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LA GIUSTIZIA ITALIANA ORMAI È SPECIALIZZATA IN FUGHE E LIBERAZIONI: DOPO IL ARTEM USS, ABEDINI E ALMASRI, ORA NON SI TROVA “L’UOMO DI MATTEO MESSINA DENARO”

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

PAOLO AURELIO ERRANTE PARRINO, CONSIDERATO IL PUNTO DI RIFERIMENTO DI COSA NOSTRA AL NORD, È IRREPERIBILE E POTREBBE ESSERE SCAPPATO ALL’ESTERO – L’ORDINE DI CARCERAZIONE NEI SUOI CONFRONTI NON È STATO ESEGUITO, NON ERA MONITORATO DALLE FORZE DELL’ORDINE

Paolo Aurelio Errante Parrino, ritenuto il “punto di riferimento del Mandamento di Castelvetrano nel Nord Italia”, riconducibile al boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, tra gli oltre 150 indagati dell’inchiesta ‘Hydra’ della Direzione distrettuale antimafia di Milano (Dda), non si trova.
Il timore è che possa addirittura essere fuggito all’estero, forse in Spagna. L’ordine di carcerazione, arrivato dopo il rigetto della Cassazione al suo ricorso, non è stato eseguito (al momento) dai carabinieri che sabato 25 gennaio, hanno suonato alla sua porta ad Abbiategrasso.
Già condannato a dieci anni per associazione per delinquere di tipo mafioso, il 77enne è ritenuto referente nell’area lombarda della cosca trapanese e indicato quale “‘uomo d’onore della famiglia di Castelvetrano’, con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare per la realizzazione degli scopi illeciti dell’associazione”.
Per i pm dell’antimafia, Errante Parrino è il punto di riferimento del mandamento di Castelvetrano nel Nord Italia “mantenendo i rapporti con i vertici di Cosa nostra, in particolare, con Matteo Messina Denaro, rappresenta “il punto di raccordo tra il sistema mafioso lombardo e l’ex latitante, a lui trasferendo comunicazioni relative ad argomenti esiziali per l’associazione”.
Una visione non condivisa dal giudice. Nell’ottobre del 2023, il gip Tommaso Perna non aveva condiviso l’impianto della Procura di Milano sull’esistenza in Lombardia di un presunto “patto” tra le tre principali organizzazioni criminali del Paese – mafia, ‘ndrangheta e camorra – e aveva respinto 140 richieste di arresti per 153 indagati e disposto il carcere solo per 11 persone accusate di diversi reati, ma non accusati di associazione mafiosa.
Un “no” all’arresto di Paolo Aurelio Errante Parrino contro cui la Procura di Millano ha fatto ricorso al Riesame, ottenendo parere favorevole, giudizio confermato dalla Cassazione che è chiamata, anche la prossima settimana, a decidere su altri ricorsi (una decina di persone sono state arrestate già nei giorni scorsi).
Il Riesame, dopo il ricorso della Direzione distrettuale antimafia, su 79 posizioni con richiesta di carcere per associazione mafiosa, aveva disposto il carcere per 41 indagati e le udienze in Cassazione andranno avanti fino a metà febbraio. Per il Riesame deve andare in carcere anche Giuseppe Fidanzati, presunto vertice per conto di Cosa Nostra (l’udienza in Cassazione si terrà la prossima settimana). Secondo le indagini della Dda, Errante Parrino avrebbe anche passato a Messina Denaro “comunicazioni relative ad argomenti esiziali”, mentre era latitante, anche perché il boss avrebbe avuto un interesse diretto, secondo i pm, “negli ingenti affari finanziari realizzati in Lombardia dal sistema mafioso lombardo”.
(da agenzie)

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“ALMASRI È STATO LIBERATO PER INERZIA DI NORDIO”: L’ANM RIFILA UN CEFFONE AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, DOPO LA CLAMOROSA PROTESTA DI IERI ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

È CHIARO A TUTTI CHE IL CAVILLO GIURIDICO USATO COME LEVA PER LIBERARE ALMASRI ERA SOLO UNA SCUSA. ANCHE PERCHÉ NELLE ORE SUBITO SUCCESSIVE ALL’ARRESTO, ERA SUBITO STATO SEGNALATO UN AUMENTO DELLE PARTENZE DEI MIGRANTI, UNA RITORSIONE DEL GOVERNO DI TRIPOLI

“Il generale libico Almasri è stato ‘liberato, non per scelta del Governo, ma su disposizione della magistratura’. Queste le parole pronunciate ieri, da Gedda, dalla presidente del Consiglio Meloni, la quale aggiunge che il Governo avrebbe deciso di espellerlo perché soggetto pericoloso.
In realtà, Almasri è stato liberato lo scorso 21 gennaio per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto – perché notiziato dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d’appello di Roma il 20 gennaio -, e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga (Libia)”. Così la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati in una nota.
/da agenzie)

