Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
BUFERA GIUDIZIARIA SULLA REGIONE CALABRIA: TRA GLI INDAGATI ANCHE PAOLO POSTERARO, CAPO SEGRETERIA DI MATILDE SIRACUSANO, SOTTOSEGRETARIA DEL GOVERNO MELONI E COMPAGNA DEL FORZISTA… L’INCHIESTA DELLA PROCURA DI CATANZARO
Oltre ai post su Instagram in cui enumera i dossier su cui è al lavoro per risolvere i problemi della Calabria, il presidente della regione Roberto Occhiuto dovrà pensare anche a un’altra grana.
È quella che riguarda lui direttamente, indagato per corruzione, e il suo fedelissimo, il manager Paolo Posteraro, oggi capo segreteria – a 90mila euro annui – di Matilde Siracusano, sottosegretaria del governo Meloni nonché compagna del forzista.
Posteraro, figlio di Francesco, a lungo vice segretario generale della
Camera, è indagato in concorso dalla procura di Catanzaro guidata da Salvatore Curcio. L’ipotesi accusatoria è quella di corruzione. Venerdì scorso, in base a quanto apprende Domani, gli uomini della Guardia di Finanza gli avrebbero notificato un decreto di perquisizione. Perché? Quali le evidenze trovate?
Gli affari di Occhiuto
Da quello che emerge, l’inchiesta della procura catanzarese – col fascicolo in mano al pubblico ministero Domenico Assumma – sarebbe partita anche da alcuni articoli pubblicati su questo giornale, riguardanti gli affari tra Posteraro e l’ormai suo ex socio: proprio Roberto Occhiuto, la cui posizione oggi fa trapelare forte agitazione. C’è di fatto uno strano clima nei corridoi della cittadella regionale.
Il presidente nega, contattato da questo giornale, perquisizioni domiciliari a suo carico, ma successivamente, preferisce dire, attraverso una storia su Instagram, di aver ricevuto un avviso di garanzia.
Insieme a Occhiuto, tra gli iscritti nel registro degli indagati (ce ne sarebbero cinque) risulta un’altra conoscenza del governatore calabrese: si tratta di Ernesto Ferraro, altro uomo vicinissimo al governatore, oggi vertice di Ferrovie della Calabria, l’azienda di trasporto pubblico di proprietà della regione.
Anche in Ferrovie della Calabria, di cui è stato consulente Posteraro almeno fino a dicembre 2024, ci sarebbero state delle perquisizioni.
Quali, dunque, i legami tra Paolo Posteraro, Ernesto Ferraro e Roberto Occhiuto? È quello su cui starebbero indagando gli organi inquirenti.
All’interrogativo, in parte, aveva risposto questo giornale, quando raccontò che proprio sugli affari del governatore si accesero i riflettori dell’antiriciclaggio di Bankitalia: l’allora deputato e candidato alla guida della Regione incassò un bonifico di 21mila euro nello stesso mese del 2020 in cui la sua società dell’epoca “Fondazione patrimonio artistico retail”, di cui Posteraro è tuttora amministratore delegato, beneficiava della garanzia del medio credito centrale (controllato da Invitalia) per ottenere prestiti dalle banche per oltre 350mila euro sfruttando il decreto liquidità Covid.
La movimentazione era, secondo l’autorità antiriciclaggio, sospetta: anche perché Posteraro, all’epoca, ricopriva un ruolo di amministratore di aziende pubbliche del comune amministrato dal fratello di Occhiuto, Mario, oggi senatore di Forza Italia.
Il manager guidava infatti Amaco, oggi in crac e per il cui fallimento, dichiarato nel 2023, Posteraro è pure indagato in un’altra inchiesta della procura della città bruzia.
Bonifici e prestiti bancari sospetti, pertanto, finiti sotto la lente degli investigatori che ne avrebbero seguito le tracce. Dove li hanno condotti? Una domanda a cui gli investigatori vorrebbero dare presto una risposta. Intanto è certo che il legame tra Posteraro e Occhiuto, nonostante quest’ultimo non ricopra più cariche nelle società del primo, non si sia interrotto.
Non solo la “promozione” in Ferrovie della Calabria del manager (insieme a quella di Ferraro che pure lavorava in Amaco) dopo il crac della società locale.
C’è anche dell’altro: Posteraro è sì, capo segretaria della sottosegretaria Matilde Siracusano, ma è anche il liquidatore della Gusti del sole srl, società del figlio di Mario Occhiuto, Giovanni.
E della Best Italian Good, in cui ha quote Giada Emanuela Fedele, ex moglie del governatore della Calabria. Un intreccio tra politica e affari che ora è al vaglio degli investigatori. Dove porterà?
