Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
ALTRO CHE IL +1% ANNUNCIATO DA GIORGETTI GRAZIE AI CONTI “ADDOMESTICATI” DELLA RAGIONERIA DI STATO… DOCCIA FREDDA ANCHE DA BANCA D’ITALIA: “LA CRESCITA DELL’ECONOMIA STENTA A RECUPERARE VIGORE”
Il Fondo monetario internazionale lima al ribasso la crescita dell’Italia per il 2025, riducendola a +0,7%, ovvero 0,1 punti percentuali rispetto alle previsioni precedenti. Per il 2026 il Fmi alza invece la sua stima di 0,2 punti percentuali a +0,9%. Nelle sue nuove previsioni economiche, l’istituto di Washington rivede al ribasso le previsioni di crescita per il 2025 e il 2026 di Germania e Francia.
La locomotiva tedesca è attesa crescere quest’anno dello 0,3% (-0,5 punti percentuali) e il prossimo dell’1,1% (-0,3 punti). Il Pil francese segnerà invece un +0,8% nel 2025 (-0,3 punti) e un +1,1% nel 2026 (-0,2).
Economia “fiacca”, con due incertezze che prevalgono su tutto: la debolezza della manifattura in Germania e l’incognita della stretta su dazi in Usa. Il Bollettino Economico trimestrale della Banca d’Italia osserva che in Italia la crescita economica stenta a ritrovare vigore anche nel quarto trimestre, una debolezza, in linea con gli altri paesi dell’Eurozona, che risente appunto della fiacchezza della manifattura e dei servizi. I consumi delle famiglie, dopo la ripresa estiva, sono nuovamente diminuiti.
La Banca d’Italia conferma quindi le stime sulla crescita diffuse a dicembre: +0,5% il Pil nel 2024, con un prodotto «debole» anche nel quarto trimestre. La crescita per quest’anno è stimata allo 0,8%, in accelerazione all’1,1% nel 2026 e in relativa flessione allo 0,9% nel 2027.
Stime che tuttavia – come detto – hanno una «incertezza elevata» sia per lo scenario internazionale sia per gli eventuali inasprimenti dei dazi Usa ai quali l’Italia, e in particolare le Pmi, sono molto esposti. Debole è anche la produzione industriale nel quarto trimestre. Gli economisti di Palazzo Koch aggiungono che le aspettative delle imprese sull’inflazione si sono ridotte e si collocano attorno all’1,5 per cento.
Per quanto riguarda gli Usa l’Italia è «significativamente esposta» agli effetti da un aumento dei dazi minacciati da Trump. L’incidenza del mercato di sbocco Usa è pressoché raddoppiata dall’inizio dello scorso decennio, collocandosi all’11% del totale delle esportazioni nel 2023 (63 miliardi di euro) mentre gli Usa sono solo il settimo paese per provenienza delle importazioni.
L’Italia ha quindi un forte surplus negli scambi di beni con gli Stati Uniti, ed è al terzo posto tra gli avanzi bilaterali delle economie dell’Eurozona nei confronti di Washington. Gli Stati Uniti costituiscono un mercato di destinazione per quasi un terzo delle aziende esportatrici italiane.
(da Il Sole24ore)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
CHE FARE DI FRONTE ALL’ABBANDONO MUSK-TRUMPIANO DI UNA CONDIVISIONE POLITICA ED ECONOMICA CON I PAESI DELL’OCCIDENTE? CI SAREBBE IL PIANO DRAGHI, MA SERVONO TANTI MILIARDI E VOLONTÀ POLITICA (AL MOMENTO… L’UNICA SOLUZIONE È SPALANCARE LE PORTE DEGLI AFFARI CON PECHINO. L’ASSE EU-CINA SAREBBE LETALE PER “AMERICA FIRST” TRUMPIANA
All’Inauguration Day di Donald Trump, al momento, non ci sarà nessun leader
europeo. Sicuramente mancherà Ursula von der Leyen, ancora in convalescenza dopo la “grave” polmonite che l’ha colpita tra Natale e Capodanno.
Assente anche Viktor Orban, nonostante l’invito ricevuto dall’amico tycoon, l’unica premier europea che volerà a Washinton è la signorina Giorgia Meloni.
La Ducetta se ne frega dell’ostilità che aleggia nelle cancellerie europee verso la tecno-destra di Trump e Musk, a partire da Macron e dal futuro cancelliere tedesco Merz (che ha chiaramente comunicato che nel suo governo non ci sarà mai spazio per i nazisti di Afd, cari all’uomo più ricco del mondo).
D’altronde, Trump ha fatto capire chiaramente qual è il suo obiettivo politico principale: dividere l’Europa, depotenziarla politicamente ed economicamente, trattando con i singoli pesi da una posizione di forza.
