ALLA FINE VA SEMPRE IN CULO AI SOLITI: DIPENDENTI E PENSIONATI, AI PENSIONATI SOCIALI IN REALTA’ SOLO 10 EURO IN PIU’
IL TAGLIO ALL’ADEGUAMENTO DELL’INFLAZIONE GARANTIRÀ UN GETTITO DI 3 MILIARDI, MA I PENSIONATI CON ASSEGNI SUPERIORI AI 2MILA EURO RIMARRANNO FREGATI: RISPETTO AGLI “SCAGLIONI DRAGHI” CI SARÀ UNA PERDITA DI 411 EURO L’ANNO
Alla fine il taglio all’adeguamento all’inflazione delle pensioni 4 volte superiori al minimo è stato molto più duro del previsto, tanto da garantire un gettito di ben 3 miliardi, con i quali i pensionati con assegni dai 1.500 euro netti in su contribuiscono più di chiunque altro a far tornare i conti della manovra.
Questo perché la scorciata alle percentuali di perequazione non è avvenuto come in passato sulla sola quota di incremento della pensione ma sull’intero importo.
Fino agli assegni di 4 volte superiori al minimo, corrispondenti a 2.102 euro lordi, circa 1.500 netti, il recupero sarà del 100% ma, è bene ricordarlo, sarà pari al 7,3% e non all’11,9, livello al quale è nel frattempo giunta l’inflazione. Così l’assegno sale a 2.255 euro.
La perdita per gli altri scaglioni di rendita l’ha calcolata lo Spi-Cgil.
Tra 4 e 5 volte il minimo, ossia per gli assegni da 2.000 a circa 2.600 euro, la rivalutazione scende dal 90 all’80% che riduce in pratica il recupero al 5,6%. Ossia una rendita di 2.250 euro al mese dai 2.413 euro previsti con gli “scaglioni Draghi” diventa ora di 2.381 euro, con una perdita netta di 411 euro l’anno.
Da 5 e 6 volte il minino la perequazione scende poi al 55%, così l’attuale assegno di 2.500 euro, che sarebbe dovuto salire a 2689 si ferma a quota 2.600 per una perdita annua di 1.035 euro.
Tra sei e sette volte il minimo, ossia pensioni comprese tra 3.150 e 4.200 euro mensili il recupero scende ancora al 50%. Così un assegno di 3.500 euro che sarebbe dovuto lievitare a 3.736 euro non va oltre i 3.628, per una perdita annua di 1.407 euro.
Salendo ancora ai trattamenti tra sette e otto volte il minimo il recupero cala al 40%. Tanto che un assegno di 4mila euro lordi mensili anziché salire a 4.263 euro si ferma a quota 4.146, che significa dover rinunciare in un anno a 1.521 euro.
Oltre otto volte il minino poi il recupero del caro-vito si riduce a un modesto 35%, il che significa che una pensione di 4.500 euro lordi mensili che doveva salire a 4.790 euro non andrà oltre da gennaio prossimo a 4.631 euro, perdendone così 2.62 in un anno.
C’è da dire che a settembre le pensioni dovrebbero beneficiare di un nuovo adeguamento all’inflazione reale, se questa continuerà a viaggiare su numeri a doppia cifra. Ma anche in questo caso il recupero sarà più parziale di quello che si sarebbe ottenuto con i vecchi scaglioni di perequazione al caro-vita.
Che secondo il centro studi della Uil politiche sociali dal 2011 al 2021, tra un primo blocco della perequazione imposto dalla legge Fornero e i successici adeguamenti ridotti è già costato un’intera mensilità ai pensionati con assegni quattro volte superiore al minimo.
I pensionati al minimo, che con la manovra intascano una mancetta che fa salire il loro assegno da 524 euro mensili a 570 il primo anno e a 589 nel 2024. Somme che ricomprendono anche l’adeguamento all’inflazione e che quindi in termini reali si riducono a poco più di una decina di euro, buoni per qualche caffè al bar.
(da La Stampa)
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