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BUCCI ORA MINACCIA LA STAMPA: IL GOVERNATORE LEGHISTA ATTACCA I GIORNALISTI DEL “SECOLO XIX”: “SE DOMANI ESCE UN ALTRO TITOLO DEL GENERE… DATEVI UNA REGOLATA”

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

LA REAZIONE DEL CDR DEL QUOTIDIANO: “IL PRESIDENTE DELLA REGIONE HA DIMOSTRATO ANCORA UNA VOLTA TUTTA LA SUA MALEDUCAZIONE E ARROGANZA NEI CONFRONTI DEI LAVORATORI DELL’INFORMAZIONE, MANCANDO DI RISPETTO AI CRONISTI”… AD APRILE, BUCCI SE L’ERA PRESA CON UN GIORNALISTA DEL “TGR LIGURIA”

Il presidente della Regione Liguria Marco Bucci, a margine della visita a Genova del
presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha attaccato i giornalisti del Secolo XIX. “Se domani esce un altro titolo del genere… datevi una regolata”, ha detto Bucci criticando il contenuto del giornale uscito questa mattina in edicola.
Il Cdr del quotidiano di piazza Piccapietra esprime piena e totale solidarietà ai colleghi e condanna con fermezza l’atteggiamento del presidente della Regione Liguria che, per l’ennesima volta, ha voluto attaccare i giornalisti mancando di rispetto a chi lavora e fa informazione.
Il presidente della Regione, così come qualsiasi altro esponente politico di qualsivoglia schieramento, deve avere rispetto per il lavoro dei cronisti e comprendere una volta per tutte che non è lui a decidere il taglio dei titoli e delle notizie che escono sul giornale cartaceo e digitale.
“Ancora intimidazioni nei confronti dei giornalisti da parte del presidente della Regione Liguria Marco Bucci. Oggi, a margine della visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dell’arrivo a Genova dell’Amerigo Vespucci, Bucci si è lasciato andare a commenti inaccettabili nei confronti del lavoro dei cronisti.
“Se domani arriva un titolo come quello… dovete darvi una regolata” e ancora “avete cannato”, si è permesso di dire il governatore della Liguria che ha mal digerito quanto uscito oggi sul Secolo XIX in edicola. L’Ordine Ligure dei Giornalisti, l’Associazione Ligure dei Giornalisti e il Gruppo Cronisti Liguri condividono la nota del Comitato di redazione del quotidiano di piazza Piccapietra e condannano fermamente le affermazioni del presidente della Regione.
“Non è Bucci – spiegano Tommaso Fregatti, presidente di Odg Liguria, Matteo Dell’Antico, segretario Alg Liguria e Katia Bonchi, presidente del Gcl – che deve decidere il taglio dei titoli e delle notizie che escono sui quotidiani, sulle agenzie o sui siti internet.
Non è la prima volta che accade una situazione del genere. Il presidente della Regione ha dimostrato ancora una volta tutta la sua maleducazione e arroganza nei confronti dei lavoratori dell’informazione mancando di rispetto ai cronisti che in maniera sacrosanta e legittima svolgono quotidianamente il proprio lavoro”.
“Bucci non perde il vizio: ad aprile, l’attacco al giornalista del TgR Liguria in Sala Trasparenza; oggi invece al Secolo XIX, reo a suo dire di aver pubblicato un titolo non gradito. Due mesi fa, il servizio pubblico venne accusato di non riportare fedelmente le presunte meraviglie della sua Giunta.
Oggi auspichiamo venga invece accontentato alla virgola. Anzi, invitiamo i cronisti a riportare parola per parola quanto dichiarato in punto stampa. Magari rileggendosi a margine della Giornata della Marina e della festa per l’Amerigo Vespucci, eviterà in futuro di spiegare ai giornalisti come fare il proprio lavoro.
Detto ciò, capiamo bene il fastidio che provano lui e la sua compagine: aver perso il Comune di Genova ha permesso alle forze progressiste di aprire tanti cassetti e toccare con mano i danni arrecati ai conti pubblici. Ai giornalisti del Secolo XIX va tutta la nostra solidarietà e l’invito a continuare a fare
informazione libera e critica”. Lo dichiara Roberto Traversi, deputato M5S e giornalista pubblicista, commentando le parole del presidente di Regione a margine della Giornata della Marina. “Bucci non cambia mai: disprezza il dissenso è non accetta le parole di verità. Il presidente della Regione Liguria deve imparare che ci sono categorie di persone che non può controllare e deve imparare che quello che dice lui non è sempre oro colato. Le parole di Salis, sia sul buco di bilancio che sullo skymetro, sono basate su documenti e analisi di conti e confermano che quanto detto da Bucci si scontra con la realtà dei fatti.
I giornalisti fanno il proprio lavoro che noi rispettiamo e che riteniamo molto utile per garantire ai cittadini un’informazione libera e trasparente. Solidarietà ai giornalisti del Secolo XIX attaccati oggi per un titolo sul giornale mentre facevano il loro lavoro. Ancora una volta Bucci, che rappresenta tutti i liguri, dovrebbe avere un atteggiamento consono al ruolo che ricopre. Basta fare il bulletto e impari a confrontarsi in maniera civile con chi esprime un dissenso. Noi crediamo in una stampa libera e nel rispetto delle opinioni. Un politica assolutamente diversa rispetto a quella di questa destra”. Lo dice Davide Natale segretario Pd Liguria.
D’Angelo (Pd): “Solidarietà ai giornalisti e alle giornaliste del Secolo XIX. Bucci la smetta con l’atteggiamento da bulletto e si occupi della Liguria”
Questa mattina il Presidente della Regione Liguria Marco Bucci a margine della visita a Genova del Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella, ha rispolverato una delle specialità della casa: le minacce alla stampa, colpevole – come sempre – di fare il proprio lavoro. Ai giornalisti e alle giornaliste de Il Secolo XIX va la totale solidarietà del Partito Democratico di Genova.
Al Presidente della Regione invece va un consiglio: dopo sei mesi da candidato ombra (sconfitto), ora la smetta con l’atteggiamento da bulletto, e inizi a occuparsi della Liguria. Simone D’Angelo, Segretario Metropolitano PD Genova e Consigliere Regionale della Liguria.
Gianni Pastorino (Lista Orlando): “Piena solidarietà ai giornalisti del Secolo XIX”
“Esprimo piena solidarietà ai giornalisti del Secolo XIX, oggetto dell’ennesimo attacco arrogante da parte del presidente della Regione Marco Bucci. Frasi come ‘datevi una regolata’ non solo sono gravi e inaccettabili, ma rivelano una concezione autoritaria della comunicazione pubblica”.
Lo dichiara il consigliere regionale Gianni Pastorino, capogruppo della lista “Andrea Orlando Presidente” e rappresentante di Linea Condivisa, che aggiunge: “In democrazia la stampa non si ‘regola’ su ordine del potere politico: informa, approfondisce e critica. È proprio questo il suo compito ed è per questo che va difesa con determinazione, soprattutto quando chi governa si sente intoccabile. Chi ha ruoli istituzionali dovrebbe conoscere il valore della libertà di stampa e rispettare il lavoro dei cronisti, anche – e soprattutto – quando raccontano verità scomode”.
Gruppo Pd: “A ‘darsi una regolata’ dovrebbe essere il
presidente, che ha il dovere di rispettare il lavoro dei giornalisti senza fare pressioni”
“Ancora una volta il presidente di Regione Marco Bucci ha attaccato i giornalisti, rei di aver fatto il proprio lavoro. È la solita storia: Bucci ha un pessimo rapporto con la verità perché non corrisponde alle sue fantasiose narrazioni.
A “darsi una regolata” dovrebbe essere lui, che deve prendere atto delle conseguenze delle proprie azioni e di quelle in stretta continuità con il suo operato, come il buco di bilancio da 50 milioni riscontrato dalla sindaca al suo insediamento, senza tralasciare gli ammanchi di Ocean Race (un milione di euro per l’organizzazione di una tappa futura), Carlo Felice e Balletti di Nervi (circa 800mila euro) e 360mila euro di utenze del Palasport non saldate.
Al presidente la verità fa male ma noi abbiamo un suggerimento. Se non vuole che i giornalisti domani escano “con un altro titolo così” ha una soluzione facile a portata di mano: amministri la Liguria con cura e non incolpi i giornalisti, che a differenza sua dicono le cose come stanno”. Così il Gruppo Pd in Consiglio Regionale sull’ennesimo attacco del presidente Marco Bucci alla stampa.

