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MA NON SI DOVEVANO PUNIRE I RAZZISTI? DURANTE LA PARTITA DI PRIMA CATEGORIA TRA GAMBASSI TERME E ATLETICO ETRURIA, IL CALCIATORE DELLA SQUADRA DI CASA, GUEYE ELHADJI, VIENE INSULTATO DA UN AVVERSARIO MIMANDO IL VERSO DELLA SCIMMIA

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

A QUEL PUNTO IL 29ENNE CHIAMA GLI ALTRI CALCIATORI E INVITA L’AVVERSARIO A RIPETERE IL GESTO DAVANTI A TUTTI, MA VIENE ESPULSO DALL’ARBITRO

Insultato da un avversario mimando verso della scimmia. E’ accaduto ieri a Gambassi Terme (Firenze), vittima un giocatore della squadra di casa, Gueye Elhadji, al termine della partita contro l’Atletico Etruria di Collesalvetti (Livorno), terminata con il successo degli ospiti per 2-1 e valida per la Coppa Toscana di Prima categoria.
Secondo quanto riporta l’edizione odierna de Il Tirreno, un calciatore della formazione livornese alla fine dell’incontro si sarebbe avvicinato all’esterno di attacco del Gambassi, autore tra l’altro del gol dei locali, mimando il gesto della scimmia.
Il 29enne avrebbe reagito all’insulto razzista chiamando gli altri calciatori e invitando l’avversario a ripetere il gesto davanti a tutti, venendo però espulso dall’arbitro. Da lì, scrive il quotidiano, è scoppiato un breve parapiglia. Pronto l’intervento di compagni e avversari per allontanare i due giocatori, evitando che la situazione degenerasse.
(da agenzie)

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“DOPO DUE ANNI DI GOVERNO MELONI I DIRITTI DI MIGRANTI, DONNE E DETENUTI SONO ANCORA PIU’ FRAGILI”

