CALDEROLI E LA VERSIONE CONCORDATA PER DIFENDERE BELSITO
NELLE INTERCETTAZIONI RIFERIMENTI A FIRME FALSE E VERSIONI TAROCCATE: LO STATO MAGGIORE DELLA LEGA MOBILITATO PER EVITARE CHE LA MAGISTRATURA SCOPRISSE LA VERITA’ SULL’USO DEI FONDI
Firme false e versioni concordate per cercare di «coprire» Francesco Belsito e le sue operazioni finanziarie illecite.
Sono le intercettazioni telefoniche a svelare come lo «stato maggiore» della Lega fosse mobilitato per evitare che la magistratura avviasse indagini sull’attività del tesoriere e scoprire l’uso privato dei fondi provenienti dai rimborsi elettorali.
In prima linea, in quelli che a volte appaiono veri e propri «depistaggi», ci sono l’onorevole Roberto Calderoli – «reggente» del partito insieme a Roberto Maroni e Manuela Dal Lago – e Piergiorgio Stiffoni membro del comitato amministrativo insieme a Roberto Castelli.
Ma anche Giancarlo Giorgetti.
Uno si fa dettare dall’avvocato di Belsito la linea pubblica da tenere, l’altro accetta di siglare un documento retrodatato per dimostrare la regolarità degli investimenti. I
l terzo è indicato tra i partecipanti agli incontri con l’imprenditore Stefano Bonet, ora indagato per riciclaggio, che ha messo a disposizione i propri conti esteri.
Quello delle «coperture» è un capitolo che i magistrati di Milano, Napoli e Reggio Calabria stanno adesso esplorando per valutare le ulteriori responsabilità penali.
Anche perchè era stato proprio Belsito, parlando di soldi con Rosi Mauro, a chiedere: «Come li giustifico quelli di Calderoli?».
Calderoli e l’intervista
È il 24 febbraio, lo scandalo dei soldi investiti in Tanzania, a Cipro e in Norvegia è ormai esploso.
All’interno del Carroccio si cerca una soluzione. Annotano gli investigatori della Dia nella loro informativa: «Si registra una conversazione tra l’avvocato Scovazzi e l’onorevole Calderoli, il quale dovendo rilasciare una intervista al Secolo XIX concorda con il legale di Belsito gli argomenti da utilizzare per difendere lo stesso Belsito dagli articoli di stampa che lo attaccano».
Il brogliaccio dà conto del colloquio: «Calderoli dice che questa mattina il giornalista ha preteso un’intervista sulla questione, in un primo momento il suo addetto stampa aveva cercato di mediare, dicendo che sono due mesi che non rilascia dichiarazioni a nessun quotidiano nazionale, ma poi sempre Calderoli dice di aver riflettuto perchè non usare l’intervista cercando di vendere le nostre buone ragioni. Scovazzi dice che secondo lui questa intervista che gli vogliono fare non la vogliono realizzare per sentire le loro buone ragioni, ma lo fanno solo per attaccarli, anzi gli chiederanno come mai la Lega non prende delle posizioni forti contro questo tale (Belsito).
L’avvocato aggiunge che l’unica cosa che lui gli può dire e che in buona sostanza su tutte le vicende che riguardano Francesco (Belsito) hanno fatto dei processi dopo che i processi erano già stati fatti, perchè relativamente ai fatti dei giorni scorsi, si tratta di due indagini archiviate».
Calderoli propone possibili titoli da sottoporre al giornalista: «Fallimento, e non c’è mai stato un fallimento; per il titolo di studio è stato assolto in primo grado e successivamente è intervenuta comunque una prescrizione su una assoluzione; sul discorso della Tanzania l’operazione è già rientrata, i consulenti erano persone completamente a titolo gratuito».
In realtà Calderoli sa perfettamente che Stefano Bonet, l’imprenditore che ha gestito il trasferimento dei fondi, sta chiedendo una percentuale proprio alla Lega.
Quali potessero essere i suoi timori, li aveva spiegati poco prima Belsito parlando con un’amica, come si legge nella trascrizione della conversazione: «Belsito dice che prima lo ha chiamato il segretario di Calderoli dicendogli che hanno appena mandato a fare in culo Mari (giornalista del Secolo XIX ), in quanto lo stesso Mari aveva detto che voleva parlare urgentemente con Calderoli e che se non fosse riuscito a parlargli, lo avrebbe sputtanato».
In quei giorni i contatti tra l’onorevole e il tesoriere sono frequenti.
È proprio Calderoli a cercarlo quando Umberto Bossi vuole vederlo.