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RIPARTE LA DEPORTAZIONE DEI MIGRANTI IN ALBANIA: IL PATTUGLIATORE CASSIOPEA CARICA 49 PERSONE

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

I PROFUGHI VERSO I CENTRI DI SHENGJIN E GJADER IN ATTESA DI UNA TOGA SOVRANISTA

Dopo le operazioni di valutazione delle condizioni delle persone intercettate, sono 49 i cittadini stranieri imbarcati a bordo della nave Cassiopea per il trasferimento nei centri in Albania, dove saranno avviate le procedure di accoglienza, trattenimento e valutazione dei singoli casi. Lo fa sapere il Viminale, aggiungendo che altri 53 migranti “hanno presentato spontaneamente il proprio passaporto per evitare il trasferimento: una circostanza di particolare rilievo, in quanto consente di attivare le procedure di verifica delle posizioni individuali in tempi più rapidi anche a prescindere del trattenimento, aumentando le possibilità di procedere con i rimpatri di chi non ha diritto a rimanere in Ue”.
I 49 migranti ritenuti “eleggibili” e pertanto trasbordati sulla nave Cassiopea sono stati selezionati 30 dalla guardia costiera e 19 dalla guardia di finanza. Otto i barchini bloccati al largo e controllati in ossequio anche al protocollo Italia-Albania. Procedure che rallentano e complicano i trasferimenti dei migranti soccorsi su molo Favarolo a Lampedusa. Nel dettaglio, la guardia costiera ha bloccato un barchino con 46 persone (4 trasferite subito a Lampedusa per cause sanitarie), dei 42 solo 6 sono risultati “eleggibili” e pertanto portati sulla Cassiopea. Poi su altri 60 solo 14 sono stati caricati sulla nave della Marina militare; sul terzo barchino soccorso c’erano 41 persone, di cui 2 sono risultati eleggibili.
Infine su un altro natante erano in 35 di cui nessuno da portare in Albania. La guardia di finanza invece ha controllato, a 50 miglia da Lampedusa, un barcone con 61 di cui solo 3 sono risultati eleggibili; poi altri 48 (14 eleggibili), un natante con 9 persone tutte sbarcate poi a Lampedusa e un barchino con 44 di cui soltanto 2 eleggibili
(da agenzie)

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TELEMELONI SEMPRE PIU’ ORBANIANA, BAVAGLIO IN RAI PER LE INCHIESTE DI REPORT

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

ARRIVA IL “RESPONSABILE EDITORIALE” PER NEUTRALIZZARE LE INCHIESTE SCOMODE AL REGIME

Aria di nuovi bavagli in Rai, specie per l’informazione. A Viale Mazzini sta facendo discutere la decisione di istituire dei “responsabili editoriali” che avranno appunto la responsabilità dei programmi di approfondimento, day time e prime time, andando a porsi al di sotto dei rispettivi direttori di genere.
L’ordine arriva dall’amministratore delegato, Giampaolo Rossi, con una circolare interna inviata venerdì sera a direttori e vice di day time, prime time e approfondimento.
Qui si dice che “tutti i programmi devono essere assegnati a una ‘struttura editoriale’ formalmente istituita nell’ambito di una direzione di genere ed avente un ‘responsabile di struttura’”. E in un secondo punto si spiega che “la gestione editoriale di ogni programma è di competenza del responsabile della struttura editoriale (e quindi non affidabile al conduttore o al responsabile ‘pem’, né esercitabile in prima persona dal direttore di genere)”.
Secondo quanto trapela, si tratterebbe di normale amministrazione poiché, quando si è passati dalle reti ai generi, diversi programmi sono rimasti senza capostruttura di riferimento, che sono quelle figure mediane che gestiscono in concreto la fattura dei prodotti tv coordinandosi con redazioni e direzione.
Sotto l’approfondimento, per esempio, sono circa 14 le trasmissioni senza un capostruttura di riferimento. “La circolare va a sanare un’anomalia aziendale”, fa notare una fonte da Viale Mazzini.
La circolare di Rossi, di cui nessuno pare fosse a conoscenza, lascia però spazio ad ambiguità, tanto che sta generando parecchi malumori nelle tre direzioni in oggetto.
Perché la “struttura editoriale” di cui si parla, con relativo responsabile nominato dall’ad, potrebbe sembrare invece un organismo nuovo che esercita ancor più controllo sulle trasmissioni, commissariando direttori e conduttori. E infatti la faccenda in azienda ha suscitato reazioni, come si può vedere nel durissimo comunicato dell’Usigrai, insieme ai cdr di approfondimento e day time.
“La Rai commissaria i generi e toglie responsabilità a direttori e conduttori. Non si capisce cosa siano queste nuove strutture, né chi siano i responsabili editoriali e come verranno scelti”, attacca il sindacato dei giornalisti. Che bolla la novità come “un modo ulteriore per mettere sotto stretto controllo l’informazione del servizio pubblico”.
Una nota che ha spaccato l’Usigrai, con la minoranza che prende le distanze e si dissocia. Ma all’attacco c’è anche la politica. “Si vogliono commissariare i programmi d’informazione”, afferma Dolores Bevilacqua (M5S). “Il governo vuole controllare le trasmissioni che funzionano”, accusa Sandro Ruotolo (Pd). Mente per Fratoianni e Bonelli (Avs) “la destra ha messo Report nel mirino e Rossi dovrà venire a spiegare in Vigilanza”.
E infatti tutti guardano a Report, programma che, col suo 8% di media di share (comprese le repliche del sabato), sta tenendo a galla Rai3 e questa sera tratterà di nuovi particolari sul caso Santanchè. In qualità di autore del programma e vicedirettore ad personam, Sigfrido Ranucci si rapporta solo col direttore dell’approfondimento Paolo Corsini e nessun altro. Secondo questa direttiva, invece, dovrà avere a che fare anche con una nuova figura che potrebbe dire la sua sui contenuti.
Che, guarda caso, è quello che nel corso dei mesi ha chiesto la destra dopo alcune puntate scottanti. Per esempio Adolfo Urso, ma pure la stessa Santanchè o Ignazio La Russa, e poi Maurizio Gasparri (che attacca Ranucci un giorno sì e l’altro pure) e, da ultima, Marina Berlusconi, che ha annunciato querela dopo la puntata su Silvio Berlusconi. Insomma, secondo alcuni le pressioni del centrodestra potrebbero aver trovato terreno fertile a viale Mazzini.
Ma la novità riguarderà diversi programmi, anche sotto le direzioni di Angelo Mellone (day) e Marcello Ciannamea (prime). E qualcuno in azienda fa l’esempio della famosa intervista di Monica Maggioni a Bashar al-Assad, che non fu autorizzata da nessuno. Lei si autoinviò a Damasco come ad di RaiCom e poi nessuna rete volle trasmetterla e finì su RaiPlay. Si vuole evitare che si ripetano casi simili.
(da agenzie)