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

IL X RAPPORTO DELLA ONLUS A BUON DIRITTO DENUNCIA UN FORTE ARRETRAMENTO: DISEGUAGLIANZE IN COSTANTE AUMENTO

Diciassette immagini sullo stato dei diritti e una denuncia forte: dal diritto alla libertà di espressione alla situazione carceraria, l’Italia sta attraversando una fase di arretramento. Il X Rapporto sui diritti in Italia, illustrato ieri, 15 gennaio 2025, alla Camera, dall’associazione A Buon Diritto, guidata da Luigi Manconi, offre un’analisi severa: il quadro allarmante aggravato anche da alcuni provvedimenti introdotti dal governo negli anni 2023 e 2024.
Il sistema italiano delle garanzie e dei diritti è storicamente fragile, ma oltre due anni di governo Meloni “lo hanno ulteriormente indebolito, incrementando il deficit di protezione sociale e rendendo ancora più fragili le tutele individuali” ha dichiarato in aula lo stesso Manconi.
Migranti, l’elenco dei Paesi sicuri che limita il diritto d’asilo
Il rapporto esprime forti perplessità prima di tutto sulle politiche migratorie, denunciando i decreti interministeriali che hanno aggiornato la lista dei cosiddetti “Paesi sicuri” e legittimato le procedure accelerate di frontiera introdotte con il decreto Cutro. Camilla Siliotti, coordinatrice del Rapporto di A Buon Diritto, ha spiegato a Fanpage.it che “la cosiddetta lista dei Paesi di origine sicuri è un elenco nei quali si presume che sia garantita la tutela dei diritti umani e i cui cittadini, quindi, non avrebbero bisogno di chiedere protezione internazionale in Italia”.
La lista dei Paesi di origine cosiddetti sicuri fa quindi sì che “le persone richiedenti asilo provenienti da quei Paesi che sono nella lista vadano incontro a una procedura accelerata della domanda d’asilo. I tempi di esame della domanda d’asilo sono tuttavia molto ridotti e non consentono spesso l’emersione di vulnerabilità e specificità e di tutti gli elementi utili a una valutazione completa della domanda”.
Inoltre, “la procedura per chi proviene da un Paese considerato sicuro prevede l’inversione dell’onere della prova in capo alla persona richiedente asilo, che dovrà quindi dimostrare il contrario, ovvero che il Paese non è sicuro, per poter ottenere il riconoscimento della protezione internazionale. Già nel 2019, poco dopo l’uscita del primo decreto interministeriale sui cosiddetti Paesi sicuri, come A Buon Diritto abbiamo segnalato tutti i rischi di questa lista”.
Tra i Paesi considerati “sicuri” sorgono anche luoghi che, pur avendo rapporti consolidati con l’Unione Europea, sono in realtà molto spesso teatro di gravi violazioni dei diritti umani, come il Bangladesh, la Tunisia, l’Egitto: “I Paesi inclusi nella lista non sono sicuri o quantomeno non lo sono per tuttз lз loro cittadinз. L’inclusione di questi Paesi nella lista comporta per le persone, che da quei Paesi provengono, una forte limitazione all’esercizio di un diritto fondamentale che è il diritto di asilo”. La questione dei Paesi di origine sicuri si è recentemente intrecciata con le vicende riguardanti il cosiddetto protocollo Italia-Albania, che prevede che “proprio le persone provenienti dai Paesi considerati sicuri, soccorse in mare dalle autorità italiane, possano essere trasferite nei centri di detenzione in Albania”.
Quello che preoccupa A Buon Diritto è che, come dichiara anche la stessa Siliotti “l’ampliamento dell’uso del trattenimento per le persone richiedenti asilo – che possono essere private della libertà ancora prima di essere raggiunte da un provvedimento di allontanamento – e che comporta il moltiplicarsi di strutture utilizzate per il trattenimento nelle procedure di frontiera”. Si tratta di una tendenza europea, che rientra nel quadro più ampio delle politiche di esternalizzazione delle frontiere, ma che “certamente l’Italia la sta portando avanti senza accennare a fermarsi”.§
Gli interventi del governo contro migranti e Ong
In due anni il governo Meloni ha approvato diversi decreti che sull’immigrazione e l’asilo e tutti “in senso restrittivo dei diritti e delle garanzie delle persone in movimento, straniere e richiedenti asilo”, ha precisato Siliotti. A inizio 2023 il cosiddetto decreto Piantedosi I ha introdotto “limitazioni e sanzioni nei confronti delle ONG che effettuano attività di search and rescue nel Mediterraneo”. Dopo il naufragio di Cutro, è arrivato il dl “vergognosamente chiamato Decreto Cutro, che ha ristretto ulteriormente le maglie del diritto di asilo e dell’accoglienza”.
Anche il cosiddetto ddl Sicurezza contiene alcune misure dagli intenti “inutilmente afflittivi”, come quella sull’impossibilità di vendere schede sim e registrare contatti telefonici alle persone che non dispongono di un permesso di soggiorno, “privando così chi è già sul territorio italiano dell’unico strumento a disposizione per rimanere in contatto con la propria rete di affetti e persone”. Per A Buon Diritto anche la misura che prevede il reato di rivolta nelle carceri e nei CPR e che punisce anche la resistenza passiva è da considerare “estremamente preoccupante”.
Carceri, sovraffollamento e minori a rischio
Il rapporto di A Buon Diritto accende poi i riflettori anche sulla situazione delle carceri, in particolare quelle minorili: al 30 aprile 2024, sette dei 17 istituti penitenziari per minori ospitavano un numero di giovani detenuti superiore alla loro capacità. Complessivamente, nel 2023 si è registrato “un aumento della popolazione carceraria, nonostante un calo del 5,5% nei reati rispetto al 2022”. Secondo A Buon Diritto, questo incremento è legato a un ampliamento delle fattispecie penali e all’inasprimento delle pene.
Le persone straniere rappresentano il 32% della popolazione detenuta, mentre “il numero di suicidi in carcere ha raggiunto livelli allarmanti”: nel 2024 si sono verificati 88 suicidi, un tasso circa 18 volte superiore a quello registrato fuori dagli istituti di pena. L’ultimo suicidio risale al 7 gennaio scorso, ed è avvenuto nel carcere di S.Anna di Modena, a causa di inalazione di gas.
“Chiediamo che si torni a un trattamento più aderente alle necessità di recupero del minore, che aveva contraddistinto il nostro Paese prima dell’introduzione del decreto Caivano poi convertito in legge”, dichiara Siliotti, che precisa “la centralità dell’approccio educativo ha reso infatti per molto tempo il sistema della giustizia penale minorile italiano uno dei più avanzati in Europa, ma oggi assistiamo a una vera involuzione in questo senso. Il principio-guida del superiore interesse del minore, che – come si dice – è persona in formazione, dovrebbe assicurare al minore trattamenti giuridici differenziati. Riteniamo, anche in questo caso, che siano gli strumenti alternativi al carcere quelli da portare avanti, in primis lo strumento della messa alla prova”.
Donne, salute mentale e lavoro
Come emerge dai dati presenti nel capitolo sulla salute mentale, in Italia “solo il 18% del campione dichiara uno stato di pieno benessere (Flourishing)”, si legge nel rapporto. Le più colpite risultano le donne che riferiscono uno stato peggiore rispetto agli uomini in tutte le fasce d’età.
Sono diversi i fattori che pesano su questo divario, ma “il più rilevante è la disparità di genere percepita nella vita quotidiana: oltre il 40% delle donne ha visto mettere in dubbio le proprie capacità per via del gender, una su 3 ha ricevuto commenti indesiderati sul proprio genere. I giovani risultano i soggetti più a rischio, e su di loro pesano l’incertezza sul futuro, la solitudine e l’immagine corporea, ma anche una maggiore sensibilità alla tematica del cambiamento climatico”, aggiunge Siliotti.
Il rapporto si sofferma anche sulle difficoltà che le donne riscontrano ancora in ambito lavorativo. Attualmente, solo 9,5 milioni di donne sono occupate, contro 13 milioni di uomini. Una donna su cinque lascia il proprio lavoro dopo una gravidanza, mentre il divario salariale resta elevato, con le donne che “guadagnano in media 7.922 euro in meno rispetto agli uomini. A Buon Diritto critica l’approccio basato sui bonus, sottolineando come questi interventi temporanei non riescano a risolvere il problema del reinserimento delle madri nel mercato del lavoro”.
Libertà di stampa sotto pressione
Come segnalato dall’organizzazione Reporter Sans Frontières (RSF) nel 2024 l’Italia è scesa di cinque posizioni rispetto al 2023 per quanto riguarda la libertà di stampa, e ora si trova al 46esimo posto su 180. Nel commentare questo dato, RSF segnala una “paralisi legislativa” che impedisce l’adozione di nuove norme in grado di garantire una maggiore tutela all’attività dei giornalisti, e “a questo si aggiungono i limiti che i giornalisti in Italia incontrano nell’esercizio della loro professione tra cui le numerose procedure SLAPP a cui vanno incontro e le minacce a cui ancora oggi sono sottoposti”, ha raccontato Siliotti.
Proprio riguardo alla sicurezza dei cronisti, nel report 2024 RSF segnala che in Italia “i giornalisti che indagano sulla criminalità organizzata e sulla corruzione sono sistematicamente minacciati e talvolta sottoposti a violenza fisica per il loro lavoro investigativo”. Le loro auto o case, ha aggiunto la rappresentante dell’associazione, “vengono talvolta distrutte da incendi dolosi. Campagne di intimidazione online vengono orchestrate contro coloro che perseguono questi problemi. Una ventina di giornalisti vivono attualmente sotto protezione permanente della polizia dopo essere stati bersaglio di intimidazioni e attacchi”.
(da Fanpage)

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ALMENO 50 MIGRANTI MORTI AL LARGO DELLE CANARIE: “TREDICI GIORNI IN MARE, SOCCORSI MAI ARRIVATI”

