Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL SENATO E’ STATO CONDANNATO: PER ROBERTO ROSSI, PROPRIETARIO DI NAGEST, SI TRATTA DI UNA “COINCIDENZA”… IL SERVIZIO ANDRA’ IN ONDA QUESTA SERA SU “REPORT”
A giugno 2024 il Senato ha affidato un grande appalto pubblico da oltre 23 milioni di euro per i servizi di manutenzione delle sue sedi a Na.Gest, società specializzata del settore, che però non aveva i requisiti bancari per partecipare.
Un’aggiudicazione controversa che è finita in tribunale e per cui il Senato è stato condannato.
Report ha scoperto che un familiare del senatore ed ex vicepresidente di Palazzo Madama, Maurizio Gasparri, è stato assunto nel gruppo Nagest proprio a ridosso della gara.
Per Roberto Rossi, proprietario di Nagest, si tratta di una “coincidenza”. Gasparri specifica che “nessun familiare ha goduto di privilegi di alcun tipo” e assicura “di non essersi interessato alla gara”.Il servizio completo andrà in onda domenica sera
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
I CELLULARI VENIVANO LANCIATI DENTRO DEI PALLONI CALCIATI DALL’ESTERNO O CON LE FIONDE, LA DROGA VENIVA NASCOSTA NELLE SUOLE DELLE SCARPE, TRA I BISCOTTI, DENTRO IL RAGÙ O NELLA CONFEZIONE DI DATTERI … SEI AGENTI DELLA POLIZIA PENITENZIARIA ACCUSATI DI CORRUZIONE: AVREBBERO PRESO SOLDI DAI DETENUTI PER CHIUDERE UN OCCHIO
Entrava di tutto nel carcere colabrodo della Dogaia. Cellulari di ultima generazione e
droga. Schede telefoniche con intestatari fittizi, microtelefoni, smartwatch e persino un router per collegarsi a internet.
Dopo un anno di indagini sotterranee la Procura di Prato guidata
da Luca Tescaroli ieri all’alba ha fatto scattare un blitz senza precedenti che ha visto l’impiego di oltre 300 uomini tra agenti della penitenziaria (compreso il Gom, il gruppo che si occupa dei detenuti sottoposti al 41 bis), polizia, carabinieri e Guardia di finanza. Perquisizioni a tappeto nelle celle con l’aiuto dei cani antidroga, mentre all’esterno le forze dell’ordine schierate in assetto antisommossa erano pronte ad intervenire in caso di necessità.
Nell’occhio del ciclone sono finiti i reparti alta sicurezza, con i suoi 111 detenuti, quasi tutti dentro per reati di mafia, e media sicurezza. Sono stati 127 quelli perquisiti, 27 gli indagati. Telefoni e schede arrivavano anche con i palloni lanciati dall’esterno o con le fionde
Venivano poi nascosti in doppi fondi creati nelle pentole, nei frigoriferi, nei sanitari del bagno, sotto i wc, nei piedi dei tavoli o nei muri delle celle dove venivano create intercapedini poi chiuse con la calce (ieri sono stati trovati tutti gli arnesi da lavoro). In molti casi gli oggetti proibiti riuscivano a varcare i cancelli del carcere anche con i pacchi spediti dai familiari.
Pacchi che, a quanto pare, non venivano controllati nell’apposito ufficio (dove è risultato non funzionare il laser scanner). Anche la droga arrivava con lo stesso sistema: dentro le suole delle scarpe, tra i biscotti, dentro il ragù o nella confezione di datteri.
Sotto indagine sei agenti della polizia penitenziaria accusati di corruzione. Avrebbero preso soldi dai detenuti per fare passare i telefoni e avrebbero anche fatto finta di non vederli mentre parlavano al telefono. Mille euro a cellulare il prezzo della corruzione.
Duemila negli ultimi mesi, con grande rabbia dei detenuti, secondo quanto emerso dalle conversazioni. Nell’arco di un anno la polizia penitenziaria ha sequestrato 34 telefoni, ai quali vanno aggiunti i cinque trovati ieri.
È stato un colloquio captato all’interno del carcere tra un detenuto siciliano dell’alta sicurezza e il figlio a dare il via alle indagini. «Qua possiamo telefonare tranquillamente, le guardie sono a libro paga — aveva confidato l’uomo certo di non essere ascoltato — siamo liberi anche tre o quattro ore».
Grazie a un’apparecchiatura che consente di intercettare il traffico telefonico gli inquirenti sono riusciti a fare il censimento dei cellulari clandestini che si trovavano nelle celle e a scoprire decine di utenze con intestazioni fittizie, tutte acquistate in negozi di telefonia tra Roma e Napoli.
