“45 MILIARDI DI TASSE IN MENO”: RENZI SE NE INVENTA UN’ALTRA
IL NUOVO SLOGAN PER LE AMMINISTRATIVE (PER CHI CI CREDE)
Dalle ultime amministrative, gli mancava la parola d’ordine. Anzi, forse gli mancava dall’approvazione dell’Italicum, visto che quella sulla ‘Buona scuola’ non ha funzionato dal punto di vista elettorale.
Dopo gli 80 euro in busta paga, che l’anno scorso ha contribuito a irrorare il 40 per cento conquistato dal Pd alle europee, Matteo Renzi trova un nuovo mantra che gli regala narrazione da qui all’anno prossimo, campagna elettorale per le amministrative 2016 compresa.
“Se facciamo le riforme nel 2016 – dice il premier-segretario all’assemblea del Pd riunita all’Expo – potremo intervenire con una sforbiciata delle tasse che proseguirà nel 2018”.
L’elenco è: “via la tassa sulla prima casa, l’Imu agricola e la tassa sugli imbullonati (macchinari fissi) nel 2016; nel 2017 ci sarà un intervento su Ires e Irap e nel 2018 interventi sugli scaglioni Irpef e sulle pensioni”.
E’ la sfida alla minoranza Dem che, a suo dire, blocca le riforme.
E’ il nuovo strumento comunicativo per eliminare dal Pd l’etichetta di “partito delle tasse”. E’ il jolly su cui Renzi scommette per vincere la sfida delle comunali delle grandi città l’anno prossimo.
Funzionerà ? L’eliminazione della tassa sulla prima casa “è sostenibile perchè già ridotta”, dice pure un non renziano come Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio alla Camera, parlando con i giornalisti dopo la relazione del premier.
I collaboratori del presidente del Consiglio fanno subito di conto.
Si tratta di tagli alle tasse per 5 miliardi nel 2016, 20 miliardi nel 2017, altri 20 nel 2018.
Ma al di là della sostenibilità — lo si vedrà solo nella legge di stabilità 2016, dopo il completamento delle riforme costituzionali — qui, all’aria condizionata dell’auditorium di Expo che salva i delegati dai 40 gradi di una torrida Milano di metà luglio, Renzi cerca il nuovo slancio, la nuova parola d’ordine, la nuova sfida e magari anche i nuovi ‘nemici’ interni, cosa che gli ha sempre portato bene nel primo anno e mezzo di governo.
In questo senso, il premier sceglie l’approccio da ‘Renzi 1′, annunciato già dopo le amministrative, ormai tempo fa.
Ora è arrivato, nella calura di metà luglio, a ridosso delle ferie estive e con il calendario delle riforme spostato a settembre.
Ad ogni modo, è un Renzi senza sconti, aggressivo e anche un po’ canzonatorio con la minoranza interna che strepita per gli avvicinamenti ai voti dei berlusconiani Verdini e Cosentino. Lui Verdini non lo nomina nemmeno. Lo fa il presidente Matteo Orfini, elogiando le riforme che coinvolgono l’opposizione: “Ma davvero pensate che Verdini possa diventare un dirigente del Pd?”.
Renzi invece rivendica il Nazareno, “per i contenuti”, ma anche l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, che ha strappato il patto con Berlusconi causando problemi alla maggioranza sulle riforme, soprattutto al Senato.
E finanche “il cambio di passo ottenuto in Europa con il piano Juncker sugli investimenti, anche se deve fare passi in avanti…”.
La minoranza interna è “la tribù dei musi lunghi”, quelli che “prendono il biglietto per andare a sostenere il ‘no’ al referendum in Grecia e non si rendono conto che Tsipras stesso ha preso la strada del riformismo…”, firmando l’accordo a Bruxelles.
Fassina? Non viene citato ma, dice Renzi: “Rispetto chi se ne va dal Pd ma chi immagina di vincere la sfida spostando la sinistra un po’ più in là , perde ovunque nel mondo. Ed Miliband docet”, in Gran Bretagna e non solo.
Civati? Naturalmente non è citato nemmeno lui ma: “Più che possibile a noi sembra improbabile…”, ironizza il premier.
Messa a posto la minoranza interna, sistemati Grillo, Salvini e la sinistra radicale, appurato che se il Pd è in crisi “è solo per il caldo: o si usa l’aria condizionata o si fa politica, scelgo la seconda”,
Renzi lancia il suo programma: riforme e taglio alle tasse. Non senza lanciare la rassicurazione più forte, diretta all’Europa, alla Germania di Angela Merkel e Wolfgang Schauble.
Il ragionamento è: se ora “ il Fondo Monetario Internazionale e anche il Wall Street Journal criticano l’austerity, noi siamo d’accordo. L’Europa così non va”. Ma questo non significa che l’Italia chiederà sconti sul debito per abbassare le tasse: “Dal 2016 l’Italia continuerà a rispettare il principio del 3 per cento del Trattato di Maastricht: la curva del debito calerà , non aumenterà . L’Italia sarà il paese del principio di ragionevolezza. Sul debito niente colpi a sorpresa”.
Rassicurazione importante ora che si discute della ristrutturazione del debito greco: Roma non è Atene.
“Saremo giudicati credibili in fase di campagna elettorale”, conclude Renzi.
Non senza aver stabilito un calendario — quasi tutto post agostano — delle riforme. A partire da settembre, prima della legge di stabilità , “bisogna chiudere il ddl Boschi al Senato e alla Camera e approvare le unioni civili definitivamente al Senato.
Entro il 7 agosto la riforma della pubblica amministrazione dovrà ottenere la lettura definitiva al Senato”.
C’è un punto: con lo slittamento delle riforme, sfuma anche la certezza di tenere il referendum costituzionale a giugno dell’anno prossimo.
E con essa sfuma anche il tema che Renzi si era scelto per la campagna elettorale delle amministrative 2016: il vanto per aver abolito il Senato e tagliato le spese della ‘casta’.
Ma oggi a Expo il premier ha trovato il suo nuovo jolly elettorale: abbassare le tasse. Da qui all’anno prossimo, è il suo nuovo cavallo di battaglia.
(da “Huffingtonpost”)
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