santanché.
Marco Travaglio
per “il Fatto quotidiano”
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
IL PD ATTACCA: “LA DESTRA AGGIRA IL PARLAMENTO DATO CHE GLI AUMENTI PASSERANNO DIRETTAMENTE DALLA SCRIVANIA DEI MINISTRI AI DISTRIBUTORI”
Tra 1 e 2 centesimi in più al litro. Ecco l’aumento del gasolio. I rincari dal benzinaio
scatteranno non appena il governo approverà il decreto attuativo, in ogni caso quest’anno. L’atto decisivo ieri, al Senato. In commissione Finanze si vota il parere al decreto legislativo sul riordino delle accise dei carburanti (le imposte fisse incluse nel prezzo alla pompa ndr).
Nel testo compare una condizione per il via libera: un «tendenziale riavvicinamento» delle accise di gasolio e benzina, che oggi sono pari rispettivamente a circa 62 e 73 centesimi per ogni litro.
Uno scarto di 11 centesimi che si annullerà nei prossimi anni, fino ad arrivare al riallineamento delle aliquote. Per questo gli aumenti del diesel non saranno limitati al 2025: l’incremento complessivo sarà di 5,5 centesimi. Al contrario le tasse sulla benzina diminuiranno, seguendo lo stesso trend.
«Hanno vinto le elezioni promettendo tagli alle accise e invece le aumentano aggirando anche il Parlamento dato che gli aumenti passeranno direttamente dalla scrivania dei ministri ai distributori », incalza la senatrice dem Cristina Tajani riferendosi al decreto interministeriale Mef-Ambiente.
Il riequilibrio delle accise punta a «sostenere il pieno raggiungimento » della transizione energetica. Le risorse aggiuntive che arriveranno dall’operazione (180 milioni per ogni centesimo quest’anno, circa 1 miliardo a regime) serviranno a finanziare l’aumento medio di 200 euro lordi mensili per 110 mila autoferrotranvieri.
Al Senato, la giornata non finisce qui. Tra gli emendamenti al Milleproroghe spunta la proposta della Lega che rilancia la maxi- rottamazione in 120 rate delle cartelle fino al 31 dicembre 2023. E sempre il Carroccio chiede di rinviare di un anno, dal 2026 al 2027, l’aumento della tassazione sulle criptovalute previsto dalla manovra.
(da agenzie)
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
IL RITORNO DELL’ASSOLUTISMO DELL’ANCIEN REGIME
La parola “fascismo” — con buona pace dal braccio teso schizzato fuori dal corpo sovreccitato di Elon Musk, tal quale Peter Sellers nel Dottor Stranamore — mi sembra troppo facile e soprattutto troppo vecchia, se il problema è definire quello che sta accadendo in America. Una formidabile, inedita saldatura tra potere tecnologico, potere economico e potere politico, e una ristretta oligarchia di maschi bianchi che celebrando se stessa celebra una nuova maniera di concepire il mondo.
A giudicare dalle mire quasi annessionistiche nei confronti di Canada, Panama, Groenlandia, occhio al Messico che è il prossimo della lista, e dal disprezzo conclamato per le istituzioni sovranazionali al completo (Ocse, Oms, Onu, tutta robaccia smidollata che Trump detesta) è piuttosto “imperialismo” il termine che potrebbe rivelarsi più calzante. Il mondo intero come orizzonte, così come lo vedono, tutto quanto, i satelliti di Musk e così come lo vedeva, tre secoli fa, la Compagnia delle Indie, che aveva diviso il mappamondo, per comodità, in “Indie Orientali”, Asia e Africa orientale, e “Indie Occidentali”, Americhe e Africa Occidentale. Tutto il pianeta a disposizione, anche se qualche problemino con la Cina, ieri come oggi, i maschi bianchi ce l’hanno.
Non il fascismo, ma l’Ancien Régime e l’assolutismo sono le pietre di paragone. Il postmoderno, con Trump e Musk, si colora di premoderno. I tifosi della modernità si consolino: non siamo indietro, siamo avanti. Ai convenuti alla corte di Trump mancava solo la parrucca, e i valletti che la incipriano. Noi la parrucca l’abbiamo tolta due secoli fa.
