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IL PIANO SULL’ASSE ROMA-MAR-A-LAGO-TEHERAN, PER SCIOGLIERE IL NODO ABEDINI-SALA ERA STUDIATO PER NON FAR PERDERE LA FACCIA A NESSUNO E IL VIAGGIO A MAR-A-LAGO DELLA MELONI DOVEVA SEMBRARE SOLO UN “OMAGGIO” A TRUMP

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

NELLA TRATTATIVA DIPLOMATICA E DI INTELLIGENCE CON L’IRAN, IL RILASCIO DELLA SALA NON DOVEVA ESSERE COLLEGATO CON LA LIBERAZIONE DI ABEDINI… BISOGNAVA SALVARE LA FACCIA: IL 9 ERA PREVISTO L’ATTERRAGGIO A ROMA DI BIDEN, UNA VOLTA DECOLLATO IL PRESIDENTE USCENTE, CON CECILIA SALA TORNATA A CASA, SI SAREBBE POTUTO PROCEDERE ALLA LIBERAZIONE DI ABEDINI

Il piano messo a punto sull’asse Roma-Mar-a-lago-Teheran, per sciogliere il nodo Abedini-Sala, sulla carta era ben studiato per non far perdere la faccia a nessuno. Fin quando non è intervenuto il solito diavoletto, quello che fa le pentole ma non i coperchi.
Che fare, si è chiesta Giorgia Meloni, dopo l’arresto del 16 dicembre scorso della “spia” iraniana all’aeroporto Malpensa di Milano su richiesta ufficiale del Dipartimento di Stato americano (con allegato un ricco dossier su Abedini, accusato di trafficare in tecnologia “dual use” per i droni dei pasdaran e per questo “dalle mani sporche di sangue americano”), a cui gli ayatollah di Teheran hanno fatto seguire, dopo appena 48 ore, il “sequestro” di Cecilia Sala a Teheran?
Un dilemma bilama per l’atlantismo “senza se e senza ma” della premier: un rifiuto di Palazzo Chigi all’estradizione in Usa dell’ingegnere iraniano (che per la giustizia italiana non ha commesso nessun reato) in cambio della liberazione della giornalista italiana, quali reazioni avrebbe innescato da parte degli Stati Uniti?
A tale proposito, il quotidiano “Wall Street Journal” scrive: “Giorgia Meloni sapeva che il rilascio di Abedini come parte di uno scambio di prigionieri rischiava di irritare gli Stati Uniti, incluso il presidente entrante Donald Trump, che dovrebbe rinnovare la sua politica di ‘massima pressione’ sull’Iran”.
Ma il destino vuole che il fattaccio avvenga nel periodo di transizione da una presidente all’altro. Dall’amministrazione Biden a quella di Trump. Meloni, il 29 dicembre, dodici giorni dopo l’arresto di Abedini, chiede aiuto al suo caro amico Elon Musk: una conversazione nella quale entra la voce angosciata della mamma di Cecilia Sala.
A quel punto, il ketamico si adopera per convincere Trump ad attovagliare la Statista della Garbatella a Mar-a-lago, in Florida. Il caso Sala-Abedini deve essere assolutamente fuori dal motivo del blitz: solo un “omaggio” al presidente eletto, accompagnato da una cena e dalla proiezione di un documentario complottista sul “furto” di Biden a spese di Trump alle presidenziali del 2020.
Difatti, sull’improvviso e irrituale viaggio, a casa di colui che prenderà possesso della Casa Bianca a partire dal 20 gennaio e che diventa uno sgarbo istituzionale inferto al presidente in carica Joe Biden, Meloni non apre bocca mentre Trump la riassume così alla stampa: “Gli altri leader hanno mostrato grande rispetto per il nostro Paese. La premier italiana Meloni è volata fin qui per poche ore solo per vedermi”.
Cosa si è portata a Palazzo Chigi da Mar-a-lago, Giorgia dei Due Mondi? Lo scrive “Il Fatto Quotidiano”: “Fonti governative italiane accreditano una disponibilità del tycoon, specie se la partita si chiuderà prima del 20 gennaio e dunque con Joe Biden ancora alla Casa Bianca, senza macchiare con un “no” la relazione tra Meloni e Trump”.
Nella complessa trattativa diplomatica e di intelligence con l’Iran, il rilascio della Sala non doveva essere collegato con la liberazione dalle patrie galere di Abedini, prevista nelle prossime settimane.
Bisognava salvare la faccia: il 9 era previsto l’atterraggio a Roma di Biden per un incontro con Papa Bergoglio, il 10 era in agenda un appuntamento quirinalizio con Mattarella e sabato 10 un colloquio con la premier di Palazzo Chigi (con Abedini in attesa del giudizio della Corte di Appello di Milano). Passata la festa, gabbato il santo: una volta decollato il presidente uscente, con Sala tornata a casa, si sarebbe potuto procedere alla liberazione di Abedini.
Intanto il velo di silenzio sulla trattativa Meloni-Trump, camuffata da “omaggio al neo presidente”, viene strappato dalla mamma di Cecilia Sala che, travolta dalla felicità di riabbracciare la figlia, si sente in dovere di ringraziare i buoni uffici di Musk: “Quando viene in Italia gli cucino qualcosa di buono”.
“Tutto quello che vuole’’, cinguetta il tenero Elon con il suo galoppino italico Andrea Stroppa che pubblica una foto del genio svalvolato con un fumante piatto di spaghetti.
Ora sarà pure rimban-Biden ma Joe non è un cojone: gli schiaffi ancora li sente. E dopo aver visto la “sua” Giorgia intenta a baciare la pantofola a Trump, il presidente uscente degli Stati Uniti ha deciso di cancellare il viaggio in Italia, con la scusa ufficiale legata agli incendi a Los Angeles (come se si mettesse lui con il secchiello a spegnerli).
Va infine aggiunto che lo schiaffo di Meloni a Biden ha fatto piacere anche a Trump, indispettito per il mese di lutto deciso dalla Casa Bianca per la scomparsa dell’ex presidente Carter: ciò comporterà che il suo insediamento avverrà con le bandiere a stelle e strisce a mezz’asta. Roba da grattarsi i cabasisi.
(da Dagoreport)