(da il Secolo XIX)

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IL PREOCCUPANTE SEGNALE DELLA POLONIA: VARSAVIA INIZIA L’ADDESTRAMENTO DEI CIVILI. 100 MILA VOLONTARI SARANNO PRONTI A COMBATTERE ENTRO IL 2027

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

GLI 007 EUROPEI CREDONO CHE NEI PROSSIMI ANNI LA RUSSIA POSSA SCATENARE UNA GUERRA NEL VECCHIO CONTINENTE E PER QUESTO È MEGLIO PREPARARSI

La prima cosa che chiedono è un cellulare. Per rifarsi vivi dopo uno, due, tre anni: «Mamma! Sono a casa!». O consolare chi deve ancora sperare: «Non preoccuparti, tuo figlio l’ho visto, sta bene!». O semplicemente piangere.
L’ultimo scaglione dei prigionieri di guerra sfila esausto fra vecchi, donne, bambini che aspettano con le bandiere, i fiori, l’incertezza. Mykola Dmytruk, 21 anni, è stato catturato quando la moglie era incinta: «Non sa neanche d’avere una bimba — dice la cugina Svetlana -, prego che ci sia anche lui fra i liberati…». I video girati dalle propagande militari impongono lo stesso rituale: a Chernihiv gli ucraini esultano con «slava!», onore, e salgono sui pullman; in Bielorussia, i russi gridano «hurrah!» e cantano l’inno.
Sono i ragazzi del 2000. La generazione Z travolta dalle Z dipinte sui tank. Che Mosca e Kiev, ieri, hanno finalmente ricominciato a scambiarsi. Seicento prigionieri per parte, suppergiù. Dopo gli under 25, toccherà ai malati e ai feriti gravi. E alle migliaia di caduti.
Zelensky teme l’avanzata russa sul Dnipro, rilevata anche dai
satelliti Nasa. Da Mosca dicono che l’intenzione è solo quella di creare una zona-cuscinetto, per salvaguardare l’Ucraina già conquistata. Per Kiev è invece la conferma che la «Novorossiya», la nuova Russia rivendicata da Putin, va ben oltre la Crimea, il Donbass o Zaporizhzha: una settimana fa un generale, Pavlo Palisa, ha chiarito che Putin vuol arrivare fino alla riva orientale del grande fiume e conquistare tutto il Dnipropetrovsk entro la fine del 2026.
La Polonia ha iniziato l’addestramento dei civili: 100mila volontari col fucile, pronti entro il 2027. Ci sarà presto qualche provocazione anche in Europa, avvertono gli 007 tedeschi. L’altra notte, quando la Russia ha bombardato l’ovest ucraino, al confine Ue è scattata l’allerta massima. E da Varsavia si sono alzati in volo i caccia.
(da Il Corriere della Sera)

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I GIOVANI CERVELLI ITALIANI SCAPPANO ALL’ESTERO? PER FORZA, GUADAGNANO QUASI IL DOPPIO

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

LA RETRIBUZIONE MEDIA PERCEPITA ALL’ESTERO A UN ANNO DALLA LAUREA SUPERA DEL 54,2% RISPETTO A QUELLE DI CHI È RIMASTO IN ITALIA, CHE NON RAGGIUNGONO I 1500 EURO… IL RAPPORTO ALMALAUREA 2025: IL 4,1% DEGLI OCCUPATI A UN ANNO DELLA LAUREA LAVORA FUORI DAI CONFINI NAZIONALI

