Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
“MI SENTO UN INDIPENDENTE E LIBERO DI CONTINUARE A FARE LA POLITICA” – ALLE ELEZIONI REGIONALI IL SINDACO DI TERNI (CHE PENSAVA DI ESSERE L’AGO DELLA BILANCIA) AVEVA SOSTENUTO LA CANDIDATA DI CENTRODESTRA DONATELLA TESEI, CHE È STATA MANDATA A CASA DAGLI ELETTORI
Reputo “chiusa l’esperienza con il centrodestra” di Alternativa popolare di Stefano
Bandecchi. Ad annunciarlo è lo stesso segretario nazionale e sindaco di Terni rispondendo all’ANSA dopo un accenno in Consiglio comunale. Che ha affermato di sentirsi “indipendente e libero di continuare a fare la politica” che ritiene. L’accordo era stato annunciato a settembre in vista delle elezioni regionali in Liguria, Umbria e Emilia Romagna.
“Dopo alcune riunioni in varie regioni italiane, tenute dalla coalizione di centrodestra, e dopo non aver ricevuto alcun invito dei nostri responsabili, arriviamo alla conclusione di non stare simpatici al centrodestra” ha detto Bandecchi.
“Per quanto mi riguarda – ha aggiunto -, mi sento indipendente e libero di continuare a fare la politica che ritengo: avere alleati che si dimostrano i tuoi peggiori nemici, mi fa venire in mente il proverbio ‘Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io'”.
Bandecchi ha quindi affermato che il centrodestra nei confronti di Alternativa popolare “è stato sgarbato e latitante”. “Da quali riunioni siamo stati esclusi? Ci sono stati incontri in Toscana e in Campania – ha aggiunto -, regioni interessate dalla prossima tornata elettorale. Ce ne andremo per conto nostro in quelle che ci interesseranno di più. Non vogliamo dare fastidio ad un centrodestra che ci sembra momentaneamente molto confuso”.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
CHI VOTA CENTRODESTRA (COMPRESO FORZA ITALIA) RIMPIANGE ZIO BENITO: PER IL 62% ERA UN “VISIONARIO”, PER IL 54% UN “PATRIOTA” … PIÙ DELLA METÀ DEGLI ELETTORI, SENZA DISTINZIONE POLITICA, HA UN’OPINIONE POSITIVA DELL’OPERATO DEL DITTATORE SU GRANDI OPERE E INFRASTRUTTURE. E SULL’ECONOMIA
Con il Duce siamo sempre alla solita retorica: ha fatto anche cose buone, era carismatico, il fascismo era diverso, è stata tutta colpa di Hitler. Luoghi comuni, narrazioni da cui gli italiani faticano a prendere le distanze e che anzi, continuano a sposare.
A confermarlo è un sondaggio di Swg, che sarà pubblicato domani, e che prende “spunto” dall’uscita della serie tv “M – il figlio del secolo”, con annesso dibattito e polemiche sulle frasi di Luca Marinelli (“Ho sofferto molto nell’interpretarlo”).
È vero che dalla rilevazione, che Dagospia può anticipare, emerge che 3 italiani su 4 ritengono Hitler un “dittatore repressivo”. Ma andando ad approfondire le risposte del sondaggio Swg, emergono dati molto interessanti. Ad esempio, a domanda “Secondo lei, Mussolini è stato un leader politico carismatico?”, il 65% risponde sì.
E se non sorprende troppo che a pensarla così sia l’84% degli elettori di destra e centrodestra (quindi compresi quelli di Forza Italia), è molto curioso che a pensarla allo stesso modo sia il 60% di chi vota sinistra e centrosinistra.
Il 62% di chi sostiene la maggioranza di governo ritiene il Duce “un visionario per l’epoca” e il 54% “un patriota” (il 79% lo ritiene un “innovatore per quanto riguarda le politcihe sociali e le infrastrutture”).
Molto interessanti anche l’opinione che gli italiani (senza distinzione partitica) hanno del ventennio fascista. Qui la retorica del “ha fatto anche cose buone” emerge nitida, visto che il 55% dei cittadini ha un’opinione positiva su quanto fatto dal regime in termini di grandi opere e infrastrutture, e il 47% ritiene buona la riforma agraria. Anche sull’economia, il giudizio sul Duce non è negativo a prescindere: il 33% sostiene che sulle politiche sociali ed economia Mussolini abbia fatto cose buone.