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ABEDINI SARÀ RILASCIATO ENTRO IL 20 GENNAIO: SI ASPETTA LA SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO, CHE IL 15 GENNAIO SI RIUNIRÀ PER DECIDERE SE CONCEDERE O MENO I DOMICILIARI AD ABEDINI

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

SE I GIUDICI DOVESSERO DECIDERE CHE DEVE RESTARE IN CARCERE, ENTRERÀ IN CAMPO IL DICASTERO DELLA GIUSTIZIA. L’EVENTUALE SCARCERAZIONE DOVREBBE COMUNQUE AVVENIRE ENTRO IL 20 GENNAIO, PRIMA DELL’INAUGURATION DAY DI DONALD TRUMP

Fermato a Malpensa lo scorso 16 dicembre, tre giorni prima dell’arresto di Cecilia Sala a Teheran, Mohammad Abedini Najafabadi spera ora che anche per lui si possano aprire le porte del carcere. L’“uomo dei droni” iraniano, 38 anni, ha saputo subito della liberazione della giornalista, informato dal suo avvocato ma anche dalla tv che ha sempre potuto guardare in cella a Opera
Abedini, fondatore dell’azienda di prodotti elettronici San’at Danesh Rahpooyan Aflak (Sdra), è detenuto da ventiquattro giorni in esecuzione di un mandato di arresto internazionale sulla base di una richiesta di estradizione americana. Con l’iraniano Mahdi Mohammad Sadeghi, titolare di un’altra società di microelettronica, già a processo negli Usa, è accusato di usare una società “schermo” in Svizzera, Illumove, per eludere i divieti di commercializzazione dei droni e le sanzioni imposte all’Iran.
Il Tribunale distrettuale del Massachusetts lo accusa di cospirazione e supporto a organizzazione terroristica, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione (Irgc). Alla milizia l’iraniano avrebbe fornito il sistema di navigazione Sepehr, necessario per i droni utilizzati nelle guerre mediorientali, ma anche in attentati terroristici contro gli stessi americani. Accuse gravissime che prevedono pene fino all’ergastolo.
L’atto di accusa cita il blitz del 28 gennaio 2024, quando Irgc attaccò «una base Usa a nord della Giordania, vicino al confine siriano, nota come Torre 22». Tre militari vennero uccisi e più di quaranta feriti.
Quindi la liberazione dell’iraniano non sarà immediata, bisognerà aspettare ancora qualche giorno. Quindi la strategia messa a punto ieri a Palazzo Chigi prevede due tappe, che non andrebbero in conflitto né con l’America né con l’Iran. Per adesso si attende la sentenza della Corte d’appello di Milano, che il prossimo 15 gennaio si riunirà per decidere se concedere o meno i domiciliari a Abedini.
Se i giudici dovessero decidere che deve restare in carcere, entrerà in campo il dicastero della Giustizia, che dovrà esaminare «secondo parametri giuridici», come spiega Nordio, la richiesta di estradizione, di cui si attendono i documenti dall’America o decidere se scarcerare l’ingegnere iraniano.
Esclusa la prima ipotesi, perché caposaldo dell’accordo con l’Iran, resta la scarcerazione che però deve avvenire entro il 20 gennaio. Cioè prima dell’Inauguration day che segnerà l’inizio del mandato del 47° presidente degli Stati Uniti, in pratica nel periodo cuscinetto tra le due amministrazioni.
In questo caso non potranno essere concessi i domiciliari poiché, secondo il codice di procedura penale, se è stata chiesta l’estradizione di un detenuto il ministro della Giustizia può solo revocare la misura cautelare o appunto assecondare la richiesta dell’America.
Strada non praticabile. Anche fonti giudiziarie citate dal Wall Street Journal spiegano che Abedini dovrebbe essere rilasciato dal carcere milanese di Opera con uno «slittamento di tempi», ma sicuramente nei prossimi giorni.
(da agenzie)

