DOMANI FITCH POTREBBE TAGLIARE IL GIUDIZIO SUL DEBITO ITALIANO
IL GOVERNO TEME IL GIUDIZIO DELLA AGENZIE DI RATING: RECESSIONE TECNICA E PEGGIORAMENTO DEGLI INDICATORI NON LASCIANO PRESAGIRE NULLA DI BUONO
L’avvertimento lanciato il 31 agosto era stato chiaro: l’Italia è esposta a “potenziali choc”. Il governo gialloverde era ai suoi primi passi, ma Fitch esprimeva già preoccupazioni, e non poche, sulle “contraddizioni” tra i costi “elevati” degli impegni previsti dal Contratto firmato da 5 stelle e Lega e l’obiettivo di ridurre il debito pubblico.
Nessun taglio del rating – il parametro che misura l’affidabilità e la sostenibilità di uno Stato – ma un outlook, cioè una prospettiva, portato da stabile a negativo.
Sei mesi dopo (il giudizio è atteso nella serata italiana di venerdì) la stessa agenzia di rating potrebbe presentare un conto ancora più salato.
Perchè quei potenziali choc hanno già diffuso i loro germi: la produzione industriale è in caduta libera, il sogno della super crescita è svanito, è arrivata la recessione tecnica. Il rischio, ora, è quello di una nuova fibrillazione sui mercati e, a cascata, sull’economia reale.
Rispetto agli impegni assunti con il Contratto, le misure che impattano sull’economia messe in campo dal governo italiano sono andate incontro a un forte ridimensionamento. Cartina al tornasole di questo bagno di realtà è stata la lunga trattativa con Bruxelles che ha portato la manovra dall’impianto del deficit al 2,4% per tre anni al 2,04%, assottigliando quindi le risorse messe a disposizione delle misure bandiera, cioè il reddito di cittadinanza e la quota 100 per gli anticipi pensionistici.
Già in quelle settimane convulse, quando il governo non era intenzionato a retrocedere, lo spread aveva presentato il conto.
E nei sei mesi che sono trascorsi dall’avvertimento di Fitch a sgretolarsi è stato soprattutto l’appiglio su cui puntavano i due partiti di governo: il Pil ipertrofico.
Le stime sulla crescita sono state tagliate dallo stesso governo, ma anche quella messa nero su bianco nella legge di bilancio – +1% quest’anno – si è rivelata man mano sempre più irrealistica. Due trimestri consecutivi con il Pil sotto zero, quindi recessione tecnica. Nella pancia della crisi il deterioramento dell’industria, quello della produzione interna e dei servizi, un’occupazione che registra segnali controversi.
Venerdì Fitch ha di fronte diverse possibilità .
Può confermare il giudizio di agosto, suggellando quindi il rating attuale con outlook negativo.
In alternativa può sfumare, in negativo, la sua posizione prevedendo un watch (un altro parametro di valutazione del debito) negativo. Tradotto: il downgrade è probabile e vicino.
Quello che temono gli analisti, proprio in virtù del peggioramento dell’economia italiana e degli impegni gravosi che il governo sarà costretto ad adottare se il Pil non ritornerà a crescere, è però il taglio di un notch: passando da BBB a BBB- si arriva a un solo gradino dal livello spazzatura.
Come avvenuto lo scorso 19 ottobre con il giudizio di Moody’s. A un solo notch quindi dal livello spazzatura. Se dovesse prevalere la terza opzione, la tensione sui titoli di Stato italiani potrebbe riacutizzarsi. Ancora peggio se il taglio dovesse essere di due notch, passando da BBB a BB+.
à‰ una questione di affidabilità del Paese agli occhi degli investitori, soprattutto esteri, tra l’altro già in fuga, ma è anche una questione di risorse bruciate.
Il 23 novembre scorso la Banca d’Italia presentò il conto dello spread: nei sei mesi precedenti quasi 1,5 miliardi e il rischio di lasciare per strada oltre 5 miliardi nel 2019 e di circa 9 nel 2020. Ed è anche una questione di impatto sui conti: se sballano servono misure correttive, quindi tagli o peggio la possibilità di un rialzo delle tasse.
Chi aspetta il giudizio di Fitch è soprattutto il governo. Dopo aver portato a casa la manovra, gli esami ricominciano.
La decisione dell’agenzia di rating è solo la prima di una lunga serie di ostacoli che rischiano di compromettere, e non poco, il già delicato percorso concordato con l’Europa. Mercoledì prossimo arriverà il Country report di Bruxelles e sarà tutt’altro che una boccata d’ossigeno: secondo le anticipazioni di Repubblica, lo studio metterà in luce la fragilità della strategia rivendicata da Matteo Salvini e Luigi Di Maio e cioè fare del reddito e della quota 100 le leve per spingere il Pil in positivo.
Il 15 marzo è atteso il giudizio di Moody’s, il 26 aprile quello di Standard & Poor’s.
In mezzo – entro il 10 aprile – bisogna presentare il Documento di economia e finanza, dove si fotografa il presente e le prospettive dello stato di salute dell’economia. Il governo non potrà sottrarsi dall’indicare quale è lo stato dell’arte.
Si capirà allora se quella convinzione rivendicata anche oggi da Matteo Salvini, e cioè la non necessità di una manovra bis, potrà essere riconfermata o meno. Intanto sono cambiati i toni: la correzione dei conti non è più un tabù. L’anima del governo più sensibile all’Europa e alla necessità di tenere le finanze al sicuro parla già da tempo con un linguaggio che non esclude l’intervento.
Il sottosegretario in quota Lega Giancarlo Giorgetti, ma anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria.
I duri e puri sono Salvini e Di Maio, che rivendicano la necessità di dare alle due misure bandiera della manovra la possibilità di sprigionare gli effetti positivi.
Il premier Giuseppe Conte ci crede: per lui sarà un 2019 “bellissimo”. Ma già da venerdì Fitch potrebbe appannare, e di molto, una convinzione che non è più granitica neppure dentro al governo.
(da agenzie)
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