Solo su politica estera, minoranze linguistiche e libertà individuali, gli italiani sono concordi nel giudicare molto negativamente l’operato di Mussolini
Infine, Swg ha chiesto anche chi fossero i peggiori dittatori del XX secolo, e qui gli italiani fanno un po’ confusione: tolti i primi tre, scontati, Hitler, Stalin e Mussolini, inseriscono un po’ a casaccio Saddam Hussein come quarto autocrate più sanguinario della storia del Novecento, peggio di Pol Pot e Mao . Gheddafi è “solo” ottavo
(da Dagoreport)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
TRA I CASI SEGNALATI, C’E’ QUELLO DI UN SACERDOTE CHE NEGLI ANNI ’60 HA COMPIUTO UN PRIMO ABUSO ED È STATO TRASFERITO, E COSÌ ANCORA PER 50 ANNI: SOLO NEL 2010 È STATO ESCLUSO DALL’ATTIVITÀ PASTORALE
Sono 67 i casi accertati di abusi sessuali nella chiesa altoatesina tra il 1963 e il 2023.
Questi riguardano 24 sacerdoti e 59 vittime. L’età media dei preti è tra i 28 e 35 anni, mentre quella delle vittime tra gli 8 e i 14 anni, poco più del 50% di sesso femminile.
Sono i dati principali del rapporto sugli abusi nella chiesa altoatesina, elaborato dallo studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl di Monaco di Baviera, su incarico della Diocesi di Bolzano e Bressanone. Il rapporto nell’ambito del progetto triennale “Il coraggio di guardare” è stato presentato in una conferenza stampa, in presenza del vescovo Ivo Muser.
I casi sono stati tutti anonimizzati per proteggere le vittime. Il “caso numero 5” riguarda un sacerdote che nei primi anni 60 ha compiuto un primo abuso ed è stato trasferito, poi un altro abuso ed ancora trasferito, e così ancora per 50 anni: solo nel 2010 è stato escluso dall’attività pastorale. In relazione a questo caso l’avvocato Ulrich Wastl ha detto che in questo caso “manca una cultura dell’errore e questo, nel caso degli abusi, è l’inizio della fine”.
Ha fatto anche un riferimento alla presunzione d’innocenza, osservando che questo principio non esclude la possibilità di misure e provvedimenti preventivi. Il “caso numero 15” è invece dedicato a un sacerdote che, nonostante le proteste dei fedeli, ha celebrato i funerali di un suicida, che era stata una sua presunta vittima di abusi.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
“VIVERE INSIEME E DIALOGARE FA CRESCERE”
«Crescere insieme, scambiarsi opinioni, abitudini e idee, ascoltare gli altri è una ricchezza». Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è rivolto agli oltre 300 studenti dell’Istituto De Amicis-Da Vinci di Palermo. Una visita a sorpresa, o meglio tenuta nascosta dagli insegnanti e dalla dirigente scolastica, dopo che due alunni sono stati vittime di insulti e commenti razzisti di fronte a una libreria durante l’iniziativa scolastica «Io leggo perché».
Erano di fronte al negozio insieme agli altri compagni di classe per raccogliere fondi destinati all’acquisto di libri quando i due bambini, di quinta elementare e originari del Ghana e delle Mauritius, hanno subito lo scorso ottobre commenti e insulti per il loro colore della pelle.
Appena questa vicenda ha raggiunto il capo di Stato, Mattarella ha subito programmato di recarsi di persona all’Istituto musicale De Amicis-Da Vinci in via Serradifalco. «Non sapevano della visita e hanno scoperto che l’ospite era speciale quando lo hanno visto», ha spiegato sorridente la dirigente scolastica Giovanna Genco.
Prima il presidente della Repubblica ha incontrato gli studenti della 5 C, la classe multietnica dei due alunni, che gli hanno rivolto qualche domanda. «Abbiamo parlato di cultura, lettura e musica. Gli hanno chiesto quali fossero i suoi sogni e che lavoro desiderasse fare da bambino», ha continuato a spiegare Giovanna Genco. «Lui ha risposto che avrebbe voluto fare il medico, ma che nella vita si cambia». Sulla lavagna era disegnata una grande bandiera tricolore.