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IL PATTO TRA GLI 007, I DIECI GIORNI DECISIVI, L’OK DI TRUMP A MELONI, LO SCAMBIO DI PRIGIONIERI: COSA CE’ DIETRO LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

LE DATE DECISIVE: 2, 10 E 20 GENNAIO

Il giorno decisivo per la liberazione di Cecilia Sala è stato il 2 gennaio. Mentre nel ritorno a Roma della giornalista di Chora Media e del Foglio ha avuto un ruolo anche Elon Musk. E ora c’è una finestra di tempi da rispettare. Quella che va dal 12 al 20 gennaio. Ovvero tra la fine della visita di Joe Biden (nel frattempo annullata) in Italia e la proclamazione di Donald Trump come nuovo presidente degli Stati Uniti.
In quegli otto giorni è attesa la soluzione del caso Mohamed Abedini Nafajabadi. E il viaggio di Giorgia Meloni negli Usa è servito proprio a preparare il terreno con il tycoon. Dal quale la premier ha ricevuto l’assicurazione che non polemizzerà con la vecchia amministrazione per la mancata estradizione dell’ingegnere iraniano con cittadinanza svizzera.
Il 2 gennaio
Con ordine. All’inizio dell’anno, racconta oggi Il Giornale, a Teheran comincia l’interlocuzione sul caso Sala. La gestione dell’arresto passa dai pasdaran della Rivoluzione all’intelligence. Che parla con l’Aise. Protagonisti sono due uomini dei servizi segreti iraniani e italiani. Nel 2022 hanno gestito insieme la liberazione di Alessia Piperno, finita per 45 giorni nel carcere di Evin. Lo 007 iraniano ha contatti diretti con Alì Khamenei. Si arriva a un accordo di massima. Che però non può diventare immediatamente esecutivo. Perché prima Meloni deve convincere gli Usa. La premier italiana lo fa nella sua visita a Mar-a-Lago. L’accordo prevede esattamente il ritorno a casa di Sala in cambio della mancata estradizione di Abedini. E si gioca in base ad alcune date del calendario diplomatico.
12 e 20 gennaio
La prima è la visita di Joe Biden prevista da oggi fino al 12 gennaio. Nel frattempo però annullata per gli incendi di Los Angeles. Con la data-spartiacque del 15. Ovvero il giorno in cui la Corte d’Appello di Milano deciderà sui domiciliari per Abedini. Carlo Nordio, ministro della Giustizia, non può firmare il no all’estradizione prima di quella decisione. L’uomo dell’intelligence italiana a Teheran spiega alla controparte iraniana che Roma rispetterà i patti. E il piano, con il suo timing, finisce sul tavolo dell’Ufficio della Suprema Guida. Che dà il suo ok. L’imprimatur all’accordo arriva dal direttore dell’Aise Gianni Caravelli. Nato a Frisa in Abruzzo, è entrato nell’esercito nel 1979, poi al Sismi nel 2002 fino al 2008. Poi il ruolo di vicedirettore vicario dell’Aise nel 2014 e la direzione nel 2020. Caravelli è partito alla volta dell’Iran per garantire i patti. E per riportare così a casa Cecilia.
Il caso Abedini
I giudici o il ministro potrebbero rimandare a casa l’iraniano anche in base ad alcune ragioni giuridiche. Tra queste i reati contestati dal tribunale del Massachussets, che non trovano riscontro in Italia. L’Italia è anche in possesso del materiale informatico sequestrato ad Abedini il giorno dell’arresto. E gli Usa sono molto interessati ai dati. L’Italia è anche in attesa di documenti dagli Stati Uniti. Che devono arrivare entro il 25 gennaio. Altrimenti la richiesta di estradizione decadrà. Questa è la seconda opzione preferita dal governo, spiega il Corriere della Sera. «Dato che Meloni ha poi spiegato che vorrebbe negare l’estradizione senza trovare forti obiezioni, a Washington potrebbero anche decidere di lasciar cadere la cosa, evitando di inviare il fascicolo a Roma», dicono i fedelissimi della premier a La Stampa.
Carlo Nordio
Proprio Nordio al quotidiano dice oggi che «la situazione di Abedini è squisitamente giuridica, e va studiata nella sua complessità, indipendentemente dal felice esito della vicenda Sala». Non sarebbe la prima volta che l’Italia rifiuta un’estradizione richiesta da Washington. L’ultimo diniego, un paio di anni fa, fu deciso da Marta Cartabia. «Dell’estradizione è prematuro parlare, anche perché sino ad ora la richiesta formale non è ancora arrivata al nostro ministero», conclude. Gli Stati Uniti paiono rassegnati: «Il caso di Cecilia Sala è stata una decisione del governo italiano dall’inizio alla fine ed è Roma che deve rispondere a domande specifiche», ha spiegato durante un briefing con un gruppo ristretto di giornalisti il portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale americana, John Kirby, qualche ora dopo l’arrivo a Ciampino della reporter.
Il regime iraniano
«Sfortunatamente il regime iraniano continua a detenere ingiustamente persone provenienti da molti altri Paesi, spesso per utilizzarle come leva politica e ognuno di loro dovrebbe essere rilasciato adesso», ha spiegato il funzionario. La Casa Bianca tiene anche a ribadire che «il lavoro fondamentale svolto dai giornalisti, compreso quello di Cecilia Sala, per informare il pubblico spesso in situazioni incredibilmente pericolose come questa, dovrebbe essere protetto da qualsiasi governo».
Prima della dichiarazione in chiaro di Kirby, fonti del dipartimento di Stato avevano fatto sapere all’Ansa che non avrebbe risposto a domande specifiche sul caso perché, come ha poi ribadito il funzionario della Casa Bianca, «spetta al governo italiano farlo». Intanto gli Stati Uniti sottolineano di «rimanere piuttosto preoccupati per la proliferazione da parte dell’Iran di droni, sempre più avanzati e letali, e per il suo continuo sostegno a gruppi terroristici che rappresentano le principali minacce alla pace e alla stabilità nella regione». E, assicura il funzionario all’Ansa, «restano impegnati a utilizzare tutti gli strumenti disponibili per contrastare l’intera gamma delle azioni destabilizzanti dell’Iran».
(da Open)