Una asimmetria di potere certificata da Rino Formica che, in un’intervista alla “Stampa”, ha liquidato così il futuro dei rapporti tra Washington e Bruxelles: “L’America di Trump non vuole più alleati. Vuole clienti dei loro affari”.
Che fare, dunque, davanti a uno scenario che vede l’Unione europea soccombente davanti al tecno-sovranismo del tycoon e del suo burattinaio Musk?
Ora come ora, l’Unione non ha la forza di rispondere da pari a pari all’offensiva americana. Troppo debole economicamente (le aziende europee sono finite stritolate dalla concorrenza sleale cinese e lo strapotere tecnologico americano) e divisa tra interessi confliggenti, senza contare la fragilità militare emersa nei due anni e mezzo di guerra in Ucraina: se non ci fosse stato lo Zio Sam, Putin si sarebbe preso Kiev in cinque giorni.
Ecco perché una parte dei poteri forti di Bruxelles si sta chiedendo se, a questo punto, non sia più conveniente per l’Ue recuperare e rinsaldare i legami con la Cina. Visto che le difficili situazioni economiche dei Paesi europei stanno aprendo praterie ai movimenti di estrema destra, tanto vale provare a risollevare i Pil avvinghiandosi economicamente a Pechino, sperando in maggiori aperture da parte del regime comunista di Xi Jinping.
Lo stesso Mattarella, nel viaggio in Cina di novembre, ha auspicato la promozione della “crescita del rapporto con l’Ue”, parlando dell’esigenza di “riequilibrare il rapporto importazioni-esportazioni”
Certo, per l’Europa sarebbe una mossa rischiosa, considerando che già in alcuni settori la concorrenza cinese è stata letale per le aziende dell’Ue (auto elettriche e in generale l’economia green). Ma quale alternativa si pone all’Unione per ridare ossigeno al mercato del continente? Di più: un asse Europa-Cina potrebbe essere letale per l'”Amerca First” trumpiana.
Se viene meno l’ombrellone americano, e Trump (che ha già pronti 90 ordini esecutivi da firmare il giorno dopo l’insediamento) mostra muscoli e dazi, l’Europa dove va? Ci sarebbe il fantomatico rapporto Draghi per la competitività, ma servono centinaia di miliardi (altro che Pnrr) per recuperare decenni perduti dietro regole di bilancio e bizantinismi burocratici. Soprattutto, servirebbe unità politica e una leadership solida. Tutti fattori che al momento non si vedono neanche con il telescopio.
(da agenzie)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL GARANTE DEI DETENUTI SUL CARCERE MINORILE DI TORINO
Ci sono ragazzi dentro il carcere minorile Ferrante Aporti, a Torino, che dormono per terra e vivono in condizioni che «si potrebbero equiparare alle carceri iraniane, come dimostra la triste esperienza di Cecilia Sala». A dirlo è Mario Serio, garante nazionale dei detenuti, che a proposito dei giovani rinchiusi nella prigione del capoluogo piemontese parla di ragazzi «spogliati completamente della propria dignità».
Dentro l’istituto di Torino, dice Serio in un’intervista alla Stampa, ci dovrebbero stare al massimo 46 detenuti. I dati del garante del Piemonte, invece, parlano di 54 posti occupati, un fatto definito «particolarmente grave perché parliamo di un istituto penitenziario minorile».
La situazione al Ferrante Aporti di Torino
E sono proprio quegli otto detenuti “extra” che, secondo alcune denunce, dormirebbero su materassi appoggiati a terra. «Non è più solo un problema di sovraffollamento ma di condizione degradante della persona. È inaccettabile», continua Serio. Secondo il garante nazionale dei detenuti, le condizioni in cui vivono i detenuti del Ferrante Aporti rischiano di far scoppiare una rivolta, come già accaduto lo scorso agosto: «Purtroppo è inevitabile. La successione di queste condizioni materiali e psicologiche è talmente gravosa che può eccitare gli animi e costituire la scintilla che può far scoppiare l’incendio. Bisogna prevenire azioni violente».
L’appello al governo e al parlamento
Nell’intervista alla Stampa, Serio sottolinea come la denuncia sulle condizioni dell’istituto minorile torinese sia arrivata, tra gli altri, anche da un sindacato della polizia penitenziaria. Questo, fa notare Serio, «implica che a soffrire delle carenze carcerarie non sono solo i detenuti ma anche gli agenti, costretti ad agire in circostanze estreme». Il garante nazionale rivolge dunque un appello al governo e al parlamento. Perché «è interesse dello Stato non tollerare» situazioni come quella del Ferrante Aporti e trovare «risposte immediate», per esempio il trasferimento di alcuni detenuti.