Hanno scoperto che i telefoni erano quasi tutti utilizzati in modalità «citofono» per contattare quasi esclusivamente i familiari. Lo scorso 11 gennaio è scattato il primo tempo dell’operazione: sono stati perquisiti 104 detenuti dell’alta sicurezza e in un solo giorno sono saltati fuori 10 smartphone.
Tra gli indagati c’è anche un’addetta alle pulizie nell’infermeria del carcere sorpresa con due dosi di cocaina nascoste in un pacchetto di sigarette. A casa sua, nel corso di una perquisizione, hanno trovato un piccolo telefono cellulare nuovo e le confezioni di alcune schede sim acquistate in un negozio di Roma che risultano associate a utenze di cittadini del Bangladesh.
Nel carcere di Prato è anche detenuto Vasile Frumuzache, il rumeno che poche settimane fa ha confessato di avere ucciso, a
distanza di un anno una dall’altra, le escort Denisa e Ana Maria. Tra gli indagati ci sono anche i tre della penitenziaria che erano in servizio il 6 giugno scorso quando Frumuzache, entrato in carcere, venne aggredito da un detenuto, cugino di una delle escort, che gli lanciò olio bollente e zucchero sul viso.
(da Corriere della Sera)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
“CAUSERA’ UN DANNO STRATEGICO IMMENSO AL NOSTRO PAESE”
Elon Musk sferra un duro attacco alla proposta di legge firmata da Donald Trump per tagliare le tasse e aumentare la spesa per la difesa. In un post pubblicato su X, il miliardario ha definito il provvedimento «assolutamente folle e distruttivo». «La più recente bozza del Senato distruggerà milioni di posti di lavoro in America e causerà un danno strategico immenso al nostro Paese!», ha scritto ancora Musk. «Distribuisce sovvenzioni a industrie del passato, danneggiando gravemente quelle del futuro».
La posizione di Musk
Le critiche di Musk arrivano a poche settimane dalla fine di una disputa pubblica tra lui e Trump, scoppiata proprio in seguito alla posizione del fondatore di Tesla e SpaceX contro alcune misure economiche contenute nei precedenti progetti legislativi repubblicani. Questa volta nel mirino di Musk, in particolare, ci sarebbe l’orientamento del piano fiscale che – secondo la sua lettura – favorirebbe settori economici tradizionali a scapito dell’innovazione tecnologica e delle industrie emergenti. Un messaggio coerente con le sue posizioni storiche, che da tempo invocano incentivi a favore di energie rinnovabili, intelligenza artificiale e tecnologie avanzate.
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA TV RIVELA UNA DICHIARAZIONE DEL CAPO DI STATO MAGGIORE AL CONGRESSO
In un Iran che ha riaperto lo spazio aereo solo ai voli stranieri in transito per timore
di raid israeliani, si sono svolti a Teheran i funerali di sessanta tra militari di alto rango e scienziati uccisi durante la guerra dei 12 giorni con Tel Aviv. Alla cerimonia, dove si gridava «Morte a Israele e all’America», non c’era la Guida suprema Ali Khamenei, sparita dai radar dopo aver dichiarato “vittoria”, ma c’era invece Ali Shamkhani, il suo consigliere dato per morto dal New York Times per ben due volte, troppo prematuramente.
Nonostante la sua baldanzosa retorica a uso interno, Khamenei è stato gravemente indebolito dalla breve guerra con Israele che aveva discusso apertamente della possibilità di assassinarlo e dal presidente Trump che aveva parlato di un cambio di regime. Khamenei sta guidando un «regime zombie», ha affermato lo storico Arash Azizi sulla rivista americana The Atlantic. Evitarel’escalation
«Ormai è finito». Ma è improbabile che capitoli completamente agli Stati Uniti, e cercherà invece «un equilibrio che può essere riassunto come nessuna guerra e nessuna pace», ha scritto lo studioso Vali Nasr sul New York Times. Un difficile equilibrio che passa dalla smentita di Trump in relazione alle indiscrezioni secondo cui gli Usa avrebbero preparato un piano da 30 miliardi di dollari per incentivare l’Iran a firmare un programma nucleare civile. Di certo c’è che l’Iran non permetterà più a Rafael Grossi, direttore Aiea, di visitare i suoi impianti nucleari, né permetterà l’installazione di telecamere di sorveglianza nelle strutture.
Il tutto mentre la Cnn afferma che l’esercito statunitense non ha utilizzato bombe anti bunker nel raid della scorsa settimana su Isfahan, uno dei più grandi siti nucleari iraniani, perché l’impianto è così profondo che gli ordigni non sarebbero stati efficaci. Lo avrebbe dichiarato il capo di stato maggiore Usa, il generale Dan Caine. Per saperne di più bisognerà che la nebbia sugli eventi si diradi. Per ora la Casa Bianca ha accusato il regime di mentire sull’esito della “guerra dei 12 giorni”, e il ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, ha risposto che i «toni sono inaccettabili».