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LA PAROLA D’ORDINE DELLA FOGNA SOVRANISTA EUROPEA ORA E’ REMIGRAZIONE

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

IL SUMMIT DELLE DIVERSE FORMAZIONI CHE LA PROMUOVONO POTREBBE TENERSI IN ITALIA

Remigrazione. Sarà questa la parola della destra globale in questo 2025. Si tratta dell’idea, o del piano, per rispedire da qualche parte i cittadini stranieri che vivono nei paesi europei. Non solo i migranti irregolari, ma anche i richiedenti asilo, i rifugiati e soprattutto i cittadini considerati inassimilabili: insomma in non bianchi, i musulmani, quelli che non sono strettamente utili a funzioni produttive irrinunciabili.
La parola d’ordine, che radicalizza ulteriormente le posizioni sul tema dell’immigrazione, non limitandosi all’idea che sia necessario fermare “l’invasione”, ovvero mettere un freno ai flussi migratori, ma aprendo alla possibilità di espellere in massa chi già si trova nei paesi occidentali, per ricostruire una paesaggio “etnicamente” omogeneo.
Il termine è stato pronunciato da Donald Trump durante la campagna elettorale (provocando entusiasmo tra gli estremisti di destra), ed è stato ampiamente assunto sia dai tedeschi di Alternative fur Deutschland, che hanno rilanciato la parola d’ordine dopo la strage al mercatino di Natale di Magdeburgo, che dall’estrema tedesca austriaca dell’FPÖ che ora potrebbe guidare il nuovo governo dello stato alpino.
Ultimamente è stata scoperta anche dai politici della destra italiana. Ha parlato di remigrazione il capogruppo della Lega in Regione Lombardia Alessandro Corbetta (“è fondamentale iniziare a discutere seriamente di remigrazione, ovvero il rimpatrio dei clandestini e dei criminali nei Paesi di origine, ma anche di quegli stranieri che scelgono deliberatamente di non volersi integrare”), e poi lo ha fatto il sottosegretario alla Giusizia, Andrea Delmastro Delle Vedove di Fratelli d’Italia rilanciano un articolo de La Verità.
E sono diversi gli indizi che portano all’Italia per la prossima convention dell’estrema destra europea intitolata significativamente Remigration Summit 2025.
A promuovere l’evento è in prima persona Martin Sellner, attivista austriaco che si definisce come un identitario, a cui è riconosciuto il “merito” di aver promosso e portato nel mainstream l’idea della remigrazione. A Sellner è stato impedito dalle autorità di tenere conferenze in Germania e Svizzera per le sue posizioni considerate neonaziste, ma potrebbe presto parlare in Italia, protetto dall’ombra del governo di Giorgia Meloni.
Se non è stato ancora resa nota la location della conferenza che si terrà la prossima estate, proprio per evitare mobilitazioni volte a impedirlo, sia il crowdfunding per realizzare il meeting che la vendita dei biglietti di partecipazione portano all’Italia. La raccolta fondi e la vendita dei ticket è stata aperta infatti da Andrea Ballarati, e fanno riferimento alle coordinate bancarie di Azione Cultura Tradizione, associazione di destra giovanile di Como.
Ma chi è Ballarati? Poco più che un giovane signor nessuno che ha agganciato però Sellner diventandone un collaboratore. Già militante di Gioventù Nazionale, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia, ha poi fondato la sua associazione di cui è leader e portavoce, partecipando lo scorso aprile alla manifestazione per la remigrazione convocata lo scorso aprile a Vienna, intervenendo anche nel comizio finale.
(da Fanpage)