Nonostante da quanto riferiscono fonti vicine all’indagine, agli atti ci
sarebbero alcune intercettazioni da esaminare, in cui si alluderebbe a scambi di favore, poltrone e nomine.
Occhiuto ha annunciato nelle scorse settimane di volersi ricandidare nel 2026 alla guida della regione. Intanto l’inchiesta su di lui e sul suo braccio destro proseguirà e presto si capirà in concorso con chi Posteraro avrebbe commesso i reati contestati.
(da Domani)
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
“LE ‘EMERGENZE’ INESISTENTI, COME ‘L’INVASIONE’ DI STRANIERI, L’EMERGENZA ENERGETICA, L’EMERGENZA COMMERCIALE, LOS ANGELES, SONO INVENTATE PER GIUSTIFICARE L’USO DI POTERI STRAORDINARI”
Dovremmo essere genuinamente allarmati da quello che sta accadendo a Los Angeles:
Trump che invia la Guardia Nazionale e ora i Marines per sedare manifestazioni in gran parte pacifiche. È trattare la California come una nazione nemica da invadere militarmente
Perché Trump sta facendo questo? Molto di quello che fa sono forme di giochi circensi romani destinati a distrarre il pubblico. L’azione vera è il “Grande progetto di legge molto brutto” che taglierebbe Medicare e Medicaid, toglierebbe i buoni alimentari ai lavoratori poveri, ridurrebbe le borse di studio Pell rendendo più difficile ai figli delle persone povere e della classe operaia frequentare l’università
Tra 10 e 16 milioni persone perderebbero l’assicurazione secondo varie stime. «Tutti devono morire prima o poi», ha detto Joni Ernst,
senatrice repubblicana dell’Iowa davanti a un pubblico arrabbiato per i tagli alla sanità.
Molti progetti del piano Biden per rinnovare l’infrastruttura del Paese e facilitare la transizione energetica sono basati in Stati repubblicani e sono diventati popolari. (Biden, a differenza di Trump, non ha governato contro la metà del Paese che non gli ha votato).
Tutto per pagare un taglio fiscale da 4 trilioni di dollari che – anche con questi tagli draconiani – aumenterebbe il debito nazionale di circa 2,4 trilioni di dollari stimati. In altre parole, il partito che ha fatto campagna elettorale […]come partito della classe operaia sta tagliando programmi importanti che servono alla classe operaia e ai poveri, per dare un massiccio taglio fiscale a persone molto ricche che non ne hanno bisogno. E lascerà a tutti noi il conto che arriverà dopo che Trump lascerà l’incarico.
Il progetto di legge è tutt’altro che popolare, motivo per cui i Repubblicani l’hanno fatto passare forzatamente alla Camera nel cuore della notte prima che molti dei loro stessi membri potessero leggerlo, e l’invasione di Los Angeles serve a distogliere l’attenzione da un progetto di legge che persino Elon Musk ha denunciato come un «abominio totale».
Questo scenario si adatta perfettamente a una strategia illustrata in un libro recente dei politologi Jacob Hacker e Paul Pierson – un libro buono e serio con un titolo un po’ sciocco, “Let Them Eat Tweets” – in un capitolo chiamato “Il dilemma dei conservatori”.
L’idea è che in situazioni di estrema disuguaglianza (come negli Stati Uniti ora) i partiti conservatori hanno una scelta difficile: rompere con la tradizione conservatrice e affrontare la disuguaglianza o fomentare divisioni nella società attraverso conflitti
religiosi, etnici o sociali.
Questo è chiaramente al cuore dell’intera agenda politica di Trump: un classico regalo repubblicano ai ricchi travestito e mascherato come rivoluzione sociale: xenofobia, deportazioni, la guerra alle “università woke” e all’antisemitismo, mostrare persone in gabbia in El Salvador, l’“invasione” di L.A.
È tutto teatro politico per distrarre dalla natura profondamente oligarchica di questo regime che è tutt’altro che buono per i lavoratori. Ed è anche un passo in avanti verso un regime autoritario in cui una serie di “emergenze” inesistenti – “l’invasione” di stranieri, l’emergenza energetica, l’emergenza commerciale (per giustificare la guerra dei dazi), l’emergenza di Los Angeles – sono tutte inventate per giustificare l’uso di poteri straordinari
(da La Stampa”
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
LA SVOLTA AUTORITARIA DI TRUMP FA INCAZZARE ANCHE I SUOI PIÙ CARI AMICI: KIM KARDASHIAN, STORICA AMICA DI IVANKA E SOSTENITRICE DI DONALD, CRITICA LE RETATE ANTI-IMMIGRATI DEL TYCOON
Kim Kardashian contro Donald Trump. La star dei social, neoavvocato, ha duramente criticato le retate di immigrati compiute a Los Angeles dal Servizio Immigrazione degli Stati Uniti (Ice) a Los Angeles.