La partita dei dazi
Sui dazi Donald Trump ha avvertito l’Ue, in vista della fine della moratoria valida fino al 9 luglio, invitandola a «non essere stupida». Nel mezzo delle trattative è arrivata la minaccia tipica del tycoon: «Con la digital tax l’Ue non ne uscirà bene, come sta avvenendo al Canada».
In particolare Trump, appena incassato l’aumento al 5% delle spese nella Nato, ha minacciato di anticipare la scadenza del 9 luglio e ha avvertito che «l’Ue imparerà a non essere cattiva con noi». Il presidente Usa ha affermato che sulla scadenza della moratoria si vuole tenere le mani libere: «Potremmo estenderla, potremmo accorciarla». All’interno dell’Ue ci sono Italia e Germania (paesi esportatori) che spingono per un accordo in tempi rapidi e sono pronte ad accettare un dazio minimo del 10%, mentre la Francia di Emmanuel Macron insiste sulla reciprocità e non vuole dazi neppure sul cognac.
A sorpresa con effetto immediato è giunto l’alt alle discussioni commerciali con il Canada del premier Mark Carney, reo di aver approvato un anno or sono una legge sulla tassazione del web ritenuta dalla Casa Bianca vessatoria per i giganti della Silicon Valley, allergici alle tasse e alle regole. Sulla Cina il presidente ha affermato di aver raggiunto un’intesa.
A pochi giorni dalla scadenza del 9 luglio fissata da Trump per definire un accordo commerciale con Pechino, il governo ha però ribadito che non accetterà intese che vadano contro i propri interessi.
«La Cina si opporrà fermamente a qualsiasi accordo raggiunto a spese dei suoi legittimi diritti», ha dichiarato un portavoce del ministero del Commercio, sottolineando che eventuali concessioni imposte per ottenere una riduzione dei dazi non saranno mai accettate.
La Cina e il Canada
La posizione di Pechino sembra essersi irrigidita nelle ultime ore, dopo che nei giorni scorsi lo stesso ministero aveva confermato i dettagli del quadro negoziale raggiunto a inizio giugno a Londra, che prevedeva un’accelerazione da parte cinese nelle autorizzazioni all’export di “prodotti controllati” e, in cambio, la rimozione di alcune misure restrittive statunitensi.
Pechino avverte che ogni passo avanti dovrà basarsi sul principio di equità e rispetto reciproco. Non esattamente un buon viatico. Senza contare che il Canada ha fatto sapere di un accordo raggiunto al G7 sulla tassazione globale delle multinazionali, con una vistosa esenzione per le compagnie statunitensi, fatto che rappresenta una nuova vittoria per Trump. La svolta rischia di stravolgere la “global minimum tax” su cui era stato raggiunto un accordo storico nel 2021 e che puntava a porre fine alle pratiche di elusione fiscale delle multinazionali: in particolare le Big Tech statunitensi.
La svolta esenta le compagnie americane da alcune parti del nuovo regime fiscale, in ragione delle tasse che già pagano negli Usa.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
)DOPO IL PRIDE DI BUDAPEST SARA’ PIU’ CHIARO A TUTTI CHE I DIRITTI DELLA PERSONA SONO PRIORITARI E NON UN ARGOMENTO SNOB
Forse, dopo il Pride di Budapest, sarà più chiaro a tutti che i diritti della persona sono cosa di primissimo rilievo politico. Non un “falso obiettivo” per una sinistra disorientata e ripiegata su se stessa, non uno sfizio, e quasi un vizio, da occidentali annoiati, non uno spreco di energie distolte dalle questioni sociali e salariali.
No: qualcosa che riguarda l’essenza stessa della democrazia, in grado di costringere un intero continente, classe politica e
opinione pubblica, a riflettere su se stesso, con l’odio sovranista che si mette (inutilmente) di traverso e il truce governo ungherese isolato e costretto alle corde assieme al cospicuo novero dei suoi alleati europei, governo italiano in primo luogo.
Il Pride (con il suo ampio corollario di movimenti e di attivisti) è un fiume gonfio di libertà, il folklore da un lato, l’eccesso di pedanteria ideologica dall’altro, non levano peso a una materia per nulla fumosa, fatta di persone in carne e ossa e di vite quotidiane (non si dice sempre che la politica deve occuparsi della vita quotidiana delle persone?).
