COSA RESTA DEL SOGNO DELLA MADDALENA: MURI SCROSTATI, RUGGINE E NIDI D’UCCELLO, BUTTATI 460 MILIONI DI EURO
VIAGGIO NELLA STRUTTURA CHE DOVEVA OSPITARE IL G8 E LASCIATA INVECE IN ABBANDONO… LA SOCIETA’ DELLA MARCEGAGLIA ALLA QUALE ERA STATO DATA IN GESTIONE CHIEDE 10 MILIONI DI DANNI
No, non può essere questa la “casa di vetro” di Obama.
Conciata così, con pezzi di tetto volati via, i muri strappati dalle onde e dal vento, gli escrementi degli uccelli che l’hanno colonizzata, cristalli rotti, erba che spunta dai piastrelloni di cemento.
E invece è proprio lei, che impressione.
Giri le spalle allo specchio d’acqua che è ancora pieno di veleni, percorri le banchine dove hanno lasciato a mo’ di monumento alla vita (in effetti ce n’è bisogno) il nero scafo di Mascalzone Latino. Il triste colpo d’occhio prosegue verso ovest: gli scheletri di ferro che sorreggono i padiglioni sono divorati dalla ruggine. Il sole, la salsedine, gli schiaffi del maestrale hanno fatto il resto sgretolando le pareti, distruggendo le coperture, lasciando al suolo lamiere e sporcizie.
Come diavolo siano riusciti a ammazzare per la seconda volta un luogo costruito per ospitare i grandi della Terra – le cose del mancato G8 sono andate come si sa, e pure le inchieste e gli arresti dentro e attorno alla Protezione Civile – , più che un mistero è uno scorno.
La casa di vetro è morta. Come tutto dentro l’area dell’ex Arsenale militare della Maddalena. Il padiglione del mare. Lo spazio dei delegati. L’hotel cinque stelle lusso. La “stecca”. I moli.
Lo specchio d’acqua intorno che, nonostante interventi farsa, è ancora abitato da una fanghiglia imbevuta di inquinanti di ogni genere (arsenico, idrocarburi, piombo, zinco, rame, mercurio).
È tutto chiuso per inagibilità e per motivi di sicurezza. Abbandonato da un anno. Centocinquantacinquemila metri quadrati di vergogna nazionale.
Una delle più scriteriate operazioni di Stato che, dopo avere bruciato 460 milioni di euro – tanto ci è voluto per rimettere a nuovo l’arsenale – , anzichè giungere finalmente a un capolinea o a una soluzione, continua a fare danni.
Il 9 giugno 2009 il governo ha dato in gestione questa landa deserta per 40 anni a prezzi di saldo alla Mita (società dell’ex presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia).
Il nuovo Porto Arsenale doveva diventare il nuovo polo di attrazione turistica dell’isola.
Per due stagioni il Porto apre al pubblico (hotel, ristorante, porticciolo).
Poi, come in una gigantesca sabbia mobile, tutto si impantana, e finisce di nuovo a scatafascio.
Colpa di un pasticcio all’italiana chiamato bonifiche, un’ignobile tarantella ballata dalla Cricca di Guido Bertolaso e costata già 72 milioni di soldi pubblici (alla fine si arriverà a 85).
È andata così.
L’ex capo della Protezione civile affida l’opera al cognato Francesco Piermarini, ingegnere e “esperto in bonifiche ambientali”, già supervisore dei lavori alla Maddalena.
Talmente esperto che a maggio 2011 i carabinieri del Noe, su disposizione della Procura di Tempio Pausania, mettono sotto sequestro 60mila metri quadri di acque e fondali prospicienti l’ex Arsenale.
Un anno dopo le perizie della Procura (l’inchiesta è in mano al pm Riccardo Rossi) accertano che la bonifica affidata a Piermarini (per complessivi 72 milioni) è stata disastrosa: rimuovendo la fanghiglia velenosa si è in realtà allargata la zona inquinata. Da 6 ettari contaminati si è passati a 12.
Un capolavoro.
La competenza sulle operazioni di ripristino passa al ministero dell’Ambiente. Che se la prende comoda. Intanto la struttura inizia a appassire.
In conferenza dei servizi, la Protezione civile ha assicurato che a settembre sarà finalmente pronto il progetto per il completamento delle bonifiche (costo: 10 milioni).
Mita resta alla finestra, sempre più scettica.
Pronta a mollare tutto. “Se non si sbloccano le cose è chiaro che non saremo più disposti a buttare, come stiamo facendo, 700 mila euro l’anno solo per tenere chiusa una struttura – dice il procuratore speciale Donato Rossi.
La battaglia legale in realtà è caldissima: la società della Marcegaglia, dopo il “pacco” che le è stato rifilato, ha promosso un arbitrato nei confronti della Protezione Civile.
La richiesta di risarcimento danni complessiva, tra mancato completamento delle opere, difetti vari, mancati ricavi e danni di immagine, supera i dieci milioni di euro.
Un quarto di quello che lo Stato, attraverso la Corte dei Conti, ha chiesto a Bertolaso (40 milioni, danno erariale).
Per che cosa? Proprio per avere affidato la gestione dell’ex Arsenale alla Mita, con un bando di gara contestatissimo.
Paradossale? Abbastanza.
Ma è tutta la vicenda che è contorta.
Repubblica raccontò il flop della Maddalena (dal G8 all’abbandono) il 28 gennaio 2010. Pochi giorni dopo scoppiò lo scandalo della cricca che gestì gli appalti per il vertice sull’isola (poi trasferito all’Aquila terremotata).
Da allora a oggi tutto quello che poteva andare storto, per le sorti dell’ex Arsenale e della Maddalena, è andato proprio in quella direzione.
Risultato: tra bugie, battaglie legali e rimpalli di responsabilità , a due anni dall’inaugurazione post-Cricca, Porto Arsenale cade di nuovo a pezzi.
“Il riflesso sociale è enorme – dice l’assessore all’urbanistica Mauro Bittu – . Penso ai maddalenini, ai posti di lavoro (un paio di centinaia), all’immagine dell’isola”.
Già . Un tempo, dopo lo smantellamento della base americana che per 35 anni ha sfamato Maddalena, la chiamavano l'”isola usa e getta”.
“Adesso siamo diventati l’isola che chiude – commenta amaro il sindaco Angelo Comiti – . Spero che col 2013 si possa tornare ad aprire qualcosa… “.
La lista del “chiuso per negligenze altrui” è lunga: oltre all’ex Arsenale ci sono il mastodontico ospedale militare trasformato in hotel (sempre per il G8 fantasma, costo 75 milioni, 742mila euro a stanza e nessuno lo vuole), l’enorme villaggio Trinità (un tempo abitato dagli americani, proprietario Ligresti attraverso la Seis), e, da quattro stagioni, il mitico Club Med (la proprietà vuole ristrutturare ma non ci sono ancora i permessi).
In attesa di buone nuove quest’anno sull’isola che chiude sono sbarcati la metà dei turisti che c’erano lo scorso anno.
Sergio Roland, il giardiniere che con la sua Roland Garden tiene in vita le poche piante rimaste dentro l’ex Arsenale, usa la metafora che gli è più congeniale.
“Se a un albero gli togli l’acqua muore”.
Per un’isola nell’isola è davvero il colmo.
Paolo Berizzi
Leave a Reply