ETTORE SEQUI: “CON L’ACCORDO PER IL CESSATE IL FUOCO HANNO VINTO I PAESI DELLA REGIONE, CHE ESCONO CON UNA PROSPETTIVA DI STABILITÀ”
FONDAMENTALE PER L’ARABIA SAUDITA, CHE DOPO L’ATTACCO A DOHA HA SIGLATO UN ACCORDO COL PAKISTAN, PER IL QATAR CHE PUNTA A UN’INTESA CON GLI USA, PER GLI EMIRATI CHE AVRANNO UN RUOLO CENTRALE NELLA FORZA DI STABILIZZAZIONE, E PER LA TURCHIA CHE RIENTRA ALLA GRANDE NEL GIOCO, SI PONE COME INTERLOCUTORE PRIVILEGIATO E QUESTO LE PORTERÀ DIVIDENDI IN SIRIA”
“Il piano Trump è una via di mezzo tra un metodo e un’architettura di fine del
conflitto.b a tecnica è sequenziare i nodi: si parte dal primo e una volta risolto si passa agli altri sempre più complessi”.
Lo afferma in un’intervista a Il Messaggero l’ambasciatore ed ex segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi.
“La prima questione, la più urgente – aggiunge – e quella simbolicamente più forte, è la liberazione degli ostaggi, il cessate il fuoco e la ripresa degli aiuti umanitari. Questo primo passo crea l’abbrivio per affrontare gli altri”.
Quali risultati concreti possiamo attenderci?
“È come un videogioco – prosegue -: sali di livello e diventa sempre più difficile. Sicuramente diminuirà la violenza, perché è nell’interesse di tutti. Ma la prima fase serve a porre le basi per negoziati successivi sul disarmo di Hamas, il ritiro completo dell’Idf e la governance di Gaza.
Hamas deve garantire sollievo umanitario e riorganizzare i combattenti rimasti, Israele deve rispondere a pressioni interne ed esterne.
Man mano che i negoziati si sposteranno su questioni di prospettiva, lo slancio tenderà a esaurirsi. Questa non è una tregua, né una pace, ma una finestra di opportunità”.
Chi ha vinto e chi ha perso con questo accordo?
“Certamente ha vinto Trump, almeno in questa prima fase. Ha vinto anche l’aspetto umanitario, da entrambe le parti: ostaggi israeliani e gazawi.
Hanno pareggiato Netanyahu e Hamas, che erano sotto forte pressione.
E hanno vinto i Paesi della regione, che escono con una prospettiva di stabilità fondamentale per l’Arabia Saudita, che dopo l’attacco a Doha ha siglato un accordo col Pakistan, per il Qatar che punta a un’intesa con gli Usa, per gli Emirati che avranno un ruolo centrale nella forza di stabilizzazione, e per la Turchia che rientra alla grande nel gioco, si pone come interlocutore privilegiato e questo le porterà dividendi in Siria. Ibrahim Kalin, capo dei servizi e alter ego di Erdogan, era a New York, ha seguito i negoziati sull’Ucraina a Istanbul ed è ora dentro questa partita”.
E l’Anp di Abu Mazen?
“Perde, così come la prospettiva dei due Stati. Hamas è oggi controparte negoziale, anche se indiretta, al di là dell’obiettivo di smantellarla” conclude Sequi.
(da agenzie)
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