(da la Stampa)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA FIDUCIA A TEMPO DELLA MELONI E IL PERICOLO PER L’ACCUSA DI TRUFFA
Daniela Santanchè ha appreso del suo rinvio a giudizio per false comunicazioni sociali
sui bilanci di Visibilia nella sua casa a Cortina. Come ha scritto Open, Giorgia Meloni non ha intenzione di chiederle un passo indietro dopo la decisione della Gup di Milano Anna Magelli. «Tranquilla come al solito», risponde lei al telefono.
Oggi andrà alle cerimonie per la Coppa del Mondo di sci. La sua linea è tracciata: «Vado avanti. Faccio il ministro perché ho la fiducia di Meloni. Sarà lei a decidere». Ma c’è un pericolo che incombe sulla testa della responsabile del Turismo. Santanchè, indagata anche per concorso in bancarotta per Ki Group srl, ha un’altra richiesta di rinvio a giudizio per truffa allo Stato. Per la storia della cassa integrazione a zero ore di Visibilia all’epoca del Covid. E questo potrebbe cambiare tutto.
27 gennaio
La data chiave fissata sul calendario del governo è il 27 gennaio. Quel giorno i giudici della Corte di Cassazione decideranno sulla questione di competenza territoriale sollevata dai suoi avvocati. E potrebbero decidere di spostare l’inchiesta da Milano a Roma.
«Se resta dov’è potrebbe essere archiviato». Mentre se dovesse approdare nella Capitale «tutto ricomincerebbe da capo». O almeno questi sono gli auspici della ministra.
Se invece dovesse arrivare il rinvio a giudizio, scrive il Corriere della Sera, da Palazzo Chigi potrebbe arrivare quella telefonata: «Ciao Dani, sono Giorgia». Nella maggioranza e anche nel suo partito tutti considerano più grave la seconda accusa rispetto alla prima. Definita come una «questione tecnica» sulla quale i giudici potrebbero alla fine decidere in suo favore.
La Cig Covid per Visibilia
La Cig Covid per Visibilia, per un totale di 126 mila euro, è invece più pesante. Tanto che il quotidiano ipotizza anche un addio prima delle pronunce dei giudici. Lei stessa, scrivono i retroscena, ha fatto capire più volte che si dimetterebbe. «Perché le implicazioni politiche sono chiare», è il ragionamento. E ancora: «Se il mio presidente del Consiglio dovesse chiedermi un passo indietro di certo lo farò». Anche se ha detto a chi le è vicino che invece spera che quell’accusa cada. Mentre dentro Fratelli d’Italia ieri nessuno ha preso parola per difenderla. E secondo La Stampa in caso di patatrac sarebbe già pronto il nome del suo sostituto. Ovvero il deputato FdI Gianluca Caramanna. Consulente del ministero del Turismo, sarebbe pronto a prendere il posto della ministra. E avrebbe la benedizione della premier.
Le dimissioni
Il quotidiano ipotizza che il volo di Giorgia Meloni a Washington per assistere all’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca possa lasciare altro tempo per decidere. L’idea di attendere la Cassazione farebbe guadagnare una decina di giorni. Ovvero il tempo che la premier reputa necessario per evitare scossoni. E per convincere Santanchè al passo indietro.
(da agenzie)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
MA SE SI CONCRETIZZA IL PROCEDIMENTO SULLA TRUFFA ALL’INPS SUI FONDI COVID DIVENTERA’ INDIFENDIBILE
Daniela Santanchè resterà ministra del Turismo, a meno che non decida spontaneamente di dare le dimissioni. Opzione che la diretta interessata ha sempre spiegato di non voler prendere in considerazione. Giorgia Meloni non chiederà il passo indietro per il rinvio a giudizio per concorso in falso in bilancio della sua società, Visibilia. Il sostegno non sarà comunque incondizionato.
La posizione cambierà nel caso in cui dovesse arrivare il rinvio a giudizio più temuto, nell’ambito di un’altra inchiesta in cui è coinvolta Santanchè: quella per la truffa all’Inps sulla cassa Covid. A quel punto sarebbe complicato dare una giustificazione: si parla di soldi pubblici.
A palazzo Chigi hanno bollinato la linea della fiducia alla ministra fin dalle prime ore della giornata. La notizia dell’avvio del processo non era inattesa. Meloni ha consultato i fedelissimi per definire i dettagli della strategia. Un aggiornamento sarà compiuto nelle prossime ore dopo aver valutato l’impatto sull’opinione pubblica. Difficile pensare a una retromarcia. L’obiettivo è di far decantare le polemiche e spostare l’attenzione mediatica su altro.