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FIUGGI, 30 ANNI DOPO LA SVOLTA DI FINI: COSA RESTA DEL MIRAGGIO DI UNA DESTRA EUROPEA

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

IL 27 GENNAIO DEL 1995 IL CONGRESSO CHE BATTEZZAVA LA NASCITA DI ALLEANZA NAZIONALE

La storia è fatta di equivoci e di rimbalzi beffardi, con la dovuta quota di delusioni e amarezze. Ma a Fiuggi, almeno nel ricordo, filò tutto così liscio che al dunque accadde ciò che doveva accadere: auto-sradicamento, sdoganamento, “abbandono della casa del padre” e oplà, trasfigurazione del Msi in An più una micro-scissione in nome della nostalgia.
Nessuno nega che sotto le volte del Palazzo delle Terme si consumò un dramma insieme intimo e corale. «Il fascismo è come Dio, non si può mettere ai voti!» gridò sul palco Pino Rauti, ricurvo su se stesso. Al che Gianfranco Fini, giovane leader dell’abiura salvifica, replicò dandogli dell’amish. Vero è che la mestizia urologica del luogo e la velocità del tutto ebbero la meglio sulla retorica, per cui a mente fredda Marcello Veneziani scrisse che il medesimo fascismo era stato «espulso come un calcolo renale», mentre il futuro ministro Giuli preferì «spazzato via in fretta e furia come segatura». Così al pathos restano relegate alcune pagine di un romanzo di Angelo Mellone, oggi super dirigente Rai, nelle quali il più disperato dei protagonisti si prende il lusso di affrontare brutalmente donna Assunta Almirante, allora madrina di Fini, e in quella sede la copre di sputi perché corresponsabile di quella “mattanza ideologica”.
Ma il punto è che forse proprio le ideologie, ormai esauste, stavano venendo meno. Nell’autunno del 1989 la Bolognina dei comunisti, nell’inverno del 1995, a cinque anni di distanza compressi e acceleratissimi, la Predappina dei neofascisti, svolta quasi più antropologica e scenografica che ideale, politica e culturale. Tutto blu e azzurro, “Cresce la nuova Italia” il generico slogan, nei manifesti due manone a proteggere la fiamma, peraltro già astutamente ridimensionate nel merchandising congressuale, completo di peluche (“Fiammino” e “Fiammetta”).
Con disappunto Isabella Rauti notò a Fiuggi «signore impellicciate e fanciulle siliconate», ma se è per questo c’erano anche cardinali opportunisti, nobili impiccioni, avidi palazzinari e una spolverata di generone dei circoli tiberini. Un combinato di proiezioni ottiche e video emozionali culminò nell’immagine di Almirante che salutava. Freddo come sempre, Fini parlò a lungo della crisi di governo da poco conclusasi con l’arrivo di Dini a Palazzo Chigi.
È dunque minimo il legame tra Fiuggi e l’imprevedibile presente dei Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni nella sua autobiografia ne parla lo strettissimo indispensabile, del resto era iscritta da appena due anni, forse nemmeno era lì.
Eppure, al netto dei palpiti e delle scenate, tra memoria e sogno la sensazione è che anche in quel mondo di ex reietti che l’esclusione dai circuiti aveva mantenuto puri, ecco, anche per loro la sostanza politica stava diventando leggera, evanescente, inconsistente, sempre più mediatica e quindi condannata a vivere di apparenze, trasformismi, caratteri, prestazioni, insomma la Seconda Repubblica.
Così forse è per questo che restano in mente il saluto romano di Baghino, il sussiego di Fisichella, gli occhietti furbi di Tatarella, i pugni sul banco di Teodoro Buontempo, la smania di La Russa nell’acchiappare il microfono e non mollarlo più, insieme al ricordo di alcune boccaccesche conversazioni telefoniche captate dai primi telefonini al Grand Hotel delle Fonti e finite sulle pagine verdine di Cuore.
A un certo punto la platea votò a grande maggioranza un emendamento che faceva propri i valori dell’antifascismo. E di nuovo non se ne vorrebbe sminuirne la portata, né addebitare al congresso responsabilità di tutti i partiti, però resta il dubbio che a Fiuggi gli ex missini avrebbero approvato qualsiasi proposta.
Per cui un po’ fecero fatica, un po’ fecero finta, alcuni capirono, altri continuarono a collezionare busti del duce, risentimento, invettive da osteria, caserma o curva da stadio senza sapere che sarebbero tornate utili sui social trent’anni dopo. Quasi mai infatti la storia si cancella, né va sempre d’accordo con gli anniversari.
(da repubblica.it)