Tra i laureati di secondo livello con cittadinanza italiana, il lavoro all’estero riguarda il 4,1% degli occupati a un anno dalla laurea e il 4,6% degli occupati a cinque anni. E le retribuzioni medie percepite all’estero sono notevolmente superiori a quelle degli occupati in Italia: a un anno dalla laurea superano i 2.200 euro mensili netti, +54,2% rispetto a quelle di chi è rimasto in Italia, che non raggiungono i 1.500 euro.
E’ quanto emerge dal Rapporto AlmaLaurea 2025 presentato oggi. La propensione a lavorare all’estero riguarda in misura maggiore gli uomini (4,7% a un anno e 5,6% a cinque anni) rispetto alle donne (3,7% e 3,8%, rispettivamente) e i laureati più brillanti (in particolare in termini di voti negli esami e di regolarità negli studi).
A lavorare all’estero sono soprattutto i laureati dei gruppi disciplinari informatica e tecnologie Ict (5,6% tra gli occupati a un anno e 11,3% tra quelli a cinque anni), scientifico (8,2% e 10,3 %), linguistico (8,6% e 7,7%, rispettivamente), nonché i laureati del gruppo politico – sociale e comunicazione (5,8% e 7,6%) e ingegneria industriale e dell’informazione (5,6% e 8,2%).
A cinque anni dalla laurea le retribuzioni sfiorano i 2.900 euro per gli occupati all’estero, +61,7% rispetto ai quasi 1.800 euro degli occupati in Italia. Dalle dichiarazioni rese dai laureati emerge come i motivi del trasferimento all’estero siano legati in particolare a d aspetti lavorativi.
Tra gli occupati all’estero a cinque anni dalla laurea il 32,0% ha dichiarato di aver lasciato il nostro Paese avendo ricevuto un’offerta di lavoro interessante da parte di un’azienda che ha sede all’estero e un ulteriore 31,1% ha dichiarato di essersi trasferito all’estero per mancanza di opportunità di lavoro adeguate in Italia.
La valutazione dell’ ipotesi di rientro in Italia rileva una scarsa propensione a tornare in Italia, quanto meno nell’arco dei prossimi cinque anni. Il 38,2% degli occupati all’estero, infatti, ritiene molto improbabile il rientro in Italia e un ulteriore 33,7% valuta tale ipotesi poco probabile. Solo il 15,3% lo ritiene molto probabile. Infine, il 12,7% non è in grado di esprimere un giudizio
(da agenzie)

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L’ESITO DEL REFERENDUM HA SPINTO MELONI A CANTARE VITTORIA DETTANDO AI SUOI GAZZETTIERI CHE IL RISULTATO “RISCHIA DI INCHIODARMI A PALAZZO CHIGI PER DIECI ANNI”. COME SE IL 70% CHE SE N’È FREGATO DI ANDARE A VOTARE, SIA TUTTO A FAVORE DELLA DESTRA

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

UNA FURBATA DA VENDITORE DI TAPPETI PERCHÉ IL PASSAGGIO PIÙ DIFFICILE ARRIVERÀ CON LE REGIONALI DEL PROSSIMO AUTUNNO, DOVE RISCHIA SERIAMENTE DI PERDERE LE MARCHE MENTRE IL VENETO È APPESO ALLE MOSSE DI ZAIA