L’importanza dello scambio in un mondo «unito e senza confini»
Il presidente Mattarella si è poi trasferito in aula magna dove l’orchestra dei ragazzi della scuola secondaria ha suonato due brani di Giuseppe Verdi, il coro delle Zingarelle dalla Traviata e il «Va, pensiero» dal Nabucco. «Siete una scuola che – con la cultura, con la lettura e con la musica – esprime i valori veri della convivenza», ha detto agli studenti. Valori importanti in un mondo «sempre più unito, connesso e senza confini». Proprio per questo «Vivere insieme e dialogare fa crescere. È una ricchezza quella di crescere insieme, scambiarsi opinioni, abitudini e idee, ascoltare gli altri. E voi lo state facendo». Il discorso si è concluso con un ringraziamento speciale ai ragazzi: «Auguri per il vostro futuro, per i vostri studi e per quello che svilupperete». Ma anche a chi insegna: «Un’impresa difficile ma esaltante».
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
TREDICI MILIARDARI SIEDONO NEL GABINETTO DI TRUMP E MOLTI ALTRI RICOPRONO POSIZIONI STRATEGICHE… I RISTORANTI PIÙ ESCLUSIVI FANNO INCETTA DI VINI RARI E SI ADATTANO AI NUOVI “PADRONI”
Le strade di Washington sono insolitamente silenziose. È la calma che precede il grande
passaggio di potere: Joseph R. Biden lascia il posto a Donald J. Trump. Ma dietro questa apparente tranquillità si nasconde un fermento inarrestabile. Molti residenti hanno già lasciato la città, diretti verso il sole di Palm Springs o Key West, mentre un vortice artico avvolge la capitale con un freddo pungente e una coltre di neve.
La città, nel frattempo, si trasforma in una fortezza: labirinti di recinzioni, camion della spazzatura posizionati come barricate, jeep militari e cordoni di agenti di polizia in bicicletta presidiano ogni angolo. Nel cuore pulsante della città, un’aria di cambiamento si fa sempre più palpabile. Cartelli di vendita immobiliare spuntano come funghi, furgoni per traslochi carichi di scatoloni riempiono le strade […] I ristoranti e i bar frequentati dal personale di Biden vengono rapidamente rimpiazzati dai locali preferiti della nuova amministrazione.
Mai nella storia americana tanti miliardari si sono ritrovati nello stesso luogo con così tanto potere. Mark Zuckerberg (Meta), Tim Cook (Apple), Elon Musk (Tesla) e altri magnati si stanno assicurando lussuosi indirizzi nella capitale. Tredici miliardari siedono nel gabinetto di Trump e molti altri ricoprono posizioni strategiche. I ristoranti più esclusivi fanno incetta di vini rari, ma il personale di servizio scarseggia. I francesi chiamano “interregno” il periodo di transizione tra due regimi. […] Oggi, Washington vive il suo momento sospeso, tra attesa e incertezza. Mentre gli amici liberali si dividono tra catastrofismo e rassegnazione, alcuni preferiscono aspettare e vedere.
Le redazioni hanno tratto vantaggio dal suo protagonismo, con ascolti e abbonamenti alle stelle. Ma questa volta la stanchezza potrebbe prendere il sopravvento: il circo mediatico riuscirà ancora a sfruttare il fenomeno Trump? Nel mondo di oggi, le sfide sono ancora più ardue rispetto al primo mandato di Trump. Le guerre in Medio Oriente e in Ucraina si intensificano, mentre l’ascesa della destra in Europa preoccupa gli analisti. Anche la politica interna si fa più incerta, minacciando la stabilità economica. Eppure, per ora, l’economia statunitense tiene sorprendentemente bene.
Gli azionisti sorridono: negli ultimi due anni il mercato ha registrato un +53,19%, la crescita più grande dal 1998. Un successo ribattezzato “il mercato di Trump”. Ma quanto durerà? Il ciclo economico potrebbe presto invertirsi. Le promesse elettorali vedranno compromessi, i vincitori non saranno sempre quelli dichiarati e gli interessi personali entreranno in gioco. L’economia potrebbe rallentare, i mercati potrebbero correggersi. Quando e come? Sono domande aperte. E se la disoccupazione schizzasse alle stelle? Se i conflitti in Medio Oriente travolgessero gli Stati Uniti?