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LA LOTTA DI ALICE: “IO CRISTIANA PALESTINESE CACCIATA DAI COLONI ISRAELIANI, NON RINUNCIO ALLA MIA TERRA”

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

“IO CITTADINA DI ISRAELE ARRESTATA E PICCHIATA PER AVER DENUNCIATO LA VIOLENZA DEI COLONI”

Makhrour, inserita nel 2014 nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, è una delle ultime oasi verdi accessibili ai palestinesi nella Cisgiordania occupata. I suoi antichi terrazzamenti e gli uliveti secolari si estendono a ovest, sovrastando la città di Betlemme, e a est, dominando il panorama che si affaccia su Gerusalemme, separata dal checkpoint DCO, dove in questi giorni si formano interminabili file di veicoli a causa delle recenti restrizioni e chiusure israeliane, imposte a poche ore dal raggiungimento della tregua a Gaza. Il sito si estende su 11 chilometri quadrati, qui risiedono circa 25.000 palestinesi, e include i villaggi di Husan, Battir e Walaje, oltre alle città di Khader e Beit Jala.
Incontriamo Alice Kisya, residente palestinese cristiana della zona, che il 31 luglio 2024 ha visto il terreno della sua famiglia espropriato da un gruppo di coloni armati, sotto la protezione dell’esercito israeliano. Da allora, a pochi passi dalla sua proprietà, ha fondato la “Tenda della solidarietà”, divenuta simbolo della resistenza contro la confisca delle terre palestinesi. «Per mesi ci siamo mobilitati, insieme ad attivisti palestinesi, israeliani e internazionali, che lottano al nostro fianco contro i soprusi dei coloni», ci racconta. «Avevamo anche un ristorante e una piscina, ma sono stati demoliti. E quando li abbiamo ricostruiti, sono tornati a buttare giù tutto».
Makhrour si trova nell’area C della Cisgiordania occupata, sotto il pieno controllo militare e civile israeliano. Da tempo, Tel Aviv utilizza le demolizioni delle infrastrutture palestinesi come mezzo per sfollare la popolazione e annettere gradualmente il territorio. Una continua appropriazione di terreni e abitazioni: sono 12.000 le strutture demolite in Cisgiordania dal 2009, con un nuovo picco raggiunto nel 2024 con 1.763 distruzioni, secondo i dati delle Nazioni Unite. «Le demolizioni vengono giustificate dalla mancanza di permessi per costruire, ma le autorità israeliane raramente ce li concedono. Paradossalmente, questa stessa restrizione non viene applicata ai coloni che vivono nelle valli circostanti», spiega Kisya. Nonostante i tentativi della famiglia di tornare nella propria terra, i soldati hanno imposto loro di mantenere una distanza e hanno dichiarato l’area «zona militare chiusa».
«Essendo una cittadina palestinese di Israele, quando ho chiamato la polizia israeliana per denunciare le violenze dei coloni, invece di intervenire contro di loro, hanno arrestato me. Anche gli attivisti ebrei israeliani stati picchiati e perseguiti legalmente. Questo dimostra che, indipendentemente da chi tu sia, il governo Netanyahu colpisce tutti senza distinzioni», continua Kisya. La vicenda della sua famiglia ha visto il coinvolgimento anche del Fondo Nazionale Ebraico, creato nel 1901 con l’obiettivo di acquisire terre in Palestina. «Qualche anno fa, i documenti che attestavano la nostra proprietà sono stati dichiarati invalidi. Ci hanno detto che i nostri terreni ora fanno parte della terra dello Stato e di una zona verde e non edificabile».