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

IL NAUFRAGIO AL LARGO DEL MAROCCO, SULLA ROTTA DELLE CANARIE LO SCORSO ANNO SONO MORTE 10.000 PERSONE

Sarebbero almeno cinquanta le persone morte nel naufragio di un barcone che era diretto alle isole Canarie. Lo ha fatto sapere Helena Maleno, portavoce e fondatrice della Ong per i diritti umani dei migranti ‘Caminando Fronteras’. Con un post su X (ex Twitter), Maleno ha annunciato la “tragedia”, e ha fatto sapere che delle cinquanta vittime, 44 erano di nazionalità pachistana.”Hanno trascorso tredici giorni di angosciante traversata senza che arrivasse nessun salvataggio”, ha scritto l’attivista. Caminando Fronteras è un’organizzazione spagnola che monitora i flussi di persone migranti che si spostano lungo la rotta occidentale dall’Africa all’Europa, raccogliendo anche le segnalazioni dei familiari che riguardano i dispersi.
C’erano 86 persone in tutto a bordo, quindi sarebbero 36 le persone sopravvissute al viaggio, tra cui almeno una minorenne. Non si sa ancora, nel complesso, quante donne e bambini ci fossero. Già sei giorni fa, Caminando Fronteras aveva dato l’allarme a tutti i Paesi dell’area, segnalando che l’imbarcazione risultava di fatto dispersa. Ma non è arrivato alcun intervento dei soccorsi.
Dopo tredici giorni in mare, le motovedette del Marocco avrebbero intercettato il barcone. Secondo quanto ricostruito sulla base delle testimonianze raccolte dalla Ong, e riportate da Ansa, l’imbarcazione sarebbe partita dalla Mauritania il 2 gennaio. L’obiettivo sarebbe stato quello di raggiungere le Canarie, ma la barca sarebbe andata alla deriva nell’oceano Atlantico.
Anche Mariano Hernandez Zapata, assessore alla Transizione ecologica nel governo delle Canarie, ha confermato il naufragio. Zapata ha ribadito che c’è un “gravissimo problema”, per cui “un giorno dopo l’altro veniamo a conoscenza di nuovi morti”. Ora “dobbiamo agire e prendere decisioni”, ha detto.
Stando all’ultimo rapporto steso proprio da Caminando Fronteras a dicembre, l’anno scorso sarebbero morte 10.457 persone tentando di raggiungere la Spagna: 30 persone al giorno, tra cui 421 donne e 1.538 minori. Un numero record, da quando l’Ong ha iniziato il suo lavoro. In tutto, le persone arrivate alle Canarie tramite l’Atlantico sono state 46.843. La rotta si è confermata la più letale al mondo: 9.757 vittime. La maggior parte delle partenze sono avvenute proprio dalla Mauritania.
La situazione è complicata anche perché non c’è un accordo nel governo spagnolo su come gestire i minori non accompagnati arrivati alle Canarie. Al momento sono più di 5.800, in un arcipelago con circa 2 milioni di abitanti in cui le strutture di accoglienza sono già
(da Fanpage)

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“ALTRO CHE SCUDO PENALE, AI POLIZIOTTI SERVE IL CODICE IDENTIFICATIVO SUL CASCO”

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

IL SENATORE DE CRISTOFARO (AVS): “UNA MISURA DI CIVILTA'”