“Quando ci dicono che l’Ice esiste per mantenere il nostro paese al sicuro e deportare criminali violenti, va bene. Ma quando vediamo persone innocenti e laboriose strappate alle loro famiglie in modi disumani, dobbiamo alzare la voce”, ha scritto su Instagram
“Crescendo a Los Angeles, ho visto quanto profondamente gli immigrati siano radicati nel tessuto di questa citta’. Sono i nostri vicini, amici, compagni di classe e di lavoro e parenti”, ha proseguito. “Non possiamo chiudere un occhio quando la paura e l’ingiustizia impediscono alle persone di vivere la propria vita liberamente e in sicurezza. Ci deve essere un modo migliore”, ha sottolineato.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
“NON HO NESSUNA PRECLUSIONE. MA SERVE PARTIRE CON UN PROGRAMMA SU POCHI TEMI, LAVORO, CITTADINANZA, SANITA’, FISCO”… IL REFERENDUM? CHI CANTA VITTORIA SUGLI ASTENUTI CANTA LA VITTORIA DI PIRRO, PERCHÉ NON FUNZIONA PIÙ COSÌ”
Se Renzi è tornato a sinistra? “Sono dei ravvedimenti operosi, dove va lui è insondabile…”
Così a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani, intervistato da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. “Io però non ho nessuna preclusione”, ha specificato a Radio1 l’ex ministro, “vorrei solo che il via partisse da chi può avere un programma coerente su pochi temi: dignità del lavoro, cittadinanza, temi internazionali come la Palestina, sanità e su fisco”.
Se esiste un nuovo Romano Prodi? “Io ne vedo in giro più di uno, nomi però non ne faccio, non bisogna mettere il carro davanti ai buoi, prima devi decidere di fare un progetto ed un programma alternativo e poi vedrete che strada facendo si trova“.
Così a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani, intervistato da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. Il risultato referendario è stato una batosta per il centrosinistra?
“E’ una sconfitta perché non si è raggiunto il quorum ma dico una cosa”. Quale? “Chi canta vittoria sugli astenuti canta la vittoria di Pirro, perché non funziona più così”. Nel corso dell’intervista, Bersani ha anche parlato della premier Giorgia Meloni: “lei era ministra quando io alla sua età scarpinavo in una comunità montana, però si definisce underdog. E’ nata vicepresidente della Camera e l’anno dopo, non so con quale curriculum, diventa ministro. Se lei è un underdog io non so cosa dovrei essere…”
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
È L’EFFETTO PERVERSO DEL TAGLIO AL CUNEO VOLUTO DALLA DUCETTA: LE NUOVE ALIQUOTE IRPEF HANNO SPINTO MOLTI CONTRIBUENTI VERSO SCAGLIONI PIÙ ALTI E DETRAZIONI RIDOTTE. CIOÈ VERSO TASSE PIÙ ALTI
Doveva alleggerire il peso delle tasse sui salari. Ma la legge di
bilancio 2025 ha finito per renderli più vulnerabili al fisco. Il governo Meloni ha reso strutturale il taglio al cuneo fiscale, trasformandolo in un mix di nuove detrazioni e bonus per i lavoratori dipendenti.
Ora però si scopre che questa scelta ha potenziato il fiscal drag, cioè il drenaggio fiscale: l’effetto per cui gli aumenti salariali finiscono per spingere i contribuenti verso aliquote più alte o ridurre le detrazioni.
«Con la progressività è aumentato anche l’effetto di drenaggio fiscale», dice la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) Lilia Cavallari presentando il Rapporto sulla politica di bilancio 2025. E aggiunge: «L’aumento si concentra prevalentemente sui lavoratori dipendenti». Nella microsimulazione dell’Upb, a parità di inflazione e rispetto al 2022, ci sono 370 milioni di tasse in più pagate dai lavoratori dipendenti: +13%.
La meccanica è semplice. In un sistema fiscale progressivo, se scaglioni e detrazioni non sono aggiornati all’inflazione, i lavoratori pagano più tasse anche se il loro stipendio cresce solo per compensare il carovita.
L’Irpef è un’imposta progressiva: man mano che il reddito aumenta, si passa a scaglioni con aliquote più alte. Quando c’è inflazione, i redditi monetari salgono nominalmente (esempio: un aumento in busta paga del 3% per adeguarsi al carovita). Ma se le aliquote e gli scaglioni Irpef restano invariati, il lavoratore si trova tassato più pesantemente: finisce in scaglioni più alti e paga più tasse in proporzione. Questo è il fiscal drag.