L’area C della Cisgiordania è al centro di una vera e propria offensiva del piano di insediamento israeliano. Dal 7 ottobre 2023, il governo israeliano ha creato cinque nuove colonie, istituito 43 nuovi avamposti, legalizzandone altri 70, tra cui Neve Ori, nei pressi di Makhrour. A differenza degli insediamenti israeliani tradizionali, considerati illegali secondo il diritto internazionale ma non secondo la legge israeliana, gli avamposti sono considerati illegali anche dallo Stato di Israele. «L’intenzione del governo Netanyahu è quella di creare una sequenza di insediamenti che scolleghino i villaggi palestinesi dell’area di Makhrour da Betlemme, collegando al contempo gli insediamenti di Gush Etzion a Gerusalemme», ha dichiarato l’ong israeliana Peace Now, che si occupa di monitorare i territori occupati del 1967.
Alle porte di Betlemme, la ridefinizione dello spazio è costante: i nuovi posti di blocco, l’ampliamento della strada 60 a Beit Jala, così come i piani per espandere il vicino insediamento di Har Gilo, tracciano i contorni di quello che sarà il futuro. D’altronde, tra le aule della Knesset israeliana, di annessione della Cisgiordania si parla ormai apertamente. Il ministro della sicurezza nazionale uscente, Itamar Ben Gvir, dimessosi in protesta al recente accordo raggiunto tra Netanyahu e Hamas, e il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, hanno fatto dell’annessione il cavallo di battaglia della loro agenda politica. Gli ammiratori del movimento razzista e suprematista kahanista, un’ideologia che Israele aveva messo al bando trent’anni fa, sono oggi nella maggioranza di governo.
Tra i palestinesi, il timore di un’annessione legalizzata della Cisgiordania è sempre più diffuso, e l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, potrebbe velocizzarne il processo. A pochi giorni dalla sua vittoria alle elezioni statunitensi, Smotrich ha scritto su X: «2025: l’anno della sovranità su Giudea e Samaria» (n.d.r. i nomi usati dalla destra israeliana per riferirsi alla Cisgiordania). E ha aggiunto: «Ho ordinato l’inizio di un lavoro professionale per preparare la necessaria infrastruttura ( per l’annessione n.d.r)» perché «non ho dubbi che il presidente Trump sosterrà lo Stato di Israele in questa mossa». Dal canto suo, Trump, nel primo giorno del suo mandato ha revocato le sanzioni contro le violenze dei coloni imposte da Joe Biden nel febbraio 2024.
Il sole sta tramontando e, da una delle valli di Makhour, si intravedono le luci dei villaggi circostanti. Prima di salutarci, Kisya lancia un ultimo sguardo alla sua terra, ora sbarrata da vecchi fili di ferro arrugginiti. «Non so cosa ci riserverà il futuro», dice, «ma andarsene non è un’opzione»
(da Fanpage)

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RISULTATO DEL PRIMO GIORNO DI OPS DEL MONTE DEI PASCHI SU MEDIOBANCA: TRACOLLO DELLA BANCA SENESE

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

SE IL MEF DI GIORGETTI, CHE HA L’11,7% DI MPS, LO PRENDE IN QUEL POSTO (PERDENDO 71 MILIONI), IL DUPLEX CALTAGIRONE-MILLERI FA BINGO: 154 MILIONI IN UN GIORNO … E DOPO IL “VAFFA” DEL MERCATO, CHE SUCCEDERÀ? TECNICAMENTE L’OPERAZIONE CALTA-MILLERI, SUPPORTATA DALLA MELONI IN MODALITÀ TRUMP, È POSSIBILE CON UN AUMENTO DI CAPITALE DI MPS DI 4 MILIARDI (PREVISTO PER APRILE) – PER DIFENDERE MEDIOBANCA DALL’ASSALTO, NAGEL DOVRÀ CHIEDERE AL BOSS DI GENERALI, PHILIPPE DONNET, DI CHIAMARE ALLE ARMI I POTENTI FONDI INTERNAZIONALI, GRANDI AZIONISTI DI MEDIOBANCA E DI GENERALI, PER SBARRARE IL PASSO AL “CALTARICCONE” ALLA FIAMMA (FDI)