Orbán lo sa benissimo, che la sostanza di quel movimento è una visione plurale e liberale della società, e per questo, in sintonia con il suo faro politico Putin, non lo sopporta: fino a vietarlo. Ieri (sabato 28 giugno) ha perso clamorosamente una battaglia importante, e ancora non si sa chi vincerà la guerra. Ma di qui in poi il vecchio argomento “si parla troppo di diritti, poco di politica vera” ha perso ragione d’essere.
(da Repubblica)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL PORTAFOGLIO DEI CONSUMATORI VIENE SVUOTATO DA TASSE E DALL’AUMENTO DEI PREZZI DEL CIBO – PER IL 35.1% DELLE FAMIGLIE I COSTI PER LE VISITE MEDICHE SONO UN PROBLEMA (LE LUNGHE LISTE D’ATTESA NELLA SANITA’ PUBBLICA COSTRINGE GLI ITALIANI A RIVOLGERSI AL PRIVATO)
Il 42.4% degli italiani dichiara di sentirsi più povero rispetto ad un anno fa e il 46.0%
è convinto di avere le stesse possibilità economiche dello scorso anno, solo il 6.7% si sente più ricco.
Sono questi i risultati di un sondaggio di Only Numbers. Tra il 2019 e il 2024, l’Istat ha rilevato una perdita del 10,5% del potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali, mentre le retribuzioni “effettive” secondo le loro rilevazioni hanno perso circa il 4,4%, a causa dell’inflazione elevata. Il rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) segnala che dal 2008 al 2024, l’Italia ha registrato un calo dei salari pari
all’8.7% tra i Paesi del G20, anche se -sempre dalla stessa fonte Oil- viene comunicato che i salari reali hanno recuperato un +2.3% nell’arco del 2024.
Questo scenario suggerisce che il potere d’acquisto dei lavoratori italiani è ancora significativamente ridotto rispetto al periodo pre-inflazione, nonostante i recenti segnali positivi rilevati ad esempio con il taglio del cuneo fiscale deciso dal Governo di Giorgia Meloni nel 2023, che ha permesso un leggero aumento del netto in busta paga per i redditi medio-bassi.
Affiora comunque una certa differenza tra percezione soggettiva della povertà e i dati oggettivi. In effetti, molti italiani si sentono più poveri anche quando i numeri ufficiali non mostrano un peggioramento altrettanto marcato.
Le sensazioni che si registrano nascono anche per una combinazione di fattori economici strutturali e – sicuramente – psicologici che si sono aggravati negli ultimi anni a causa anche dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente.
I cittadini oggi non si sentono solo più poveri economicamente, ma anche più insicuri, più frustrati e meno speranzosi nel futuro che in maggioranza non riescono a pianificare. Emerge quindi un vincolo esterno nella percezione di impoverimento degli italiani che influenza negativamente la vita quotidiana delle persone e rafforza la sensazione soggettiva di essere più poveri, anche se non dipende direttamente dalle scelte individuali o interne del Paese. Ad esempio, l’inflazione “importata” a causa delle guerre, dei blocchi delle vie di trasporto e delle tensioni internazionali, ha causato un aumento dei prezzi delle materie
prime (petrolio, gas, grano, …), mettendo in difficoltà il nostro Paese che, importando questi beni, subisce tutti i rincari che si riflettono sui prezzi al consumo quindi, la bolletta del gas aumenta perché il costo del gas russo è salito e così via… Le principali voci di spesa delle famiglie italiane sono influenzate da fattori come reddito, inflazione, zona geografica e composizione del nucleo familiare.
I cittadini intervistati nel sondaggio di Only Numbers hanno identificato gli alimentari (54.4%) e le tasse (53.5%) – siamo giusto in periodo di dichiarazione dei redditi – come ciò che incide maggiormente sul loro portafoglio. Anche il costo della gestione della casa (42.9%) con affitto, mutuo, utenze, … è diventato per loro una spesa importante.
Tutto ciò riflette anche una perdita di un importante punto di riferimento, perché la casa, che una volta era vista come un bene rifugio e un simbolo di stabilità, oggi è vissuta, per chi si sente in difficoltà, come un costo pesante, un impegno “rigido” e una fonte di incertezza.
Anche le spese mediche rappresentano un problema crescente per molte famiglie italiane (35.1%), e contribuiscono alla percezione generale di impoverimento. Oggi la sanità è pubblica, tuttavia non sempre accessibile nei tempi e nei modi necessari, così, per molti italiani, curarsi è diventato un costo imprevisto e spesso insostenibile, che aggrava l’equilibrio economico familiare. Infine tra le spese più importanti del budget familiare il campione di italiani intervistati da Only Numbers ha indicato l’auto, considerandola quasi un bene necessario, ma molto costoso.