Il 6 febbraio viene intercettata una telefonata tra Belsito e Romolo Girardelli, il procacciatore d’affari legato alla «cosca De Stefano» della ‘ndrangheta. «Belsito dice che sono 9 giorni, anche il capo voleva incontrarlo oggi e lo ha cercato anche Calderoli per dirglielo ma che lui non ci è andato perchè non sa cosa deve dire. Calderoli gli ha detto che il capo vuol sapere quando è tutto a posto. Castelli gli ha scritto una raccomandata nella quale ha scritto che di tutto quello che gli chiede ogni volta non gli dà mai niente, Belsito dice che Castelli vuol fare il Giustiziere. Belsito dice che domani dovrà andare a Roma a parlare col Capo e che gli dirà che è ancora tutto fermo».
Rosi e l’atto falsificato
Tra gennaio e febbraio gli uomini di vertice della Lega si attivano per cercare una soluzione che salvi Belsito e dunque l’intero partito.
Il 7 febbraio il tesoriere chiama Rosi Mauro. È scritto nell’informativa: «Belsito le riferiva che la sera precedente si era visto a cena con l’onorevole Piergiorgio Stiffoni, con il quale commentava la vicenda relativa al trasferimento dei soldi della Lega all’estero. In particolare Stiffoni esternava il timore che la vicenda in questione, qualora non gestita con le dovute cautele, avrebbe potuto scatenare un terremoto all’interno del Movimento pregiudizievole alla leadership di Bossi.
Il timore appalesato dallo Stiffoni, a dire di Belsito, poteva essere evitato qualora i membri del comitato amministrativo (Stiffoni e Castelli) avessero firmato il documento mandatogli da Belsito inerente l’istituzione dei fondi.
È evidente che il documento a cui faceva riferimento Belsito era l’autorizzazione affinchè Belsito avesse potuto disporre l’operazione in essere. Rosi Mauro, riscontrando le difficoltà appalesate da Belsito lo consigliava di parlare del comportamento tenuto dai suddetti parlamentari, direttamente con Bossi».
L’8 febbraio i due affrontano nuovamente la questione e «Belsito comunicava che era sua intenzione scrivere una lettera ai due parlamentari invitandoli a sottoscrivere “l’autentica delle firme”».
E poi, riferendosi a un’altra vicenda, evidentemente sempre economica aggiungeva che «”la tua operazione” riferita alla Mauro, l’avrebbe fatta dal Banco di Napoli poichè in tale istituto non si correva alcun rischio di controllo essendo di fatto sotto i riflettori la Banca Aletti ove, peraltro, a dire del Belsito non avrebbero trovato nulla».
Due giorni Rosi Mauro «contattava nuovamente Belsito per avere informazioni circa l’avvenuta firma di Stiffoni e Castelli di un atto verosimilmente da identificare nell’autentica delle firme. Belsito affermava che ciò era stato fatto da Stiffoni mentre non aveva riscontro dell’operato di Castelli».
Il Vaticano, i dossier e le banche
La vicenda sembra aver creato numerosi problemi e contrasti all’interno del Carroccio tanto che, secondo Belsito, «il “capo” si vuole dimettere, vuole fare un altro partito».
Ma anche gli altri personaggi coinvolti nella vicenda raccontano di avere problemi.
Il 25 gennaio l’imprenditore Bonet si lamenta con un amico per le conseguenze che può avere sui propri affari.
E cita in particolare la Santa Sede spiegando che «gli sta facendo recapitare il dossier che stanno preparando per il Vaticano, nel quale, tra l’altro, inseriranno delle controdeduzioni alle accuse “infamanti” di questi ultimi giorni, in modo che gli dia uno sguardo ed esprima un suo parere, soprattutto su “una posizione politica” che deve decidere come metterla.
Bonet spiega il motivo di tale memoriale dicendo che lo sta preparando per evitare problemi in futuro (con il Vaticano) considerato l’incarico che gli stanno per dare e per il quale è possibile che gli venga richiesta qualche spiegazione circa il coinvolgimento di Bonet nella vicenda con Belsito e i fondi della Lega».
Un ruolo chiave in questa partita lo riveste, secondo gli inquirenti, l’avvocato calabrese con studio a Milano Bruno Mafrici.
Secondo alcuni atti pubblicati dal Corriere della Calabria il professionista – indagato per riciclaggio in questa inchiesta – «ha rapporti con i big della politica calabrese come il governatore Giuseppe Scopelliti e l’assessore regionale Mario Caligiuri.
Nel suo studio nel capoluogo lombardo, nella centralissima via Durini a pochi passi dal Duomo, gli inquirenti identificano la base operativa dove la politica incontrava gli ambasciatori finanziari della ‘ndrangheta e con loro stendeva accordi e faceva affari».
Sarebbe stato proprio Mafrici, in un’intercettazione con Belsito e Bonet, a valutare la possibilità di spostare i soldi già trasferiti a Cipro e in Tanzania, su un conto della banca Arner, l’istituto di credito diventato famoso perchè il conto numero 1 è intestato a Silvio Berlusconi.
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera”)
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