A raccontarlo non ci si crede. Risultato del primo giorno di OPS ostile del Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca: se il Mef di Giorgetti, che ha in tasca l’11,7% di MPS, lo prende in quel posto (perdendo, sulla carta, 71 milioni), il duplex Calta-Milleri fa bingo: 154 milioni in un giorno!
Breve riepilogo. Venerdì scorso, Monte dei Paschi di Siena lancia un’OPS (Offerta Pubblica di Scambio) su Mediobanca, la banca d’affari che da oltre mezzo secolo ha il 13% di Generali, obiettivo esplicito delle mosse congiunte di Milleri (66anni) e Caltagirone (81).
(Se Milleri-Calta, che nel capitale Generali possiedono rispettivamente il 9,77% e il 6,23%, conquistassero Mediobanca, avrebbero il controllo del Leone alato).
Purtroppo i due imprenditori sono privi dei requisiti bancari per possedere un istituto di credito, e hanno bisogno di una banca per ottenere il via libera dalla BCE per lanciare l’assalto a Mediobanca e poi al cosidetto ”forziere d’Italia” (Generali ha in gestione 850 miliardi di risparmi e custodisce nei propri portafogli l’1,25% del totale del debito pubblico italico, 37 miliardi su 3mila).
E venerdì la Borsa – il cosiddetto Mercato (cioè i fondi italiani e internazionali presenti in maggioranza nelle banche italiche) – stronca di brutto l’operazione Calta-Milleri, in combutta con l’Ad dell’istituto senese Lovaglio, con una perdita del titolo MPS del 6,91% depauperando (sulla carta) le casse di Stato di 71 milioni. Stessa brutta sorte è toccata agli azionisti dell’istituto di Siena.
Ma non a tutti: se Caltagirone e Delfin detengono insieme il 14,9%, quindi perdono sul titolo MPS circa 90 milioni, contemporaneamente hanno – sempre insieme e sempre in accordo (Consob e Banca d’Italia dove siete?) – anche il 25,3% di Mediobanca (è dato credere la percentuale sia più alta). E venerdì il titolo di piazzetta Cuccia guadagna il 7,72% e i due amiconi, il Gatto e la Volpe, si portano a casa circa 244 milioni. Una volta coperte le perdite su MPS, il risultato è: + 154 MILIONI in 24 ore.
Il rapporto Meloni-Caltagirone sta diventando peggio di quello Craxi-Berlusconi. Per trovare una via per la conquista di Generai, l’editore del “Messaggero” chiede alla Ducetta la Legge Capitali che cambia le carte sul rinnovo dei CdA (ma si aspetta ancora il regolamento della Consob) e tra mille polemiche, anche internazionali (Financial Times in prima linea), il governo Meloni la fa. Quando c’è l’Opa di UniCredit su BMP, stroncando l’operazione terzo polo bancario BPM-MPS, chiede di esercitare la Golden Power considerando Unicredit una “banca straniera” (sic!) e il Mef di Giorgetti istruisce una inutile e ridicola pratica.
Chiusa la via BPM dall’Opa Unicredit di Orcel (la regola vieta a chi e oggetto di un’offerta pubblica di mercato di fare qualsiasi operazione di natura straordinaria), i nostri eroi non si perdono d’anima e cambiano cavallo: l’OPS su Mediobanca si fa con MPS convincendo la Fiamma Magica di Palazzo Chigi a supportare la scalata ostile con l’11,7% del Mef (Giorgetti pur essendo ben a conoscenza dell’operazione non informa nessuno).
Cose mai viste in un paese occidentale che un governo affianchi due imprenditori per una scalata bancaria trasformandosi in un Governo-Banca.
E che banca! La più scalcagnata e fallita d’Italia, l’unica della storia della Repubblica ad essere stata nazionalizzata per via degli scandali e delle molte crisi degli ultimi 20 anni; un disastro costato a noi contribuenti circa 30 miliardi tra aumenti di capitale e contributi pubblici; e il risanamento patrimoniale dell’Ad Lovaglio non è fondato sui crediti reali ma sul DTA (Deferred Tax Assets), sostanzialmente risparmi su debiti fiscali futuri.
Mediobanca al contrario è un esempio di solidità patrimoniale, al punto che non è stato necessario ricapitalizzarla nemmeno all’indomani dello scandalo Lehman del 2008.
E dopo il “vaffa” di venerdì del mercato, che succederà? Tecnicamente, l’operazione Calta-Milleri è ancora possibile.
La differente capitalizzazione delle due banche (ad oggi, Mediobanca 13,5 miliardi contro gli 8 di MPS) potrà essere colmata con un aumento di capitale della banca senese di 4 miliardi (si sussurra che, una volta che l’OPS diventerà esecutiva, sia previsto per aprile).
Un aumento al quale non parteciperà il Mef e la sua quota dell’11,7% automaticamente si diluirà (l’intesa di Giorgetti con l’Unione Europea prevede una graduale uscita dello stato dalla banca senese).
A quel punto, per difendere Mediobanca dall’assalto, Nagel dovrà chiedere un intervento del boss di Generali, Philippe Donnet, che ha imbastito in fretta e furia la creazione di una nuova società comune con il gruppo francese Natixis che avrà 1.900 miliardi di risparmio da gestire, facendo imbestialire Calta-Milleri, supportati da Meloni in modalità Trump: First Italia!
Donnet è ben introdotto nel mondo della finanza internazionale, e tocca a lui, secondo scalpo dopo Nagel, il compito di chiamare alle armi i grandi fondi internazionali, soci di maggioranza in Mediobanca e Generali, per respingere l’assalto del Carariccone alla Fiamma.
Milleri ha nei confronti di Mediobanca e dei due dioscuri, l’Ad Nagel e il presidente Pagliaro, un’avversione che risale ad una vicenda di molti anni fa legata allo IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia di Veronesi, da cui fu estromesso come fornitore; IEO che cercò, senza successo, di far acquistare dal suo datore di lavoro Leonardo Del Vecchio scatenando poi la battaglia su Generali e direttamente in Mediobanca
(da agenzie)