Peppe De Cristofaro, capogruppo al Senato di Alleanza Verdi-Sinistra, ha parlato a Fanpage.it dell’ipotesi di “scudo penale” per gli agenti delle forze dell’ordine. Sarebbe “gravissimo” ha detto: parte della strategia del governo per fingere che ci sia un’emergenza sicurezza e non risolvere i veri problemi. Al contrario, Avs ha proposto codici identificativi sui caschi degli agenti: “Una misura di civiltà”.
Il governo Meloni sta lavorando a quello che è stato chiamato “scudo penale” per le forze dell’ordine: una norma che darebbe la possibilità di non iscrivere nel registro degli indagati gli agenti sospettati di aver commesso atti violenti in servizio; le indagini partirebbero come se fossero a carico di ignoti, e solo in un secondo momento, se emergono delle prove, il nome dell’agente verrebbe inserito tra gli indagati. La proposta è arrivata dopo giorni in cui sono registrati scontri in alcune piazze negli ultimi giorni. Fanpage.it ha chiesto un commento a Peppe De Cristofaro, capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra al Senato, che siede nella commissioni Affari costituzionali di Palazzo Madama: qui è in discussione anche il controverso ddl Sicurezza.
Cosa pensate del possibile “scudo penale” ideato dal governo?
Aspettiamo di capire se dalle chiacchiere oppure si passerà ad atti concreti, allo stato attuale non c’è un testo, è una discussione politica. Se arrivasse, sarebbe una cosa gravissima. La nostra idea è esattamente l’opposto.
Ovvero?
Anche nel ddl Sicurezza abbiamo proposto – incontrando il parere negativo del governo – di introdurre i cosiddetti codici alfanumerici sui caschi degli agenti di polizia. Da molti anni pensiamo che sarebbero uno strumento di democrazia e trasparenza molto utile: strumento che esiste in tutti i Paesi civili d’Europa, e che invece colpevolmente non esiste in Italia.
Uno scudo penale, poi, servirebbe per proteggere da chi? Dai pm? La sola idea che si possa immaginare uno scudo nei confronti di un potere dello Stato, a me pare inaccettabile. Se ci fosse la proposta ci opporremo nella maniera più forte possibile. Nelle ultime ore alcuni sindacati di polizia hanno preso giuste posizioni, dicendo che la norma sarebbe interpretata come una forma di impunità e immunità.
Il sottosegretario alla Giustizia Delmastro ha detto a Fanpage.it che in ogni caso la decisione, sull’iscrizione al registro degli indagati spetterebbe a un magistrato. Quindi non ci sarebbe rischio di impunità. Cosa ne pensa?
In attesa di un testo, stando a quanto emerso finora, i fascicoli sarebbero gestiti dalle Corti d’appello. Sarebbe molto diverso da oggi. In ogni caso, anche solo prevedere la possibilità di uno scudo sarebbe grave.
La proposta è arrivata dopo i disordini del fine settimana in alcune città. C’è un collegamento?
C’è un penoso tentativo di strumentalizzare quello che è accaduto in qualche piazza italiana. Si utilizza un episodio, che naturalmente nessuno ha problemi a condannare: il dissenso deve sempre esplicitarsi in maniera non violenta. Ma che si possa utilizzare un singolo episodio per costruirci sopra una strumentalizzazione così clamorosa e immaginare una stretta ancora più repressiva, è una cosa che veramente mi fa rabbrividire.
La “emergenza sicurezza” è un’invenzione?
Sì, è un’invenzione. Anche perché tutti i dati ci dicono il contrario. Negli ultimi 25 anni la situazione della “sicurezza” come la intende la destra è migliorata nel nostro Paese. Per dirne una, è diminuito in maniera molto netta il numero degli omicidi. Sono aumentati alcuni reati, di cui questo ddl però non si occupa. Per esempio quelli a sfondo sessuale, o i reati telematici.
Allora perché insistere sulla questione?
La destra rappresenta una situazione diversa da quella che è, è una sua antica strategia su cui ha costruito una narrazione che ha funzionato per vent’anni. Creare una percezione di insicurezza. Così poi si può effettuare una stretta sui diritti.
Oltre al ddl Sicurezza, quali sono gli altri elementi della ‘strategia’ della destra secondo lei?
Pensiamo alle ipotesi di riforme istituzionali. Ci potremmo trovare in questo Paese con il premierato da una parte – quindi il totale accentramento dei poteri nelle mani di una sola persona, dando al governo e al capo del governo una sorta di potere assoluto – e dall’altra parte con gli interventi del ddl Sicurezza. Che rendono più difficili le forme di protesta e dissenso, anche non violente e democratiche. Anche quelle che per quanto possano essere ‘dure’ sono sicuramente dentro la legalità. Se dai quattro anni di galera all’operaio che fa un blocco stradale, è evidente che tolleri più le forme di dissenso democratico.
Sempre il sottosegretario Delmastro ha detto che non solo l’emergenza sicurezza è reale, ma che c’è un quadro “apocalittico” per le forze di polizia, in cui gli agenti rischiano di “avere il terrore di intervenire”.
Non mi sembra affatto che la storia degli ultimi 25 anni dica questo. Da Genova in poi, in Italia è successo esattamente il contrario.
Negli ultimi giorni non sono mancate le proposte e gli interventi della destra sulle forze dell’ordine. Il governo ha annunciato un encomio per il maresciallo Masini, FdI ha lanciato l’idea di cambiare le leggi per indagare chi spara in servizio, la Lega ha proposto il patrocinio gratuito per gli agenti. Perché l’attenzione si è concentrata ora?
In parte perché si utilizza strumentalmente quello che sta accadendo, e in parte perché il governo è incapace di mantenere le promesse fatte in passato e dare risposte sulle questioni vere: per esempio sugli stipendi, che sono fermi al palo. Due anni fa si presentarono alle elezioni come “destra sociale”, e invece purtroppo sul terreno sociale – come era ampiamente prevedibile – stanno facendo ben poco.
Peraltro sono incapaci di dare risposte anche sulle stesse forze di polizia. Io mica sarei contrario a delle assunzioni o miglioramenti dello stipendio. Ma piuttosto che fare quello, si scende sul terreno dell’ordine pubblico. È un’operazione di distrazione, per parlare a pezzi di elettorato.
Il ddl Sicurezza è in commissione Affari costituzionali al Senato. State lavorando sugli emendamenti, ma non è chiaro se il governo interverrà con ulteriori modifiche. Pensa che il testo sarà approvato così com’è, o che tornerà alla Camera ancora una volta?
Fino a prima di questa strumentalizzazione delle ultime ore, avrei risposto che c’era una divisione tra le forze di maggioranza: da parte della Lega c’è la volontà di accelerare e fare il prima possibile, e da parte di Fratelli d’Italia sembrava esserci più attenzione rispetto a possibili rilievi di costituzionalità, probabilmente anche per obiezioni che arrivano direttamente dal Quirinale.
Ora viene il dubbio che il ddl Sicurezza possa cambiare, sì, ma addirittura in peggio, utilizzando questi episodi come pretesto. Ma sono solo supposizioni. In commissione non ho ancora visto emendamenti della destra o del governo, che però possono sempre arrivare.
Quali sono i tempi?
Noi stiamo facendo ostruzionismo – ovviamente un ostruzionismo responsabile, nel merito, non è che stiamo leggendo le poesie – e io stesso ho presentato circa mille emendamenti. Ho rivendicato il diritto, per una forza di minoranza, di utilizzare tutti gli strumenti che i regolamenti parlamentari consentono. Siamo all’articolo 14 su 38, credo che potrebbe volerci un altro mese, anche un mese e mezzo. Certo, anche la maggioranza ha i suoi strumenti per accelerare, ma il lavoro da fare è comunque molto.
Cosa direbbe a chi ritiene che l’ostruzionismo sia solo un modo per sprecare tempo e che non porta a nulla?
Ho presentato così tanti emendamenti da una parte perché ritengo il ddl complessivamente inaccettabile, e non credo che una singola modifica ne possa cambiare il senso. Penso che questo ddl andrebbe ritirato, e il numero di proposte di modifica è un modo per segnalarlo.
In più, l’opposizione parlamentare inevitabilmente non può cambiare i numeri. Per quanto possa essere dura, a un certo punto si vota e dall’altra parte si alzano più mani. La nostra linea serve soprattutto per tenere alta l’attenzione e facilitare l’opposizione anche oltre il Parlamento. Ci sono state e ci saranno manifestazioni positive, dibattiti e discussioni nel Paese, una preoccupazione dei sindacati dato che alcuni provvedimenti limitano le libertà di chi manifesta. Così si fa crescere la mobilitazione.
Se il ddl Sicurezza passasse nella sua forma attuale, sarà la Corte costituzionale a intervenire per bocciare almeno alcune delle norme al suo interno?
Non lo escludo. Ci sono dei provvedimenti nel ddl che secondo me sono in palese contrasto con la Costituzione.
Ad esempio?
L’aggravante di luogo. In che modo si giustifica il fatto che se io commetto un reato (qualunque reato esso sia) sotto casa mia oppure alla stazione, viene sanzionato in maniera differente? Non ho ancora trovato nessuno che mi spieghi come questa cosa possa superare un esame di costituzionalità.
(da Fanpage)

