ACCUSE SMONTATE DALLA CASSAZIONE, MA LA PROCURA DI LOCRI VUOLE IL PROCESSO A MIMMO LUCANO
LA MACCHINA DEL FANGO CONTINUA, NONOSTANTE IL GIP AVESSE AMMESSO SOLO DUE CAPI DI IMPUTAZIONE SUI 14 RICHIESTI E LA CASSAZIONE AVESSE CASSATO ANCHE I DUE RIMASTI
Partiamo dai fatti. Mimmo Lucano è stato rinviato a giudizio. La decisione è stata presa dal gup di Locri Amelia Monteleone, che ha preso lo stesso provvedimento anche per gli altri 29 imputati nel processo sul sistema Riace.
Tra questi, c’è anche la moglie del sindaco sospeso della cittadina calabrese, Lemlem Tesfahun.
Ma sarà un processo vuoto, con al banco degli imputati un’idea di reato più che un reato vero e proprio. L’impianto che i magistrati avevano costruito intorno al sindaco di Riace per la gestione del suo modello di accoglienza, infatti, ha affrontato due prove decisive — di cui i giudici del processo, la cui prima udienza ci sarà il prossimo 11 giugno, dovranno per forza tenere conto — che hanno chiaramente ridimensionato una vicenda che è costata a Riace la sua fama di città dell’accoglienza e al suo sindaco una macchina del fango davvero senza precedenti.
Le due prove di cui sopra sono innanzitutto il parere del giudice per le indagini preliminari che, a conclusione dell’indagine, aveva stabilito che — dei 14 capi d’accusa — soltanto due stavano in piedi. Che non c’era stata alcuna gestione truffaldina dei fondi, nè alcuna associazione a delinquere. Soltanto il favoreggiamento dell’immigrazione e l’irregolarità per la gestione degli appalti per la raccolta differenziata furono messi in evidenza.
Ma questi due ultimi capi d’imputazione sono stati messi in dubbio dalla Cassazione che aveva chiesto al tribunale del Riesame di rivedere il divieto di dimora a Riace predisposto per il suo sindaco sospeso. Secondo la suprema corte, infatti, Mimmo Lucano non avrebbe violato alcuna legge nel dare gli appalti per la gestione dei rifiuti alle due cooperative di migranti e la situazione del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina appare essere decisamente sfumata.
A Riace — ha detto chiaramente la Suprema Corte — non ci sono state nè ruberie, nè truffe, nè matrimoni di comodo. Il contestato appalto per la differenziata, assegnato dal Comune di Riace a due cooperative del paese che impiegavano italiani e migranti, è stato gestito in modo assolutamente regolare. È la legge — ha sottolineato— a prevedere la possibilità di affidamento diretto a cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria”.
Ora, in ogni caso, Mimmo Lucano andrà a processo, forte di queste due carte da giocarsi. L’accusa, invece, si presenta in aula con un profilo molto più basso di quello mostrato all’inizio. Dalla sua parte, tuttavia, avrà il ministero dell’Interno, deciso a costituirsi parte civile.
Davanti ai giudici, Mimmo Lucano potrà provare la sua innocenza.
Lui non fugge ai processi, a differenza di altri
(da FanPage)
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