(da La Repubbica)
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
LA NECESSITA’ DI UN NUOVO PARTITO DI CENTRO E LA DIFESA DI ELLY SCHLEIN
Il nuovo ufficio di Dario Franceschini è un’officina. Non pensate alle solite trite
metafore in voga a sinistra – l’officina delle idee, il cantiere del programma. No, è proprio una ex officina. Affaccia su una strada del quartiere Esquilino a Roma e fino a poche settimane fa, appunto, ci riparavano le macchine.
Qui Franceschini ha già cominciato a ricevere visite. Elly Schlein non è ancora venuta. Possibile che in futuro qualche candidatura del Pd o strategia parlamentare si discuta tra bielle e chiavi inglesi.
Di sicuro l’officina-ufficio non sarà teatro di un incontro sul programma di coalizione o sul candidato premier, perché Franceschini – seduto davanti alla parete degli attrezzi («La considero il mio Burri», dice lui) – giura che stavolta non servono.
«Dobbiamo evitare – spiega a Repubblica – di commettere gli errori già fatto in passato».
Quali errori, senatore Franceschini?
«Passare i prossimi tre anni ad avvitarci in discussioni: primarie sì o primarie no, Renzi sì e Conte no, o viceversa, tavoli di programma, discussioni sul nome. Si dice spesso che la destra si batte uniti. Io, se mi passa la provocazione, mi sono convinto che la destra la battiamo marciando divisi».
In che senso?
«Serve realismo. I partiti che formano la possibile alternativa alla destra sono diversi e lo resteranno. È inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo. L’Ulivo non tornerà, da quella fusione è già nato il Pd. E nemmeno l’Unione del secondo Prodi, con le sue 300 pagine di programma assemblato a tavolino prima delle elezioni. I partiti di opposizione vadano al voto ognuno per conto suo, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale. È sufficiente stringere un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali per battere i candidati della destra».
E agli elettori cosa direte? Chi andrà a Palazzo Chigi? Per fare cosa?
«Molte cose si discuteranno dopo il voto. In fondo, al momento di formare un governo dopo aver vinto, non fa così anche la destra?».
Che però sta insieme da 30 anni. Qui non è nemmeno certo quali siano i partiti disponibili.
«Ma questo è il modo migliore per rispettare l’autonomia di ogni forza di opposizione e superare i veti reciproci. Abbiamo un gruppo di forze che ha scelto di stare stabilmente nel campo di centrosinistra».
Sicuro che i 5S di Conte siano stabili?
«Registro che siamo all’opposizione insieme e questo è sufficiente. Non credo di dover ricordare come si collocavano i 5S all’epoca del patto gialloverde con la Lega e dove sono ora, dopo l’esperienza del nostro governo comune del quale rivendichiamo troppo poco i risultati».
Non c’erano guerre all’epoca. Il Pd è per gli aiuti militari all’Ucraina, il M5S continua a votare contro. Come potreste governare insieme?
«Ci sarà tempo per trovare un compromesso anche su questo, ammesso che la guerra in Ucraina ci sia ancora».
Si può fare un’alleanza senza essere certi di voler condividere un’azione di governo?
«Capisco chi obietta che si rinuncia a un progetto politico più ambizioso, ma è il modo di evitare altri cinque anni di Meloni. E così si può vincere».
Vuole evitare un Meloni bis perché la preoccupano i risultati del governo o perché teme di peggio?
«Meloni governa per slogan, è circondata da una classe dirigente mediocre scelta in base al criterio della fedeltà. Anche il caso del libico scarcerato temo sia un altro esempio di inadeguatezza».
Grandi movimenti al centro. Serve o no la fondazione di un nuovo partito di area?
«Sì, proprio per le ragioni che spiegavo prima. Per allargare l’offerta elettorale è utile un partito che parli di più ai moderati, che recuperi l’astensionismo di quell’area, che contenda i voti a Forza Italia. Attenzione, non una gamba esterna del Pd né un partito dei cattolici, che giustamente stanno ovunque. Quanto a noi cattolici democratici, non possiamo che restare in una forza progressista come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli».
Renzi e Calenda devono sparire?
«Devono solo essere generosi».
Il Pd che appalta la rappresentanza del centro a una forza esterna rinuncia a una delle ragioni della sua fondazione.
«Ho creduto alla vocazione maggioritaria e non lo rinnego. Abbiamo provato ogni strada, avuto segretari di ogni genere. Il calmo e l’aggressivo, il comunista e il democristiano. Risultato? Se anche il Pd arrivasse di nuovo al 30%, non basterebbe, serve comunque una alleanza. Per questo considero straordinario il lavoro di Schlein, che ha recuperato dall’astensionismo, dai delusi e dai 5S».