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IL GOVERNO MELONI E’ IN RITARDO SUGLI ASILO NIDO, RISCHIA DI SALTARE LA SCADENZA DEL PNRR

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

ENTRO LA META’ DEL 2026, L’ITALIA DOVREBBE AVERE 150.000 POSTI IN PIU’ NEGLI ASILI… PER RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO CI SONO 3,2 MILIARDI DEL PNRR, MA FINORA NE ABBIAMO UTILIZZATO SOLO UN QUARTO

La costruzione di nuovi posti negli asili nido è uno degli obiettivi del Pnrr (il piano italiano finanziato con fondi europei, con scadenze precise da rispettare), ma i lavori sono decisamente in ritardo. A farlo notare è l’Ufficio parlamentare di bilancio, con un rapporto pubblicato oggi. Sui 3,24 miliardi di euro messi a disposizione per il Pnrr, finora ne sono stati spesi circa 816 milioni: circa un quarto, e meno della metà di quanto prevedeva la tabella di marcia a questo punto (1,7 miliardi).
Di questo passo, riuscire a ottenere 150mila nuovi posti per asili nido e scuole materne entro giugno 2026, come richiesto, potrebbe risultare impossibile. Nonostante proprio il governo Meloni avesse abbassato l’asticella, dato che prima il target era di 250mila nuovi posti.
Quanti posti negli asili nido deve costruire l’Italia
L’obiettivo sugli asili nido e le scuole d’infanzia era stato rivisto dal governo Meloni a fine 2023, abbassando il numero di posti da 250mila a 150mila (per la precisione, 150.480). Questo nonostante un aumento dei posti a disposizione serva ad aiutare le famiglie, e di conseguenza sia agevolare le nuove nascite, sia permettere a più donne di lavorare, temi che la premier Meloni ha detto più volte di avere a cuore.
Anche negli ultimi mesi c’è stato uno scontro sul tema, dato che l’esecutivo nella legge di bilancio ha respinto la proposta di aumentare i fondi e nel Piano strutturale di bilancio ha previsto un obiettivo decisamente poco ambizioso: arrivare a una copertura nazionale del 33%, ovvero a fare sì che ci siano posti sufficienti per mandare all’asilo un bambino su tre nella fascia dai tre mesi ai tre anni; ma permettendo che in singole Regioni si possa arrivare anche solo al 15%. Per fare un confronto, l’Unione europea ha raccomandato di raggiungere, entro il 2030, una copertura del 45% in tutte le zone.
A che punto sono i lavori: un “sostanziale ritardo”
Ma, stando a quanto riportato dall’Upb, anche fissare obiettivi più semplici da raggiungere non è bastato al governo per rispettare i tempi. Alla fine del 2024, “avrebbero dovuto essere spesi 1,7 miliardi”. Invece al 9 dicembre “ne risultano effettivamente utilizzati circa la metà (816,7 milioni)”. Un “sostanziale ritardo”, si legge. In più, “la quasi totalità degli interventi avviati nel 2020 o nel 2021 sono in una fase esecutiva e solo circa il 3% dei progetti è concluso”
I problemi ci sono stati fin dall’inizio, quando i Comuni del Mezzogiorno e con “gravi carenze strutturali” hanno mostrato una adesione “limitata” alle procedure per assegnare i soldi, cosa che ha rallentato i tempi. Fatto sta che oggi i progetti in esecuzione sono poco più del 70% al Nord e al Centro, il 69% al Sud. Su molti dei progetti più nuovi non ci sono ancora informazioni, invece.
I problemi che rimarrebbero anche completando il Pnrr
Così, ci sono “incertezze” sulla possibilità di rispettare effettivamente i tempi del Pnrr. L’Ufficio parlamentare di bilancio ha fatto delle previsioni: nel migliore dei casi, l’Italia potrebbe arrivare ad avere solo 500 posti in meno del previsto; nel peggiore il buco potrebbe essere da 26mila posti. La versione più ‘probabile’ al momento, è che se le cose non cambiano si vada in contro a circa 17-18mila posti mancanti.
Peraltro, l’Upb ha sottolineato che se anche tutti gli interventi previsti per il Pnrr arrivassero a compimento, in Italia resterebbero grossi problemi per quanto riguarda la copertura degli asili nido. Si ridurrebbe la distanza tra Nord e Sud, è vero, ma “la quasi totalità dei Comuni con meno di 500 abitanti (96,6%) resterebbe priva di tali strutture”. Più in generale, tra i territori che prima non avevano asili, la situazione resterebbe la stessa per l’81,4%: oltre quattro su cinque.
L’Ufficio ha anche fatto notare che i nuovi obiettivi fissati dal governo per la copertura dei servizi per bambini da tre mesi a tre anni (il 33% a livello nazionale e almeno il 15% a livello regionale) sono così poco ambiziosi che non serve nemmeno completare il target del Pnrr per rispettarli. Anche perché, negli anni, continuano a calare le nascite e quindi diminuisce il numero di bambini. Persino nella peggiore delle sue simulazioni, quella con un ‘buco’ da 26mila posti, la copertura supererebbe le soglie previste dall’esecutivo.
Pd: “Cosa sta facendo il governo?”
Il Partito democratico ha commentato il rapporto dell’Upb con la senatrice Valeria Valente: “Cosa sta facendo il governo, che ha avocato a sé la realizzazione del Pnrr con pochissima trasparenza, per sostenere le amministrazioni locali nel conseguimento di un obiettivo da cui dipende lo sviluppo del Paese? I posti nei nidi soprattutto per il Sud sono un obiettivo cruciale, cui è legato il rilancio dell’occupazione femminile, oltre al diritto dei bambini all’educazione da 0 ai 6 anni”.
La Cgil, e in particolare la segretaria confederale Daniela Barbaresi, ha detto che il “quadro di incertezze e ritardi” conferma “le ragioni delle nostre numerose denunce”. Quella del Pnrr era “un’occasione irripetibile che, se persa, certificherebbe l’incapacità del nostro Paese di raggiungere standard europei e di garantire ai bambini il fondamentale diritto a un percorso educativo di qualità sin dai primissimi mesi di vita”.
(da Fanpage)

