FIRME FALSE M5S A PALERMO, IL PROCESSO ENTRA NEL VIVO: “OLTRE MILLE LE SOTTOSCRIZIONI CONTRAFFATTE”
IL DIRIGENTE DELLA DIGOS: “SU 2000 PERSONE SENTITE, 1.104 HANNO NEGATO CHE LA FIRMA FOSSE LA LORO”
Sui documenti contenenti le firme raccolte per permettere nel 2012 al M5S di candidarsi alle Amministrative di Palermo, c’erano grafie diverse e non solo nelle firme. E sono stati gli stessi firmatari a confermarlo.
Su circa duemila firmatari sentiti, in 1.104 non hanno riconosciuto la propria firma, solo 668 l’hanno riconosciuta.
Con la deposizione di Giovanni Pampillonia, vicedirigente della Digos di Palermo, entra nel vivo il processo per le cosiddette “firme false” del M5S alle comunali di Palermo del 2012 che vede alla sbarra, davanti alla giudice monocratica di Palermo, Luisanna Cattina, 14 fra attivisti e deputati del Movimento Cinque Stelle.
Tra gli imputati i parlamentari, Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita, nessuno di loro ricandidato con il M5S, ma anche gli ormai ex deputati regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, che si erano autosospesi subito dopo l’iscrizione nel registro degli indagati.
I due ex parlamentari Ars, fin dall’inizio, hanno collaborato con i magistrati che hanno coordinato l’inchiesta, raccontando quanto accaduto la notte del 3 aprile 2012, quando vennero falsificate, secondo i pm e il gip che li ha rinviati a giudizio, le firme per partecipare alle amministrative poi vinte da Leoluca Orlando. I deputati nazionali, invece, furono sospesi d’imperio, ma il provvedimento disciplinare è scaduto qualche settimana fa.
Imputati anche Giuseppe Ippolito, Stefano Paradiso, Toni Ferrara e Alice Pantaleone, ma anche l’avvocato Francesco Menallo, ex militante M5S, e il cancelliere del tribunale Giovanni Scarpello, che attestò l’autenticità delle firme.
I reati contestati riguardano la violazione del testo unico regionale in materia elettorale. Come racconta oggi lo stesso Pampillonia, che risponde alle domande della pm Claudia Ferrari, l’inchiesta nacque da un esposto anonimo presentato nel 2016.
Un altro esposto anonimo, che segnalava sempre delle firme false, era stato presentato già nel 2013, ma si concluse con un nulla di fatto. Mentre l’esposto presentato due anni fa ha avuto uno sviluppo diverso, approdando al processo di oggi con i 14 imputati.
“Nei fogli allegati all’esposto anonimo – spiega Pampillonia – c’era un luogo di nascita sbagliato. Da qui l’esigenza di ricopiare le firme. Abbiamo eseguito l’acquisizione dell’intero incarto delle liste presso il comune di Palermo”.
Poi il poliziotto prosegue: “Abbiamo sentito a sommarie informazioni tutti i firmatari, circa duemila – spiega – Già avevamo fatto una serie di campionature dei soggetti escussi. Nel novembre 2016 avevamo escusso oltre trecento persone. Che poi sono diventati quasi duemila. E 1.104 non avevano riconosciuto la propria firma”.
Secondo la procura, alcuni attivisti e deputati del M5S, dopo essersi accorti che per un errore di compilazione le firme raccolte per le Comunali del 2012 erano inutilizzabili, mettendo quindi a rischio la presentazione della lista, avrebbero deciso di ricopiare dalle originali le sottoscrizioni ricevute.
“Ma come si è arrivati a indagare su queste persone?”, lo sollecitano Cattina e Ferrari. E Pampillonia racconta l’inizio dell’inchiesta sulle firme false, fin dal primo esposto del 2013, quando venne ascoltato Vincenzo Pintagro, che era un attivista del M5s, che era già stato sentito nel 2013 per un altro esposto anonimo che denunciava delle irregolarità .
“L’esposto del 2013 riferiva dei vizi di forma per le comunali del 2012 nel corso delle quali si era provveduto a ricopiare le firme – dice Pampillonia – Si faceva riferimento a tre nominativi in particolare: Francesco Vicari, Gabriele Romeo e Luigi Scarpello. Vincenzo Pintagro si era spontaneamente presentato in procura. Ma, come detto, l’esposto finì nel nulla. Andò diversamente nel 2016 con l’altro esposto presentato, finito anche alle ‘Iene’, la trasmissione di Italia 1. A coordinare l’inchiesta era all’epoca l’allora procuratore aggiunto Dino Petralia, oggi procuratore generale a Reggio Calabria”.
A 11 imputati i pm contestano la falsificazione materiale delle firme.
A Nuti, per il quale non c’è la prova della commissione del falso materiale, si imputa, invece, l’avere fatto uso delle sottoscrizioni ricopiate: era lui, infatti, il candidato primo cittadino dei pentastellati nel 2012.
Il falso materiale riguarda Samantha Busalacchi, Di Vita, Mannino, e gli attivisti Alice Pantaleone, Stefano Paradiso, Riccardo Ricciardi, Pietro Salvino, Ferrara, Ippolito e gli ex deputati regionali Ciaccio e La Rocca.
Per il cancelliere del tribunale Scarpello l’accusa è di avere dichiarato il falso affermando che erano state apposte in sua presenza firme che invece gli sarebbero state consegnate dai 5 Stelle. Reato di cui risponde in concorso con Menallo, avvocato ed ex attivista grillino che consegnò materialmente le firme al pubblico ufficiale. In aula sono presenti, tra gli altri, i deputati Nuti e Di Vita.
Poi è stato il turno di Pintagro: “Quando quella sera di aprile del 2012 entrai nella sede del M5S e vidi Busalacchi e Mannino che stavano ricopiando le firme – dice – mi misi a gridare: ‘Ma siete pazzi? E’ una follia, è una grande caz..a. Ma, soprattutto, è un reato penale”.
L’ex attivista M5S di Palermo e insegnante di educazione fisica in pensione è stato tra i primi a denunciare la falsificazione delle firme. “Quella sera – dice Pintagro – venne convocata una riunione nella sede per le ore 21 e io arrivai mezz’ora dopo. All’ingresso vidi Claudia Mannino e Samanta Busalacchi (entrambe imputate ndr) che stavano ricopiando delle firme. E chiesi: “Ma cosa state facendo?’ e la Busalacchi mi rispose: ‘C’è stato un errore formale su un luogo di nascita e quindi stiamo ricopiando le firmè. Mi sono alterato ed entrai nella stanza più grande dove c’erano almeno quaranta persone, molto erano in piedi. E io dissi a voce alta: ‘Vorrei sapere chi ha dato il permesso di fare questa enorme caz..a, è un reato penale. Mi rivolsi in particolare a due avvocati presenti, cioè Francesco Menallo (imputato ndr) e Giampiero Trizzino (deputato Ars M5S ma non coinvolto nel processo ndr). Ma la cosa finì lì. Ricordo che Trizzino in quel periodo lavorava a Milano ma partecipava sempre alle riunioni. Glielo chiesi pure e lui mi rispose: ‘Sapessi quanti soldi spendo per l’aereo…’. Alla riunione erano presenti anche Riccardo Nuti, che partecipava a tutte le riunioni, e altri attivisti”. ù
Pintagro racconta anche che “più volte” aveva chiesto di “potere fare parte del coordinamento, visto che ero tra gli attivisti più anziani, ma non mi è mai stato permesso dai vari Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino”.
(da “La Repubblica”)
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