Il prevedibile esito del referendum ha spinto Giorgia Meloni a cantare vittoria dettando ai suoi gazzettieri che ora “rischia di inchiodarmi a Palazzo Chigi per dieci anni”.
Dopo tre anni al potere, tutto va ben per la Marchesa del Grillo (Io so’ Giorgia e voi non siete un cazzo)? Manco per il cazzo! Intanto i 14 milioni (30% dei votanti) che domenica e lunedì hanno infilato la scheda nell’urna, i geni di Fratelli d’Italia, da Fazzolari a La Russa, farebbero bene a conteggiarli tra coloro che sono nettamente all’opposizione del loro governo.
Secondo punto dell’analisi: del restante 70% che se ne è fregato di andare a votare, è un inganno accreditarlo tutto a favore della destra-centro: nelle ultime tornate elettorali è ormai presente uno sciagurato 40% e oltre che preferiscono l’astensione. Cantare vittoria, è solo una furbata da venditore di tappeti ad usum della stampa melonista.
Il futuro delle magnifiche sorti e progressive del governo Meloni non sono per niente così dipinte di rosa. A parte la
pesantissima discriminante geopolitica, che vede il turbo-sovranismo anti-Ue di Salvini cozzare apertamente con il riposizionamento euro-centrista, tendenza Ppe, della camaleontica Ducetta, il passaggio più difficile per i tre litigiosi caballeros di governo arriverà con le Regionali del prossimo autunno.
Con 17 milioni di italiani chiamati alle urne in Campania, Veneto, Toscana, Puglia e Marche, sarà un test decisivo per capire lo stato dell’arte del primo governo alla Fiamma e i reali equilibri all’interno della litigiosa maggioranza. In tali nevralgiche regioni, l’irresistibile destra di governo rischia di prendere una batosta pesantissima.
Intanto, la vittoria in Toscana, Puglia e Campania è accreditata al centrosinistra dalla stessa Ducetta, mentre rischia seriamente di perdere il potere nelle Marche: malgrado la campagna sfrenata del governo tutto (ora è stato arruolato nientemeno che Bocchino), i sondaggi danno in vantaggio il piddino Matteo Ricci sull’uscente governatore meloniano Acquaroli.
Alla discriminante delle Marche, va aggiunto il caso Veneto. Se il governatore uscente, Luca Zaia, furibondo per il mancato terzo mandato, traslocasse il suo bacino di voti dalla Lega a una propria lista o alla Liga Veneta per far posto al candidato di Fratelli d’Italia, la perdita di voti della destra-centro potrebbe dare una possibilità di successo al centrosinistra, e il governo Meloni perderebbe una fondamentale regione del Nord.
Come è successo alle comunali di Verona con la sorprendente vittoria, in quota civiche-centrosinistra, dell’ex giocatore Damiano Tommasi, grazie allo scazzo tra Flavio Tosi e Matteo Salvini e la conseguente dispersioni dei voti a favore della Lega. Zaia avrà lo stesso carattere di Tosi per sfanculare Salvini?
L’esito delle Regionali è importante alla sgarbata premier della Garbatella per capire se, dopo tante beghe e scazzi con il truce Salvini, ha i numeri per buttare a mare l’insostenibile alleanza di governo con la Lega dei Vannacci e dei “patrioti” per soddisfare la smania dei vertici di Fratelli d’Italia di andare al voto anticipato in compagnia di Forza Italia e Noi Moderati, nella primavera del 2026, capitalizzando il suo 30% di consenso contro l’8 e rotti della Lega.
Ma per farlo diventare realtà, occorre che il parlamento approvi la riforma elettorale, di cui sono in corso trattative con l’opposizione in merito al bonus di maggioranza e alla soglia di sbarramento. La Fiamma vorrebbe che fosse del 5%, così potrebbe papparsi con un sol boccone il partitino Noi Moderati di Lupi, mentre il centrosinistra si ritroverebbe tra i piedi il problema delle basse percentuali di Azione di Calenda e di Italia Viva di Renzi.
Ma a preoccupare maggiormente la Giorgia dei due mondi (Colle Oppio e Garbatella) riguarda il bonus per assicurare la maggioranza alla coalizione vincente: una volta scaricata la Lega, i consensi di Fratelli d’Italia e di Forza Italia messi insieme, secondi i sondaggi di oggi, se la battano alla pari con quelli di un’opposizione magicamente unita.
Ma forse la recente lezione ricevuta alle comunali di Genova, che ha visto la vittoria al primo turno di Silvia Salis spodestando il candidato scelto dalla Meloni, potrebbe aver fatto risvegliare i neuroni dei leader del centrosinistra.
Che la sconfitta incassata alle comunali di Genova non sia stata ancora metabolizzata dal Governo Meloni si è appalesata quattro giorni fa quando è sbucato il naso ad apriscatole di Giovanni Donzelli annunciando una sorprendente apertura: “Non c’è preclusione ideologica se il tema viene posto dalle regioni. Noi abbiamo detto che è sbagliato che ciascuna regione scelga il proprio numero di mandati, deve esserci una riflessione nazionale”.
Dopo essersi opposti con manganello, fez e olio di ricino al terzo mandato per i candidati alle Regionali del prossimo autunno, qual è il motivo che ha spinto Lady Giorgia, attraverso il pappagallo Donzelli, a lanciare la sorprendente apertura che, peraltro, si scontra con i tempi strettissimi per poter far approvare in Parlamento un decreto per il terzo mandato già prima della tornata autunnale?
La donzellata è nient’altro che un ballon d’essai, un tentativo di lanciare un salvagente a Salvini nelle beghe della Regione Veneto e nello stesso tempo di mettere in difficoltà il centrosinistra nell’altra importante regione che andrà alle urne: la Campania. Sono mesi che il Pd, M5S e Avs stanno cercando di trovare un candidato che metta d’accordo il diavolo e l’acqua santa: il bacino di voti che fa capo a Vincenzo De Luca con i follower di Schlein-Conte-Fratoianni-Bonelli.
Il ruolo di gran mediatore per mettere insieme il carrozzone partenopeo è stato affidato al saggio sindaco di Napoli Gaetano Manfredi . Alla fine, per far tutti contenti, dal cappello a cilindro di Manfredi sarebbe uscito il nome di Sergio Costa, un ex generale scoperto da Luigi Di Maio e nominato ministro dell’ambiente dal governo Conte e oggi vice presidente della Camera in quota M5S.
E qui arriva la mossa della Sora Giorgia per mandare all’aria il famigerato campolargo campano: la possibilità di un terzo mandato infatti farebbe ripartire a razzo la candidatura vincente di De Luca, un tipino che è detestato da tutti, dal Pd di Elly a M5S, passando per Avs.
Insomma, passata l’estate, con i nostri capoccioni al potere non macheranno occasioni di divertimento.
(da Dagoreport)

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NO VAX, SI STUPRO: L’EX CANDIDATO A SINDACO DI VARESE, FRANCESCO TOMASELLA, È STATO CONDANNATO A 11 ANNI E TRE MESI PER VIOLENZA SESSUALE E STALKING NEI CONFRONTI DELLA SUA EX COMPAGNA

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

I DELIRI DI TOMASELLA, CHE DURANTE LA PANDEMIA HA COMBATTUTO CONTRO I VACCINI, DOPO LA LETTURA DELLA SENTENZA: “È UNA DITTATURA DI STATO. MI DICHIARO PRIGIONIERO POLITICO” – IL FALLIMENTO ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL 2021, QUANDO CON LA SUA LISTA “VARESE LIBERA” RACIMOLO’ 260 VOTI (0.8%)

“Dittatura di Stato. Mi dichiaro prigioniero politico”. Francesco Tomasella, ex candidato sindaco di Varese e convinto oppositore delle restrizioni Covid (nel marzo 2021 in pieno
lockdown aveva organizzato una festa di compleanno abusiva in un ristorante di Brebbia, in provincia di Varese smascherata da Striscia la Notizia), è stato condannato oggi a 11 anni e tre mesi dal tribunale di Varese. Era accusato di stalking e violenza sessuale nei confronti della sua ex. E dopo la lettura del dispositivo di condanna in primo grado ha voluto dire la sua.
La Pm Maria Claudia Contini aveva chiesto una condanna a 12 anni e 6 mesi. La vittima in aula aveva raccontato, nel corso di un lungo quanto drammatico esame, di tre anni di paura, tanto era durata la relazione tra i due. “Ho lucidamente pensato che sarei morta. Che non sarei arrivata al mattino del giorno dopo e che le mie figlie sarebbero rimaste orfane”, aveva raccontato la donna, assistita dall’avvocatessa Chiara di Giovanni, lo scorso 4 febbraio.
Tomasella, per contro, si è sempre dichiarato innocente, in particolare sul fronte degli stupri, respingendo le accuse. In aula si era difeso negando gli addebiti e dichiarando di non aver mai voluto fare del male all’allora compagna. Il collegio gli aveva già negato i domiciliari. L’uomo, detenuto da maggio 2024 per i fatti contestati, ricorrerà certamente in Appello.
(da agenzie)