L’accordo elettorale di cui parla potrebbe estendersi a Forza Italia?
«Penso che, se Berlusconi fosse rimasto in vita, non avrebbe accettato a lungo di stare in un centrodestra guidato dalla destra estrema. Sia chiaro, però, il mio non è un appello a Forza Italia, perché penso che non si muoverà da dov’è. Sbagliando, perché con una legge tutta proporzionale sarebbe arbitra dei governi per i prossimi vent’anni».
L’ha detto a Tajani?
«No. I forzisti hanno in tasca il biglietto della lotteria ma non lo sanno».
Si aspetta che uno dei figli di Berlusconi scenda in campo?
«Non so, ma il fiuto mi dice di no».
Non teme che prima delle Politiche qualcuno nel Pd possa avere voglia di un altro passaggio di proprietà, come per la sua vecchia moto?
«Schlein è solida e vincente. Si sottovaluta la sua scelta di non partecipare al chiacchiericcio di giornata e parlare solo di temi concreti. Questo talvolta la fa apparire assente mentre, secondo me, alla gente arriva proprio il contrario».
(da La Repubblica)
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
BOMBE CARTA, MAZZE FERRATE E LAME: LE IMMAGINI DELLA CACCIA ALLO SPAGNOLO PER LE STRADE DELLA CAPITALE CON LA POLIZIA CHE NON PREVIENE, MA CHE BELLA SICUREZZA
La caccia allo spagnolo poi la guerriglia nel cuore di Roma. Bombe carta, mazze ferrate e le immancabili lame, come quelle con cui hanno colpito i due feriti più gravi tra i 9 tifosi baschi della Real Sociedad de Fútbol assaliti mercoledì sera dai supporter laziali davanti a un pub del Rione Monti
In ottanta vestiti di nero e incappucciati si sono scontrati con una settantina di “ospiti” spagnoli prima di disperdersi. Scene che il sindaco Roberto Gualtieri, ieri, non ha esitato a stigmatizzare come «vergognose e inaccettabili». La memoria è tornata al 2015 quando gli olandesi del Feyenoord arrivarono a oltraggiare la Barcaccia, mentre sale la tensione per Roma – Eintracht che si disputerà all’Olimpico giovedì: l’incontro è valutato al livello 4 sulla scala del rischio, ossia il più alto
Ma che cosa ha innescato la miccia? Il titolare del Finnegan pub, Michael Burn, è convinto che i due gruppi si fossero dati appuntamento: «Sembrava che gli spagnoli aspettassero qualcuno». Tanto più che mercoledì a dare manforte ai laziali c’erano una ventina di ultras franchisti di estrema destra del “Frente Bokeron” del Malaga, un gruppo gemellato con la Curva Nord della Lazio per comuni simpatie politiche, opposte a quelle dei supporter della Real.
Indagini sono in corso per capire se gli ultras in arrivo da Malaga siano tra gli ospiti del convegno convocato per domenica da Forza Nuova nella Capitale sul tema “Europa una libera e sovrana” a cui è già stata data l’adesione da gruppi provenienti da Spagna, Germania, Grecia, Francia, Romania, Serbia e Siria. Ideologia politica e metodi criminali.
Maurizio Improta, Dirigente Generale della Pubblica Sicurezza e presidente dell’Osservatorio nazionale per le manifestazioni sportive che ogni settimana valuta circa 150 match di calcio (ma anche di basket) a rischio, non ha dubbi riguardo all’azione che anima le dinamiche distorte del tifo
«Non bisogna perdere di vista – dice – quanto emerso dall’inchiesta di Milano che ha puntato l’attenzione sulle alleanze criminali. Siamo di fronte ad atteggiamenti di intimidazione che rispondono a logiche criminali: con la violenza si mira al controllo delle Curve, come del territorio, chi agisce deve intimidire i tifosi e le società stesse. Non stupisce che ci siano presidenti di club sotto scorta o calciatori che hanno la vigilanza da parte delle forze dell’ordine. Se esaminiamo quanto sta emergendo da Milano, ci rendiamo conto che c’è chi trae grandi benefici dagli atteggiamenti di certi tifosi».