Se nuove pandemie mettessero in ginocchio la fiducia nel governo? La democrazia resisterà all’erosione del potere presidenziale? E il narcisismo delle grandi potenze mondiali alimenterà tensioni fino al punto di rottura? C’è molto da sperare, ma altrettanto da temere.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
LO STAFF DI VON DER LEYEN PRECISA: “È UNA CERIMONIA PIÙ CHE UN INCONTRO E NON C’ERA ESIGENZA DI VEICOLARE NESSUN MESSAGGIO A TRUMP ATTRAVERSO MELONI”
“Penso che sia estremamente importante per una nazione come l’Italia, che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti, dare una testimonianza della volontà di continuare e, semmai, rafforzare quella relazione in un tempo in cui le sfide sono globali e interconnesse”: così la premier Giorgia Meloni ha spiegato il senso della sua presenza al giuramento di Donald Trump prima di partecipare alla funzione religiosa nella chiesa di St John.
Vi sono stati “contatti” tra la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e la premier italiana Giorgia Meloni prima del suo viaggio negli Usa per la cerimonia d’insediamento di Donald Trump ma non in relazione alla missione in sé.
Questa l’indicazione raccolta dalla portavoce della Commissione europea la quale ha precisato che si tratta di “una cerimonia più che un incontro e non c’era esigenza di veicolare nessun messaggio a Trump attraverso Meloni”
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO DEL PROSSIMO CANCELLIERE TEDESCO, MERZ, A TAJANI: “NON CI ALLEREMO MAI CON AFD” (I NEONAZISTI CHE STASERA SIEDERANNO ACCANTO ALLA MELONI AD APPLAUDIRE IL TRUMP-BIS), NE’ SUI DAZI ACCETTEREMO CHE IL TRUMPONE TRATTI CON I SINGOLI STATI DELL’UNIONE EUROPEA
Il viaggio di Giorgia Meloni a Washington è irrituale. Lo è innanzitutto perché non è
prassi che all’Inauguration day di un presidente americano vengano invitati i capi di Stato o di Governo. Difatti, da Macron a Ursula, da Sanchez a Tusk, nessun leader ha ricevuto un invito alla cerimonia di Capitol Hill.
Ma con l’umorale Trump, che del protocollo se ne strafotte, può succedere di tutto, anche che sia lui, insieme al suo “best buddy” Elon Musk, a fare gli inviti sulla base delle simpatie personali.
E così, ecco spuntare, in mezzo a neonazisti e un’infornata di neo-oligarchi tech (compreso il ceo di TikTok america, Chew Shou Zi), anche il capino biondo della Ducetta de’ noantri. La premier ha ricevuto un invito, appunto, informale, durante l’altrettanto irrituale viaggio a Mar-a-Lago, due settimane fa, per sbrogliare la questione della liberazione di Cecilia Sala, la giornalista italiana incarcerata in Iran.
La Meloni stars and stripes, ansiosa di far bella figura e mostrare al mondo, e al suo alleato Matteo Salvini, di essere la best friend numero uno in Europa di Donald, è quindi atterrata a Washington “informalmente”, ma il suo soggiorno negli States non sarà affatto da privata cittadina.
Da primo ministro ha viaggiato in aereo di Stato, sarà nelle prime file, e non può certo spogliarsi della veste istituzionale di Presidente del Consiglio.
Ecco perché la leader ha discusso della missione con Ursula von Der Leyen. Scrive Tommaso Ciriaco, su “Repubblica”: “Non per chiedere il “permesso”, visto che si tratta di una legittima visita istituzionale da presidente del Consiglio. Semmai per evitare frizioni o incomprensioni: è cosa nota che a Bruxelles la mossa ha spiazzato. Il confronto è servito anche a condividere una preoccupazione, forse la principale in queste ore: i dazi”.
A Bruxelles sono infastiditi con la Meloni: la visita della Ducetta, nei giornali americani, viene raccontata come se la sora Giorgia fosse una sorta di cane a due teste. Da un lato rappresentante dell’Ue in America, dall’altro cavallo di troia del tycoon in Europa.
Una cosa che i poteri forti europei non possono tollerare: Trump ha promesso di essere una sorta di cavaliere nero dell’Unione, chiedendo ai 27 paesi UE di aprire il malconcio portafogli e di portare dal 2% al 5 del Pil le spese per la Difesa e minacciando dazi a pioggia.
Secondo il principio romano del “divide et impera”, Il presidente eletto ha intenzione di colpire chirurgicamente i singoli paesi, imponendo dazi diversificati a seconda del prodotto e di chi lo produce.
