ENRICO LETTA STA SERENO, STAVOLTA PER DAVVERO
PRESSING PER LA SEGRETERIA PD, LETTA NON E’ INDIFFERENTE ALLA GRAVITAS DEL MOMENTO
Enrico sta davvero “sereno” perchè, come si dice in questi casi, comunque vada sarà un successo e può permettersi di scansare l’ansia della scelta: non è un’ultima occasione da cogliere, perchè una “riserva” della Repubblica resta tale anche se declina; semmai, a determinate condizioni, può rappresentare una nuova opportunità .
È con questo spirito che, stamattina, Letta si dedicato alle lezioni a Parigi, nella sua Sciences Po, dove ha trovato, da anni, un baricentro la sua nuova vita dopo le dimissioni del Parlamento.
Dalla passione politica però non ci si dimette. E se sbaglia chi lo immagina lì a telefonare, brigare, sentire questo o quel capocorrente dopo che è stato evocato il suo ritorno, è altrettanto sbagliato descriverlo come indifferente rispetto alla “gravitas” del momento. Questa è la parola utilizzata dai pochi che hanno parlato con lui, “gravitas”: l’emergenza, il collasso del Pd, proprio nel momento in cui servirebbe il massimo di coesione, l’egoismo dei signori della guerra, gli stessi che gli voltarono le spalle e che ora lo invocano come salvatore della patria.
È l’immagine di un partito capace di divorare, secondo medesime logiche, qualunque leader che si è succeduto, alternando segretari e reggenti, secondo una dinamica che riproduce se stessa in modo ferreo e senza mai una soluzione di continuità . È successo anche ai leader più forti e più legittimati dal consenso interno alle primarie e da quello alle elezioni, pensate a Walter Veltroni con i suoi undici milioni di voti, un successo rimasto ineguagliato, ma che non fu sufficiente a rompere l’autoreferenzialità distruttiva delle correnti.
Contatti ce ne sono stati, in questi in giorni. Riposte no, quantomeno ancora non definitive.
Diciamo così: Letta, ben consapevole di tutto questo, sta studiando la situazione. E consapevole che, pur essendo la malattia sempre la stessa, se possibile però con il tempo il corpo si è infragilito, nel consenso (ormai il Pd almeno così lo fotografano i sondaggi, è il quarto partito), nella struttura, nella sua presenza nella società italiana, insomma nella vitalità . La famiglia litigiosa è sempre la stessa, ma invecchiata, inaridita da mai sopiti rancori e da nuove ferite.
Come l’idea sia nata, è facile da raccontare. È un’idea di Dario Franceschini, che parte dalla stessa consapevolezza della gravitas del momento. Perchè in tempi normali si sarebbe potuto pensare anche a un reggente per poi celebrare un normale congresso, ma poichè di normale in questa fase non c’è nulla e, finchè non ci sarà il vaccino, è impossibile tanto il voto quanto i gazebo è complicato pensare si possa affidare a un reggente l’immane compito di gestire questo anno: il governo Draghi, materia politicamente molto fragile, le amministrative di ottobre, l’elezione del prossimo capo dello Stato a febbraio dell’anno prossimo. Nasce da qui l’esigenza di un segretario vero, con un mandato pieno, una comprovata esperienza, un’altrettanta comprovata affidabilità .
In questo senso Letta è perfetto per parlare con Draghi (coi cui il rapporto è visibile in alcune figure del governo), collocare il Pd nella nuova fase, tenere l’asse con i Cinque Stelle, difeso fino al “Conte o voto” e, al tempo stesso, assicurare una continuità in termini di, chiamiamola così, distanza da Renzi e dal renzismo, di cui pagò amaramente l’andata e rappresenta ora un argine in relazione al ritorno. Inteso come disegno: far saltare il Pd, riducendolo come il Ps francese per aprire uno spazio macroniano in Italia all’ombra del governo Draghi.
Perchè Letta è il Pd, il cuore non c’è niente da fare batte lì, come sanno i compagni di Testaccio, dove continua a rinnovare la tessera: Andreatta, l’Ulivo, quel popolo cui è rimasto legato, la sinistra, o meglio un pezzo della sinistra perchè fu proprio un pezzo della Ditta, complice la malattia di Bersani, a spalancare le porte di palazzo Chigi a Renzi.
L’idea di Franceschini è condivisa da Zingaretti e, con meno entusiasmo, anche da altri, perchè la maionese è così impazzita che non se ne viene fuori: Orlando ha messo un veto sulla Pinotti, ma, stando al governo, è complicato per lui fare il segretario, Zingaretti non ha mai voluto investire su Provenzano sin da quando rifiutò di nominarlo vicesegretario una volta che Orlando è entrato al governo, e così via. Insomma uno che li metta insieme tutti non c’è.
Proprio per questo se è vero che Letta può essere la soluzione è anche vero che ci devono essere le condizioni. E che cioè di qui a sabato — al momento l’assemblea è confermata, per la sola giornata di domenica — si realizzi un’unità di massima sui tempi e sulla prospettiva, cioè un mandato non di otto mesi, ma pieno, che non è questione di poco conto.
Resta il tema del male oscuro, che corrode il Pd, dove Letta non ha truppe e rischia di finire come gli inviati dell’Onu nei teatri di guerra. Gli inviati arrivano ma i conflitti, dopo un po’ riprendono.
(da Huffingtonpost)
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