CON I CANDIDATI CIVICI LEGATI AL TERRITORIO COME STEFANIA PROIETTI SI VINCE
LA MELONI E I MINISTRI NON HANNO MOSSO UN VOTO… IL FLOP DI BANDECCHI
La vittoria del centrosinistra e della sua candidata Stefania Proietti è cresciuta piano, lenta come un presentimento, mezzo punto di proiezione dietro l’altro.
Con quelli che qui, al comitato elettorale, non vogliono crederci e fanno le corna, ti ripetono che è meglio aspettare, ma s’intuisce che stanno stretti dentro una ostinata incredulità, tra speranza, scaramanzia e paura.
Comprensibile che, adesso, tutti trovino molto più gusto a spiegarti come e perché a diventare governatrice sarà proprio l’«indipendente» Stefy, l’antiabortista Stefy, l’ultracattolica Stefy, una che ha il Cantico delle creature nel programma elettorale, si telefona regolarmente con il cardinal Zuppi e si scrive con papa Francesco: e in effetti è davvero oggettivamente piuttosto clamoroso e paradossale che è grazie a una candidata così se l’Umbria, dopo cinque anni, torna a essere di un rosso antico, addirittura vintage, come direbbe l’armocromista di Elly.
Sono già ripartiti con il mantra. Ci daranno, ci daremo il cordoglio per le prossime settimane. Senza capire che l’Umbria non è il nostro Ohio: ci piace scriverlo e dirlo alla tv, ma è una sciocchezza. L’Umbria non è un laboratorio di alleanze: il tessuto politico è sempre stato, e resta, fortemente sinistrorso. C’è una cultura politica radicata, c’è una storia.
Poi sì, certo: per evitare che anche qui, come in Liguria, quel furbastro di Giuseppe Conte s’inventasse qualcuno dei suoi capriccetti, quelli di Italia viva li hanno nascosti nella lista personale della Proietti. Ma a parte che i 5 Stelle sembrano essere andati malissimo, il dato plastico, inequivocabile, è che il corpaccione dem ha votato per una signora a lungo sembrata, nei comizi e nelle interviste, la candidata perfetta per il centrodestra: eppure sono usciti di casa, certo pochi, certo il problema dell’affluenza c’è forte anche da queste parti, e sono andati a votare per la persona (sindaca di Assisi), che gli avrebbe permesso di riprendersi la Regione. Punto. Avventurarsi in analisi più sofisticate, che possano avere valore su campo nazionale, è tempo sottratto al cinema, al calcetto, a pilates, alla rilettura di Guerra e pace .
D’altra parte, no, scusate: la foto di gruppo con cui Schlein e Conte, più Fratoianni&Bonelli della premiata ditta Avs, hanno chiuso la campagna elettorale davanti all’ospedale di Terni, resta tragicamente memorabile.
Provate a riguardarla: sorrisi forzati, finti, e poi quello di Conte era piuttosto un ghigno, diciamolo. D’altra parte, sono gli stessi volti dei protagonisti del fallimento ligure.
Gli stessi. Solo che qui gli elettori del centrosinistra, con poco centro e molta sinistra, avevano un progetto che prescindeva da chiacchiere e propaganda, dalle debolezze delle leadership, dagli intrighi: dovevano vincere per la memoria dei nonni che giocavano a carte alla Casa del popolo, e per le nonne che cucinavano alla Festa dell’Unità.
Cinque anni fa, Donatella Tesei trionfò cavalcando qualche scandalo nell’ambito della sanità e, soprattutto, godendo della forza attrattiva di Matteo Salvini: all’epoca era gonfio di appeal e, tra fette di pane e salame e il repertorio delle sue promesse più classiche, raggiunse il 37%.
La Tesei raccolse, è chiaro, anche e soprattutto un voto di protesta.
La partita, stavolta, è stata molto più complicata. I viaggi di quasi tutti i ministri non hanno scatenato alcuna emozione. Un giorno, ad Assisi, si presenta Giancarlo Giorgetti: ma poi si scopre che è lì per inaugurare una sede della Lega (frati costernati, per usare un eufemismo). Anche il comizio finale di Giorgia Meloni, a Perugia: tutto piegato sulle questioni nazionali.
Una faccenda locale ha invece pesato sulla candidata del centrodestra, sempre accigliata, nervosa, tutt’altro che sollevata dallo scampato pericolo, dall’essere uscita indenne — perché l’abuso d’ufficio, come deciso dal Parlamento, non è più reato — dal cosiddetto «Tartufo gate»: brutta storia scoperta dalla Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, con 10 milioni di euro assegnati alla filiera del tartufo, dove — casualmente, as usual — spadroneggia l’azienda del marito di Paola Agabiti Urbani, assessore al Bilancio, e dove è stato assunto anche il figlio della ormai ex governatrice.
Colpevolmente, a un certo punto, ci siamo convinti che potesse aiutarla un vecchio parà della Folgore, Stefano Bandecchi, il sindaco di Terni, un maciste riccastro, inseguito dalla Guardia di Finanza, che fa risse e urla: «Io i voti me li compro! Io ho sempre elemosinato solo la f…»
Abbiamo preso una cantonata. Bisogna ammetterlo.
Vabbé. A che ora arriva Elly?
(da Il Corriere della Sera)
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