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E PURE JOE BIDEN S’E’ ROTTO I COJONI DI PRENDERE CEFFONI: DOPO AVER VISTO GIORGIA MELONI VOLARE A MAR-A-LAGO A BACIARE LA PANTOFOLA A TRUMP, IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI CANCELLA IL VIAGGIO IN ITALIA PREVISTO DAL 9 AL 12 GENNAIO

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

LA SCUSA UFFICIALE E’ LEGATA AGLI INCENDI A LOS ANGELES (COME SE SI METTESSE LUI CON IL SECCHIELLO A SPEGNERLI)… BIDEN HA VISTO IL VOLTAFACCIA DELLA PREMIER CHE ORA E’ PAPPA E CICCIA CON TRUMP

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annullato la visita in Italia prevista per oggi, 9 gennaio, fino al 12. Lo ha annunciato nella notte la Casa Bianca. Biden, che si è recato a Los Angeles ieri, «ha preso la decisione di cancellare il suo prossimo viaggio in Italia per concentrarsi sulla gestione» dell’emergenza dovuta agli incendi che stanno devastando Los Angeles, ha dichiarato la portavoce Karine Jean-Pierre. Quello in Italia sarebbe stato probabilmente il suo ultimo viaggio all’estero da presidente degli Usa. E soltanto dopo la sua conclusione e prima dell’insediamento di Donald Trump l’Italia avrebbe deciso sul caso Najafabadi dopo la liberazione di Cecilia Sala. Intanto l’emergenza incendi in California fa 5 morti e porta a 150 mila sfollati.
Il programma di Biden prevedeva l’udienza con Papa Francesco e gli incontri con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ma dopo essersi recato nelle zone colpite dai roghi, ancora non domati, Biden ha deciso di rimanere negli Usa. L’amministrazione americana ha promesso risorse federali per sostenere cittadini e imprese colpiti dagli incendi. Il Pentagono ha predisposto l’invio di aerei militari ed elicotteri. In tutto sarebbero otto gli incendi boschivi che stanno bruciando la contea di Los Angeles. Tra i più colpiti i quartieri Pacific Palisades e Sylmar e l’area esterna della città di Pasadena. Ma le fiamme avanzano e arrivano fino a lambire il quartiere storico di Hollywood.
La polemica politica
Finora il rogo ha distrutto centinaia di case. Secondo il Los Angeles Times almeno 1.100 negozi, case e altre strutture sono state distrutte dalle fiamme che avanzano senza controllo nella contea. Quello di Palisades ha raso al suolo 39.121 ettari in una delle zone più esclusive della città. Il presidente eletto Donald Trump ha accusato il governatore democratico della California Gavin Newsom: «Questa è una vera tragedia. Ed è un errore del governatore, che deve dimettersi», ha detto il tycoon. Accusa respinta al mittente: «Trump sta politicizzando questa tragedia, una devastazione provocata dagli incendi, che hanno causato almeno cinque morti e decine di feriti», ha risposto Newsom.
(da agenzie)

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LE MIE PRIGIONI! LA BIBBIA, I DATTERI, LE TORTURE BIANCHE: CECILIA SALA RACCONTA I 20 GIORNI NELLA PRIGIONE IRANIANA DI EVIN IN UNA CELLA “STRETTA E ALTA, SENZA LETTO, CON UNA LAMPADA SEMPRE ACCESA”

