DONAZIONE DI SANGUE DEL PD DOPO AVER RINNOVATO QUASI COMPLETAMENTE LA SUA CLASSE GOVERNATIVA
FUORI DA PALAZZO CHIGI, I MINISTRI DI SPESA AL M5S: PER IL PD UN NUOVO CAPITOLO DELLA SAGA DELLA “RESPONSABILITA’ NAZIONALE”
Ci sono dei dettagli che spiegano il tutto. Come, ad esempio, che nella delegazione del Pd al governo, tra i tanti rappresentanti del sud, ci sono addirittura ben due “pugliesi” e l’unico del Nord (sopra l’Emilia) è Lorenzo Guerini, lombardo, alla Difesa, ministero più di prestigio che di consenso. L’unico.
Perchè è andata così: Teresa Bellanova, pasionaria salentina del renzismo, idolo della Leopolda non poteva non essere inserita, in quota Renzi, per ragioni di equilibri e tenuta. Ed è andata all’Agricoltura (uno dei pochi ministeri di spesa incassati).
E Francesco Boccia, uomo del sud, di grande esperienza, punto di riferimento dei non renziani anche in Puglia, è andato agli Affari Regionali, dove si occuperà della delicata partita delle autonomie.
È chiaro, se il governo nasce con l’ambizione di durare l’intera legislatura, il congresso del Pd si farà prima della fine del governo. Ed già iniziato con la sua formazione.
Bastava intercettare qualche commento che l’ex segretario ha cominciato ad affidare ai suoi, consapevole che questo assetto, nella base, produrrà delle lacerazioni: “Il governo andava fatto, ma non così, erano meglio figure alla Cantone…”.
O i malumori dal territorio rimbalzati nelle chat. Ecco, il punto è quanto l’operazione politica di “rinnovamento” realizzata dal Zingaretti reggerà nel doppio fronte: interno, col fuoco amico dell’ex segretario che si sentirà piuttosto libero rispetto a questo governo, ed esterno, nell’ambito di un assetto in cui il Pd è estraneo al cuore pulsante dell’esecutivo.
Perchè il rinnovamento di personale politico c’è, anzi è il più grande rinnovamento realizzato rispetto agli ultimi quindici anni, con il cambio (ad esclusione di Franceschini) di tutta la delegazione di governo.
E l’ingresso di una nuova generazione della sinistra riformista, si sarebbe detto una volta: Gualtieri (romano), Provenzano (siciliano), Amendola (campano), oltre a Francesco Boccia e Paola De Micheli (piacentina), che già hanno una certa esperienza di governo ma non hanno mai ricoperto la carica di ministri.
Nomi a cui aggiungere quello di Roberto Speranza (lucano) alla Salute che rappresenta quella parte di Leu più incline al processo unitario col Pd.
Il problema appunto è l’incastro di un’operazione in cui, dentro il governo, il Pd non ha un punto di riferimento politico forte, col segretario che ha scelto di rimanere fuori per tante ragioni: perchè, non è un mistero, non ne era convinto dall’inizio, per non restare intrappolato all’interno di un assetto dove non controlla i gruppi, per non schiacciare il suo ruolo solo nella difesa del governo.
E Matteo Renzi che, certamente, non sente come vincolante la presenza di un paio dei suoi (la Bellanova e la Bonetti) in termini di parola, azione, autonomia, insomma “mani libere” provvedimento dopo provvedimento, a partire magari sulla giustizia che sfornerà il ministro Bonafede, uno dei tanti elementi di “continuità ” rispetto all’era gialloverde.
Ricapitolando, in epoca di “egemonia” salviniana nel paese: il Nord non è rappresentato dal Pd; i ministeri “produttivi” tutti in mano ai Cinque stelle (Lavoro, Sviluppo), anzi in mano agli uomini di Di Maio; il Pd fuori completamente da palazzo Chigi, dove l’ultimo braccio di ferro su Fraccaro è servito a far capire chi comanda; un tecnico al Viminale perchè, dicono, così ha voluto Mattarella, rinunciando così a gestire proprio il terreno cruciale dello scontro con Salvini. E scaricandone tutto il peso politico, in termini di emotività e consenso, sulle spalle di una stimatissima prefetta.
Il successo del Pd, parliamoci chiaro, è affidato soprattutto (se non solamente) alla capacità di ottenere margini di flessibilità economici grazie a una rinnovata centralità europea affidata al tandem Gualtieri-Gentiloni. Ovvero alla sfida più complicata.
Perchè è vero che tutti si attendono una maggiore benevolenza dell’Europa col nuovo governo, ma è anche vero che la prossima finanziaria, il cui primo obiettivo è sterilizzare le clausole di salvaguardia, non sarà propriamente il paese di Bengodi.
E mai un ministro dell’Economia, che comunque deve mostrare prudenza e realismo in materia di conti, è stato in materia di manovra una figura di consenso e non divisiva, fuori e dentro il governo. E non vissuto come “l’uomo di Bruxelles” che stringe i cordoni della borsa. Insomma, sembra tanto un altro capitolo di quella benedetta “responsabilità ” nazionale che, più volte, a sinistra si è trasformata in una donazione di sangue.
Al netto dell’entusiasmo di maniera sulla “svolta”, si percepisce quale sia la preoccupazione su un’operazione che il segretario non voleva proprio per questo: non c’è istituto di sondaggi (Pagnoncelli, Weber, Noto) che non registri i Cinque stelle in crescita grazie alla rinnovata centralità politica.
È cioè rinato quel terzo polo che le elezioni del 26 maggio avevano pressochè cancellato. Assieme al governo. I cui volti sono Di Maio agli Esteri e Conte a Palazzo Chigi. Senza tanta discontinuità .
(da “Huffingtonpost”)
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