Di mezzo c’è anche un equilibrio interno al partito da valutare e da salvaguardare. Santanchè rappresenta Fratelli d’Italia in Lombardia, il feudo di potere del presidente del Senato, Ignazio La Russa, e del fratello Romano La Russa, che Meloni deve per forza considerare.
La ministra del Turismo è legata a doppio filo ai fratelli La Russa. Con loro vanta un dialogo costante. Ogni problema politico viene portato sul tavolo della seconda carica dello stato, che è tra i pochi a non temere la sfida faccia a faccia con Meloni. E questo consolida la posizione di Santanchè.
Compromesso meloniano
Il quadro è così delineato: per Meloni e il suo inner circle, il rinvio a giudizio per il falso in bilancio della ministra del Turismo è un evento ancora troppo leggero per aprire il fronte interno. La vicenda, peraltro, può creare lo sgradito precedente per cui dinanzi a un problema giudiziario, un ministro o un sottosegretario si debba dimettere.
La premier, in questa costante ricerca di un compromesso, è consapevole che c’è anche un suo fedelissimo sotto processo (per rivelazione di segreto d’ufficio), il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove.
I casi e le accuse sono diverse, certo. Ma un’imposizione di dimissioni a Santanchè potrebbe far irrigidire La Russa, pronto a scattare a difesa della ministra del Turismo. A quel punto sul tavolo metterebbe la domanda: Perché la ministra dovrebbe lasciare e il sottosegretario, no? Insomma, è destinata a prevalere, finché possibile, la linea morbida.
C’è poi un altro elemento che hanno fatto notare tutte le opposizioni in coro: Meloni nelle scorse legislature – quando era minoranza in parlamento – ha chiesto per molto meno le dimissioni di esponenti dei vari esecutivi. Oggi, nonostante sia la presidente del Consiglio, il suo pensiero non è cambiato. Fosse per lei davvero metterebbe alla porta la ministra. Ma sono mutate le necessità.
Ha in mente un obiettivo, quasi un’ossessione: evitare per quanto possibile di mettere mano alla compagine ministeriale, tenere lontana dalle proprie orecchie la parola rimpasto o, peggio, un governo Meloni II. La poltrona di Santanchè è salva anche per questo, per la volontà di non spostare pedine.
Così la linea della realpolitik è stata resa nota, fin dall’inizio, da Gianfranco Rotondi, vecchia volpe democristiana ora nel gruppo di Fratelli d’Italia alla Camera: «Un giudizio per vicende professionali non inficia la credibilità da ministro». A seguire sono arrivate le note di sostegno della Lega e di Forza Italia, all’insegna del garantismo.
Nuova mozione
Inevitabile, invece, è stata la reazione pugnace del Movimento 5 stelle, che ha annunciato una nuova mozione di sfiducia in parlamento per Santanchè: «Credo che nessun altro paese si terrebbe un ministro al suo posto di fronte a questi fatti e a tutti quelli che stanno emergendo», ha detto il presidente del M5s, Giuseppe Conte.
La leader del Pd, Elly Schlein non è stata da meno: «Appena una settimana fa Giorgia Meloni diceva di voler aspettare la decisione della magistratura: ora è arrivata. Non può più continuare a far finta di niente».
Dal leader e senatore di Azione, Carlo Calenda, è arrivato un ragionamento diverso: Santanchè dovrebbe dimettersi «perché ha portato al fallimento una società e i fatti e i suoi comportamenti non sono compatibili con una carica importante come quella del ministro del Turismo».
Solo Italia viva ha assunto una posizione diversa: «Non siamo mica come Meloni, noi siamo garantisti fino in fondo», ha detto la senatrice renziana Raffaella Paita.
Ma più che l’offensiva esterna degli avversari, Meloni è preoccupata da quello che accade dentro casa.
(da editorialedomani.it)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
STRADE ASFALTATE COI FONDI STANZIATI CINQUE GIORNI FA
Fuoco, terra, aria e acqua. Troppa acqua. I 4 elementi del progetto che hanno portato
Agrigento a vincere il titolo di Capitale della Cultura 2025 sembrano prendersi beffa della città proprio alla vigilia della giornata più attesa: l’inaugurazione da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Nella giornata climatica più critica con nubifragi in tutta la provincia e vento forte, con una allerta rossa che ha fatto chiudere scuole e cimiteri, gli operai hanno incessantemente lavorato per rendere splendente la città, asfaltando ogni via che verrà percorsa dal presidente questa mattina, prima di raggiungere il teatro Pirandello, dove alle 10, metaforicamente, verrà tagliato il nastro.