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IL 35% CHE HA VOTATO NO ALLA CITTADINANZA ABBREVIATA, LE ACCUSE AL M5S, CHE HA LASCIATO LIBERTÀ DI COSCIENZA

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

I NO SUL QUESITO SONO STATI UN 15-20% SUPERIORI RISPETTO AGLI ALTRI 4…. NON STUPISCE, VISTO CHE IL RAZZISMO NON E’ SOLO A DESTRA… NELLE GRANDI CITTA’ NON C’E’ STATA QUESTA DIFFERENZA, SEGNALE POSITIVO

Tre elettori su dieci vanno a votare per referendum promossi e sostenuti dal maggiore sindacato di sinistra, e dai partiti più a sinistra della coalizione di sinistra, e dunque in teoria elettori (tranne in parte i Cinque stelle) e finisce che uno su tre vota no? Uno su tre?
Sulla cittadinanza, infatti, la percentuale dei no è più alta di quella sui quesiti sul lavoro: una distanza che si amplia dall’89% di sì per il reintegro dei lavoratori licenziati ingiustamente, e scende al 65,5% dì sì al dimezzamento dei tempi per concedere la cittadinanza agli stranieri
Con una mappa, guardando i dati sul quinto quesito città per città, molto poco uniforme.
La distinzione più netta si coglie esaminando i risultati di Roma, Milano, Napoli e Torino.
Le quattro città oltre il milione di abitanti si sono espresse per il sì tra il 70 e il 76 per cento. Nella Capitale, i favorevoli alla cittadinanza più veloce sono stati il 72,6%, a Milano il 74%, a Napoli il 76,8% e a Torino il 70%. Oltre la media nazionale anche Bologna (77,6%), Firenze (74,6%) e Genova (68,1%).
Ma le differenze si misurano anche all’interno dei centri urbani. Nel cuore del capoluogo piemontese, in particolare, il sì alla cittadinanza breve è alto (90%) e collima con il sì ai quesiti sul lavoro.
Stessa tendenza, ma meno pronunciata, si osserva a Milano. Nell’area C del capoluogo lombardo dice sì a dimezzare i tempi per chiedere la cittadinanza l’80,4% dei residenti.
Insomma, la fotografia guardando dentro le città maggiori — come rileva Lorenzo Pregliasco di Youtrend — è sempre quella di un centro cosmopolita che è più progressista sui diritti civili e più liberale su temi economici, e una periferia più sensibile ai temi economici e più conservatrice su quelli sociali.
E guardando all’intero Paese? Nel Nord a trazione leghista il no ha percentuali alte in provincia di Pavia (40,55%) e di Padova (36,6%). Ma è addirittura vincente in provincia di Bolzano (52,1%). Anche in un feudo di FdI, come la provincia de L’Aquila, il no alla cittadinanza breve è oltre il 38%. Al Sud, oltre il 38% dei no lo raccolgono il Ragusano e il Tarantino. Una mappa dell’Italia divisa, dunque: quella delle città e quella
più profonda e interna.
Riccardo Magi di + Europa, dalla presidenza del comitato promotore, ha pochi dubbi: «Un pezzo del M5S è mancato. Conte ha lasciato libertà di coscienza. Ricordiamoci che è stato proprio il governo Conte I che ha raddoppiato i tempi delle procedure. E poi questo è l’unico quesito su cui il governo ha parlato contro e noi non abbiamo avuto spazio per spiegare quale sarebbe stato l’effetto del referendum. Ma almeno siamo tornati a parlare di questo tema e abbiamo creato una formidabile rete di associazioni. E ora ripartiamo dal Parlamento dove la proposta dello ius scholae, diventato ius niente, non è mai arrivata».
Il sociologo Ilvo Diamanti fa questa valutazione a caldo: «La questione immigrazione è critica per tutti, non soltanto a destra. È un tema difficile da gestire e da accettare anche tra gli elettori di centrosinistra. E glielo dice uno che sostiene da sempre l’importanza dell’accoglienza».
(da agenzie)

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PONTE SULLO STRETTO, I DUBBI DELL’ANAC SULL’ASSENZA DI UN PROGETTO ESECUTIVO: “COSI’ MANCA UNA CHIARA VISIONE DEI COSTI”