L’Unione europea cadrà nel tritacarne trumpiano? Certo è che a Bruxelles non credono che sarà Giorgia Meloni a trattare per conto di tutti e 27 gli Stati membri, né per i dazi, né per altri dossier. Al mondo del deep state brussellese ancora risuona l’elogio pronunciato da Trump: “Meloni ha preso d’assalto l’Europa”.
Una benedizione che sembra voglia trasformare la “Regina della Garbatella” in un ariete in grado di sfondare il fragile muro eretto negli anni dalle istituzioni europee. Ursula von der Leyen, nella chiamata dei giorni scorsi, ha fatto presente a Giorgia che nel suo viaggio americano rappresenterà al massimo l’Italia, non certo l’Europa.
Poi, certo, bisogna vedere quanto e come gli Euro-poteri faranno pagare alla Meloni il suo rapporto privilegiato con Trump e la consacrazione come “assaltatrice” d’Europa. In tal senso, è utile osservare le mosse dei popolari tedeschi.
Tre giorni fa, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, è volato a Berlino per incontrare i colleghi del partito popolare europeo, il bavarese Manfred Weber e Friedrich Merz, prossimo cancelliere tedesco in pectore.
Il duro Merz ha ribadito a Tajani la sua insofferenza per le ingerenze americane nella politica della Germania, e ha confermato che non accetterà mai di allearsi con i neonazisti di Afd, tanto cari a Elon Musk al punto da ricevere il suo endorsement (“Solo Afd puo’ salvare la Germania”).
Gli stessi neonazisti che, nella persona del leader Tino Chrupalla, saranno a Washington, questa sera, ad applaudire il giuramento di Trump. Vicino a Chrupalla, non ci saranno leader europei, solo Giorgia Meloni. Chissà che non sia necessario recuperare il detto “Dimmi con chi vai e ti diro’ chi sei”…
(da Dagoreport)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE DI SOCIOLOGIA ALL’UNIVERSITA’ DI MONTPELLIER, VINCENZO SUSCA: “WASHINGTON OGGI SEMBRA GOTHAM CITY. È DISTOPICO IL MONDO DELLE ARMI, DEI MURI, DELLA XENOFOBIA, DEL RAZZISMO, DELL’OMOFOBIA DI ‘MAGA’, COME DISTOPICHE SONO LE RETI DIGITALI NEL SOLCO DI ‘X’ FITTE DI FAKE NEWS, TROLLS, INTOX, SHITSTORM, DEEP FAKE E HATER ORDITE DALLA TECNOMAGIA NERA DI TRUMP E MUSK
Un tempo cupo segnato da graffi metereologici estremi suggella l’investitura di Donald Trump al ruolo di quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Nel mentre le fiamme continuano a divampare indomite in California, un freddo polare avvolge Washington D.C., fornendo un alibi prezioso ai repubblicani per svolgere in un comitato ristretto, a porte chiuse, lontano dalla folla e dai suoi simulacri, il rito di passaggio più importante della democrazia americana.
Love is not in the air. Non c’è molta allegria, né tanta effervescenza, ma molte ombre e tanti disagi nella capitale degli USA oggi, ove le forze dell’ordine sorvegliano con zelo ogni dettaglio al fine di sventare altri possibili attentati contro il neo-eletto presidente. Mai come quest’anno, la cerimonia assume le sembianze di un funerale paradossale: il funerale della democrazia in America sancito da una scelta democratica!
La foto-ritratto ufficiale scelta qualche giorno fa da Donald Trump, d’altronde, ha funto da marchio dell’immaginario mobilitato per questa inaugurazione. Quasi identica allo scatto segnaletico che ha seguito il suo arresto nel 2023, essa mostra un volto torvo e le sopracciglia aggrottate di chi stia rivolgendo minacce all’interlocutore, ovvero al mondo intero dei suoi nemici, non-amici e potenziali avversari.
Sarebbe stato troppo bello – troppo bello per corrispondere alla verità degli USA, e con loro di tutto l’Occidente, nel 2025 – il bagno di folla di Kamala Harris tra madrine e padrini democratici in visibilio a luccicare accanto alle stelle del cinema, a Taylor Swift, Beyoncé e Lady Gaga. Troppo bello per essere vero.
Invece, i dintorni di Hollywood bruciano nel mentre un velo tetro offusca i residui progressisti dell’american dream. Dall’altra sponda, persino i sovranisti di Make America Great Again sanno bene che lo splendore e la grandezza in questione sono più un’evocazione nostalgica che un progetto politico.