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

“AVEVO PERSO IL SENSO DEL TEMPO, TEMEVO DI NON REGGERE PIU’”… IL CIBO PASSATO DA UNA FERITOIA E LA RICHIESTA DELLA BIBBIA DA LEGGERE… DUE GIORNI FA LA SVOLTA COL TRASFERIMENTO IN UNA CELLA PIU’ GRANDE E LA TELEFONATA AL COMPAGNO CON UNA RICHIESTA PARTICOLARE – POI LA LIBERAZIONE E LA SIGARETTA LIBERATORIA: “SCUSATE SE NON RIESCO A PARLARE BENE, SONO GIORNI CHE NON PARLO CON NESSUNO”

Cecilia Sala ha trascorso 20 giorni in una prigione «dove avevo perso il senso del tempo, non sapevo più quando era giorno e quando era notte». Chiusa in una cella «stretta e alta, senza letto, con una lampada sempre accesa e una piccola finestrella sul soffitto da cui passava l’aria ma che neanche riuscivo a vedere». Mangiando datteri e poco altro, passati da una feritoia della porta. E senza conoscere l’accusa sollevata nei suoi confronti. Poi la svolta nella notte tra martedì e mercoledì 8 gennaio: il trasferimento nella sede dell’ambasciata italiana a Teheran. Poi l’aereo per riportarla a casa. La Repubblica oggi riporta alcuni dettagli della detenzione della giornalista romana nel carcere di Evin.
«Ho chiesto una Bibbia»
Dove non ha mai ricevuto i pacchi con i generi di conforto e la mascherina per poter dormire la notte approntati dall’ambasciata italiana. «Ho chiesto una Bibbia», ha rivelato Sala ai familiari. «Presumevo che potesse essere un libro che ad Evin avevano in inglese. E perché comunque la Bibbia è un libro molto lungo…», ha spiegato. Nelle telefonate, ha rivelato, «ero costretta a leggere un messaggio, i miei mi facevano delle domande ma io non potevo dire di più perché avevo paura che mi facessero interrompere la conversazione». L’ambasciatrice italiana Paola Amadei «per quasi venti giorni è stato l’unico volto che ho potuto vedere». Poi la telefonata del primo gennaio: «Temevo davvero di non reggere più».
Violenze psicologiche
Sala non ha raccontato di violenze fisiche. Ma è rimasta in isolamento senza un letto e con la luce che non si spegneva mai. Due giorni fa la svolta: «Mi hanno spostato in una cella più grande e mi hanno portato gli occhiali. Ero insieme a una donna iraniana che non parlava una parola di inglese, quindi indicavamo gli oggetti nella stanza, lei ne diceva il nome in farsi e io in inglese». Il libro che le è stato portato “Kafka sulla spiaggia” il romanzo di Haruki Murakami. Le è stato anche consentito di chiamare di nuovo a casa. «Daniele, compralo anche te, nella stessa edizione, così lo possiamo leggere insieme, seppure a distanza », ha detto a Raineri.
La prima sigaretta
«Scusate se non riesco a parlare bene, sono giorni che non parlo con nessuno», ha detto all’arrivo. «Non so come comportarmi, che devo fare ora?». Le è stato spiegato che i carabinieri dell’Antiterrorismo del Ros la stavano aspettando in una stanza appartata per raccogliere la sua deposizione sulle condizioni della detenzione. «Ah ok, va bene… rompo il protocollo se prima vado a fumare? ». È uscita dall’hangar, per qualche minuto sola con il compagno, si è accesa una sigaretta. La prima in Italia.
(da Open)

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CON 24 VOTI, COMPRESI QUELLI DI TUTTI I MEMBRI TOGATI (OLTRE A DUE LAICI E DUE MEMBRI DI DIRITTO), IL CSM HA APPROVATO UN PARERE PARTICOLARMENTE CRITICO NEI CONFRONTI DELLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA CONTENUTA NEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE DEL GOVERNO, APPENA APPRODATO ALLA CAMERA

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

“LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE NON TROVA RISCONTRO NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE, NON SI COMPRENDE IN CHE MODO POSSA CONTRIBUIRE A MIGLIORARE QUALITÀ ED EFFICIENZA DELLA GIURISDIZIONE”