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ARRIVANO I MUSK

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

KIMBAL MUSK PRIMA ERA PASSATO DA CINECITTA’ DOVE AVEVA TRAFUGATO UN ABBIGLIAMENTO DA COW BOY

Oltre a Kimbal Musk (sospettabile di avere trafugato da Cinecittà il suo abbigliamento da cowboy) ci sono altri fratelli e sorelle di Elon Musk, tutti in ottimi rapporti con il governo italiano e tutti attesi a Roma nei prossimi giorni.
Già stasera dovrebbe arrivare Timbal Musk, il famoso chef che ha rivoluzionato la cucina americana facendo bollire gli spaghetti in una pentola piena d’acqua anziché arrostirli sul barbecue: un genio, come tutti in famiglia.
Poi c’è Tucson Musk, inventore del rodeo con cavalli a guida automatica, che sarà ricevuto dal ministro dello Sport.
La sorella gemella, Brillian Musk, è una stilista molto affermata, ha lanciato con successo il berretto-drone in grado di posarsi su molte teste diverse in pochi secondi, quando si scoprirà a cosa serve diventerà ricchissima anche lei.
A palazzo Chigi c’è molta curiosità per Musk Musk, il fratello più anziano, inventore del Doppio Universale: un algoritmo che raddoppia qualunque cosa. Due Andrea Bocelli lo accompagneranno da Meloni e canteranno un doppio Nessun dorma, dandosi il cambio per l’acuto finale che potrà durare fino a un quarto d’ora.
Grande attesa anche per il cugino Pippo Musk, che con la Fondazione Yuk Yuk si occupa di intelligenza artificiale. Ortainprefgb4Yh Musk, il minore dei fratelli, ha lanciato una startup per la lotta ai refusi, ma è ancora in via di sperimentazione: verrà comunque ricevuto dal ministro Valditara.
Infine, il rude ma sincero Macho Musk, che lo stesso Elon ha incaricato di combattere la piaga del cambiamento di genere applicando una barba finta, dagli otto anni in su, a tutti i maschi, e iscrivendo le femmine a una scuola di ricamo.
(da repubblica.it)

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L’OPERAZIONE MPS-MEDIOBANCA LA PAGANO I CONTRIBUENTI

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

L’OBBROBRIO PARTORITO DAL GOVERNO CON CALTAGIRONE E DELFIN PREVEDE 2,9 MILIARDI DI CREDITI FISCALI PER LA BANCA SENESE (CIOÈ GETTITO FISCALE IN MENO NEI PROSSIMI DUE ANNI