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“UNA PERICOLOSA OLIGARCHIA DI ESTREMA RICCHEZZA, POTERE E INFLUENZA MINACCIA LA NOSTRA DEMOCRAZIA”: NEL DISCORSO D’ADDIO DALLO STUDIO OVALE DELLA CASA BIANCA, JOE BIDEN METTE IN GUARDIA DAI RISCHI DELLA TECNODESTRA DI MUSK E THIEL

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE USCENTE CITA EISENHOWER E LANCIA L’ALLARME SUL “COMPLESSO TECNOLOGICO-INDUSTRIALE” CHE METTE IN PERICOLO I DIRITTI E LA LIBERTÀ (TRUMP È SOLO LO STRUMENTO ATTUALE DI QUESTA OLIGARCHIA, RIMPIAZZABILE DOMANI CON UN ALTRO PORTABANDIERA) LA RICHIESTA DI MODIFICA DELLA COSTITUZIONE PERCHÉ “NESSUN PRESIDENTE È IMMUNE DAI CRIMINI CHE COMMETTE MENTRE È IN CARICA”

Dwight Eisenhower lanciò l’allarme sulla minaccia del potere detenuto dal “complesso militare-industriale”, quando lasciò la presidenza, che aveva conquistato dopo aver condotto le truppe alleate alla vittoria contro il nazismo. Joe Biden, citandolo, ha detto invece di essere “altrettanto preoccupato per la potenziale ascesa di un complesso tecnologico-industriale che potrebbe rappresentare un pericolo reale anche per il nostro Paese”.
Il saluto del capo della Casa Bianca che doveva curare l’America dalla malattia del nazionalismo populista, impersonato da Trump ma ormai radicato in una larga parte dell’elettorato, è stato anche la misura del suo fallimento, perché lunedì proprio Donald gli riporterà via l’Ufficio Ovale. Epperò ieri sera, nel discorso in diretta televisiva lungo meno di venti minuti, Biden non ha rinunciato a lasciare il segno, rivolgendosi un’ultima volta all’America affinché rifiuti le sirene di chi mette a rischio la sopravvivenza della sua democrazia, per tornare invece a porre i suoi valori fondanti e il proprio carattere prima di tutto.
Per questo ha iniziato il discorso usando l’immagine della Statua della Libertà, che “non è ferma, ma in marcia”. È in marcia perché “l’idea dell’America, le nostre istituzioni, il nostro popolo, i nostri valori sono costantemente messi alla prova”. Lo dimostra il fatto che oggi negli Usa “sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza”.
Quella tecno-autocrazia che non guarda in faccia a nessuno, forte del suo dominio economico e tecnologico, convinta di non aver bisogno della democrazia per poter prosperare, come in fondo era successo anche al capitalismo durante gli anni più bui delle dittature europee. Musk e gli altri hanno strumenti potenti per influenzare la società e non vogliono limitazioni o controlli. Trump è solo lo strumento attuale di questa oligarchia, rimpiazzabile domani con un altro portabandiera.
Trump Thiel Musk
Biden ha denunciato questo rischio esistenziale per la sopravvivenza della democrazia, a cui però la maggioranza degli elettori non ha creduto il 5 novembre scorso. E lo ha collegato ad altri due fenomeni preoccupanti: “Le forze potenti che vogliono esercitare la loro influenza incontrollata per eliminare le misure che abbiamo adottato per affrontare la crisi climatica”, e la “valanga di disinformazione che ha seppellito gli americani”, stretti fra il “crollo della libertà di stampa” e l’editoria tradizionale, e i social media che “rinunciano a verificare i fatti”, come ha annunciato il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg per riavvicinarsi a Trump.
Perciò Biden ha sollecitato gli americani a salvaguardare le loro istituzioni, mantenendo la separazione dei poteri e il sistema dei “checks and balances”. Li ha esortati ad evitare ogni “abuso di potere”, chiedendo anche di modificare la Costituzione per “chiarire che nessun presidente è immune dai crimini che commette mentre è in carica”. Ovvia allusione alla Corte Suprema dominata dalla super maggioranza conservatrice, che a suo avviso ha negato il principio fondamentale dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, quando ha concesso l’immunità a Trump che gli ha permesso di evitare i processi sull’assalto al Congresso del 6 gennaio e i documenti segreti trafugati a Mar a Lago, aprendo la porta alla sua rielezione.
Nel resto del discorso Biden ha difeso la propria eredità politica, dalla tregua appena raggiunta a Gaza alle iniziative economiche
(da repubblica.i

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CHI GODE PER L’ELEZIONE DI TRUMP? TUTTI, TRANNE L’EUROPA: E’ PAZZA PER IL TYCOON LA MAGGIORANZA DEI CITTADINI IN INDIA, ARABIA SAUDITA, CINA, BRASILE, SUDAFRICA E RUSSIA

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

SOLO IL 22% DEGLI EUROPEI AFFERMA DI CONSIDERARE GLI STATI UNITI UN “ALLEATO”. IL 51% AFFERMA DI VEDERE GLI AMERICANI COME UN “PARTNER NECESSARIO” – SONO PIÙ NUMEROSI I CINESI CHE CONSIDERANO LA RUSSIA UN ALLEATO (39%) E I RUSSI CHE RICAMBIANO VERSO LA CINA (36%) RISPETTO AGLI EUROPEI CHE VEDONO CON FAVORE GLI USA