Lo chiamano il “miracolo di Mattarella”, ma arriva in ritardo: se da due anni si conosce già il nome della città vincitrice, i lavori per asfaltare la Città dei templi cominciano a due giorni dall’evento. Le strade della città vengono così asfaltate, senza essere raschiate in precedenza, in fretta e furia, nonostante le condizioni climatiche avverse.
Il presidente della Regione, Renato Schifani, ha assicurato che i lavori sulla viabilità, i cui fondi (mezzo milione di euro) sono stati stanziati appena 5 giorni fa, sarebbero terminati ieri sera. Ma se il tempo meteorologico non può essere fermato, quello cronologico era l’unico elemento gestibile, ma così non è stato.
Il ritardo nelle scelte di programmi e organizzazione di un evento storico è stata la costante di un progetto che dovrebbe rappresentare una rinascita per la terra che ha ispirato Pirandello, Camilleri, Sciascia e Tomasi di Lampedusa.
Gli agrigentini sperano che si ripeta ogni anno: le vie della città sono piene di buche, spesso transennate e dimenticate. Alcune strade, quelle più periferiche, sono colme di rifiuti: anche luoghi simbolo come i viadotti dedicati al giudice Rosario Livatino o all’altro giudice ucciso dalla mafia, Stefano Saetta, sono diventate discariche.
Tutto sparito: il miracolo di Mattarella, seppur in estremo ritardo, dà i suoi frutti, e mette all’opera una task force. Molti agrigentini sperano che il presidente passi anche sotto la loro abitazione, dove l’erba è così alta che agli incroci riduce la visibilità, o passi da San Leone, la zona balneare che si allaga a ogni pioggia, la stessa pioggia chiesta per mesi e arrivata nel giorno sbagliato.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
ELLY SCHLEIN VUOLE INDICARE IL NOME DEL FUTURO CANDIDATO IN TEMPI BREVI… PER LA PUGLIA PRONTO DECARO E PER LA TOSCANA NARDELLA
Salvini si para, Vincenzo De Luca s’appara. Dice Gianpiero Zinzi, coordinatore della Lega in Campania: “A Napoli si usa un’espressione: t’appari, tratti. De Luca tratta la sua successione”.
Il governatore del Pd sta negoziando un superpacchetto, un accordo babà. Il suo piano: un presidente della Campania, amico, Sergio Costa del M5s, un assessore regionale di provata fede De Luca, e lo sceriffo nuovamente sindaco di Salerno.
La carta di Schlein, Raffaele Cantone, ha già detto no, Roberto Fico rischia di non vincere mentre Gaetano Manfredi è stato eletto presidente Anci, e fa il regista dell’alleanza Pd-M5s.
La questione veneta, la battaglia di Zaia per ottenere un altro mandato, la scelta di Meloni (che sarebbe ben contenta di lasciare il Veneto in cambio della Lombardia, suo vero obiettivo) sta oscurando il caso Campania, la supertrattativa.
Ci sono due modi di vincere: uno è far finta di perdere e De Luca è uno specialista di questa tecnica. I suoi fedelissimi come l’europarlamentare Lello Topo e Mario Casillo, capogruppo del Pd in Campania, si sono già consegnati alla segretaria Schlein, e accompagnano Antonio Misiani, il commissario del Pd in Campania, nelle trattative locali.
Lo stesso Casillo sta giocando una partita personale: può essere il candidato governatore di centrosinistra e non dispiacerebbe a De Luca. Da quando il governo ha deciso di impugnare la legge regionale, il presidente campano ha lasciato che partisse una sotto trattativa a sinistra. Ci sono tre figure che la stanno gestendo: il figlio Piero De Luca, il vicepresidente del M5s, Michele Gubitosa, e Sergio Costa, ex ministro dell’Ambiente del governo gialloverde, oggi vicepresidente della Camera.
Quella ufficiale riguarda Giuseppe Conte, Schlein, Fico e il sindaco di Napoli, Manfredi, l’altra è la “napoletana”.
Per uscire di scena, con gli onori che merita, De Luca chiede un riconoscimento della sua buona amministrazione, attestato che gli sta consegnando, per conto di Schlein, Pier Luigi Bersani.
L’altra sua richiesta è che il successore non sia Fico, un arcinemico, ma l’ex ministro Costa, uno vicino a Pecoraro Scanio, ex comandante generale del Corpo Forestale in Campania.
Il caso ha voluto che pochi giorni fa, nelle stesse ore, Fico incontrasse Conte alla Camera, e Vincenzo De Luca si intrattenesse con Costa, a Napoli. Con Costa candidato presidente, De Luca costituirebbe delle liste a suo favore, potrebbe anche correre da consigliere, per poi ripararsi a Salerno, nuovamente sindaco.
