FONDI RUSSI AI PARTITI: I TRE REPORT USA, CHI LI HA REDATTI E I POLITICI COINVOLTI
COSA SAPPIAMO DEL DOSSIER CHE HA CAMBIATO LA CAMPAGNA ELETTORALE
Cosa sappiamo, per certo, dei dossier americani sui finanziamenti russi a partiti europei? Sono citati esponenti politici italiani? Se sì, quali? E ancora: chi ha stilato i dossier e che tipo di elementi sono stati portati a sostegno?
Sono domande cruciali per comprendere la fibrillazione provocata in queste ore nel nostro Paese, in piena campagna elettorale, dalle notizie che arrivano da Washington.
Andiamo con ordine.
IL PRIMO DOSSIER
La miccia è accesa nella serata di martedì 13 settembre quando un lancio della Associated Press parla dell’esistenza di un dossier nelle mani del Dipartimento di Stato americano che da conto di finanziamenti del Cremlino tesi a influenzare partiti ed esponenti politici occidentali: si citano 300 milioni di euro, spesi a partire dal 2014 e confluiti in una una ventina di paesi, tra cui alcuni in Europa.
Il dossier, sostiene l’Associated Press, è stato inviato dal segretario di Stato Antony Blinken alle ambasciate americane di almeno duecento paesi. L’effetto detonatore è immediato. Qualche minuto dopo l’uscita della notizia, non sono ancora le 20, in Italia parte la caccia all’elenco dei Paesi coinvolti. E ai nomi dei politici beneficiari.
I RISCONTRI ITALIANI
La notizia coglie di sorpresa, seppur non troppo, la nostra intelligence. Da giorni si fa un gran parlare in certi ambienti – alimentata dall’intervista a Repubblica di Julia Friedlander, già analista Cia e responsabile Sud Europa dell’amministrazione Trump, che segnala la possibilità di legami finanziari tra la Lega di Matteo Salvini e la Russia – di possibili report in arrivo dall’estero su rapporti non trasparenti, di natura economica, tra alcuni partiti e leader italiani e, appunto, l’entourage di Putin. Le voci ne indicano anche la modalità dell’incasso: finanziamenti non diretti ma avvenuti per il tramite di aziende e fondazioni.
Del dossier del Dipartimento di Stato, però, niente si sapeva. Quindi, dopo il lancio dell’Associated Press, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per il tramite del sottosegretario Franco Gabrielli (Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica) chiede conto all’intelligence americana di cosa stia accadendo. Si muove personalmente il numero uno dell’Aise, Giovanni Caravelli, con il capocentro della Cia di stanza a Roma. A Caravelli viene risposto che il dossier esiste, ma che allo stato dei fatti non sono informati del contenuto. Né sono arrivate da Washington alert particolari che lascino pensare alla presenza nel dossier di personalità italiane.
Immediatamente sono state chiare tre cose, quindi. Che non si tratta di una fake news. Che per gli americani non è ancora il tempo della condivisione di certe informazioni sensibili con i Paesi alleati. E che il dossier in questione non è frutto di un lavoro di intelligence bensì di alcuni Dipartimenti del Governo americano: quello del Tesoro, principalmente.
Una conferma in questo senso arriva poche ore dopo, quando a Palazzo Chigi e alla Farnesina viene notificata una nota di sintesi del dossier: priva di indicazioni precise, fa riferimento a quanto già uscito sulla stampa, ossia investimenti russi dal 2014 in poi in almeno venti paesi dell’Occidente. La richiesta di chiarimenti da parte dei canali diplomatici azionati da Roma si fa più pressante e dagli Stati Uniti si ricava qualche elemento in più: il nome dell’Italia, nel corposo dossier del dipartimento del tesoro americano, qua e là spunta, ma l’Italia non è nei venti paesi oggetto dei finanziamenti del Cremlino né, di conseguenza, appaiono nominativi di politici italiani. E verosimilmente quanto dirà Gabrielli domani al Copasir, convocato proprio sulla questione.
IL SECONDO DOSSIER, CON L’ITALIA DENTRO
Caso chiuso, dunque? No. Stando a quanto risulta a Repubblica, infatti, il Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, che riceve informazioni dalle varie agenzie di intelligence statunitensi, ha consegnato nelle mani del presidente Biden un altro documento, classificato, composto da dati raccolti dai servizi segreti ma anche di fonti aperte, nel quale vengono citati, tra gli altri, rapporti dell’Italia (e di politici italiani) con la Russia di Putin.
Il Dipartimento di Stato ha fatto sapere, in via informale, che questo secondo dossier non sarà divulgato. Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, dice che alla Farnesina sono arrivati gli aggiornamenti alla nota di Blinken, che – come detto – non riguarda l’Italia. Ma aggiunge: “Siamo in contatto con gli americani sia adesso sia nei prossimi giorni per tutti gli ulteriori aggiornamenti. Draghi ha sentito Blinken e continueremo con gli alleati lo scambio di informazioni”.
IL TERZO DOSSIER DEL 2020
Esiste poi un terzo dossier, datato agosto 2020 (quindi amministrazione Trump) e già pubblicato, dal titolo “Covert Foreign Money”.
È redatto da Josh Rudolph che nel Consiglio per la sicurezza nazionale si era occupato di coordinare il lavoro delle agenzie federali sulle sanzioni contro la Russia. Sono indicati i 300 milioni di euro spesi dal Cremlino e 33 possibili Paesi dove sarebbero stati spesi. Viene citata la Lega di Matteo Salvini per l’affare del Metropol e della possibile compravendita di petrolio russo.
(da La Repubblica)
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