L’auto in Italia non è considerata un lusso, tuttavia è diventata una necessità costosa. Il problema non è solo comprarla, ma mantenerla nel tempo, questo la rende una delle spese pesanti e “ineliminabili” per milioni di famiglie. Al fondo del bilancio stimato dal campione di italiani compaiono lo svago e il divertimento (10.2%), la scuola e l’Università, il doposcuola, i campus, le colonie per i figli (6.4%), l’abbigliamento (4.2%) e il trasporto pubblico (2.9%).
È questa la classifica delle spese individuate –insieme a poche altre- che incidono maggiormente sul bilancio delle famiglie italiane. L’Italia, come molti altri Paesi, è vincolata da diversi fattori esterni che limitano – o condizionano fortemente – le sue azioni e decisioni politiche. Questi limiti derivano da obblighi internazionali, economici e geopolitici, tuttavia il nostro Paese non è del tutto impotente nelle sue azioni.
Sulla base di queste convinzioni il 62.6% dei cittadini intervistati è molto severo nel giudizio, non essendo convinto che siano stati fatti passi in avanti nel realizzare qualcosa di utile per aiutare le famiglie di fronte alle difficoltà economiche, mentre un italiano su quattro (27.9%) si dichiara più ottimista sostenendo l’azione del Governo e riconoscendo che, nonostante tutto, sta ottenendo dei risultati nell’aiutare i cittadini a contrastare il carovita.
Il giudizio sul Governo di Giorgia Meloni si “blocca” sugli elettorati perché prevale l’identità politica sulla valutazione razionale delle condizioni di vita. Così il centro destra risulta cautamente ottimista con dei buoni giudizi, mentre il centro sinistra si dimostra molto duro ed inflessibile esprimendosi
compatto sulla mancanza di risultati in tal senso. La sensazione di impoverimento che tanti italiani provano oggi, nasce dalla fatica quotidiana di far quadrare i conti. Quando la casa e il mangiare diventano un peso, la salute un lusso e l’auto una necessità troppo cara, non si parla solo di economia, ma di dignità. La percezione di un’Italia più povera è lo specchio di un disagio profondo, ma anche di una domanda di risposte concrete. Dare ascolto a questo disagio diffuso non è solo un dovere politico, ma una responsabilità collettiva. Sebbene i dati non sempre mostrino un collasso economico, la percezione di povertà è reale e va compresa come un indicatore sociale importante.
Alessandra Ghisleri
(da lastampa.it
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
QUASI UN PROGETTO SU DUE E’ IN RITARDO: PER IL SISTEMA SANITARIO SONO STATI SPESI MENO DI 3 MILIARDI SU 15,6 A DISPOSIZIONE… CARENTI LE MISURE ANTIFRODE E LA TRASPARENZA
È stato il moloch della politica negli ultimi anni. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, noto con il cacofonico acronimo Pnrr, avrebbe dovuto rivoluzionare la sanità, cambiare il look delle infrastrutture e accelerare la digitalizzazione, dalla giustizia allo sviluppo, con la stella polare della svolta green. E con il macro-obiettivo di riavvicinare il Mezzogiorno al resto del paese.
A un anno dalla scadenza, resta un elenco di buone intenzioni. I dati ufficiali sono sempre pochi e parziali. Quelli dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) riportano comunque di una spesa sul potenziamento del sistema sanitario nazionale inferiore a tre miliardi di euro a dispetto dei 15,6 miliardi a disposizione, mentre sulle infrastrutture – in base alla relazione del governo –il ministero di Matteo Salvini aveva speso, fino a sei mesi fa, circa un terzo degli stanziamenti.
Maluccio, certo. Ma meglio rispetto agli investimenti per ridurre il digital divide, affidati al sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti.
Il governo di Giorgia Meloni ha gran parte delle responsabilità del disastro. Ha voluto accentrare tutto a palazzo Chigi, affidando il dossier a Raffaele Fitto, prima del trasloco a Bruxelles. I risultati sono deficitari. Il cambio della governance non ha funzionato. Anzi.
Cantieri fantasma
A certificare l’affanno è un’analisi dell’associazione Federcepicostruzioni, che ha citato uno studio di Banca d’Italia e Ance, l’associazione dei costruttori: fino all’inizio della primavera il 40 per cento dei cantieri è segnalato in ritardo.
Le cause sono varie: poco personale amministrativo, autorizzazioni concesse a rilento e soprattutto rincari delle materie prime. Una sorta di conferma è arrivata in maniera indiretta da una recente assemblea Ance: il 60 per cento delle opere è in corso di lavorazione (senza specificare se in tempo) o concluso. Quindi quattro su dieci no.