Con 24 voti, compresi quelli di tutti i membri togati (oltre a due laici e due membri di diritto), il Csm ha approvato un parere particolarmente critico nei confronti della riforma della Giustizia contenuta nel disegno di legge costituzionale del governo, appena approdato alla Camera.
Secondo la proposta A, votata quindi a grande maggioranza dai consiglieri, la separazione delle carriere “non trova riscontro nella giurisprudenza costituzionale”, non si comprende in che modo “possa contribuire a migliorare qualità ed efficienza della giurisdizione”. Un membro astenuto. La proposta B, che andava in un senso diverso, è stata invece votata da 4 consiglieri laici di centrodestra. Qualche ora prima delle votazioni, a quanto si apprende, il vicepresidente Pinelli ha lasciato i lavori.
In sintesi secondo la proposta, la riforma “porterebbe alla creazione di un corpo separato di funzionari pubblici numericamente ridotto e altamente specializzato, deputato alla direzione della polizia giudiziaria e all’esercizio dell’azione penale, un corpo essenzialmente autoreferenziale. Il potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in alcun ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea, per cui sarà ineluttabile che di esso assuma il comtrollo il potere esecutivo”.
(da agenzie)

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ROMANO PRODI: “LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA? CERTAMENTE C’È STATO DA TRUMP UNA SPECIE DI PERMESSO O DI TACITO CONSENSO”

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

“TRUMP NON VUOLE L’EUROPA COESA: TRATTA PAESE PER PAESE ED ESERCITA SU CIASCUNO UNA PRESSIONE PARTICOLARE. MELONI NON PUÒ ESSERE PORTAVOCE DELL’EUROPA UNITA, TRUMP NON LO PERMETTERÀ MAI. IL SOVRANISMO SI FERMA ALL’OBBEDIENZA. NON FIRMEREI ACCORDO CON STARLINK, NON CI SONO GARANZIE”

“Esprimo la mia felicità vera per il ritorno di Sala, la stessa che ho provato quando liberammo il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo in condizioni analoghe”. Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo su La7.
“Queste contrattazioni sono sempre molto complesse – ha aggiunto -. Certamente c’è stato da Trump una specie di permesso o di tacito consenso. A differenza della mia esperienza, noi gioimmo tutti insieme, col ministro degli Esteri, il governo e anche i servizi. C’era anche la dottoressa Belloni, che aveva organizzato la liberazione; oggi è sembrato un evento molto solitario, solo della Meloni”.
“Su Belloni, posso dire che è proprio brava, una servitrice dello Stato leale nei confronti del Paese e con capacità personali. Non ho la minima idea se verrà eventualmente coinvolta nelle istituzioni europee. Lei ha detto di no, ma queste cose devono maturare nel tempo. Ha le energie e le capacità, vedremo”, ha concluso.
“Trump non vuole l’Europa coesa. Tratta Paese per Paese ed esercita su ciascuno una pressione particolare. Il problema è che Meloni non può essere portavoce o simbolo dell’Europa unita, Trump non lo permetterà mai. Trump e Musk ne dicono di tutti i colori e attaccano dall’interno i Paesi intervenendo; è il solito quadro: Trump imprevedibile.
Prevedo un grande cambiamento. E’ finita la globalizzazione economica e Trump tenta quella politica: l’intervento negli affari interni di tutti i Paesi. La cosa strana è che mentre oggi c’è stata una reazione dell’Onu sulle sue dichiarazioni, non ne ho viste da parte dell’Unione europea.
Il problema è che un’UE divisa come oggi non riesce a formare una volontà politica comune; la presidente della Commissione deve mediare e non vuole rompere l’equilibrio. Non dice niente delle interferenze di Trump in Germania, in Gran Bretagna, in Italia. Il sovranismo si ferma all’obbedienza”.
“Su Starlink, l’accordo col governo gli darebbe in mano tutti i dati che riguardano il nostro Paese. E’ il momento che il governo decida se dare in mano ad altri la propria vita. Il vantaggio di Musk è che ha a disposizione una tecnologia pronta e potente.
Non so se il governo firmerà, ma queste cose vanno fatte con una prudenza enorme e garanzie che non credo il nostro esecutivo sia in grado di ottenere. Così come sembrano essere le cose, io non firmerei. E l’idea che il rappresentante di uno Stato come è Musk si impadronisca di una realtà fondamentale di un altro Paese è un rischio enorme per la democrazia”.
(da agenzie)

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TUTTO HA UN PREZZO: GIORGIA MELONI HA OTTENUTO IL VIA LIBERA DA TRUMP A “UTILIZZARE” MOHAMMAD ABEDINI COME PEDINA DI SCAMBIO PER LIBERARE LA GIORNALISTA. MA L’INTELLIGENCE USA ORA SI ASPETTA DI AVERE DALL’ITALIA I DATI (PREZIOSISSIMI) TROVATI NEI DISPOSITIVI ELETTRONICI DELL’INGEGNERE IRANIANO ACCUSATO DI TERRORISMO