L’Upb dice che le modifiche fatte con la riforma fiscale (passaggio dal taglio contributivo al taglio fiscale) non hanno eliminato il fiscal drag, anzi l’hanno reso più forte: l’imposta è ora più “sensibile”
all’inflazione.
E fa un calcolo: se l’inflazione è di 2 punti percentuali, rispetto al 2022 il sistema attuale porta 370 milioni di tasse in più (+13%) solo per effetto di fiscal drag.
Questo è un problema perché: i salari reali sono già bassi rispetto al pre-pandemia; l’aumento fiscale ulteriore va a erodere il potere d’acquisto; quindi si rischia un impatto negativo su consumi e crescita.
Il fiscal drag c’era anche prima. Ma con la riforma fiscale 2025, spiega l’Upb, la situazione è peggiorata: «La recente riforma fiscale ha reso il sistema più progressivo e più esposto al drenaggio fiscale, amplificando l’impatto di eventuali pressioni inflazionistiche».
Perché? Perché il governo ha stabilizzato il taglio al cuneo con un nuovo assetto Irpef: accorpamento dei primi due scaglioni e nuove detrazioni decrescenti per i dipendenti. Una combinazione che oggi aumenta l’effetto perverso. «L’accresciuta sensibilità del sistema all’inflazione deriva direttamente dalle modifiche normative introdotte per i lavoratori dipendenti», avverte l’Upb.
Il Rapporto fa anche i conti. Simulando un’inflazione del +2%, il drenaggio fiscale — cioè le tasse aggiuntive legate all’effetto combinato di inflazione e progressività — ammonta oggi a 3.262 milioni di euro, contro i 2.892 milioni che avrebbe prodotto il sistema Irpef del 2022. Una differenza di 370 milioni in più, pari a un incremento del 13%
E a pagare il conto sono soprattutto i lavoratori dipendenti. La tabella pubblicata dall’Upb lo documenta con numeri puntuali: per gli operai, il fiscal drag passa da 800 a 942 milioni, con un’incidenza che cresce dal 3,2% al 5,5%.Per gli impiegati, da 989 a 1.205 milioni, con un’incidenza che sale dall’1,7% al 2,3%.Per pensionati,
autonomi e altri redditi, invece, l’effetto è trascurabile.
Anche il dato pro capite conferma la penalizzazione dei lavoratori dipendenti. Per ogni singolo impiegato, il drenaggio fiscale medio è passato da 116 a 141 euro, con un incremento di 25 euro a testa. Per ogni operaio, da 67 a 79 euro (+12 euro).Per pensionati, autonomi e altri redditi, l’effetto è stato pressoché nullo.
Un paradosso: proprio le categorie che avrebbero dovuto beneficiare di più del taglio al cuneo sono oggi le più penalizzate dal nuovo fiscal drag. Una “tassa invisibile” che intacca direttamente gli aumenti lordi conquistati in busta paga.
Più gettito, meno potere d’acquisto
§Per i conti pubblici è un vantaggio. L’Upb lo riconosce: «Effetti positivi per il bilancio pubblico». Ma per i lavoratori è una perdita secca.
(da La repubblica)
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
MELONI CON UNA MANO DA’ E CON L’ALTRA TOGLIE: E ALLA FINE I LAVORATORI PAGHERANNO PIU’ TASSE
Il rapporto dell’Ufficio parlamentare di bilancio: «Aumenta il drenaggio fiscale. Per nuove
misure in manovra serviranno più tasse o tagli alla spesa pubblica»
La legge di bilancio 2025 del governo Meloni avrebbe dovuto alleggerire il peso delle tasse, rendendo strutturale il taglio al cuneo fiscale e trasformandolo in una serie di detrazioni per i lavoratori dipendenti.
Peccato che questa mossa abbia finito per portare all’esatto opposto, ossia un aumento dei contributi da versare al Fisco.
È quanto afferma il Rapporto annuale sulla politica di bilancio, redatto dall’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio. «Con la progressività – si legge nel documento – è aumentato anche l’effetto di drenaggio fiscale», ossia l’effetto per cui gli aumenti salariali finiscono per spingere i contribuenti verso aliquote più alte.
Aumentano le tasse per i lavoratori dipendenti
Nella simulazione condotta dall’Upb, a parità di inflazione e in confronto al 2022, i lavoratori dipendenti hanno pagato il 13% in più di tasse. In termini assoluti, si tratta di 370 milioni di euro. «In un contesto in cui la dinamica retributiva è già risultata insufficiente a compensare l’inflazione – osserva l’Ufficio parlamentare di bilancio -, l’intensificazione del prelievo fiscale derivante dall’interazione tra quest’ultima e la progressività dell’imposta rischia di erodere in misura considerevole gli incrementi nominali delle retribuzioni, con potenziali ricadute negative sui consumi e sulla domanda interna».
