GIORGETTI: “LA LEGA RESTA AL GOVERNO”
SALVINI CERCA UNA TREGUA INTERNA CON I GOVERNISTI
“Non è ipotizzabile che la Lega ritiri il proprio sostegno all’esecutivo”. Giancarlo Giorgetti allontana le tentazioni di rottura espresse domenica sera da Matteo Salvini, che aveva ripreso a picchiare duro sul tema degli sbarchi.
Dal palco della festa della Lega il ministro dello Sviluppo economico si spinge a proporre il segretario del suo partito come ministro dell’Interno al posto di Luciana Lamorgese: la definisce una provocazione, forse c’è un pizzico di malizia, di certo il capo del Carroccio la prende sul serio: “Tornerei subito al Viminale”.
Giorgetti spiega che senza la Lega nell’esecutivo “ci sarebbe un’invasione di migranti” e chiede che “l’Ue non lasci sola l’Italia”.
Le liti nella maggioranza gli sembrano fisiologiche, “considerando la campagna per le amministrative e il semestre bianco”, ma ha timore “che si spazientisca Mattarella, prima che Draghi”.
E, quanto al premier, il leghista di lungo corso ribadisce con forza una linea governista che lo spinge ad augurarsi che l’ex capo della Bce rimanga a Palazzo Chigi fino al termine della legislatura: “Non ci può essere un altro governo se Draghi andasse al Qurinale, l’alternativa sarebbero le elezioni”.
In quel caso scommette su una vittoria del centrodestra: “La Lega entrando nel governo ha fatto un investimento a lungo termine, io sono convinto che pagherà, ma se Giorgia Meloni avrà più voti è giusto che sia lei ad andare a Chigi”.
Il moderato per definizione dice un sì condizionato anche alla federazione del centrodestra di governo: “Basta che non si parta dal tetto ma dalle fondamenta”. Il tutto alla vigilia della visita di Meloni a Silvio Berlusconi, che sabato aveva incoronato Salvini come leader della coalizione.
La rara uscita pubblica di Giorgetti alla festa leghista segue un altrettanto raro incontro (semi) pubblico con Salvini.
Il segretario aveva invitato il ministro sotto un baldacchino del Papeete. Un po’ troppo per il poco mondano Giorgetti, che si è fermato pochi metri prima, accettando un faccia a faccia in una stanza dell’hotel Miami, adiacente al lido, ma non negando una photo-opportunity finale: le mani dei due amici-rivali su una delle sculture dorate appena fuori dall’ingresso.
Ecco il “patto dei leoni”, più che altro una tregua armata, un tappeto steso a favore dei media per coprire le tensioni, le insofferenze, le divisioni che attanagliano questa Lega di Palazzo e di battaglia. “Non c’è bisogno di alcun patto: mica siamo Reagan e Gorbaciov a Reykjavik”, sussurra Giorgetti prima di scivolare via.
La verità è che si è deciso di firmare una pax d’agosto, con l’intesa su alcuni dossier non divisivi. Salvini e il ministro hanno convenuto sulla linea da tenere per Mps che è uno snodo economico ed elettorale (“bisogna salvare il brand e i posti di lavoro”), hanno parlato dell’ex Ilva, hanno discusso della necessità di rivedere il reddito di cittadinanza che il segretario ha definito “un inno al lavoro nero” e si sono confrontati sull’opportunità di rinviare a settembre misure più restrittive nella lotta al Covid. Pochi sono disposti a credere che ciò basterà a placare le forti correnti sottomarine.
Giorgetti è irritato per la notizia, smentita, di non volersi ricandidare a fine legislatura e anzi ha inviato un siluro a chi, a suo parere, ha girato la velina: “Queste cose nella Lega le decide il segretario. E non i sottosegretari”, ha dichiarato con riferimento al notabile romano Claudio Durigon.
Particolare che la dice lunga sul clima che si respira all’ombra del Carroccio. Ma che il ministro sia stanco, e sempre più provato dalla fatica di trovare un equilibrio con Draghi mentre il segretario occhieggia ai No Vax e ai No Pass e mina il cammino di Draghi, è circostanza confidata anche a chi l’ha sentito ieri prima di giungere a Milano Marittima.
Poco ha gradito, Giorgetti, proprio l’ultimatum salviniano di domenica sera sull’immigrazione e chissà se è un caso che ieri, ancor prima dell’intervento serale del ministro, il numero uno di via Bellerio abbia subito cambiato i toni, limitandosi ad attaccare Lamorgese.
È come se ci fossero due Leghe, ormai, quella arrembante del leader preoccupato per la crescita di Giorgia Meloni e quella più istituzionale che, con la sponda di Giorgetti, è rappresentata dall’asse dei governatori: Fontana, Zaia, quel Massimiliano Fedriga che domenica ha affrontato a muso duro la platea leghista composta (anche) da No Vax. Parole di buon senso che fanno rumore, in questa Lega che chiude le celebrazioni balneari in crisi d’identità.
(da La Repubblica)
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