Lungi dal sostenere un’utopia, il movimento MAGA e il trittico Trump-Vance-Musk è l’incarnazione del trionfo della distopia come unico scenario possibile della nostra realtà. Così, nel momento in cui il mondo piange David Lynch, uno dei più grandi visionari di angoscianti e poetiche distopie cinematografiche e non solo, una distopia altrettanto angosciante, scevra di ogni poesia, invade la vita quotidiana e ne assume il governo.
Batman cede lo scettro a Joker. Il male, da sempre in grado di inebriare le fantasie del pubblico e di nutrire i miti dell’industria culturale, ha vinto, al punto tale da oltrepassare i confini dell’immaginario e imporsi come realtà. È distopico il mondo delle armi, dei muri, della xenofobia, del razzismo, del sessismo e dell’omofobia di MAGA, così come distopiche sono le reti digitali nel solco di X fitte di fake news, trolls, intox, shitstorm, deep fake e hater ordite dalla tecnomagia nera di Trump e Musk a fronte di un pensiero democratico e umanista stanco e arrugginito.
Persino la Luna, Marte e l’intero spazio cosmico assumono tonalità tetre nella mente dei nuovi-vecchi padroni americani: non sono più nuove meravigliose frontiere, ma paesaggi da sfruttare nell’ambito della crisi e della sempre più palpabile catastrofe del pianeta Terra.
Il sogno americano è nudo. Spogliato delle sue utopie, rimane animato da appetiti voraci senza sovrastrutture particolarmente elaborate o altisonanti, vestito di armi arcaiche e futuristiche, interpretato da maschere sgraziate, se non esplicitamente grottesche.
“Brutti ceffi”, secondo il dizionario delle serie americane di qualche decennio fa, ovvero figure che attraggono l’emozione pubblica – e non l’opinione pubblica – nella loro potenzialità di sabotare il sistema democratico, che tante persone ha lasciato dietro di sé, e distruggerlo definitivamente. Forse è questa la non-ragione che anima la tecnomagia nera di Trump-Musk-Vance: riportare gli USA allo spirito armato del Far West rimpiazzandone ogni ornamento etico con le criptovalute, i dazi alle frontiere e i satelliti spaziali.
Sarebbe stato troppo bello – e troppo finto – per essere vero il successo di Kamala Harris nel suo auspicio, wishful thinking, di un’America in grado di ricucire gli strappi del colonialismo, del razzismo, del capitalismo e del maschilismo.
Una pia illusione, come tutto l’american dream dimentico della violenza efferata che l’ha informato sin dai suoi albori. Piacciano o meno, Trump-Vance-Musk sono il volto più sincero degli Stati Uniti d’America. Mai come oggi, la verità è oscena e l’osceno è il vero.
“It’s fun to stay at the Y.M.C.A. You can get yourself clean, you can have a good meal. You can do whatever you feel”, recitano i Village People, il gruppo preferito del quarantasettesimo presidente americano Donald Trump, citando la Young Men’s Christian Association (l’Unione Cristiana degli Uomini Giovani, un movimento religioso fino agli anni Settanta riservato ai maschi). Siamo giunti al passaggio definitivo dalla politica spettacolo alla politicizzazione dello spettacolo. Uno spettacolo in cui non c’è niente da ridere.
Vincenzo Susca per Dagospia
(professore ordinario di sociologia dell’immaginario all’Università di Montpellier Paul-Valéry. Il suo ultimo libro è Tecnomagia, Mimesis, 2022)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO OXFAM: IL 44% DELLA POPOLAZIONE MONDIALE VIVE CON MENO DI 6.85 DOLLARI AL GIORNO… L’1% PIU’ RICCO CONTROLLA IL 45% DELLA POPOLAZIONE (SONO GLI AMICI DEI SOVRANISTI)
La disuguaglianza economica globale è ancora una delle sfide più presenti del nostro
tempo, caratterizzata ancora da profonde disparità nella distribuzione di risorse e opportunità. Nonostante alcuni progressi compiuti nella riduzione della povertà relativa negli ultimi decenni, miliardi di persone continuano a vivere in condizioni precarie, mentre una ristretta élite accumula ricchezze inimmaginabili: questa realtà non solo mette in evidenza le ingiustizie del sistema economico globale, ma solleva interrogativi cruciali su come strutturare un mondo più equo e inclusivo. Il recente rapporto pubblicato da Oxfam offre uno spaccato allarmante su queste dinamiche, evidenziando i legami tra povertà estrema, concentrazione della ricchezza e squilibri strutturali tra Nord e Sud del pianeta
Cosa dice il rapporto
Circa il 44% della popolazione mondiale vive con meno di 6,85 dollari al giorno. Nonostante negli ultimi 30 anni la percentuale di persone in povertà sia diminuita, il numero assoluto di individui che sopravvivono sotto questa soglia resta sostanzialmente invariato rispetto al 1990, raggiungendo ancora i 3,5 miliardi. A questo ritmo, secondo il rapporto, potrebbero essere necessari più di cento anni per eliminare la povertà a livello globale.