Cos’è il fiscal drag
Dietro l’aumento delle tasse sui redditi dei lavori dipendenti c’è un cortocircuito noto come fiscal drag, ossia il drenaggio fiscale. In pratica, quando gli stipendi aumentano (ad esempio per via dell’inflazione) si finisce per pagare più tasse, anche se il potere d’acquisto in realtà non cresce. Questo avviene perché l’Irpef è un’imposta progressiva, il che significa che man mano che il reddito aumenta, si passa a scaglioni con aliquote più elevate. Se i redditi salgono ma gli scaglioni Irpef restano invariati, il lavoratore si ritrova a pagare più tasse. Il fiscal drag non è un’invenzione recente. C’è sempre stato e continuerà a esserci. Ma «la recente riforma fiscale – scrive l’Upb – ha reso il sistema più progressivo e più esposto al drenaggio fiscale, amplificando l’impatto di eventuali pressioni inflazionistiche».
«Per nuove misure in manovra serviranno più tasse o tagli»
Al di là dell’effetto sui redditi dei lavoratori dipendenti, il rapporto dell’Upb analizza l’ultima legge di bilancio approvata dal governo Meloni. Nell’autunno scorso, scrive l’Ufficio parlamentare, «veniva impostata una manovra che utilizzava quasi integralmente gli spazi
di bilancio disponibili». E ora, «a meno di miglioramenti della dinamica della spesa netta rispetto a quanto inizialmente previsto, eventuali nuovi interventi dovranno, quindi, trovare copertura attraverso aumenti di entrate o riduzioni di spese strutturali». Detta in parole più semplici, per inserire eventuali nuove misure in manovra – ad esempio l’ulteriore spesa in materia di Difesa – il governo sarà obbligato ad alzare le tasse o a tagliare delle spese.
Cavallari: «Occorre azione decisa sull’evasione fiscale»
Presentando la relazione annuale, la presidente dell’Upb Lilia Cavallari ha chiarito che «la tenuta dei conti pubblici e la sostenibilità sociale del prelievo richiedono un’azione decisa per la riduzione dell’evasione fiscale». Cavallari riconosce che «risultati significativi sono stati raggiunti negli ultimi anni, soprattutto in ambito Iva attraverso strumenti volti a limitare ex ante le possibilità di evasione». Allo stesso tempo, aggiunge la presidente dell’Upb, «il livello stimato di evasione resta fra i più elevati in Europa» e «va rafforzata la capacità di riscossione».
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
“SULLA CITTADINANZA TROPPE BUFALE ANCORA DA SMONTARE” (E TROPPA IGNORANZA ANCHE A SINISTRA)
La vicepresidente del Pd Chiara Gribaudo ha commentato a Fanpage.it i risultati dei referendum: “Questi 14 milioni di votanti dimostrano che c’è un pezzo di elettorato che inizia a sentire un malcontento nei confronti di Meloni. Sulla cittadinanza troppe fake news difficili da smontare, dopo anni in cui è stato costruito un clima di terrore”.
Il quorum del 50% più uno ai referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza non è stato raggiunto. L’affluenza alle urne si è fermata appena sopra il 30%. Il centrodestra ha letto il risultato come una sconfitta per la sinistra, che avrebbe voluto dare una “spallata” al Governo ma ha fallito. Le opposizioni invece hanno evidenziato gli “oltre 14 milioni” di elettori che sono andati alle urne, e la segretaria del Pd Elly Schlein ha fatto notare come siano “più di quelli che hanno votato la destra” alle politiche del 2022 (in quel caso 12,4 milioni). Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha promesso comunque che “La battaglia non finisce oggi”, perché ci sono oltre 14 milioni di votanti che chiedono risposte, e sono “un punto di partenza”. Ne abbiamo parlato con Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd.
Onorevole, il risultato dei ballottaggi è sicuramente positivo per il centrosinistra. Dopo Genova, Assisi e Ravenna, avete vinto anche a Taranto. Si piange con un occhio solo, visto il mancato quorum referendum?
È stato un ottimo turno amministrativo e per la prima volta abbiamo una sindaca donna a Genova. Dispiace per Matera: non ci aspettavamo la vittoria del candidato di centrodestra Nicoletti, che però avrà il Consiglio comunale contro, perché non ha la maggioranza. In generale i risultati confermano il lavoro che si sta facendo sulle amministrative, grazie al forte radicamento del Partito Democratico sui territori, e la costruzione di un nuovo fronte a
partire dai temi, nonostante l’esito referendario.
Perché secondo lei gli elettori non hanno sentito l’urgenza di andare a votare, nonostante il traino del secondo turno delle amministrative e della manifestazione contro il massacro a Gaza?