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

OVVIO, COME FANNO ALTRIMENTI AD AUMENTARLI IN CORSO D’OPERA? TANTO PAGANO GLI ITALIANI

Durante l’ultima audizione davanti alle Commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), Giuseppe Busia, torna a sollevare criticità rispetto alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Sul progetto è arrivato lo scorso 22 maggio il via libera definitivo del ministero dell’Ambiente. La Commissione per la Valutazione dell’Impatto Ambientale aveva ancora dei nodi in sospeso su cui attendeva della documentazione. Alla fine di un lungo e accidentato iter è arrivato l’ok finale al progetto esecutivo. Parola ora al Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile che riunisce tutti i ministri economici coinvolti. Dopo questo passaggio, che dovrebbe chiudersi a giorni, può poi partire la fase operativa.
Secondo Busia, la mancanza di un progetto esecutivo completo, più volte slittato, rende difficile avere una visione chiara dei costi e delle fasi di realizzazione. Il progetto, infatti, sarà approvato per fasi successive, un’impostazione che secondo l’Autorità non può che portare incertezza e rischi anche dal punto di vista economico. “Sarebbe auspicabile arrivare a un progetto esecutivo complessivo per fornire al governo e al Parlamento un quadro preciso almeno dei
costi iniziali”, ha detto nell’ambito dell’esame del decreto recante misure urgenti per garantire la continuità nella realizzazione di infrastrutture strategiche e nella gestione di contratti pubblici, il corretto funzionamento del sistema di trasporti ferroviari e su strada, l’ordinata gestione del demanio portuale e marittimo, nonché l’attuazione di indifferibili adempimenti connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza e alla partecipazione all’Unione europea in materia di infrastrutture e trasporti.
Busia ha evidenziato inoltre la necessità di aumentare i controlli antimafia, sfruttando strumenti di digitalizzazione per monitorare i cantieri e verificare anche le imprese in subappalto, dove più spesso si annidano le infiltrazioni mafiose.
A questo proposito, ha auspicato, il decreto Infrastrutture può, e deve, diventare un’occasione per rafforzare i controlli antimafia sul progetto. Il presidente ANAC ha anche proposto di abbassare la soglia degli affidamenti da sottoporre a controllo, includendo anche quelli inferiori ai 150mila euro. Un altro nodo riguarda poi il rispetto delle regole europee sugli appalti pubblici. Busia ha ricordato che la normativa Ue non consente variazioni di costo superiori al 50% rispetto al valore iniziale di gara. Il decreto fa riferimento al valore aggiornato nel 2012, ma il presidente dell’ANAC ha invitato a chiarire questo aspetto con un’interlocuzione formale con le istituzioni europee, per evitare possibili contenziosi.
Per il Ponte “il riconoscimento dell’aumento dei prezzi per i contratti caducati è ragionevole, ma non dobbiamo nasconderci il fatto che questo riapre il problema dei costi, facendo sì che aumentino rispetto alla previsione iniziale e superino il vincolo iniziale che non prevedeva nuovi oneri a carico della finanza pubblica, ripropone il problema del superamento del tetto del 50% per gli aumenti”, ha detto Busia.
Infine, a margine dell’audizione, Busia ha sollevato un rilievo anche sul progetto dei Giochi invernali Milano-Cortina: “La nomina dell’amministratore delegato della società Milano-Cortina a commissario rischia di creare una sovrapposizione tra controllore e controllato. Sarebbe preferibile – ha concluso – affidare il ruolo di commissario a una figura terza”
Le reazioni
“Il presidente dell’Anac Giuseppe Busia, sentito oggi in commissione Trasporti sul Ponte di Messina, ha detto a chiare lettere che allo stato attuale il Ponte pone serie preoccupazioni sul rischio infiltrazioni mafiose e sul reale impatto economico sui conti pubblici”, è quanto afferma la senatrice M5s in commissione Bilancio Ketty Damante.
“Non c’è un progetto – ha aggiunto -, non c’è un’idea dei reali costi di costruzione, senza contare le numerose violazioni già evidenziate dallo stesso ente anticorruzione. Una situazione paradossale – prosegue – se consideriamo che il 98 per cento degli affidamenti non è andato a gara e, soprattutto, senza rispettare i vincoli europei. Il risultato è che i costi lieviteranno, come spesso accade con le grandi opere, mentre Salvini si gingilla con un’opera faraonica che non risolverà i problemi della viabilità in Sicilia”.
“Serve subito un progetto esecutivo del ponte sullo Stretto di Messina. Pensare di avviare la costruzione del ponte più lungo del mondo senza di esso è una stortura abnorme: lo denunciamo da mesi e oggi lo conferma anche il presidente di Anac Busia. Altresì, secondo Anac è necessario interloquire con l’Ue in modo formale sulla direttiva costi, perché ad oggi il dossier va a sbattere con le normative comunitarie: anche questo lo rimarchiamo da due anni. In più, il dl Infrastrutture doveva essere il terreno fertile per fortificare gli anticorpi relativi a possibili infiltrazioni mafiose, quando è noto a
tutti che Salvini finora si è mosso in direzione contraria. Morale della favola, Anac rileva che manca un ingrediente fondamentale su un ‘opera di tali proporzioni: la trasparenza. L’operato del tandem Meloni-Salvini ne esce a pezzi”, si legge in una nota i deputati M5s delle commissioni Infrastrutture e Trasporti Ilaria Fontana, Patty L’Abbate, Daniela Morfino, Agostino Santillo, Antonino Iaria, Roberto Traversi e Giorgio Fede.
“Sul Ponte sullo Stretto di Messina, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, oggi in Parlamento, ha lanciato una denuncia molto grave che noi segnaliamo da tempo al governo, senza però ricevere alcuna risposta. Per legge, sul Ponte sullo Stretto si è deciso di non indire una gara europea; è invece necessario rafforzare i controlli antimafia, perché con il codice degli appalti voluto da Salvini sono previsti affidamenti diretti fino a 150mila euro. L’appello dell’ANAC resta purtroppo inascoltato dal governo Meloni, che continua a ignorare i rischi di opacità e di infiltrazioni criminali legati a un’opera di questa portata”, si legge in una nota Angelo Bonelli, deputato Avs e co-portavoce di Europa Verde.
“Il rischio che la realizzazione del Ponte sullo Stretto – come affermato anche dalla Procura distrettuale antimafia – diventi terreno fertile per interessi criminali è concreto. Intorno al progetto, infatti, si muovono interessi mafiosi reali come dimostrano le inchieste delle procure antimafia: espropri riconducibili a famiglie della ’ndrangheta e di Cosa Nostra – come abbiamo segnalato in una interrogazione parlamentare – terreni destinati a cave e depositi acquistati da soggetti vicini ai clan, un protocollo di legalità che, nonostante le promesse, ancora non esiste”, ha aggiunto.
“Condividiamo l’allarme sul Ponte sullo Stretto del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), Giuseppe Busia, oggi in audizione davanti alle Commissioni riunite Ambiente e Trasporti
della Camera. Giusto prendere atto del rischio concreto di infiltrazioni mafiose sulla gestione degli appalti ed agire di conseguenza rafforzando nel Decreto Infrastrutture i controlli e abbassando la soglia degli affidamenti da sottoporre a controllo, includendo anche quelli inferiori ai 150mila euro. Vanno rispettate anche le regole europee sugli appalti pubblici, a partire dalla normativa Ue che non consente variazioni di costo superiori al 50% rispetto al valore iniziale di gara. E proprio per questo non si può prescindere dal fare chiarezza sui costi finali dell’opera che, in assenza del progetto esecutivo definitivo, sono ancora impossibili da quantificare”, ha detto il capogruppo del Pd in commissione Ambiente alla Camera, Marco Simiani.
(da agenzie)

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IL GIURISTA LUIGI DANIELE: “L’ASSALTO ALLA NAVE FREEDOM FLOTILLA E’ L’ENNESIMO CRIMINE DI ISRAELE”