Gli preme solo una casella. Pretende che l’assessore chiamato a gestire i fondi di coesione, fondi per cui ha ingaggiato una battaglia violentissima con Meloni, sia un uomo che risponde a lui.
Tolto Manfredi, che ha già spiegato di voler continuare a fare il sindaco, e impegnarsi come presidente Anci, il Pd lascerebbe volentieri la Campania a Conte anche perché è l’unica regione che si può cedere all’alleato.
Viene già dato per certo che in Puglia si candiderà Antonio Decaro ed è altrettanto certo che la Toscana avrà ancora un candidato del Pd, se non Eugenio Giani, che viene chiamato il Joe Biden di Firenze, Dario Nardella, un altro che vuole tornare in Italia.
La Campania è per Schlein il pegno d’amore a Conte, ma con De Luca in campo, Fico rischia di perdere. Ecco perché il babà De Luca in realtà non dispiace alla sinistra, ai compagni di partito che dicono: “Dove si firma per l’accordo?”. Il Pd di Schlein vuole indicare a stretto giro il candidato campano, senza attendere la sentenza sul terzo mandato, e ha già fatto partire i “tavoli” con il M5s. Il centrodestra ha tre candidati: Martusciello di Forza Italia, Cirielli di FdI e Zinzi della Lega.
E’ la prima volta che Schlein si trova di fronte a un politico abilissimo, il primo del Pd che la sfida a viso aperto ma che è pronto a trattare sotto banco. Il vero esame di maturità della segretaria è questo mistero napoletano.
(da ilfoglio.it)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
AD AIUTARE I DEM, CONCENTRATI SULLA CREAZIONE DI UN PARTITO DI CENTRO DI STAMPO CATTOLICO ORIENTATO A SINISTRA (MA FUORI DAL PD), C’E’ ANCHE RENZI: MAGARI HA FINALMENTE CAPITO DI ESSERE PIÙ UTILE E MENO DIVISIVO COME MANOVRATORE DIETRO LE QUINTE CHE COME LEADER
Giuseppe Conte ha chiara la strategia da seguire. Dopo aver ottenuto una doppia
vittoria contro l’ancien régime di Beppe Grillo alla Costituente del M5S, ora ha bisogno di compattare intorno a sé gli ex big del Movimento per mettere in moto un partito a sua immagine e somiglianza.
Per farlo, avrà bisogno di superare il limite dei due mandati, tanto caro a Beppe-Mao, e da sempre tabù per i pentastellati. Peppiniello Appulo sa anche di non poter imporre alla base di stampo movimentista una decisione così controversa, e di aver bisogno di una legittimazione coram populo in questa scelta.
Lunedì, al primo Consiglio Nazionale, potrebbe arrivare un primo via libera al superamento del famigerato limite, così da ricondurre all’ovile anche tutti quei maggiorenti finiti ai margini dopo i due mandati in parlamento (i vari Fico, Taverna, Bonafede, Crimi, Buffagni…).
Solo una volta che avrà ricompattato le varie anime del M5s, con i suoi tempi da doroteo, Conte passerà alla fase due, quella della svolta: in vista delle delicatissime elezioni regionali del 2025 in Campania e in Veneto, annuncerà un accordo politico con il Partito Democratico di Elly.
D’altronde, un avvicinamento tra i pentacontiani e i dem è già in corso. In molti hanno notato che alla richiesta di voti da parte del centrodestra per eleggere Simona Agnes presidente della Rai, l’ex Avvocato del popolo ha detto no. E sulle nomine per i giudici della Consulta, il M5S sta affiancando il Pd.
Il Partito democratico, d’altro canto, è impegnato nella costruzione del famoso centro catto-liberale pendente a sinistra, ma fuori dal Pd, che dovrebbe “coprire” un’area politica oggi sguarnita. Domenica sono previsti due cruciali convegni a Milano e Orvieto (uno organizzato da Delrio e l’altro da Libertà Eguale di Morando), che dovrebbero gettare le fondamenta della nuova “cosa” centrista.
Per una buona riuscita dell’operazione Centro serviranno i voti di Santa Romana Chiesa con quello che resta della rete delle parrocchie d’Italia. E qui entra in campo l’ex esattore Ernesto Maria Ruffini. Ma non come leader del partito, non possedendo i requisiti mediacità e di carisma, bensi pronto a dare il suo contributo all’interno di nuovo partito cattolico che affianchi il Pd.
Ps. A muoversi dietro le quinte del rassemblement centrista c’è soprattutto Matteo Renzi, che come Dago-rivelato aveva in mente il giusto nome di Pierferdinando Casini come federatore del contenitore moderato. A differenza del passato, in cui non ha gestito il suo ego espanso negli affari, questa volta l’ex sindaco di Firenze sembra seriamente intenzionato a fare un passo indietro. Forse ha capito che la sua abilità manovriera è meno divisiva e più utile dietro le quinte.