Su Gaza c’è un’attenzione molto forte, le immagini di bambini uccisi e senza cibo, sono strazianti e non possono lasciare indifferenti. Sulla bassa partecipazione ai referendum credo che c’entri molto il modo in cui sono state diffuse le informazioni. C’è stata forse una semplificazione eccessiva, una strumentalizzazione e una disinformazione spinta dal Governo. E quando stai al Governo sei più forte e puoi garantirti più ascolto. Le tv di Stato inoltre non hanno parlato del referendum per settimane. Su quanto avviene nella Striscia invece c’è un’indignazione forte verso il Governo che non dice niente di fronte al massacro di civili innocenti e di Netanyahu, la cui condotta criminale è stata censurata anche dalla Corte Penale Internazionale.
Però quest’indignazione poi non si è trasformata in una mobilitazione contro il Governo. Forse c’è stata un’eccessiva politicizzazione dei quesiti?
Penso abbia sbagliato chi ha cercato di politicizzare eccessivamente i referendum, così come chi ha cercato di strumentalizzarli, da una parte e dall’altra, proprio per la delicatezza dei temi, che meritavano invece cautela ed attenzione. Io credo abbia vinto la disinformazione, sulla cittadinanza soprattutto, ma non solo. Su certi argomenti, come le materie del lavoro, non credo che i referendum abrogativi siano lo strumento migliore da utilizzare. I quesiti non erano certo rivoluzionari, ma potevano essere un punto di chiarezza per alcuni, anche all’interno del Pd. Non per chi, come me, ritiene che certe cose siano state già ampiamente superate dalla storia. Ora
si tiri una riga, e mettiamo insieme ciò che nel mondo del lavoro cambiato, frammentato, non rappresentato, disilluso e stanco, merita invece di essere ascoltato e merita risposte serie e complessive. Penso a chi lavora nella logistica, sulle piattaforme, le partite iva o i giovani ingabbiati tra stage con poche prospettiva di crescita.
Anche secondo lei quindi questi referendum guardavano un po’ al passato?
Il tema dei diritti sul lavoro è sempre attuale, oggi forse più che mai. Serve una nuova grammatica dei diritti sul lavoro: penso al tema della disconnessione, la necessità di mettere l’ia a servizio anche del lavoro sicuro e di qualità. Bisogna trasformare le solitudini del lavoro in una vera e propria piattaforma politica e bisogna ricordare che questo governo vuole liberalizzare le forme più precarie del lavoro. E poi c’è il grande tema dei salari: siamo il Paese in Europa al fondo della classifica per la crescita dei salari reali negli ultimi quindici anni. Il referendum è stato una scommessa per la Cgil che noi abbiamo sostenuto, ma la verità è che servono politiche serie a livello di Governo, scelte necessarie per un’Italia in cui anche chi lavora è povero. E servono politiche industriali che sono totalmente assenti in questo governo. C’è stata una partecipazione forte, anche se non sufficiente e questo ci fa dire che bisogna riaprire un cantiere della sinistra più dialogante e più capace di costruire buone norme, a partire anche da una legge sulla rappresentanza. Credo ci sia una credibilità e una dimensione collettiva da ricostruire piano piano, nelle piazze e nei luoghi di elaborazione politica, superando l’individualismo che regna anche nei luoghi di lavoro e ha vinto nella nostra società dove ognuno pensa prevalentemente a sopravvivere e non guarda ai problemi degli altri. Proseguiamo da qui.
L’affluenza si è fermata poco sopra il 30%. Sono stati 14 milioni i
votanti, e secondo l’interpretazione del centrosinistra questi voti sono la base per far partire una rimonta che potrebbe mettere in difficoltà il centrodestra alle prossime elezioni. Però bisogna anche considerare che non si tratta soltanto di elettori del centrosinistra, ma in questo bacino ci sono anche elettori del centrodestra che ai seggi sono andati comunque, nonostante l’invito all’astensione da parte della maggioranza…
Questi 14 milioni di votanti dimostrano che c’è un pezzo di elettorato, per la verità molto volatile, che inizia ad esprimere un malcontento nei confronti di Meloni e vuole un’alternativa. Questo malcontento si riscontra anche tra gli elettori di centrodestra, nonostante i sondaggi. Perché tutti i decreti legge, dalle norme sui rave party al decreto Sicurezza, che sono vergognosi, non stanno rispondendo alle esigenze concrete della vita di tutti i giorni delle persone che non arrivano a fine mese, ma vogliono solo reprimere il dissenso. Niente risorse per le forze dell’ordine che si occupano della sicurezza, solo reati e carcere sono la risposta del governo in un Paese dove com’è noto le carceri sono sovraffollate e non sono comunque la risposta adeguata. La destra al governo non sta facendo politiche per aumentare i salari, per migliorare l’occupazione, che se aumenta è per via del PNRR, non certo per merito di quest’esecutivo, che non ha nessuna visione per il Paese. Il malcontento dunque cresce, perché vede la destra confusa sulla politica estera e senza visione sul Paese salvo propaganda, repressione, vittimismo. Certo l’alternativa ancora non è definita e questo non va bene. Dobbiamo lavorare con più forza: c’è un popolo che aspetta di essere coinvolto, che chiede coerenza, unità, meno primedonne e più contenuti. Serve essere più determinati.