Meloni, cresciuta anche elettoralmente nella propaganda ostile ai ‘poteri forti’ e contro le banche avide, oggi entra a gamba tesa negli equilibri di mercato, schierando il suo Governo alla testa di una ardita operazione finanziaria basata su catene di controllo e partite fiscali, le DTA di cui MPS è portatrice dal periodo in cui le perdite venivano coperte dai contribuenti e che porterebbero al nuovo gruppo a non pagare nemmeno le tasse che Mediobanca paga oggi e pagherebbe sugli utili; legittimo, ovviamente, ma un po’ paradossale essendo una decisione dello stesso MEF”. Lo afferma il deputato di Più Europa Benedetto Della Vedova.
“Meloni – prosegue – ha già detto che l’operazione va bene, prima ancora che sia il mercato a chiarire se i valori messi in campo e le strategie industriali si riveleranno congrue oppure no. Peraltro, l’uscita di oggi della Presidente del Consiglio, getta un’ombra sulla minaccia del Golden Power contro UniCredit nella scalata a BPM, oggi socio del MEF nell’operazione MEDIOBANCA. Meloni arbitro e giocatore della finanza italiana: non va bene. Prima il Governo privatizzi definitivamente MPS, poi i soci privati facciano ciò che meglio ritengono. Chiedo a Meloni: se poi l’operazione che lei oggi si intesta dovesse essere rifiutata dal mercato, che fa? Chiede a Giorgetti di dimettersi?”, conclude Della Vedova.
È la guerra dei due mondi ed è ovviamente una guerra che punta a un bottino ben preciso: le Generali di Trieste, la compagnia assicurativa dove Mediobanca ha poco più del 13% e che gestisce oltre 800 miliardi di risparmi dei suoi clienti. Soldi che molti vorrebbero governare.
Uno scontro legittimo, con i suoi protagonisti: Francesco Gaetano Caltagirone, grande costruttore romano, collezionista di antiche monete imperiali, ha investito da tempo prima nelle Generali e poi in Mediobanca: oggi ha appena meno del 7% della compagnia e il 7,5% di piazzetta Cuccia. Accanto a lui, da anni, prima il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio e adesso i suoi eredi: in Generali sono a un soffio dal 10%, in Mediobanca appena sotto il 20%.
Forti della loro quota complessiva, i due grandi soci, hanno a lungo cercato di entrare nella stanza dei bottoni della banca e della compagnia. Ma finora senza risultati.
Quella Mediobanca che con Enrico Cuccia fu la regista dei patti di sindacato e delle piramidi societarie, sotto la guida di Alberto Nagel si è infatti aperta al mercato e si è chiusa alle richieste dei grandi soci.
La strada migliore per guidare l’istituto fuori da possibili conflitti d’interesse e assicurare soddisfazione a tutti gli azionisti – è il mantra di Nagel, da diciassette anni amministratore delegato – è quella di avere un cda il più possibile indipendente; tanto da far presentare la lista da proporre agli azionisti ogni tre anni per il rinnovo del consiglio allo stesso cda uscente.
Una linea che Mediobanca ha usato in casa e che ha appoggiato anche in Generali, mentre piazzetta Cuccia cambiava pelle: non solo banca d’investimento, ma anche credito al consumo e della gestione del risparmio. Dietro lo schermo dell’indipendenza del cda – ribattono dal fronte avverso – si mantiene lo status quo : Nagel appare inamovibile e in Generali – è la tesi – continua a comandare Mediobanca.
§Il problema è che l’arbitro – l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni – si è messo la maglietta di una delle due squadre ed è sceso in campo. Il primo passo a inizio 2023, quando un emendamento al disegno di legge sul mercato dei capitali, presentato pone vincoli strettissimi alla lista del cda. Accolta con grande favore da Caltagirone, quella norma diventa legge.
Poi, quando il 25 novembre scorso l’Unicredit lancia la sua offerta per comprare Banco-Bpm, le cose si fanno davvero tempestose. Nei piani del governo, infatti, Banco-Bpm dovrebbe unirsi a Mps e dare vita al “terzo polo” bancario italiano, fortemente connotato in senso nazionale.
Per questo il Mef ha appena venduto, a inizio novembre, le quote della banca senese eredità del salvataggio pubblico: al Banco-Bpm il 5%, a Caltagirone un altro 5%, agli eredi del Vecchio quasi il 10%. E lo stesso ministero rimane il primo azionista, con l’11,7%%. Ecco così che, quando si concretizza l’offerta di Unicredit su Banco-Bpm, il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti annuncia subito di essere pronto a utilizzare il golden power – i poteri speciali del governo in caso di acquisizioni estere che minaccino la sicurezza nazionale – contro la banca offerente.
Scarsa la portata legale dell’esternazione, forte quella politica: il governo si è visto sfumare sotto il naso l’opportunità di trasformare la banca che fu del Pci nel “suo” istituto e non è contento.
Nelle stesse settimane un altro fronte si apre: il cda delle Generali, con l’ad Philippe Donnet, studia un dossier per unire in una joint venture con i francesi di Natixis, i rispettivi patrimoni di risparmio gestito.
No, è un esproprio del risparmio italiano, ribattono – in minoranza – i consiglieri che fanno capo a Caltagirone e ai Del Vecchio. Di nuovo da Palazzo Chigi si agita lo spettro minaccioso del golden power, mentre uno schieramento politico solidamente radicato nella maggioranza, ma che sconfina anche a sinistra, si straccia le vesti per il rischio – un rischio che non esiste, assicura Donnet – di cedere il risparmio italiano allo straniero
È il momento giusto per partire con un’operazione che provi a risolvere le cose una volta per tutte: Mps, con l’indispensabile appoggi dell’azionista pubblico, lancia un’offerta di sue azioni ai soci di Mediobanca per fondere piazzetta Cuccia nella banca senese. Deciderà il mercato, si spera. Ma intanto lo Stato è diventato banchiere d’assalto. E non è una buona notizia.
(da La Repubblica)

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