Nel momento in cui il presidente statunitense di ritorno, Donald Trump, punta gli occhi sulla Groenlandia, su Panama e sul Canada, come Vladimir Putin ha fatto con la Crimea e Xi Jinping con Taiwan, si qualifica come sintomo e causa di un nuovo disordine mondiale. Il trumpismo è solo una variante del transazionalismo
La Russia e la Cina sono ora grandi potenze revisioniste, mentre Turchia, Brasile e Sudafrica sono liete di giocare con tutte le parti. […] La maggior parte degli europei va avanti come se vivessimo ancora nel tempo di pace del tardo XX secolo, ma il mondo intorno a noi somiglia sempre più all’Europa della fine del XIX, fatta di potenze in feroce competizione e imperi in grande stile. Perché oggi il palcoscenico geopolitico è planetario e i contendenti sono in gran parte Stati non occidentali.
Gli Stati Uniti di Trump probabilmente si comporteranno più come le altre potenze transazionali
Queste dure realtà sono messe in luce da un sondaggio globale di opinione condotto in 24 Paesi e pubblicato dall’European Council on Foreign Relations (Ecfr). Lo studio è fatto in collaborazione con il nostro progetto di ricerca dell’Università di Oxford dal titolo “Europe in a Changing World” ed è il terzo che abbiamo condotto dal 24 febbraio 2022, quando l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ha messo fine all’era post-Muro.
Molte persone nel mondo al di fuori dell’Europa accolgono con favore la venuta di Trump, affermando che sarà un bene per il loro Paese, per la pace nel mondo e per arrivare alla pace in Ucraina e in Medio Oriente. In India e Arabia Saudita sono la maggioranza e […] la maggioranza o la pluralità in Cina, Brasile, Sudafrica e Russia.
L’Europa e la Corea del Sud (che, come l’Europa, dipende dagli Usa per la sicurezza) sono casi isolati nel livello di preoccupazione per l’impatto trumpiano.
Come abbiamo già riscontrato nei due sondaggi precedenti, molti Paesi continuano a considerare la Russia di Putin come un partner internazionale accettabile, benché stia conducendo una brutale guerra neocoloniale contro l’Ucraina. La maggioranza o la pluralità dei soggetti dichiara di pensare che la Russia eserciterà maggiore influenza globale nel prossimo decennio. Alla faccia dei discorsi prematuri e compiaciuti dei leader occidentali sulla “sconfitta strategica” della Russia in Ucraina. Non è così che appare al resto del mondo.
Senza dubbio i più pensano anche che gli Stati Uniti, già potenti, guadagneranno ulteriore influenza globale nel prossimo decennio. Ma poi abbiamo chiesto agli intervistati se pensano che nei prossimi 20 anni “la Cina sarà la potenza più forte del mondo, più degli Stati Uniti”. In quasi tutti i Paesi oggetto del sondaggio la maggioranza ha risposto che sì, la Cina sarà più forte degli Stati Uniti.
Persino negli Usa gli intervistati che hanno espresso un’opinione chiara sono divisi al 50%. Solo in Corea del Sud e in Ucraina esiste una fiducia schiacciante nel fatto che gli Stati Uniti rimangano la potenza dominante. Se questo è il mondo, che dire dell’Occidente?
Alla fine del 2022, sotto lo shock dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, dal nostro sondaggio emerse un Occidente in gran parte unito, separato dal resto del mondo. Non è più così. A livello oggettivo il rapporto transatlantico rimane un’alleanza più permanente, strutturata e profonda di quanto si sia mai visto finora nel gruppo Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, ora affiancati da altri cinque Paesi) o in un presunto asse tra Russia, Cina, Iran e Corea del Nord. Loro non hanno un equivalente della Nato.
A livello soggettivo il discorso è diverso. Uno dei risultati più sorprendenti del sondaggio di quest’anno è che, prendendo la media di nove Stati dell’Ue, tra cui Germania, Francia, Spagna, Italia e Polonia, solo il 22% degli europei afferma di considerare gli Stati Uniti un “alleato”. Un ulteriore 51% afferma di vederli come un “partner necessario”, ma che tipo di alleanza è quando meno di un quarto delle persone intervistate considera l’altra parte un alleato? In effetti sono più numerosi i cinesi che considerano la Russia un alleato (39%) e i russi che ricambiano il complimento nei confronti della Cina (36%) rispetto agli europei che vedono con favore gli Usa
Scavando più a fondo, inoltre, si scopre che gli europei sono divisi nel modo di reagire a Trump. I Paesi dell’Europa sud-orientale (Ungheria, Bulgaria, Romania) si mostrano più positivi nei suoi confronti. E basta guardare all’entusiastica accoglienza riservatagli da politici europei come Giorgia Meloni, Viktor Orbán e Nigel Farage. L’avvento di Trump potrebbe spingere l’Europa a fare di più per la propria difesa, ma non vedremo mai un fronte europeo unito contro il trumpismo. I singoli Paesi europei cercheranno di concludere accordi speciali con gli Stati Uniti.
Un’Europa divisa, un Occidente diviso, un mondo transazionale: e allora cosa si può fare? Le democrazie liberali in generale e quelle europee in particolare dovrebbero trarne quattro insegnamenti.
Primo, vedere il mondo per quello che è, non per come vorremmo che fosse.
Secondo, smetterla di blaterare sul Sud globale e considerare questi Paesi per come si vedono loro: grandi e medie potenze individuali con storie, culture e interessi nazionali specifici. Quindi abbiamo bisogno di una politica specifica, su misura, per India, Turchia, Cina, Sudafrica e così via.
Terzo, dimenticare una visione binaria, stile Guerra fredda, del tipo “sei con noi o contro di noi?”. In un “mondo à la carte” come lo ha definito il rapporto Ecfr-Oxford, queste potenze sono pronte a stare accanto agli Stati Uniti in un’area politica, alla Cina in un’altra, alla Russia in una terza e all’Europa in un modo diverso ancora.
Pur tappandoci il naso, dovremmo essere pronti ad agire in maniera simile, ad esempio facendo affari con la Cina su questioni economiche e ambientali, anche se deploriamo le violazioni dei diritti umani. Questo è difficile per le società liberali basate sui valori, molte delle quali sono unite in un’Unione europea fondata sul diritto
Infine la fortuna favorisce i forti. Per un’Europa composta interamente da potenze piccole e medie, l’unico modo per generare una forza adeguata è con un’azione collettiva coordinata, inclusa una relazione più stretta tra Regno Unito ed Europa continentale.
L’unità è forza.
(da agenzie)

