FORNI CHIUSI, DI MAIO APPRENDISTA STREGONE IN PIENO ISOLAMENTO NEGOZIALE
L’IMPUNTATURA SULL’INCARICO NON REGGE E FINISCE SIA PER STRAPPARE CON I DEM CHE LITIGARE CON SALVINI
I forni, per dirla con la famosa quanto abusata metafora, sono chiusi, almeno per ora, in queste confuse pre-consultazioni che si consumano prima ancora di quelle ufficiali al Quirinale.
Si capisce quando a metà pomeriggio, in un clima di nervosismo sull’elezione di vicepresidenti, questori, segretari, Luigi Di Maio mette in rete un tweet di fuoco: “Salvini dice che gli bastano 50 voti. Vuole fare il governo con i 50 voti del Pd di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri!”.
La verità è che il giovane e ambizioso leader dei Cinque Stelle è in difficoltà .
Bastava vederlo sul tardo pomeriggio in buvette. Volto teso, ha salutato da lontano Ettore Rosato, per parlare qualche minuto fitto col suo Stefano Buffagni.
Qualche minuto, una consumazione, poi via.
Il pane del governo è ben diverso da quello infornato sull’elezione dei presidenti delle Camere. E il tono e le parole, certo di sfida e, di nuovo, tornate quasi da campagna elettorale, indicano la chiusura, almeno per ora, del forno leghista.
Poco prima Salvini, un altro abituato alla politica come comunicazione permanente, tutta proiettata sull’opinione pubblica più che nel Palazzo, aveva messo a verbale un altro bagno di realtà per il leader penstastellato: “Da solo Di Maio dove va… voglio vederlo trovare 90 voti in giro, che dalla sera alla mattina si convincono”.
Un bagno di realtà , perchè dietro l’approccio contabile (“a te ne mancano X, a me Y”), c’è un punto politico, per nulla irrilevante, che li pone in una posizione diversa.
Ed è la pretesa di avere l’incarico di governo.
Il leader della Lega ha già dichiarato la sua disponibilità a non pretenderlo, per favorire una dinamica che porti a un accordo.
L’altro, invece, è imprigionato nella logica dell’incarico. È questo il punto.
Perchè altrimenti, per dirla con i suoi, “non la regge”.
Solo la sua presenza a palazzo Chigi consente di far digerire l’accordo con la destra alla sua opinione pubblica inquieta.
Per la serie: fidatevi di me, sono io la garanzia che l’operazione non è uno snaturamento identitario e una omologazione agli altri partiti.
Ci vorrà tempo per capire se l’ambizione poggia su un calcolo consapevole e realistico o sul velleitarismo. Prima di un mese, ha spiegato ai suoi, non succederà nulla. Proseguiranno queste schermaglie tattiche, giochi di posizionamento, verifica delle possibili evoluzioni.
Al momento sembra complicato l’ottenimento dell’incarico senza una maggioranza, principio di realtà ben presente al Colle.
E sembra complicata, in questa fase, l’intera riproposizione dello schema seguito per l’elezione dei presidenti delle Camere, con Salvini unico interlocutore e Berlusconi che nasconde la sua ingombrante presenza.
Il Cavaliere ha fatto sapere che la prossima settimana salirà al Quirinale per le consultazioni, segno che, per dirla con i suoi, “semmai si farà un governo, sarà ‘con noi’, non ‘con noi sotto’ nei panni dei camerieri altrui”
Ecco. Nè ha prodotto esiti il timido tentativo di apertura del forno democratico. Perchè anche la trattativa su presidenze e vicepresidenze ha prodotto, più che l’inizio di un dialogo, un irrigidimento delle parti.
Parliamoci chiaro: l’idea che ci possa essere un pezzo di Pd che si smarca da Renzi per parlare con i Cinque Stelle, semplicemente, non esiste.
E non solo perchè, nella sua sostanza, al netto delle chiacchiere sulla collegialità il Pd è ancora ampiamente controllato da Renzi. Ma anche perchè è mancata qualunque iniziativa politica degna di questo nome per favorire un processo del genere.
Un processo del genere va costruito, con proposte, segnali di riconoscimento politico, disponibilità al confronto, atti concreti.
È complicato pretendere di formare un governo con i voti altrui, senza neanche chiederli e sperando che gli altri si facciano vivi per poi stupirsi che ciò non accada. Anzi, proprio questa pretesta ha rafforzato, di fatto, la linea dell’opposizione tout court dell’ex segretario.
Producendo il rifiuto di partecipare al giro di incontri proposti dal leader pentastellato per la giornata di domani, e neanche gestiti in prima persona. Dal centrodestra il rifiuto non c’è, segno che, semmai si riaprirà qualcosa, accadrà in quella direzione.
Sia come sia, in questa lunga attesa di ciò che potrà maturare, per la prima volta le parole e gli spin pentastellati rivelano una certa tensione e, per la prima volta meno fiducia verso Matteo Salvini che si sta mostrando legato a Berlusconi più di quanto parecchi di loro pensavano: “Si facciano il governo col Pd — sussurrano dalla war room — che tra un anno prendiamo il 50 per cento”.
Spifferi, comunque indicativi. A momento non c’è pane da cucinare nè da una parte nè dall’altra.
(da “Huffingtonpost”)
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