BREXIT, E’ INIZIATA LA SILENZIOSA RETROMARCIA DI LONDRA
I DANNI DELL’USCITA DAL MERCATO COMUNE UNICO SONO SEMPRE PIU’ EVIDENTI E IL GOVERNO STA PENSANDO A UN CLAMOROSO DIETROFRONT
“La settimana in cui è morta la Brexit”, scrive il grande giornalista e commentatore inglese Andrew Neil. Nel frattempo, alcuni euroscettici a Londra sono imbufaliti, inquieti.
Già, perché sulla Brexit è iniziata la silenziosa, clamorosa retromarcia del Regno Unito. Ufficialmente, non leggerete niente in questi termini dal governo britannico, anche perché il nuovo primo ministro Rishi Sunak è un brexiter della prima ora e deve tenersi buona la sostanziosa frangia di euroscettici nel suo partito conservatore.
Ma a Downing Street e nei palazzi di Whitehall è sicuramente iniziata una nuova fase: che punta a un rapporto più funzionale e aperto con la Ue, dopo averla abbandonata neanche due anni fa dopo il referendum del 23 giugno 2016. E ci sono tanti indizi.
Il primo sono le parole. la settimana scorsa del nuovo cancelliere dello Scacchiere, ovvero il ministro delle Finanze britannico Jeremy Hunt, arrivato per rimediare ai disastri finanziari del suo predecessore “Kami-Kwasi” Kwarteng e dell’ex prima ministra Liz Truss: i quali, con i loro folli tagli alle tasse ai ricchi in un momento di congiuntura economica estremamente negativa e inflazionaria, hanno lasciato un buco in bilancio da oltre 50 miliardi di sterline.
Hunt: “Abbiamo bisogno di migranti e più rapporti con l’Ue”
Hunt (che nel 2016 votò contro la Brexit) nei giorni scorsi si è azzardato a dire esplicitamente due cose. Uno: “Per la nostra economia”, al momento disastrata, “abbiamo bisogno di più immigrazione”, ha candidamente ammesso, dopo che proprio la lotta all’immigrazione è stata il pilastro della Brexit e oggi ci sono 1,5 milioni di posti di lavoro che il Regno Unito, senza migranti Ue, non riesce più a colmare. Secondo: “Dobbiamo cercare di avere relazioni commerciali con l’Ue più fluide, e con meno frizioni”, ha aggiunto Hunt, che la settimana scorsa ha presentato al Parlamento la sua manovra lacrime e sangue da 25 miliardi di aumento di tasse e altri 30 miliardi di tagli al welfare, per ridare credibilità finanziaria a Londra dopo la catastrofe Truss.
Non è un caso che oggi il Sunday Times apra il giornale con una prima pagina che sta già infuriando i brexiter. “Il Regno Unito sta pensando di avere con l’Ue un accordo simile a quello tra Europa e Svizzera”, titola il settimanale britannico, che cita fonti del governo britannico.
L’obiettivo è quello esposto da Hunt: avere relazioni commerciali più fluide con l’Ue (l’attuale accordo di libero scambio Uk-Ue ha molte più frizioni della vecchia appartenenza di Londra al mercato unico europeo) ma senza ritornare nel mercato unico europeo, che tra le altre cose prevede la temuta “libera circolazione dei cittadini”, motivo capitale della Brexit.
Ma la stessa Brexit, con la fine della pandemia, si sta rivelando un fardello, che sta azzoppando sensibilmente la crescita di Londra: l’altro giorno l’organismo governativo Obr (Office for Budget Responsability) ha candidamente ammesso che la Brexit ha conseguenze negative sul commercio britannico e aveva già puntualizzato nelle settimane precedenti che i danni saranno pari ad almeno il 4 per cento di Pil in meno entro il 2026.
La tentazione del modello svizzero
ll problema, per questa retromarcia di Londra, è trovare l’incastro con l’Ue. Secondo Bruxelles, il Regno Unito non può godere dei benefici del mercato unico europeo dopo aver detto addio all’Europa. La tentazione del modello svizzero che ora circolerebbe a Whitehall ha tutti gli elementi per far scatenare la rivolta dei brexiter del partito conservatore: Berna ha accesso al mercato unico tramite singoli accordi bilaterali, ma in cambio deve accettare un’immigrazione dall’Ue più sostenuta, contribuire al bilancio Ue e subire i verdetti della Corte di Giustizia europea. Tutte cose che fanno venire i brividi agli euroscettici. “Sarebbe una cosa inaccettabile”, dichiara Lord David Frost, uno dei brexiter più ideologici ed ex caponegoziatore di Londra a Bruxelles.
Vedremo che cosa accadrà nei prossimi giorni. Di certo, il nuovo primo ministro Rishi Sunak è un brexiter ma anche un pragmatico, come abbiamo avuto già modo di vedere sulla Cina. Per Londra, riallinearsi con il mercato unico europeo avrebbe tra l’altro anche un altro vantaggio: limitare le frizioni commerciali pure in Irlanda del Nord e quindi trovare più facilmente un accordo per risolvere il preoccupante stallo emerso a Belfast dopo la Brexit e dopo le elezioni vinte lo scorso maggio da Sinn Féin, l’ex braccio politico dell’Ira, che hanno scatenato il boicottaggio degli unionisti che si sentono abbandonati dalla Gran Bretagna.
La deregulation impossibile
Ciò molto probabilmente porterà all’addio di un altro sogno post Brexit di Londra: la “deregulation”, ossia divergere il più possibile dalle norme Ue per liberalizzare mercato e commercio con il resto del mondo. L’asse Sunak-Hunt sembra aver imbroccato la strada contraria. Anche per questo, Andrew Neil, uno dei più grandi e ascoltati giornalisti britannici contemporanei, ha scritto sul Daily Mail che la “Brexit è morta”: “Con la durissima manovra della settimana scorsa, ogni possibile beneficio della Brexit (che sinora sono stati eccezionalmente pochi) è stato soppresso dalla nuova rettitudine finanziaria decisa dal governo. Ci avevano detto che avrebbero fatto del Regno Unito post Brexit un Paese con bassa tassazione, deregulation, un’economia senza limiti che avrebbe attratto investimenti stranieri e fatto prosperare le aziende locali britanniche. Niente di tutto questo accadrà”
Di certo, la Brexit non sta funzionando: lo avevamo già evidenziato sottolineando come quella britannica sia l’economia del G7 che va peggio di tutte dopo il Covid e lo stesso nel G20, escludendo la sanzionatissima Russia, mentre l’export è stato severamente danneggiato dall’uscita dall’Ue. Ma l’Obr giovedì scorso ha pubblicato altri dati inquietanti: nel 2023 Londra, appena entrata in una recessione che durerà probabilmente due anni, “avrà il declino del Pil più accentuato di tutta Europa” (-1,4% contro il +3,2% dell’Irlanda e +0,3% dell’Italia, per esempio); “l’inflazione (arrivata all’11 %) ridurrà gli standard di vita del 7% nel 2023 e 2024”; “solo nel 2027-28 le entrate dei cittadini britannici torneranno ai livelli del 2021-22 ma resteranno ancora sotto i livelli pre-pandemici”. Insomma, solo macerie. Per questo ora Londra sta pensando alla retromarcia. Sarebbe un evento clamoroso, a soli due anni dalla concretizzazione della Brexit.
(da agenzie)
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