Il governo vuole mettere una toppa e dirottare molti fondi verso altre destinazioni, ristorando i danni arrecati dalla guerra commerciale dichiarata da Donald Trump o sostenendo i sovrapprezzi dell’energia.
Il Pnrr ha attraversato tre governi, due legislature, e visto due diversi ministri, Fitto – appunto – e il suo erede Tommaso Foti. Ma con lo stesso risultato. Ora scorge all’orizzonte l’ultimo chilometro, ossia l’ultimo anno. Salvo proroghe la deadline è fissata a giugno 2026. Altrimenti le risorse non impiegate faranno ritorno al mittente.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, perora la causa della dilazione delle scadenze. Uno dei nodi è che non esiste neppure una cartina di tornasole sullo stato di attuazione. Secondo stime del database Edilconnect, un 20 per cento dei cantieri potrebbe non essere stata registrata ufficialmente. La mano destra non sa cosa fa la sinistra.
La mitologica “messa a terra del Pnrr” resta una nebulosa allo stato gassoso, con tanti saluti alla trasparenza. Appena qualche mese fa l’associazione Openpolis ha denunciato «la perdurante scarsa trasparenza che ha accompagnato e continua in buona misura ad accompagnare l’attuazione del Pnrr».
Il Piano rappresenta sempre una miniera d’oro, 194 miliardi di
euro da mettere su ogni capitolo di spesa.
Pil fiacco
Eppure l’economia del resto se n’è accorta poco. Prodotto interno lordo alla mano non c’è stato alcun miracolo italiano. Nel 2024 la crescita è stata asfittica, dello 0,7 per cento, nel 2025 (secondo l’ultima previsione Istat) dovrebbe andare pure peggio, fermandosi al +0,6 per cento. Stesso discorso vale per la produzione industriale: dopo due anni di calo, solo ad aprile si è registrata una lieve inversione di tendenza (+0,3 per cento su base annua).
Certo, non c’è la controprova di come sarebbe andata senza il Piano. Fatto sta che “ritardo” è la parola che più riecheggia tra gli attori interessati.
Il cortocircuito è in alcuni casi clamoroso. Addirittura, l’ultima revisione da inviare alla Commissione europea è slittata. Era attesa per fine giugno se ne parla nella prima metà di luglio.
Un ritardo anche sulla strategia per evitare i ritardi. Le situazioni grottesche abbondano. I soldi per gli asili nido ci sono, 800 milioni di euro per un bando pure prorogato. Ma a fine aprile solo il 50 per cento è stato richiesto, l’altra quota dovrebbe finire all’edilizia scolastica. Il tempo stringe, bisogna capire come spendere quei soldi.
Controlli deludenti
Alcuni elementi sembrano quasi di folklore e aiutano a rendere l’idea della situazione. L’apposita unità di missione del Pnrr, istituita a palazzo Chigi, alla fine del 2024 aveva speso meno del 20 per cento del miliardo e 700 milioni di euro in dotazione. Ancora più seria la situazione al ministero del Lavoro, affidato a
Marina Elvira Calderone, che sulla spesa sostenuta va a rilento con un dato inferiore al 10 per cento secondo l’ultima relazione ufficiale del governo.
Si muove un po’ di tutto sotto il cielo del Pnrr. I riflettori sono stati puntati finanche sulle procedure anti-frode. «È auspicabile rendere più semplici e standardizzate le procedure di controllo, sia nazionali che europee, tramite minori sovrapposizioni di competenze, che consentirebbero anche di accrescere la capacità amministrativa delle strutture deputate ai controlli», ha evidenziato la Corte dei conti.
Da qui la deriva la preoccupazione, espressa di recente dall’Anac, per l’incremento degli affidamenti non concorrenziali, nella soglia tra 135 e 140mila euro, «più che triplicati rispetto al 2021, quando il valore-limite era di 75mila euro», ha sottolineato il presidente dell’Autorità, Giuseppe Busia.
La pietra angolare resta la sanità, visto che il Next generation Eu è nato in risposta al Covid.
Di recente, sempre la Corte dei conti, ha denunciato la vergogna delle liste d’attese che restano infinite, con buona pace del Pnrr. E qui vengono in soccorso alcuni dati forniti dall’Ufficio parlamentare di bilancio in un dossier pubblicato a maggio.
«Il Pnrr prevede un vincolo di destinazione delle risorse al Mezzogiorno, ma la revisione verso il basso dei target sugli interventi edilizi e la mancanza di nuovi obiettivi regionali coerenti con la revisione potrebbe non garantire il previsto riequilibrio infrastrutturale anche se i traguardi europei fossero rispettati», osservano i tecnici dell’Upb.