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

“L’ABBORDAGGIO E’ UN ATTO ILLEGALE AVVENUTO IN ACQUE INTERNAZIONALI E RAPPRESENTA UN’AGGRESSIONE CONTRO IL REGNO UNITO E ALTRI STATI COINVOLTI”

“L’abbordaggio della Madleen e il sequestro del suo equipaggio sono completamente illegali”. A chiarirlo, interpellato da Fanpage.it, il professor Luigi Daniele – docente di diritto dei conflitti armati e diritto Internazionale Umanitario e penale alla Nottingham Trent University – a poche ore di distanza dall’assalto condotto da droni e unità navali dell’esercito Israeliano alla nave battente bandiera britannica della Freedom Flotilla Coalition (FFC), che stava tentando di rompere il blocco navale per portare aiuti umanitari e soprattutto sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulla catastrofe in corso nella Striscia di Gaza. A bordo dell’imbarcazione si trovavano dodici persone, tutte disarmate, tra cui l’attivista ambientale svedese Greta Thunberg e l’eurodeputata francese Rima Hassan.
Secondo quanto riportato da Huwaida Arraf, cofondatrice dell’International Solidarity Movement, prima dell’assalto la nave è stata affiancata da imbarcazioni israeliane in maniera definita “minacciosa”, dopodiché sono intervenuti i commando della marina. I contatti con l’equipaggio sono stati interrotti poco dopo l’assalto, e ai membri è stato ordinato di spegnere i telefoni. Una fotografia diffusa sui social mostra i dodici attivisti seduti sul ponte dell’imbarcazione, con giubbotti di salvataggio e le mani alzate. Il Ministero degli Esteri israeliano ha confermato l’arresto dei 12 e assicurato che tutti gli attivisti sono in buone condizioni.
“L’imbarcazione aveva pieno diritto di passaggio inoffensivo”
Ebbene, l’intera operazione dello stato ebraico si configura come un nuovo, ennesimo crimine. “Nelle acque internazionali – spiega infatti il professor Daniele – l’imbarcazione aveva pieno diritto di passaggio inoffensivo”. Non solo: nelle acque territoriali palestinesi, Israele, anche e soprattutto come potenza occupante, “non ha alcun diritto di bloccare aiuti salvavita per i civili”. Semmai è il contrario
“Israele ha un obbligo cogente di condotta, che è un obbligo positivo: facilitare l’ingresso di aiuti. Ma soprattutto, a monte, la Corte Internazionale di Giustizia nella sua ultima Opinione Consultiva ha sancito l’illegalità complessiva della presenza militare e civile israeliana nell’interezza del territorio palestinese occupato. Esse rappresentano, a detta della Corte, un continuativo uso illegale della forza, un’aggressione permanente, a fini di annessione armata e instaurazione di un regime di segregazione razziale dei palestinesi nei territori annessi. Insomma, colonizzare i territori occupati dal 1967 è una somma di crimini internazionali, aggiungo io, trasformati in politiche statali”.
“L’abbordaggio della Madleen è anche un atto di aggressione contro il Regno Unito”
Ma l’elenco delle violazioni commesse da Israele anche in questo caso non si “limita” agli occupanti della nave. Luigi Daniele, infatti, spiega che in questo contesto “tecnicamente l’abbordaggio della Madleen è anche un atto di aggressione contro il Regno Unito, che aveva giurisdizione sull’imbarcazione, mentre le detenzioni illegali dei cittadini francesi, svedesi, spagnoli, inclusa l’europarlamentare Rima Hassan e Greta Thunberg, sono uno schiaffo ai governi dei paesi di cittadinanza, che o agiscono immediatamente a tutela dei propri cittadini, oppure rischiano condanne alle Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.
“Sconcertante la sudditanza dei governi a Israele”
Ed è assordante ancora una volta, e anche in questo caso, il silenzio della cosiddetta comunità internazionale “democratica”. “La sudditanza dei Governi ad un regime criminale che ha minacciato la vita dei loro cittadini è sconcertante! Non c’è stata neanche una singola dichiarazione pubblica a tutela delle e degli attivisti. Stiamo perdendo la protezione dei nostri stessi stati, di fronte ad alleati
criminali trattati come legibus soluti. Ciò si aggiunge a ed aggrava l’usurpazione antidemocratica, da parte dei nostri governi, della politica estera su Israele e Palestina. È ormai un subappalto del Governo Netanyahu, che si prende gioco della volontà della stragrande maggioranza dei cittadini, al servizio di un pugno di profittatori”.
Per Israele “fornire ai civili strumenti di sopravvivenza è una forma di ‘terrorismo’”
La Madleen – aggiunge il professor Daniele – “era un veliero civile inoffensivo con qualche scatola di latte artificiale per neonati che cominciano a morire di stenti, farina, anestetici per bambini che subiscono doppie amputazioni senza antidolorifici…”. Come si è posto il regime israeliano? Cosa emerge dalle sue dichiarazioni? “In questo senso – conclude il giurista – basta leggere le parole del Ministro Katz, che – oltre a minacciare le vite dell’equipaggio, specificando che Israele avrebbe agito ‘con ogni mezzo necessario’ – ha parlato di impedire ‘assistenza a organizzazioni terroristiche’. Per il Governo israeliano dei coloni, ancora una volta, fornire ai civili e ai bambini palestinesi strumenti di sopravvivenza è una forma di ‘terrorismo’. L’azione di questa notte, insomma, è una dichiarazione di intenti su quali siano gli scopi dell’assedio di Gaza: rimuovere ad una ad una tutte le chance di sopravvivenza della popolazione palestinese nella sua terra”.
(da Fanpage)

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“DISABILE ALL’80% VIVO IN UN MAGAZZINO IN ATTESA CHE MI ASSEGNINO UNA CASA POPOLARE”: LA STORIA DI ANNA

Giugno 10th, 2025 Riccardo Fucile

IL COMUNE DI MILANO ANNUNCIA LA DISPONIBILITA’ DI 2.100 ALLOGGI POPOLARI MA LA REGIONE HA MODIFICATO IL REGOLAMENTO E TUTTO SI E’ BLOCCATO