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ECCO IL MADE IN ITALY CHE FUNZIONA: GIROLAMO PANZETTA È L’ITALIANO PIÙ FAMOSO DEL GIAPPONE

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

ARRIVATO A TOKYO DALL’IRPINIA PER STUDIARE ARCHITETTURA, NEGLI ANNI ’90 “JIRO” INIZIA A LAVORARE IN TV COME INSEGNANTE DI ITALIANO PER L’EMITTENTE “NHK”. MA È GRAZIE AL SUO PROGRAMMA “GIROLAMO’S KITCHEN”, IN CUI SI OCCUPAVA DI CUCINA ITALIANA, CHE HA CONQUISTATO I GIAPPONESI… MODELLO, IMPRENDITORE, SCRITTORE, SHOWMAN, GIROLAMO PANZETTA E’ UN BUSINESS CHE CAMMINA

Cosa può fare un italiano a Tokyo? Molto più di quanto si immagini. Girolamo Panzetta, noto nel Paese del Sol Levante come “Jiro”, incarna tutto ciò che si potrebbe desiderare in un ambasciatore della cultura italiana: fascino, versatilità e una spiccata capacità di adattarsi.
Originario di Avellino e cresciuto a Napoli, Panzetta arriva in Giappone negli anni ‘80 con l’intenzione di scrivere una tesi sull’architettura locale. Quell’iniziale curiosità accademica si trasforma presto in una carriera trentennale sui principali canali televisivi giapponesi. Da insegnante di italiano per NHK con il programma Itariagokaiwa a icona della moda maschile sulla rivista LEÒN, Panzetta ha saputo reinventarsi costantemente, senza mai dimenticare le sue radici.
Un pezzo importante del successo di Panzetta è legato alla cucina. Il suo programma Girolamo’s Kitchen è un omaggio alle eccellenze italiane. L’episodio in cui mostra l’esecuzione della carbonara è un tripudio di tradizione e orgoglio, arricchito dalla partecipazione di un produttore che spiega la lavorazione della sua pancetta piacentina DOP, utilizzata per realizzare il condimento. […]La sua frase “Buon appetito!”, unica concessione alla lingua italiana, ha conquistato il pubblico nipponico.
Oltre alla cucina e alla moda, Panzetta ha avviato un progetto di agricoltura sostenibile che unisce tecnologia e tradizione, come raccontato qualche tempo fa da Universinet. Nelle terre di Aizu-Wakamatsu, un luogo intriso di storia samurai, “Jiro” coltiva riso biologico con il marchio “Fukunowarai”. […] Ma il suo impegno va oltre la sostenibilità ambientale: Panzetta ha creato una comunità che accoglie giovani orfani, offrendo loro una casa e la possibilità di lavorare nei campi.
Girolamo Panzetta non è solo una celebrità, ma un innovatore che dimostra come le radici italiane possano essere un veicolo per il progresso. Dalla cucina alla moda, dall’agricoltura sostenibile al supporto sociale, “Jiro” rappresenta l’unione tra tradizione e futuro.
Per il pubblico giapponese, lui non è solo “l’italiano più famoso”, ma un simbolo di come le differenze possano arricchire entrambi i mondi.
(da agenzie)

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IL SINDACO INSULTATO PERCHE’ HA LASCIATO APERTE LE SCUOLE NONOSTANTE IL MALTEMPO COPERTO DI INSULTI OMOFOBI

Gennaio 16th, 2025 Riccardo Fucile

UNITO CIVILMENTE DA ANNI CON IL SUO COMPAGNO… “DENUNCIO TUTTI, LE FAMIGLIE AMPLIFICANO LA VIOLENZA”

Giorgio Zinno, 45 anni, sindaco di San Giorgio a Cremano in provincia di Napoli, ha lasciato aperte le scuole durante l’emergenza maltempo. E in tutta risposta si è preso una serie di insulti e minacce. Tra cui uno sgrammaticato «spero che ti sparano…». Per questo ha deciso di denunciare tutto alla polizia postale. Anche a causa dei tanti insulti omofobi: «Non solo e non tanto quelle, perché ho sempre reagito viso a viso. Ma qui parliamo di minorenni che arrivano addirittura ad augurarmi la morte. Un’ondata di odio da parte di ragazzini che vanno a scuola. Bisognava intervenire e l’ho fatto, così come hanno fatto i presidi e spero anche le famiglie di questi ragazzini i quali non capiscono come l’uso scorretto dei social amplifichi la violenza», dice al Corriere della Sera.
L’emergenza e le scuole
Dopo che ha pubblicato gli insulti sui suoi canali social «mi sono arrivate le scuse da quasi tutti gli autori di quelle offese, ovviamente la solidarietà di tantissimi cittadini e associazioni. Ho deciso perciò di denunciare solo chi ha scritto commenti di rilevanza penale e non si è scusato. È un segnale necessario non per spirito di vendetta, ma per tutelare l’istituzione che rappresento e chiarire che certi comportamenti non vanno tollerati».
Zinno nel 2016 è stato il primo sindaco a unirsi civilmente con il suo compagno. Oggi, dice, «purtroppo il clima è peggiorato. C’è un problema culturale e sociale in tutt’Italia e pure la politica a volte dà il cattivo esempio, l’omofobia resta una realtà», sostiene con Roberto Russo.
Chi lo insulta
E a chi lo insulta oggi dice: «Io sono pronto a invitarli in Municipio per mostrare loro com’è la giornata di un sindaco e di quante cose dobbiamo occuparci, comprese le scuole. Se non le ho tenute chiuse è perché non c’era una situazione di criticità tale da suggerirlo. Forse da questa brutta pagina può nascere il seme di una maggiore consapevolezza civile, soprattutto mi piacerebbe spiegare a quei ragazzi che con l’odio non si vive bene».
(da agenzie)

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