(da Dagoreport)
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Gennaio 18th, 2025 Riccardo Fucile
PUNTARE SULLA TECNOLOGIA DEL MAGNATE KETAMINICO VUOL DIRE SCREDITARE IL PROGETTO DELL’UE “IRIS2” CHE PREVEDE 292 SATELLITI (E A CUI PARTECIPA L’ITALIANA TELESPAZIO, CONTROLLATA DA LEONARDO)… TUTTI I DUBBI SULLA SICUREZZA NELL’AFFIDARSI AL SOSTENITORE DELLE SVASTICHELLE DI MEZZA EUROPA
Per l’Italia i satelliti di Elon Musk sono utili, certo. A buon prezzo, assodato. Efficaci, nessun dubbio. Necessari, può darsi. Urgenti, e perché mai? Proprio l’urgenza che traspare da un pezzo di maggioranza e di governo, questa irrefrenabile impellenza di prospettare, annunciare, valutare accordi con le multinazionali di Elon Musk, è davvero inspiegabile. Se non con ragioni politiche
Per capire di cosa parliamo quando parliamo di satelliti a bassa quota di Elon Musk, di sicurezza nazionale, di informazioni sensibili, cioè di questo sospirato contratto di 1,5 miliardi di euro per 5 anni fra il governo italiano e l’azienda Space X, bisogna intendersi di cosa stiamo parlando.
No, non parliamo di un surrogato di fibra ottica per portare le connessioni veloci in baite o malghe di montagna. No, non parliamo di una nuova rete di riserva per scongiurare un collasso nazionale in situazioni di emergenza. Per chiarezza.
Il governo di Giorgia Meloni vuole ricorrere ai satelliti a bassa quota di Elon Musk anche per portare le connessioni veloci in baite e malghe di montagne e per allestire una nuova rete di riserva per scongiurare un collasso nazionale in situazioni di emergenza, e lo esplicitano i bandi di gara in preparazione, i progetti sperimentali, il disegno di legge “spazio”, ma questo ipotetico contratto di 1,5 miliardi di euro per 5 anni fra il governo italiano e l’azienda Space X riguarda altro.
Riguarda le comunicazioni classificate di ogni tipo e grado, in particolare all’estero, in cielo, in terra, ovunque e per chiunque svolga funzioni istituzionali, il settore militare, diplomatico, intelligence. Le comunicazioni classificate non sono telefonate o soltanto telefonate, ma includono la trasmissione di foto, video, dati e, per esempio, operazioni per interagire con i droni.
In ambiti diplomatici e militari, e L’Espresso ne ha scritto lo scorso novembre, l’Italia è cliente già di Space X attraverso la costellazione Starlink, circa 7.000 satelliti a bassa quota e bassa latenza, reattivi, numerosi, difficilmente accecabili.
Le ambasciate a Beirut in Libano, a Bamako in Mali, a Teheran in Iran, a Dacca in Bangladesh, la nave scuola “Amerigo Vespucci”, l’Aeronautica, la Marina, l’Esercito, tutte le forze armate, di recente hanno utilizzato antenne e schede agganciate a Starlink.
Le forniture da decine di migliaia di euro, attivate alla bisogna, sono aumentate dopo l’intesa del 6 giugno 2024 fra Space X e Telespazio per commercializzare i prodotti di Starlink. Telespazio è una azienda di servizi satellitari, controllata dall’italiana Leonardo e partecipata dalla francese Thales.
I cantori di Musk sostengono che senza Starlink le istituzioni italiane rischiano di non comunicare più, di rimanere senza voce e di indebolire, anziché tutelare, la sicurezza nazionale. Vi sveliamo un segreto: le comunicazioni istituzionali o classifiche da e per l’estero, tramite apparecchi satellitari, esistono già da anni e svolgono mansioni essenziali ancora oggi che pare che Musk stia per salvarci dal buco nero del silenzio.
Il sistema italiano per comunicazioni riservate e allarmi, l’acronimo è Sicral, è operativo da un quarto di secolo. Entro una dozzina di mesi è previsto il lancio di un satellite denominato Sicral 3 per sostituire il Sicral 1B giunto a fine vita. Lo ammettiamo con franchezza e non con adulazione: il Sicral è un parente anziano di Starlink, più lento, meno reattivo, non orbitale, geostazionario, ma è totalmente italiano.