C’è chi, anche all’interno del Pd, cito per esempio Pina Picierno, ritiene che i referendum siano stati un boomerang e un enorme regalo a Meloni. Condivide qualcosa di questa posizione?
Penso che sui temi del lavoro serva una discussione profonda e di merito dentro il Partito Democratico.
Come spiega invece il fatto che le percentuali dei Sì sui quesiti del lavoro sono al di sopra dell’80%, mentre per il quesito relativo alla cittadinanza, i No hanno superato il 34% e solo poco più del 65% dei votanti si è detto favorevole?
Non mi stupisce, perché quando parlavo con le persone ai banchetti, due erano le questioni che tendenzialmente mi poneva chi vota a sinistra, ma si informa sui social oltre che attraverso le trasmissioni televisive: da un lato le persone erano preoccupate che i referendum sul lavoro avrebbero fatto fallire le piccole aziende e dall’altra manifestano paura per gli stranieri, che avrebbero ottenuto la cittadinanza ‘facile’ dopo 5 anni, e ripetevano la solita fake news dei ‘tanti soldi’ che ricevono dallo Stato. Questo tipo di disinformazione è difficile da smontare dopo anni in cui è stato costruito un clima di terrore, creando nemici ad hoc, quindi è comprensibile che la paura alimenti i sentimenti dell’elettorato, anche di centrosinistra. Bisogna ammettere che su questi temi il Partito Democratico non è mai andato fino in fondo. Penso al superamento della Bossi-Fini, all’allargamento del decreto flussi o alla revisione delle politiche migratorie. Mi auguro che anche su questo si faccia chiarezza nel partito. Credo che la strada giusta sia chiudere le rese dei conti sul passato ed inaugurare una nuova stagione del centrosinistra, contemporanea, coerente, che dice quello che pensa e fa quello che dice. E la sinistra non deve aver paura di parlare di sicurezza dei cittadini e nemmeno di cittadinanza
Qual è la vostra proposta per riformare la cittadinanza?
L’opzione maggioritaria nel Pd oggi direi che è lo ius soli.
Come si può convincere chi ha paura degli immigrati che lo ius soli sia una buona soluzione?
Bisogna ragionare con molto pragmatismo. In questo Paese intanto abbiamo un problema di natalità e già oggi, se non ci fossero persone di origine straniera che lavorano regolarmente e versano i contributi, avremmo grossi problemi con le pensioni e con la sostenibilità del welfare state. Poi ricorderei che aggiungere a qualcuno diritti non li toglie a noi. Non dimentichiamoci inoltre le questioni prettamente economiche: senza i migranti le casse dello stato saltano ed il PIL va sotto lo zero. Questi sono dati di fatto, come è oggettivo che interi settori produttivi stanno in piedi solo grazie alle persone migranti. È un percorso difficile, sono stati commessi troppi errori, ma bisogna anche spiegare agli italiani che non si possono buttare al vento quasi un miliardo di euro di soldi pubblici per fare dei centri di detenzione in Albania. Dobbiamo far capire a tutti che gli egoismi e i nazionalismi non stanno aiutando a cambiare le cose. Su questo la sinistra deve essere più coraggiosa.
Lo strumento referendum va ripensato?
Probabilmente va ripensato, magari abbassando il quorum, anche se un quorum serve. Non mi preoccupa nemmeno la raccolta delle firme, si può anche ragionare di raccoglierne di più. Quello che è vergognoso è ciò che ha detto Tajani, secondo cui per la consultazione referendaria sono stati spesi tanti soldi inutilmente. Si preoccupi semmai di sprecare meno risorse per i centri di detenzione in Albania, visto che quei soldi potevano essere usati per fare una Finanziaria a favore della sanità pubblica. Alcuni dati: per questo referendum sono stati spesi 88,3 milioni, per i centri in Albania (del tutto inefficaci oltre che moralmente discutibili) 670 milioni. Per un
ipotetico ponte
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
SE L’EUROPA DOVESSE FRONTEGGIARE UN BOMBARDAMENTO DI QUELLI A CUI È SOTTOPOSTA L’UCRAINA OGNI GIORNO (CON DRONI, MISSILI BALISTICI, CRUISE) SAREMMO NELLA MERDA
L’attacco è uno di quelli classici che si sono visti durante la guerra in Ucraina. Prima i
droni, poi i missili balistici, infine i cruise. Ma stavolta l’obiettivo è la Sardegna. Per fermarlo è necessario usare i sistemi contraerei europei. Come il cacciatorpediniere Doria e una batteria terra-aria Samp-T.