Con un esempio: «Per le Case della comunità (Cdc) e per gli Ospedali di comunità (Odc) la presenza di cantieri in fase esecutiva o conclusiva non è omogenea sul territorio».
Accentramento
Un grande caos per la burocrazia, dietro cui si intravede la longa manus del governo, famelica di potere. Ma inadatta guidare i processi. Meloni ha gestito il Pnrr con la visione politica dell’accentramento.
L’allora ministro del Pnrr Fitto ha voluto portare sotto il controllo personale tutte le operazioni con l’apposita struttura di missione e l’ispettorato presso la ragioneria dello stato. Una manovra laboriosa, che ha contribuito ad accumulare i ritardi.
Per definizione la nascita di nuovi organismi richiede tempo e una fase di assestamento nel frattempo si rimette in moto l’apparato. Poco male. Fitto ha acquisito centralità, diventando il pivot del Pnrr che già arrancava.
La figura essenziale, almeno fino a quando non ha spiccato il volo verso i cieli di Bruxelles, diventando vicepresidente della commissione europea. I problemi sono stati trasferiti in toto al suo erede Foti. Un passaggio di consegne che ha ulteriormente frenato l’attuazione del Pnrr.
Il risultato? Ancora oggi si prospetta l’ennesimo decreto per le misure previste dal Piano. Prima della fine dell’estate, a fine luglio-inizio agosto (al più tardi alla ripresa di settembre), il governo varerà un altro provvedimento per centrare le richieste di semplificazioni burocratiche previste.
Il ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo, ha annunciato l’intervento nell’audizione parlamentare tenuta in
settimana. Non una novità. L’esecutivo di Meloni ha prodotto un’enorme mole di provvedimenti limitandosi a elogiare il rispetto dei target e delle milestone previste.
Spesso si tratta infatti di misure spot. Basti pensare ai due disegni di legge sulla concorrenza, effettivamente licenziati dal consiglio dei ministri, per raggiungere gli obiettivi numerici. Ma senza un vero impatto sulla liberalizzazione dei mercati. Mirabile fotografia dell’insostenibile leggerezza del Pnrr.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
L’ULTIMA: GLI ARBITRI COME PUBBLICI UFFICIALI
Peggio del gioco delle tre carte. Nordio e Piantedosi sono già degli specialisti col reato
di femminicidio e l’aggravante per le aggressioni ai poliziotti. Ora ci si mette pure Abodi per accaparrarsi il favore degli arbitri di calcio. Basta cambiare nome all’articolo del codice che c’è già e usarne uno più attraente. L’ultima è del ministro dello Sport che vende per nuove pene dure per chi aggredisce l’arbitro. Peccato che già c’erano. Ma staniamo prima i magheggi di Nordio e Piantedosi. A partire dal “nuovo” reato di femminicidio, lanciato giusto per l’8 marzo.
Davvero l’ergastolo è una conquista per le donne? Macché.
L’omicidio può essere già punito con l’ergastolo. Basta leggere gli articoli 575, 576 e 577 del codice penale, almeno 13 circostanze aggravanti, se riferite ai femminicidi, producono l’ergastolo. Quindi Nordio punisce un fatto che è già reato e per di più con la pena che c’è già per i femminicidi. Ma c’è di più, al nuovo reato applica le aggravanti dell’omicidio. E qui casca l’asino: come si può aggravare l’ergastolo, cioè la pena più grave in assoluto? Il Guardasigilli Rocco poteva farlo, perché nel suo codice c’era la pena di morte, Nordio no.
E Piantedosi che vuol proteggere i poliziotti? Nel dl Sicurezza ci sono pene più severe per chi li aggredisce. Ma era già possibile. Se avessi dato un morso sulla mano a chi mi stava arrestando non me la sarei cavata. Lui, con Nordio, duplica maldestramente la stessa pena, ma la sposta in un altro articolo, creando problemi di coordinamento che stanno facendo impazzire toghe e avvocati alle prese con due norme diverse sullo stesso reato. Dal 2019, per giunta, il 583-quater si applica a chi aggredisce l’arbitro.
Ma la politica dello “specchietto per le allodole” va oltre. È vero che il dl Sicurezza punisce per la prima volta le rivolte in carcere? Bella bugia. Perché erano già punibili col danneggiamento e la devastazione fino a 15 anni. Leggete l’articolo 419 del codice penale. E ancora. È vero che per la prima volta sarà punito chi occupa una casa? “Neanche per sogno – chiosa Gian Luigi Gatta, dalla cattedra di Diritto penale dell’Università Statale di Milano – perché si applicava già il 633 sull’invasione di terreni o di edifici sia a chi occupava case sia a chi… organizzava i rave party…”. È vero che ora rischia di più
chi uccide un orso marsicano? Altra bugia, il reato c’è già. Orso compreso.