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

LE PRESSIONI DECISIVE DELLA FAMIGLIA SALA SU MUSK E IL LAVORO DEL CAPO DELL’AISE, GIOVANNI CARAVELLI, CHE HA OFFERTO AGLI IRANIANI LA SUA COLLABORAZIONE PER CREARE UN PONTE CON IL NUOVO GOVERNO SIRIANO

«Ciao, non sono più in isolamento». Quando Cecilia Sala martedì ha chiamato casa per raccontare che, finalmente, le sue condizioni di detenzioni stavano migliorando, non poteva sapere che da quel momento stava cominciando a tornare una donna libera. Quella telefonata è stata il segnale che la nostra intelligence aspettava da giorni: gli iraniani avevano mantenuto una promessa. La trattativa poteva concludersi.
Sono le 17 del 7 gennaio quando un Dassault Falcon 900 decolla dall’aeroporto di Roma Ciampino e mezz’ora dopo atterra a Napoli.
Le 5:01 quando lo stesso aereo si alza per Teheran su ordine dei nostri servizi. «È con me», dice il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, alla control room che era stata creata a Palazzo Chigi quando in Iran è ancora notte. «Cecilia sta tornando», dirà qualche ora dopo la premier Giorgia Meloni alla madre della giornalista, mentre il Falcon è di nuovo in volo, questa volta verso Roma.
La liberazione di Cecilia Sala è stata il frutto di un lunghissimo lavoro, e anche di qualche errore per la verità, della nostra intelligence, della politica, della diplomazia. E anche della testardaggine della famiglia Sala che ha saputo muovere i fili necessari, anche forzando.
Una trattativa lunga e difficile. Che ha avuto come centro Roma e Teheran, è vero. Ma si è mossa anche sull’asse Washington- Damasco perché ha visto il nostro servizio di intelligence estero protagonista di un ruolo di raccordo: in Iran, come in Siria, dopo questa storia, siamo considerati ora ottimi mediatori per interloquire con Trump.
Per capire, però, cosa effettivamente è accaduto nella liberazione di Cecilia Sala è necessario tornare indietro di due anni.
E andare al novembre del 2022 quando a Ciampino, accolta dalla premier Meloni, fu un’altra ragazza italiana: Alessia Piperno, anche lei arrestata e detenuta per 40 giorni nel carcere di Evin.
La scarcerazione della Piperno era arrivata grazie ai contatti che la nostra intelligence era riuscita a creare e coltivare con i servizi segreti iraniani.
Quegli stessi contatti che, siamo al 16 dicembre, si fanno risentire questa volta per un problema contrario: l’Italia, su ordine degli Stati Uniti, ha arrestato l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, accusato di terrorismo. Fanno intendere che è una questione per loro delicatissima, di vita o di morte.
L’Italia, seppur sollecitata internamente, non ascolta. Non lo fa nemmeno tre giorni dopo quando a Teheran viene arrestata Cecilia Sala. E continua a restare sorda quando l’Iran mette ufficialmente in correlazione le due storie: nell’incontro con l’ambasciatrice Paola Amadei, il governo ipotizza una scarcerazione di entrambi «su cauzione».
Restano sordi perché si ha paura di mettere a rischio il rapporto con gli Usa che puntano sull’arresto di Abedini. A cambiare le carte arrivano due cose. Il 29, per il tramite di Andrea Stroppa, la famiglia Sala porta la storia di Cecilia all’attenzione di Elon Musk. Che ascolta. La telefonata che il primo gennaio fa poi Cecilia a casa è drammatica: «Fate in fretta».
La famiglia alza il livello, abbandonando la strada del “silenzio” che era stato loro chiesto. Per questo, la premier Meloni convoca immediatamente la madre di Cecilia a Chigi: la rassicura. Avoca a sé, e al sottosegretario Alfredo Mantovano, il dossier. E insieme riattivano quei canali che fino a quel momento, per decisione politica, erano restati muti.
Caravelli vola personalmente e incontra il suo omologo iraniano, Ismail Khatib, con il quale ha un antico rapporto. Ma offre anche la sua collaborazione per creare un ponte con il nuovo governo siriano. Operazione che gli riesce: si parla di un incontro a tre, o comunque di un contatto proficuo. Meloni torna da Mar-a-Lago con il via libera di Trump.
L’asse con Iran e Siria sembra funzionare. Gli Usa assicurano che non si metteranno di traverso: Abedini è importante ma lo sono anche i dati dei suoi dispositivi elettronici che ora sono in mano della polizia e della magistratura italiana. Lunedì l’Italia capisce che qualcosa si è effettivamente sbloccato
(da la Repubblica)

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