Lo scorso febbraio il Comune di Milano ha approvato il piano dell’offerta delle case popolari per il 2025: “Attraverso relativi bandi e graduatorie – si legge in una nota pubblicata sul sito dell’amministrazione – Comune di Milano e Aler potranno assegnare nei prossimi mesi, complessivamente, 2.100 unità abitative. In particolare, 1.870 alloggi saranno destinati ai Servizi abitativi pubblici (Sap)”. Arrivati ormai a giugno, però, il bando non è ancora stato pubblicato, mentre negli scorsi anni questi avvisi venivano presentati tra marzo e maggio. Il motivo sta nelle modifiche che la Regione Lombardia, sulla base di una sentenza del Tribunale di Milano, ha deciso di applicare al regolamento per l’assegnazione delle case: i cambiamenti hanno reso necessario aggiornare la piattaforma informatica per le richieste e nel frattempo la pubblicazione dei bandi è stata sospesa.
La modifica al regolamento regionale nell’assegnazione dei punteggi
L’iter è cominciato quando alcune associazioni (Asgi, Avvocati per niente e Naga) hanno presentato un ricorso contro il regolamento regionale che definiva i criteri per assegnare gli alloggi popolari. Secondo i ricorrenti, in particolare, i criteri per il calcolo del punteggio valorizzavano eccessivamente la residenza pregressa di chi chiedeva l’alloggio invece di considerare altri criteri di bisogno effettivo (come il reddito o la presenza di disabili). In sostanza il punteggio aumentava molto sulla base di quanti anni il richiedente aveva già trascorso nelle case popolari, mentre le condizioni di disagio al momento della richiesta valevano, in proporzione, meno punti. La giudice del tribunale di Milano Valentina Boroni ha accolto il ricorso delle associazioni e ha ordinato alla Regione di riformulare il regolamento in modo da eliminare questo che ha definito un “carattere discriminatorio”.
La modifica di legge e il blocco delle domande per l’aggiornamento della piattaforma
Oltre a questa modifica del regolamento, Regione Lombardia ha introdotto anche una modifica di legge che permette anche a chi ha già una casa di richiedere un alloggio popolare, a patto che l’immobile si trovi a una certa distanza dal comune in cui si fa richiesta e che il suo valore non faccia superare la soglia ISEE idonea per fare domanda. Lo ha spiegato a Fanpage.it Maria Carmela Rozza, consigliera regionale del Pd in Lombardia: “Con questa modifica potrà partecipare ai bandi anche chi ha una casa di proprietà a 40 chilometri da Milano. Quindi per esempio se abito a Como posso fare una domanda per avere una casa a Milano da affittare in nero”.
Secondo la consigliera, però, questa modifica favorirebbe solo alcune categorie di persone: “La Regione sta tenendo bloccati i bandi per prendere in giro i lombardi – dice Rozza – chi ha una casa in piena proprietà può fare domanda ma va fuori reddito. Se invece hai una casa che ti compri con il mutuo, siccome il mutuo assorbe il
valore della casa con l’ISEE, ci stai e quindi i furbetti di turno comprano la casa col mutuo, l’affittano in nero e poi fanno domanda di casa popolare. E magari gliela diamo pure”.
Tutte le procedure, in ogni caso, restano bloccate in attesa che la piattaforma informatica per presentare le domande venga adeguata a queste modifiche. “Il Comune di Milano è pronto per fare i bandi ma non può farlo perché la piattaforma ancora non è aggiornata – spiega la consigliera – quindi il rischio che si corre è che non assegneremo case per tutto quest’anno grazie a Regione Lombardia”. Questi ritardi stanno avendo, come prevedibile, gravi conseguenze su molti cittadini in attesa di un alloggio.
La storia di Anna che vive in un magazzino in attesa di una casa popolare
É il caso di Anna (nome di fantasia), che adesso, mentre aspetta una casa vera, vive in un magazzino che a catasto non sarebbe abitabile: “Non ha riscaldamento, non ha finestre adatte, non è pensato per viverci – racconta a Fanpage.it – Lo uso come rifugio per dormire, studiare, fare ginnastica, prepararmi ai colloqui. Ma non è casa. A Milano anche solo ottenere una stanza in affitto richiede garanzie che non ho: contratti, buste paga, garanti. Non ho una rete familiare, e sono disabile all’80%, con un ISEE bassissimo”.
Anna cerca una casa popolare dal 2021 e ha partecipato a tutti i bandi che sono usciti adatti alla sua condizione. Lo scorso marzo ha anche fatto domanda per un alloggio Sat (Servizi Abitativi Transitori), ma dopo più di tre mesi non ha ancora avuto risposta. L’assenza di nuovi bandi aggrava il suo senso di esclusione: “È come sentirsi dire che non mi è concesso neanche il diritto a sperare. Perché non è solo un bando che manca: manca la possibilità di provare a cambiare vita. Continuano a promettere, sapendo che non
manterranno. Promesse vuote, che illudono, ma che servono solo a raccogliere le marche da bollo: 16 euro a domanda”.
A nulla sono servite le sollecitazioni e le richieste di spiegazioni: “Chi vive ai margini – dice Anna – chi non ha una casa, chi dorme in un magazzino, non viene ascoltato. È come se fossimo cittadini invisibili, di serie B. L’indifferenza, oggi, fa più male della povertà. È il silenzio delle persone comuni, dei vicini, della politica, dei media, che rende tutto più difficile. Ci sono migliaia di persone come me, ma sembriamo non esistere. Nessuno si chiede dove dorme una persona disabile senza casa. Nessuno si indigna per un Comune che promette 2.100 case e non ne assegna nemmeno un decimo”.
Da qui le richieste di Anna e di tante cittadine e cittadini come lei, per i quali la pubblicazione di un bando può fare la differenza: “Vivere così a lungo nell’incertezza ti logora dentro. Ti svegli ogni giorno senza sapere se potrai restare dove sei. La casa diventa un pensiero ossessivo. E quando lo Stato non ti ascolta, inizi a credere di non valere niente. Chiedo che il Comune pubblichi subito un bando SAP. E a chi legge dico: non voltatevi dall’altra parte”.
(da Fanpage)

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