COMINCIAMO BENE, CHI PARTECIPA A UN RAVE IN ITALIA VERRA’ PUNITO DI PIU’ DI CHI COMMETTE VIOLENZA PRIVATA
SAREBBE MEGLIO USARE IL CERVELLO CHE IL PUGNO DI FERRO
Il Governo ha licenziato il suo primo decreto legge. Il raduno di Modena, che ha richiamato oltre 3mila persone da tutta Europa è stato l’occasione che ha dato all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni il pretesto per poter utilizzare uno strumento che richiede eccezionali condizioni di “necessità e urgenza” per poter essere richiamato.
Ma nei cosiddetti rave non c’è proprio nulla di eccezionale. Non sono un fenomeno comparso di recente, e non riguardano solo il nostro paese. I rave sono delle feste con musica elettronica che richiamano musicisti, artisti e semplici avventori in eventi di cultura underground, e in cui, sì, si consumano spesso sostanze stupefacenti.
I rave sono nati in Inghilterra alla fine degli anni Cinquanta e si sono diffusi in Europa negli anni Novanta. Negli anni Duemila hanno avuto il massimo momento di diffusione, e si sono svolti in ogni paese del continente: soprattutto Inghilterra, Germania e Spagna. Gli unici paesi ad avere normative che li vietano espressamente sono la Francia e la Gran Bretagna.
Che, non a caso, sono due paesi che come l’Italia hanno delle severe leggi sulle droghe che non servono a molto visto che sono gli stessi paesi dove i consumi di stupefacenti hanno le percentuali più alte.
Dunque il Governo Meloni ha pensato di creare un nuovo reato, il reato di “invasione per raduni pericolosi”.
Si tratta di una fattispecie che concepisce i rave – intesi come raduni sopra le 50 persone – come minacce all’ordine e alla salute pubblica, e che prevede oltre alla confisca obbligatoria degli strumenti (le casse e gli impianti audio) una sanzione fino a 10mila euro e la pena del carcere dai 3 ai 6 anni per chi organizza e partecipa.
Per intenderci: chi partecipa a un rave in Italia verrà punito di più di uno che commetta violenza privata (reato punito con il carcere fino a 4 anni).Nel presentare il decreto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha dichiarato che l’auspicio è quello che il nuovo reato agisca come “deterrente”.
Quanta ingenuità in un proposito del genere. E quanta crudeltà nel voler ricondurre all’ambito penale un comportamento, il consumo di stupefacenti appunto, che oggi nel nostro paese non è reato.
Vi sembrerà strano, ma in Italia drogarsi non è un reato. Per il consumo personale di stupefacenti si rischia una sanzione amministrativa (come il ritiro del passaporto o della patente) e si rischia di essere mandati a fare un percorso ai servizi per le dipendenze.
Ma non è un reato: non si va in carcere. A deciderlo è stato il popolo italiano, con un referendum nel 1993. Gli umani fanno uso di sostanze che alterano e amplificano le percezioni sin dalla notte dei tempi. Lo fanno per motivi religiosi, per motivi sociali, per esperienze mistiche, personali. Per non sentire il dolore. O, nella stragrande maggioranza dei casi, perché li fa sentire bene. Può non piacerci, può fare paura, può suscitare la nostra riprovazione, ma è così. E questo bisogno umano è inestirpabile.
A vietare il consumo di droghe ci hanno provato tutti. Mettendo in atto le politiche più repressive e crudeli. Per esempio il dittatore delle Filippine Rodrigo Duterte dal 2016 al 2019 ha massacrato in strada 6600 persone accusate di usare stupefacenti, dando licenza di uccide alla polizia. Sono riusciti a impedire ai filippini di usare droghe? No. Sono riusciti solo ad aumentare i problemi di chi aveva bisogno di aiuto.
Provare a estirpare il comportamento del consumo di droghe è impossibile. Pure gli animali usano sostanze per “sballarsi” (vi consiglio di leggere “Animali che si drogano” di Giorgio Samorini). Un governo responsabile dovrebbe occuparsi appunto di governare questo fenomeno. Se, per intenderci, in quella lunghissima colonna di mezzi della polizia, se tra quelle centinaia di agenti delle forze dell’ordine, se in tutto il dibattito indignato sul party di Modena a un certo punto alle autorità fosse venuto in mente di mandare un solo operatore esperto in riduzione del danno… Ecco sarebbe stato molto meglio.
E invece abbiamo anche stavolta abbiamo un Ministro dell’Interno che invece della ragione usa il “pugno di ferro”.
(da Huffingtonpost)
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