La riduzione della cosiddetta “povertà estrema”, che riguarda chi vive con meno di 2,15 dollari al giorno, sta rallentando, rendendo sempre meno realistico il raggiungimento dell’obiettivo di sradicarla entro il 2030, come previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite.
Il rapporto di Oxfam, intitolato “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata”, pubblicato in occasione del World Economic Forum di Davos, traccia un quadro preoccupante: si evidenzia infatti che, nel 2024, la ricchezza dei dieci uomini più ricchi al mondo è cresciuta di quasi 100 milioni di dollari al giorno in media. Anche se il 99% delle loro fortune andasse perso, rimarrebbero comunque miliardari. Nel frattempo, l’1% più ricco della popolazione detiene quasi il 45% della ricchezza globale, grazie a un sistema economico che favorisce l’accumulo di capitali nei paesi sviluppati a scapito delle economie in via di sviluppo.
Le differenze tra nord e sud
Nel 2024, i Paesi industrializzati hanno registrato un afflusso netto di capitali dal Sud globale per circa 1000 miliardi di dollari: come evidenza il rapporto Oxfam, questo fenomeno è legato a un sistema economico iniquo, caratterizzato da forme di neocolonialismo. Le economie avanzano e continuano a dominare i flussi di ricchezza globale grazie al controllo delle valute principali nei sistemi di pagamento internazionali e a condizioni di finanziamento più favorevoli: il Nord del mondo, di conseguenza, pur rappresentando solo il 21% della popolazione globale, detiene il 69% della ricchezza complessiva. I Paesi del Sud del mondo, invece, contribuiscono al 90% della forza lavoro globale, ma ricevono soltanto il 21% del reddito aggregato da lavoro. I divari salariali sono, insomma, enormi: a parità di competenze, i salari nel Sud globale sono inferiori fino al 95% rispetto a quelli percepiti nei Paesi ricchi. Questo squilibrio così netto favorisce la disparità economica e limita anche le possibilità di sviluppo per miliardi di persone.
Oxfam: “Il debito estero crea precarietà e marginalizzazione culturale”
Un altro aspetto critico, sottolineato dal rapporto Oxfam, riguarda il debito estero, che sembra gravare in modo sproporzionato sui Paesi a basso e medio reddito: questi Paesi dedicano oggi quasi la metà delle loro risorse al rimborso del debito contratto con creditori internazionali, spesso situati a New York o Londra. Alla metà del 2023, il debito globale aveva raggiunto il record di 307mila miliardi di dollari, con 3,3 miliardi di persone che vivevano in nazioni dove si spendeva più per il debito che per servizi essenziali come sanità ed istruzione. Una situazione, come viene sottolineato nel documento, che ha alimentato un ciclo di precarietà economica e marginalizzazione culturale “assurda”, che favorisce politiche identitarie e divisive, creando privilegi solo per una ristretta élite.
Il ruolo delle multinazionali
Il rapporto Oxfam sottolinea anche il ruolo delle grandi multinazionali e dei sistemi clientelari nel favorire sempre di più le disuguaglianze: nel documento viene sottolineato infatti come i ricavi combinati delle cinque maggiori aziende al mondo superino il PIL di molte nazioni e il reddito complessivo di circa due miliardi di persone, dimostrando come il potere monopolistico consenta rendite sproporzionate e rafforzi un sistema economico squilibrato. Questi dati offrono insomma una chiara fotografia di un mondo dove le opportunità sembrano sempre più concentrate nelle mani di pochi, a discapito invece della maggioranza.
(da Fanpage)
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