DOCENTI CON STIPENDI DIVERSI, PIU’ DISEGUAGLIANZE TRA I BANCHI: I RISCHI DELL’AUTONOMIA SUL FUTURO DELLA SCUOLA
GLI INSEGNANTI IN VENETO PAGATI PIU’ DI QUELLI IN CALABRIA… FONDI AI PRIVATI IN CRESCITA E PROGRAMMI LEGATI AL TERRITORIO
Docenti che insegnano in Veneto pagati di più di chi entra in aula in Calabria. Uffici scolastici regionali non più alle dipendenze di viale Trastevere ma dei governatori. Il sistema scolastico privato che potrà rafforzarsi sul modello della sanità lombarda. Programmi piegati alle esigenze del territorio della libertà di insegnamento e dell’unità culturale del Paese. È la scuola della Repubblica che va in frantumi. Gli effetti dell’autonomia differenziata, ora legge Calderoli, sull’istruzione vengono prefigurati da intellettuali, sindacati, comitati e opposizioni pronti al referendum. Siamo sul piano delle ipotesi e dei rischi. Due in particolare: contratti regionali per i prof e crescita delle diseguaglianze tra i banchi.
I Lep della scuola
L’Istruzione è una delle materie di competenza concorrente per la quale la legge Calderoli rimanda alla definizione dei Livelli essenziali di prestazione (Lep), ovvero standard minimi di servizi garantiti su tutto il territorio nazionale. Con una riforma a costo zero, difficile sarà finanziarli stabilendo gli investimenti necessari alle regioni per adeguarsi agli standard. Che la Gilda degli insegnanti stima per la scuola in almeno dieci miliardi.
«I Lep della scuola rimarranno sempre in capo allo Stato e saranno uguali in tutta Italia», assicura il ministro Giuseppe Valditara indicando che ci sarà un tavolo di esperti, «è un tema che ci impegnerà a lungo». In questa indeterminatezza — il governo ha due anni di tempo — per capire le conseguenze bisogna leggere cosa hanno già chiesto Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna, regione che ora contesta. Le pre-intese del 2019 di Veneto e Lombardia prevedono l’attribuzione della “potestà legislativa in materia di norme generali sull’istruzione”, quelle che derivano dagli articoli 33 e 34 della Costituzione. Tra le voci: reclutamento, formazione e contratti integrativi degli insegnanti, offerta formativa, rete scolastica, riconoscimento della parità e assegnazione fondi alle scuole private, valutazione del sistema educativo. «Nessuno vuole strappare funzioni essenziali», ripete il leghista Luca Zaia, governatore del Veneto e padre della riforma. Ma alcune funzioni potrebbero già essere delegate senza attendere i Lep. La Flc-Cgil in audizione alla Camera ha fatto l’elenco: reclutamento e formazione del personale, organi collegiali, programmi — sui quali peraltro Valditara sta lavorando a livello nazionale — formazione delle classi.
Il personale scolastico
Docenti assunti dalle regioni e pagati di più? Zaia ora frena, il contratto è nazionale. Ma i sindacati non si fidano. «Questo è il tema principale sul quale non ci sono garanzie — osserva Luca Bianchi, direttore di Svimez — Svincolare gli stipendi dal contratto nazionale reintrodurrebbe le gabbie salariali e sarebbe disastroso: una maestra è tale a Scampia come a San Babila e non c’entra il costo della vita». Osserva Gianfranco Viesti, economista dell’università di Bari, autore del libro “Contro la secessione dei ricchi”: «Si arriverebbe nella scuola a dipendenti ministeriali o regionali e se uno vince un concorso in Veneto potrà andare a insegnare fuori? Tutte incognite sul potere che si trasferirà. Intanto la trattativa va avanti tra regioni e governo, con una riforma che mette all’angolo il Parlamento».
Gli squilibri territoriali
Un bambino che vive a Napoli frequenta un anno di scuola in meno, senza mense e tempo pieno, rispetto al suo coetaneo di Milano. La regionalizzazione della scuola rischia di accentuare le disuguaglianze tra i banchi. «Non solo tra Nord e Sud, ma tra centro e periferia», dice Gianna Fracassi, segretaria della Flc-Cgil. «Venti potenziali sistemi scolastici a marce differenti configurano l’accesso ad un diritto universale sulla base della residenza e la possibilità, per il potere politico locale, di gestire ai fini del consenso un bacino rilevantissimo tra studenti, lavoratori, famiglie», spiega Marina Boscaino portavoce del Comitato “No autonomia differenziata”.
Lo Stato finanzia direttamente le scuole statali con una spesa che vale 50 miliardi. Se tutte le funzioni delegabili sulla scuola fossero trasferite, calcola Svimez, alla Lombardia arriverebbero 5,3 miliardi, al Veneto 2,6. Risorse che sarebbero sottratte al bilancio complessivo e potrebbero determinare negli anni successivi extragettiti. Infatti, le aliquote di compartecipazione in caso di maggiore crescita sono oggetti di trattativa bilaterale tra governo e regione. Il monito viene dalla preside Lucia Bonaffino dell’Istituto Salvo D’Acquisto di Bagheria: «Bisognerà vigilare sull’equità. Altrimenti gli altri correranno, noi arrancheremo».
(da repubblica.it)
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