Nell’ultimo documento programmatico pluriennale della Difesa c’è un minuzioso resoconto delle risorse destinate al Sicral, peraltro appena ritoccate all’insù. Ha ricevuto una necessaria integrazione di 46 milioni di euro attraverso risorse a “fabbisogno” recate dalla legge di Bilancio. La progettualità gode di finanziamenti su capitoli del Pnrr e Pnc pari a 298 milioni.
Ovviamente Sicral non riesce a soddisfare le esigenze delle forze armate, a creare sempre collegamenti con le zone del mondo dove operano militari e mezzi italiani. In questi anni, per sopperire ai ritardi europei (tra poco affrontiamo il tema), l’Italia è stata costretta a rivolgersi a un mercato privato con domanda crescente e offerta non altrettanto rapida nella crescita, perciò assai costosa.
Starlink è il gigante del mercato privato, di media stazza c’è la costellazione francese di origine britannica OneWeb, che conta un decimo dei satelliti di Starlink. A fatica l’Europa, tre anni dopo Musk, ha capito che doveva allestire la sua costellazione per garantire un’autonomia continentale.
Non casualmente alla vigilia di Natale, proprio per replicare a Musk dopo un biennio di tentennamenti, la Commissione Europea ha stanziato 10,6 miliardi di euro (di cui 4,1 privati) per Iris2. Il contributo italiano è di circa 750 milioni di euro. Il progetto Iris2 dovrebbe essere acceso entro il 2030 con i suoi 292 satelliti. Il consorzio SpaceRise, che sviluppa Iris2, è formato da Etulsat (Francia), Hispasat (Spagna), Ses (Lussemburgo). I subappaltatori sono otto: tanti francesi, tedeschi, olandesi, e l’italiana Telespazio.
I vettori di lancio Ariane sono principalmente francesi. Se ne deduce che scegliere Iris2 è scegliere la Francia di Emmanuel Macron, non una opzione gradita al governo Meloni: meglio aprire le porte di casa a Elon Musk (e dunque agli Stati Uniti di Donald Trump) che accodarsi al decadente (e ostile) Macron.
Per coinvolgere maggiormente la filiera italiana e le altre europee, un portavoce della Commissione fa sapere a L’Espresso che a febbraio sarà organizzata una giornata per le aziende nazionali. E nel frattempo che Iris2 va in orbita, almeno cinque anni, che fanno i governi? C’è sempre il programma Govsatcom che consentirà agli stati membri di sfruttare le capacità esistenti e future interne all’Unione.
Il tema sollevato da Bruxelles è la sovranità. Il lituano Andrius Kubilius, Commissario Europeo per la Difesa e lo Spazio, sventola proprio la bandiera della sovranità dinanzi ai sovranisti di Meloni: Le aziende del campo satellitare, che desiderano operare in Europa, devono rispettare – dice a L’Espresso riferito a Musk – le condizioni stabilite dalle leggi. Proprio per la sicurezza delle connessioni in Europa si è deciso di adottare una soluzione sovrana con Iris2.
Inutile girarci attorno: Musk è un fattore politico destabilizzante per l’Europa, rappresenta il presidente rieletto Trump e adesso l’amministrazione Trump. Legarsi per 1,5 miliardi di euro e per 5 anni a Musk vuol dire delegittimare le residue possibilità di Difesa comune europea. Il governo italiano ne è consapevole
Ci sono due dettagli che lo esprimono. Il ministro Adolfo Urso (Imprese) ha chiesto all’Agenzia Spaziale Italiana di valutare l’ipotesi di allestire una costellazione satellitare di fabbricazione italiana: fra due mesi arriva la risposta e sarà interpretata per sostenere una alternativa a Space X. Il secondo dettaglio sta nel tipo di contratto che l’Italia dovrebbe firmare con Musk.
Per le comunicazioni militari e di governo, col denaro e le richieste del Pentagono, Space X ha creato la costellazione Starshield per gli Stati Uniti. Starshield è una divisione speciale di Space X che può essere venduta anche agli alleati di Washington. È scontato che, quando le aziende di Musk (dicembre 2023, come ricostruito da questo giornale) hanno presentato il proprio catalogo alla Presidenza del Consiglio, abbiano esposto tutti i loro prodotti.
Fonti di Palazzo Chigi precisano a L’Espresso che, invece, l’Italia sarebbe interessata unicamente a Starlink. Il motivo è semplice: Starlink è una collaborazione, Starshield è un matrimonio. Starlink è accessibile a cittadini, aziende, governi. Starshield no. Questo dimostra, oltre tutto e sopra tutto, che Starlink è utile, efficace, forse necessaria, commentare questo per niente urgente. Tant’è che il governo una volta ribolle di entusiasmo e un’altra invita alla calma. L’attesa del contratto con Musk è essa stessa il contratto.
(da “L’Espresso”)
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