Intanto ieri sera il secondo tempo di Lazio – Real Sociedad è iniziato con il silenzio della Nord, tolti gli striscioni in protesta contro i fermi e le perquisizioni della polizia dopo i fatti di mercoledì. Per tutta la giornata gli agenti della Digos e del commissariato Esquilino hanno ascoltato testimoni e visionato le immagini rimbalzate sui social e registrate dagli impianti di videosorveglianza della zona.
Gli investigatori hanno identificato almeno sei appartenenti al commando, tutti inquadrati tra le fila della Nord della Lazio. La loro posizione in serata era ancora al vaglio degli inquirenti per definire il loro ruolo e contestualizzarlo al ferimento degli spagnoli. Saranno denunciati (il pm non ha convalidato il fermo).§Nove, come detto, i feriti, tutti tra i 27 e i 35 anni. Tre di loro, mercoledì notte, hanno rifiutato le cure per non essere identificati. Gli altri sono stati trasportati d’urgenza in diversi ospedali della Capitale. In sette dopo essere stati medicati, sono stati dimessi con prognosi che vanno dai 5 ai 12 giorni. I due più gravi, invece, sono ancora ricoverati, ma non in pericolo di vita: un 27enne è in prognosi riservata al San Camillo e l’altro, colpito da più fendenti a un polmone, si trova nel reparto di chirurgia del San Giovanni.
Il presidente della squadra di San Sebastian, Jokin Aperribay, ha commentato gli scontri tra gli ultras della Lazio e del club spagnolo, facendo riferimento a quelli dello scorso anno tra Real Sociedad e Roma quando i tifosi locali attaccarono un pullman giallorosso.
Possibile che nel gruppone dell’assalto a Monti ci fossero anche ultras romanisti in virtù di un patto mai detto di alleanza trasversale per consumare vendette maturate all’estero? Per ora solo supposizioni. La Lazio ha fatto sapere che in caso di accertato coinvolgimento di propri tifosi, il club agirà «duramente applicando le più rigide misure».
(da agenzie)
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Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile
“SE VOGLIONO CAMBIARE VITA DA ME AVRANNO UNO STIPENDIO DI 1400 EURO NETTI AL MESE. QUINDI CHE SI FACCIANO AVANTI E SI COSTITUISCANO. GLI VOGLIO FAR COMPRENDERE CHE LAVORANDO ONESTAMENTE POTREBBERO GUADAGNARE DI PIÙ CHE CON QUESTI FURTARELLI”
Scassina e rapina un ristorante alla Galleria Umberto I e poi nasconde anche il bottino
di 2500 euro al complice. La vicenda si è verificata la scorsa notte a Napoli: il furto è avvenuto ai danni di “Funé Cucina Café” il cui titolare ha deciso di rivolgere un appello a entrambi i ladri: “Li vorrei prendere a lavorare da me, gli voglio far comprendere che lavorando onestamente potrebbero guadagnare di più che con questi furtarelli. Quindi che si facciano avanti e si costituiscano. Se vogliono cambiare vita da me avranno uno stipendio di 1400 euro netti al mese”.
La vicenda è stata resa nota dal deputato di alleanza Verdi-Sinistra Francesco Emilio Borrelli che ha ricevuto i video dal titolare. “Dopo aver forzato la serranda sono entrati dentro, hanno portato via circa 2500 euro in contanti, e mi hanno causato danni per 1200 euro. La cosa che mi lascia perplesso è che uno dei due malviventi si è infilato le banconote tra gli slip per fregare il suo complice” racconta il titolare Antonio, secondo quanto riferisce Borrelli. In ogni caso “vorrei lanciare un appello. Li vorrei prendere a lavorare da me, gli voglio far comprendere che lavorando onestamente potrebbero guadagnare di più che con questi furtarelli. Quindi che si facciano avanti e si costituiscano. Se vogliono cambiare vita da me avranno uno stipendio di 1400 euro netti al mese”.
“I delinquenti si fregano anche tra di loro mentre le vittime delle loro azioni- commenta Borrelli- invece di disperarsi e covare sentimenti d’odio, gli offrono anche delle opportunità. Certo ci sarebbero tanti ragazzi e padri di famiglia che non hanno mai rubato o commesso illeciti e che meriterebbero una chance, ma se esistono imprenditori disposti ad assumere chi vuol redimersi, se è così, che ben venga. Serve, lo diciamo da anni, un maggiore controllo del territorio e più agenti. Non tutti gli imprenditori possono far fronte ai danni subiti e permettersi anche di voler educare i malviventi alla legalità”.
(da agenzie)
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