E Abodi che fa? Col solito articolo 583-quater proteggerà di più gli arbitri? Da Gatta un no perentorio: “La norma esiste dal 2007 per i poliziotti in servizio negli stadi, inserita dopo l’omicidio dell’ispettore Raciti nel derby Catania-Messina”. Nel 2019 Matteo Salvini, nel suo dl Sicurezza-bis, la estende agli arbitri. Fa fede l’articolo 13. Ma ora, con la norma Abodi, il “nuovo” reato è perseguibile a querela, va in mano ai giudici di pace, potrebbe punire di meno chi picchia se le lesioni sono lievi. Ma le “vere” tutele sono altre, e restano. Come quella di Berlusconi premier del 2006 che per Gatta “esclude la qualifica di pubblici ufficiali per gli arbitri che gestiscono gli arbitrati tra società da milioni di euro”. Insomma, gli arbitri sportivi sono pubblici ufficiali se pigliano un pugno, quelli di un ricco arbitrato non lo sono se incassano la mazzetta. Della serie, c’è arbitro e arbitro…
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
PARLA LO STORICO CARLO GREPPI, CO-AUTORE DEL LIRO DI STORIA ATTACCATO DAL GOVERNO….LA CASA EDITRICE LATERZA: “SIAMO ALL’ANTICAMERA DELLA CENSURA”
“Questa vicenda solleva un interrogativo inquietante, che va ben oltre noi e questo libro: quali solo le intenzioni del ministero dell’Istruzione e del Merito? Davvero siamo arrivati a questo punto?”. Se lo è chiesto Carlo Greppi, storico e scrittore che è tra gli autori (insieme a Caterina Ciccopiedi e Valentina Colombi) di Trame del tempo, manuale di storia per le scuole superiori finito al centro degli attacchi della destra e del governo.
La polemica è scoppiata quando un quotidiano ha ripreso un passaggio del libro, che nelle pagine dedicate alla storia contemporanea cita anche Fratelli d’Italia e afferma che il partito “continua ad avere una stretta relazione con la sua ‘base’ dichiaratamente fascista – come dimostra anche l’inchiesta di Fanpage di giugno 2024 Gioventù meloniana”, oltre a parlare di “misure dichiaratamente liberticide” come il decreto Sicurezza.
Da quel momento è partita l’offensiva della maggioranza. Prima si sono schierati i parlamentari di FdI. La vicecapogruppo dei meloniani alla Camera, Augusta Montaruli, ha detto che “uno può avere delle opinioni, però questo è troppo”, e che “l’aperta faziosità del testo è a senso unico, e il fatto che sia adottato in più scuole lo rende un problema diffuso”.
Non sono bastate le dichiarazioni, però. Da Fratelli d’Italia è arrivata anche la richiesta di intervenire al ministero dell’Istruzione. E il ministro Valditara ha risposto: nella giornata di mercoledì ha fatto sapere di aver chiesto alla Associazione italiana editori (Aie) una “rapida verifica circa la correttezza delle informazioni e dei fatti storici riportati nel libro”, e ha sottolineato che non si possono usare ” volumi che contengano frasi offensive ovvero affermazioni tendenziose, che alterino la verità dei fatti”.
Lo storico Greppi, che aveva commentato l’inchiesta di Fanpage.it quando era stata pubblicata, ha preso la parola sui social per dire che “la questione ha assunto fin da subito caratteri assai gravi”, e che il ministro ha chiesto una verifica “in vista di eventuali provvedimenti”. Greppi ha chiarito che “continua a sottoscrivere” i contenuti della pagina su cui la destra ha montato una polemica. E ne ha pubblicato una foto, per permettere di leggerla interamente.
Greppi ha anche parlato del timore che “questa voglia di mettere museruole” abbia gli “effetti intimidatori auspicati nel mondo dell’editoria scolastica”. Oggi Alessandro Laterza, amministratore delegato di Editori Laterza, ha preso le difese del manuale in una lettera aperta alla Stampa, in cui ha scritto: “Il ministero invita l’Aie a verificare i contenuti – parrebbe – dell’intera opera pubblicata da un editore associato ed eventualmente a intervenire”, e ha attaccato: “Siamo nell’anticamera della censura e della violazione di non so quanti articoli della Costituzione. In fondo i manuali di storia, specie se di alcuni editori o autori, sarebbe meglio ‘verificarli’ prima. Riscrivere la storia e i manuali di storia è un vecchio sogno della destra”.
(da Fanpage)
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