Ma almeno sei missili balisti superano la barriera e colpiscono Cagliari. Si tratta di una simulazione su computer che fa parte dell’esercitazione Joint Stars e risale a due settimane fa. Ma il risultato è servito a mostrare i limiti degli scudi occidentali, italiani ed europei nei confronti di un attacco come questo.
«Abbiamo bisogno di una difesa aerea multistrato che possa agire a quote basse, medie e a lunga distanza. Questa è la priorità», spiega il generale Nicola Piasente a Repubblica. Usando le stesse parole del segretario generale della Nato Mark Rutte.
Che ha chiesto di quintuplicare il livello delle difese antiaeree e antimissile: «Vediamo in Ucraina come la Russia semina il terrore dall’alto, per questo dobbiamo potenziare lo scudo che protegge i nostri cieli». I contratti firmati dopo l’invasione da parte della Russia prevedono consegne nel 2026. Perché c’è un problema di produttività. L’Europa costruisce in un anno un numero di difese che l’Ucraina utilizza in qualche giorno. Anche se i missili terra-aria hanno un’industria europea apposita.
Si tratta del consorzio Mbda, formato da Francia, Italia, Gran Bretagna e Germania. Un missile Aster 30, di quelli usati dai Samp-T, si costruiva fino a poco tempo fa in 41 mesi. Adesso il tempo si è ridotto a 18. Quest’anno gli esemplari prodotti in Italia aumenteranno del 40% e nel 2026 raddoppieranno. Ieri il commissario alla Difesa Andrius Kubilius ha presentato un piano per accelerare lo sviluppo dell’industria militare: «Quando sono state emanate le leggi la guerra era impensabile. Ora non lo è più. Non possiamo permetterci questo lusso: Putin non aspetterà che mettiamo in ordine la nostra burocrazia». ieri il commissario alla Difesa Andrius Kubilius ha presentato un piano per accelerare lo sviluppo dell’industria militare: «Quando sono state emanate le leggi la guerra era impensabile. Ora non lo è più. Non possiamo permetterci questo lusso: Putin non aspetterà che mettiamo in ordine la nostra burocrazia».
Ma il confronto Russia-Europa oggi è davvero impari. Gli Stati Uniti costruiscono 42 patriot al mese. Nei giorni scorsi Kiev ne ha usati di più durante i bombardamenti russi. Invece Mosca è in pieno keynesismo militare. L’economia bellica creata dal Cremlino nel 2025 consegnerà 633 cruise KH101, 800 missili balistici Iskander e oltre 25 mila droni Geran.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2025 Riccardo Fucile
UN RUOLO A CUI LA FASCINA TIENE TANTISSIMO, E CHE HA DIFESO STRENUAMENTE DI FRONTE ALLA TITUBANZA DEI COLLEGHI: “QUESTO POSTO LO SCELSE PER ME MIO MARITO, SILVIO BERLUSCONI”
Quando il capogruppo di Forza Italia – con tatto e affetto – le ha chiesto “cara Marta, sei sicura che vuoi continuare a fare la segretaria della commissione Difesa della Camera?”, Marta Fascina ha avuto un sussulto: “Questo posto lo scelse per me mio marito, Silvio Berlusconi, come scelse per te il ruolo di capogruppo”.
Sicché alla fine ieri la “quasi moglie” del Cav. è riuscita a ottenere la riconferma. Certo, non sono mancati i malumori in maggioranza e soprattutto anche due voti, ma alla fine ce l’ha fatta (confermando anche l’indennità aggiuntiva di 250 euro al mese)
Ecco perché ieri Fascina si è palesata in Transatlantico sfidando i numeri. Da quando è iniziata la legislatura ha una media di presenze pari al 6 per cento, a fronte però del 64 per cento di giustificazioni da parte del gruppo di Forza Italia
Domani saranno due anni esatti dalla scomparsa di Berlusconi. E nessuno se l’è sentita di fare una battaglia contro Fascina, comparsa ieri – che epifania, che stella cometa – con i tre dell’ “Ave Marta”: il sottosegretario Tullio Ferrante, il coordinatore della Lombardia Alessandro Sorte e Stefano Benigni, uno dei vice di Antonio Tajani.
(da Il Foglio)
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