BALNEARI, TASSISTI E AMBULANTI: GLI “INTOCCABILI” PROTETTI DALLA MELONI
DECENNI DI PRESSIONI LOBBISTICHE PER BLOCCARE LA LIBERA CONCORRENZA
Ci sono il titolare di un lido, un tassista di Milano, un ambulante di Roma e un dirigente di un ministero. Può sembrare l’inizio di una barzelletta, ma non è così. Al contrario queste persone sono dentro una storia seria e complessa che segna una sconfitta per la nostra Pubblica Amministrazione.
Da anni, l’Ue, le autorità a tutela dei consumatori, singoli politici, giudici coraggiosi cercano di indirizzare il vento benefico della concorrenza verso questi tre settori: il commercio degli ambulanti, i taxi, le concessioni balneari (ben 12.166 in Italia).
Ma la stratificazione abnorme di leggi e leggine, le sfide delle norme regionali ai dettami (corretti) della Corte Costituzionale, i possibili affronti del Parlamento al Consiglio di Stato: tutto questo ha impedito di migliorare le cose. E aggrava adesso la situazione – avverte la Corte dei conti – la montagna di cause che pendono nei Tribunali, firmatari proprio i balneari.
La concorrenza permetterebbe a giovani imprenditori di rinnovare questi settori, chiusi e a volte polverosi; di offrire servizi migliori, a prezzi più bassi; di sostenere l’Erario.
Fin dal 2008, la Nadef del governo – che aggiorna l’istantanea delle nostre finanze – incoraggia a una gestione grintosa delle concessioni, così da limare il debito pubblico. Invece nel 2020 – ultimo dato noto – lo Stato incamera dai balneari appena 91,8 milioni. I canoni quest’anno aumenteranno del 25,15%, primo segno di vita.
Il consenso di Meloni
Ora, per uno scherzo del destino, il pallone che scotta è sui piedi del governo Meloni. A intervenire sulla concorrenza sarà un esecutivo che raccoglie larghi consensi proprio tra le categorie cui dovrebbe far gol. E complica il suo lavoro l’ennesima buca che si apre in questa strada già così dissestata.
La Corte dei conti si accorge che – dal 2012 – ha preso forma un enorme “contenzioso” ai danni della PA. Sono le cause civili che i balneari (ancora loro) hanno presentato nei Tribunali. Cause che spesso chiedono conto – ecco il dato nuovo – del continuo cambio delle leggi: un sistema di sabbie mobili che avrebbe leso, sostengono, la loro libertà d’impresa.
Le concessioni sono regolate dall’articolo 37 del Regio Decreto 327, la cui prima versione risale al 1942, con Mussolini ancora al potere. Qui, in era repubblicana, compare “il diritto di insistenza”. A introdurlo è il Parlamento, nel 1993. Prevede che il titolare di una concessione – alla scadenza del permesso di usare il bene pubblico – goda di una prelazione.
Può restare dove è – ad esempio su una spiaggia, con il suo lido – anche se un’altra persona o impresa vorrebbe subentrargli. Quindici anni dopo, 2008, la Commissione Ue alza il primo cartellino giallo sotto il naso dell’Italia. Il “diritto di insistenza” – avverte – imbriglia la concorrenza ed è illegittimo. Parte così una procedura d’infrazione contro il nostro Paese, che si dà una mossa.
La legge Comunitaria
Anzi: lo fa per metà. La legge Comunitaria (la 2017 del 2011) cancella il “diritto di insistenza“ e incarica il governo di una riforma organica delle concessioni. La Commissione Ue allora fa un’apertura di credito all’Italia e – a febbraio 2012 – ritira la procedura.
Otto mesi dopo, con un blitz, il Parlamento rinnova le concessioni fino al 2020. La riforma, quella non arriva più. Intanto migliaia di concessionari avviano delle cause. E i loro legali, in Tribunale, cominciano a lamentare il continuo mutare delle regole. Un diritto (la insistenza) è introdotto nel 1993, cancellato (nel 2011), reintrodotto di fatto (nel 2012) grazie alla proroga.
La storia si ripete
Avanti e indietro. La storia si ripete con la legge di Bilancio del 2018 che allunga le concessioni di ulteriori 15 anni, annunciando una riforma organica (che non arriverà). Forti dell’ennesima proroga, molti imprenditori del mare investono: ristrutturano ristoranti, cambiano tutte le sedie a sdraio, assumono bagnini. Due anni dopo, è il nostro Consiglio di Stato a gelare i loro entusiasmi.
Le sentenze 17 e 18 del 2021 contestano la sanatoria di 15 anni perché contraria alla direttiva Bolkestein dell’Ue. Il Consiglio di Stato la limita così al primo gennaio 2024 nella maggioranza dei casi. Avanti e indietro. E nei Tribunali italiani piovono altre centinaia di cause.
Decine ne arrivano anche nel 2022. I firmatari stavolta sono i concessionari che hanno attività non al mare, ma lungo i laghi e i fiumi; e le imprese della nautica di diporto. Il decreto Agosto – il 104 del 2020 – estende anche a loro la proroga di 15 anni. Motivazione, non illogica: c’è il Covid, la crisi morde. L’anno scorso, però, il governo Draghi avverte – con la sua legge sulla Concorrenza – che anche questo prolungamento è illegittimo.
Così all’estero
In un clima incerto, il governo Meloni cerca una misura di compromesso. Molte buone idee intanto prendono forma all’estero. La Croazia, ad esempio, ammette concessioni lunghe (50 anni) quando il concessionario costruisce un edificio di valore, che subito entra nel patrimonio dello Stato.
Di norma, la maggioranza delle concessioni non supera i 5 anni. In Francia, il costo per i concessionari è molto variabile, a seconda della bellezza della località. E le concessioni non superano i 12 anni.
Anche i tassisti sono, in buona parte, grandi elettori di FdI, Forza Italia e Lega. Le speranze di una liberalizzazione profonda del settore sono remote, dunque. E il danno per le persone si rinnova in un Paese che – in media – ha la metà delle auto bianche di Spagna e Francia.
D’altra parte, la violenta reazione degli autisti – che quasi cinsero d’assedio Palazzo Chigi nell’estate 2022 – costrinse finanche Mario Draghi a tentennare. Servirà un po’ di fantasia, allora. Almeno quella. Ne ha certamente il sindaco di Milano Giuseppe Sala che, in queste ore, ripesca un progetto accantonato nel 2019 causa Covid.
Aumentare le corse dei taxi senza aumentare le licenze. Come? Permettendo al coniuge del tassista e ai parenti fino a terzo grado di guidare la sua vettura, così da prolungare fino a 16 ore i turni di lavoro della giornata.
I chioschi
“Impenetrabili” alla concorrenza – dice l‘Antitrust – sono infine le aree di sosta degli ambulanti su aree pubbliche. L’obbligo di metterle a gara è cancellato dalla legge di Bilancio del 2019. Le concessioni in scadenza sono prorogate al 2032 (dal Decreto Rilancio del 2020).
Ora, è vero: le concessioni sono poche. Le imprese ambulanti, fragili, aprono e chiudono determinando un ricambio. E gli ambulanti, tanti tassisti, alcuni balneari non sono certo odiosi milionari. Ma non è milionario neanche chi vorrebbe cercare denaro e fortuna nei loro settori. E ne viene escluso.
(da La Repubblica)
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